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Autore: Oggetto: Cento anni di Giro di Lombardia...

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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Registrato: Oct 2003

  postato il 14/10/2006 alle 19:46
Quanto scritto da Federico Martin, a proposito del quiz che ci ha proposto su Jo De Roo, mi ha spinto a questo veloce lavoro sul Giro di Lombardia.
La “Classica delle foglie morte”, che oggi ha visto l’acuto arcobaleno dell’atleta e dell’uomo Paolo Bettini, non è considerata monumentale a caso. Da sempre la più dura, per quel condensato di altimetria, soventi avversità atmosferiche e le condizioni particolari del suo essere coda di una “stagione di fatiche” come quella che, da sempre propone il ciclismo. La corsa della Gazzetta per eccellenza, ha saputo mantenere negli anni il suo feeling, nonostante quelle defezioni che l’hanno spesso relegata ad essere più italiana della Sanremo, ad esempio. Chi vince il Lombardia, non può che essere un gran corridore, raramente ci sono state eccezioni. Ed è proprio lo scopo di questo thread: far conoscere ai più giovani di Cicloweb, qualche succinto e piccolo particolare sui vincitori di questa classica monumento. Lo farò a rapide puntate, perché la velocità del lavoro, non può scansare la lunghezza. In fondo sono cento anni di storia.

In coda seguiranno due zoom-aneddoti del secolare cammino di questa corsa.



1905 - Giovanni Gerbi (Italia)
Il “Diavolo Rosso” tanto forte e furbo, quanto spregiudicato e al limite del rissoso. Un’icona dell’epoca pionieristica che ha stuzzicato tante penne. Oggi diremmo: un personaggio. Su di lui arriverà una prossima puntata di Graffiti.

1906 - Giuseppe Brambilla (Italia)
Un varesino che vinse il Lombardia prima delle sue stagioni d’oro: 1909-1910. Ebbe poi un calo vistoso. Uno dei primi corridori a morire prematuramente per un male incurabile, nel 1918.

1907 - Gustave Garrigou (Francia)
Soprannominato “l’uomo pendolo” per la sua regolarità che esaltava le enormi qualità. Il baffo francese, rappresenta uno dei più grandi corridori dell’era pionieristica. Ha vinto tantissimo.

Gustave Garrigou

1908 - François Faber (Lussemburgo)
Un gigante…che mangiava in sincronia col corpo colossale. La sua epopea si costruì attraverso vittorie che apparivano domini. Simpatico ed enorme, anche nel palmares. Un mostro (si veda Graffiti).

1909 - Giovanni Cuniolo (Italia)
Arrivò al ciclismo dalle corse campestri. Come pedalatore era un velocista, anche un po’ scorretto. Per questo fu soprannominato “Manina”. Comunque, un riferimento dell’epoca, che ebbe poi, tanti anni dopo, un ruolo nell’ascesa di Coppi.

Giovanni Cuniolo

1910 - Giovanni Micheletto (Italia)
Il “Conte di Sacile”, fu il primo corridore italiano rimasto tale (l’altro, Maurice Garin, che ha preceduto Micheletto, fu infatti naturalizzato francese), a vincere una corsa all’estero (Parigi-Menin 1913). Grande atleta, per vittorie e continua presenza ai vertici, prima dello scoppio di quella 1a Guerra Mondiale che lo costrinse all’abbandono a soli 25 anni.

Giovanni Micheletto

1911 – 1913 – 1920 Henri Pelissier (Francia)
Eccola qua “la corda” come veniva chiamato Henri, il più celebre e forte di tre fratelli tutti corridori. A mio giudizio il miglior pioniere mondiale. Vinceva dappertutto, ed aveva una personalità enorme, al punto di non tentennare nemmeno di fronte al patron del Tour, Henri Desgrange, che mandò a quel paese (e si ritirò) nel corso della Grande Boucle del 1924. Longevo come pochi, il suo curriculum è una poesia del ciclismo eroico.

Henri Pelissier

1912 - Carlo Oriani (Italia)
“El Pucia”di Cinesello Balsamo, non fu mai un corridore a tempo pieno: continuò sempre ad alternare la bicicletta al mestiere di muratore. E dire che era molto forte, anche se non vinceva spesso. Un gladiatore di qualità e dal curriculum comunque degno, che trovò la morte nel 1917, per una polmonite che lo colpì militare. L’elemento che gli provocò la malattia, fu il disperato attraversamento del Piave a nuoto, a causa della disfatta di Caporetto. Morì al sud, a Caserta.

Carlo Oriani

1914 - Lauro Bordin (Italia)
Da Crespino sul Po, ad una buona carriera, prima e persino durante la 1a Guerra Mondiale (fece il militare come impiegato del Ministero della Difesa). Un outsider delle corse generoso ed ardimentoso. Divenne giornalista e fotografo, prima di prendersi gli spazi di notorietà lasciati dalla prima TV: fu un campione di “Lascia o Raddoppia”.

Lauro Bordin

1915 – 1920 – 1928 - Gaetano Belloni (Italia)
L’Eterno Secondo, in realtà era un fior di campione che vinse di tutto, altroché! Gaetano, detto “Tano”, era un corridore completo e poté sfruttare al massimo l’aver evitato la guerra, per l’esonero dalle armi dovuto alla mancanza di una falange del pollice destro, perduta da ragazzino mentre lavorava sul tornio. Il suo curriculum è completo (corse tantissimo, persino sulle piste statunitensi) e la sua longevità è stata suprema.

Gaetano Belloni

1916 - Leopoldo Torricelli (Italia)
Uno dei vincitori più modesti del Lombardia. Torinese, si segnalò su strada proprio per questo successo, dove approfittò di un cast monco causa guerra e della caduta di Sivocci, suo compagno di fuga. Divenne poi mezzofondista di pregio (sei tricolori ed un podio mondiale).

Leopoldo Torricelli

1917 - Philippe Thijs (Belgio)
Corridore dotato di una classe cristallina e da una grande capacità di studiare ogni dettaglio del mestiere, “il bassetto”, come veniva chiamato Thijs, col Lombardia rivelò al pubblico italiano le qualità che aveva dimostrato in Belgio e Francia. Si veda “Graffiti”.

Philippe Thijs

1919 – 1921 – 1922 - Costante Girardengo (Italia)
Il primo “Campionissimo” era un asso che, paradossalmente, ha vinto meno di quel che poteva a causa della sia idiosincrasia a gareggiare all’estero. Si veda “Graffiti”.

Costante Girardengo

segue...

 

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  postato il 14/10/2006 alle 20:21
Letto tutto, Morris sei un'enciclopedia...

segue... ^^

 

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Un uomo comincerà a comportarsi in modo ragionevole solamente quando avrà terminato ogni altra possibile soluzione.
Proverbio cinese

Jamais Carmen ne cédera,
libre elle est née et libre elle mourra.

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 14/10/2006 alle 21:06
1923 – 1924 - Giovanni Brunero (Italia)
Torinese di San Maurizio Canavese, Giovanni, fu davvero un primario degli anni venti. Nel suo palmares ci sono molte corse, nonostante la presenza ingombrante di Girardengo, verso il quale nutriva un certo timore reverenziale, nonchè il nascente astro Binda. Il suo passo, sia in salita che in pianura, sapeva ferire, mentre lo sprint era un po’ il suo tallone d’Achille. Morì per un male incurabile nel 1934 a soli 39 anni.

Giovanni Brunero

1925 – 1926 – 1927 – 1931 - Alfredo Binda (Italia)
L’uomo dei “garun” di ferro, detto, tra i tanti nomignoli che l’hanno accompagnato, “L’imbattibile”, è da considerarsi il più forte corridore mondiale nel decennio che sta fra il 1925 e il 1935. Di questo grande campione, è prevista una prossima puntata di Graffiti e, in calce a questo excursus sui vincitori, un aneddoto proprio sul Lombardia…

Alfredo Binda

1929 - Pietro Fossati (Italia)
Piemontese di Novi, da onesto e generoso gregario, parve diventare un nuovo Girardengo, ma fu solo un’illusione. Buon corridore, soprattutto tangibile velocista. Il Lombardia fu la sua chicca di carriera. Morì nel 1945, a causa di uno degli ultimi bombardamenti Alleati sul suolo italiano.

Pietro Fossati

1930 - Michele Mara (Italia)
Gran velocista, Michele di Busto Arsizio, deve a questa sua caratteristica, i suoi migliori successi. Nel 1930, prima di vincere il Lombardia per la retrocessione di Piemontesi per scorrettezze, aveva già raccolto anche la Milano-Sanremo. Per più di un lustro fu un evidente.

Michele Mara

1932 - Antonio Negrini (Italia)
Questo alessandrino di Molare, aveva un fisico da culturista ed assomigliava tantissimo, anche nel volto, all’odierno Danilo Napolitano. Non era però molto veloce e ciò gli ha limitato il palmares. Un buon corridore, che s’è tolto pure delle belle soddisfazioni all’estero, come quando, nel 1935, vinse il Midi Libre.

Antonio Negrini

1933 - Domenico Piemontesi (Italia)
Piemontese come sincronia all’agnomen, nacque a Boca per divenire “Leone di Boca” e poi, spostandosi a Borgomanero, cittadina dove faceva il fabbro, ereditò un altro nomignolo: “Il ciclone di Bongomanero”. Ruota veloce e gran combattente, ha vinto tantissimo segnalandosi spesso come un possibile. Il Lombardia e le undici tappe al Giro, non rappresentano fino in fondo la sua tangibilità. Chiusa la carriera è divenuto artigiano costruttore e riparatore di bici, nonché direttore sportivo, scoprì e lanciò il concittadino Pasquale Fornaia. Morì nel 1987 ad 84 anni.

Domenico Piemontesi

1934 - Learco Guerra (Italia)
La “Locomotiva umana”, giunto al ciclismo dal calcio ed a tarda età, rappresenta quello che tutti sanno. Un particolare distinguo: è l’unico vincitore di un mondiale corso a cronometro (ben 140 km). Notevole pure la sua carriera di tecnico. Su di lui è prevista una prossima puntata di Graffiti.

Learco Guerra

1935 - Enrico Mollo (Italia)
Poche vittorie per questo torinese di Moncalieri, ma tutte colte col piglio del corridore di razza. Ottimo scalatore. La sua vittoria al Lombardia rappresenta ancora oggi, una delle migliori imprese mai svolte in una classica: arrivò solo dopo 175 chilometri di fuga. Nel suo curriculum, frenato dalla seconda guerra mondiale, anche un terzo posto al Giro del 1937 ed il secondo in quello del 1940, dietro a Coppi.

Enrico Mollo

1936 – 1939 – 1940 - Gino Bartali (Italia)
Di Ginettaccio in poche note, è doverosa solo una precisazione: definirlo scalatore, come molti fanno, è riduttivo, perché era bravo anche sul resto, altrimenti non avrebbe mai potuto formare un palmares tra i più grandi dell’intera storia. Di lui è prevista una prossima puntata di “Graffiti”.

Gino Bartali

1937 – 1942 - Aldo Bini (Italia)
“Simpatia tipicamente toscana e forza scultorea, immessa su un corpo non certo molto alto (1,74), ma compatto (73 kg), pronto a far paura quando l'ispirazione dei suoi neuroni si concentrava su un obiettivo agonistico”. La frase virgolettata, è tratta da Graffiti, a cui rimando chi vorrebbe conoscere questo grande corridore.

Aldo Bini

1938 - Cino Cinelli (Italia)
Toscano di Montespertoli, è stato un gran passista veloce. Ha vinto oltre al Lombardia anche la Milano-Sanremo del '43. Atleta e uomo dinamico, nonchè persona intelligente, si trasferì a fine carriera a Milano, dove divenne industriale di pregio. E’ stato presidente dell’Associazione Corridori.

Cino Cinelli

1941 – 1942 - Mario Ricci (Italia)
Un corridore dai modi garbati, ma determinato e completo come pochi nelle corse di un giorno. Molto veloce. Nonostante l’era in cui ha corso, s’è ritagliato un bel palmares, anche se gli mancano acuti nelle classifiche a tempo di quelle corse a tappe, dove pativa la mancanza di recupero. Ciononostante, nelle sue 4 partecipazioni al Giro, vinse altrettante frazioni. Le due vittorie al Lombardia sono le chicche, ma fu anche campione italiano. Il padovano, fu poi un valente tecnico e, come CT azzurro dei professionisti (per sei anni), vinse due mondiali con Adorni nel ’68 e Basso nel ’72.

Mario Ricci

1943-1944 Il Lombardia fu sospeso a causa della seconda guerra mondiale.

Segue...

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 14/10/2006 alle 21:48
Grazie Morris, come te non c'è nessuno...

 

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Rebellin... l'ultimo Gattopardo

 
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Utente del mese Agosto 2009




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  postato il 14/10/2006 alle 22:02
Caro Morris hai avuto davvero unastupenda idea a far rivivere 100 anni di Lombardia attraverso i suoi vincitori, per tirarsi fuor idalle sabbie mobili in cui è caduto il ciclismo ha bisogno di aggrapparsi alla gloriosa storia dei suoi campioni e delle loro sfide.
Proprio l'edizione del centenario ha scritto una pagina di ciclismo dal sapore epico, di quelle che non ci smetteremo mai di ricordare e raccontare.

 

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Vorrei morire in bici, in un giorno di sole, dopo aver scalato una di quelle montagne che sembrano protendersi verso il cielo, mi adagerei sull'erba fresca senza rimpianti, attendendo con serenità il compiersi del mio tempo. Non importa se sarà ...oggi o tra cent'anni, avrò in ogni caso trovato il mio giorno perfetto.

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 14/10/2006 alle 22:20
Grandissimo Morris!

Mi inserisco in punta di piedi regalando una vecchia foto che reca i segni del tempo.
E' la volata finale del Giro di Lombardia del 1931. Piemontesi precede Mara, ma verrà retrocesso al quarto posto

Morris, scusami per l'intrusione!





 
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Elite




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  postato il 14/10/2006 alle 22:56
..sono appena tornato a casa..con sentimenti contrapposti..la gioia della vittoria di Paolo..Voluta per onorare il suo splendido fratello...e la grande tristezza di poterlo solo ricordare..spesso gioivo con Lui delle imprese dell'omino..!! ed ho appena letto della ..NON premiazione..!!! ora ho un altro .. sentimento...ma non trovo le parole più giuste..
hanno incredibilmente macchiato una giornata INDIMENTICABILE..
Morris..anche tu sei un..fenomeno..

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 14/10/2006 alle 23:07
1946 – 1947 – 1948 – 1949 – 1954 - Fausto Coppi (Italia)
Di Coppi che dire? Mi limito a riproporvi quanto ho scritto su Graffiti, ed aggiungo una sua foto ben poco conosciuta, risalente al 1959.

Fausto Coppi

1950 - Renzo Soldani (Italia)
Pistoiese dai mezzi notevoli e dal talento prorompente. All’esordio, ancora semi-indipendente, vinse il Giro del Piemonte. Al terzo anno, tronfò nel Lombardia, battendo Fausto Coppi. Poi, un sontuoso ingaggio per quei tempi e la facilità con la quale poteva conquistare i cuori femminili, affrettarono il suo declino. E’ restato a lungo un personaggio popolare, nonostante un palmares lontano dalle sue indubbie qualità.

Renzo Soldani

1951 - Louison Bobet (Francia)
Il terzo corridore francese di tutti i tempi, dopo Anquetil e Hinault. Maturò lentamente, ma senza soluzione di continuità, anche se a soli 23 anni rese la vita complicata a Bartali nel Tour del 1948. Nel palmares di Luison diverse classiche monumento, un mondiale e tre Tour de France. Ha pure sfiorato il successo al Giro, ed era furbo oltre che bravo. Sarà il protagonista di un prossimo Graffiti. Con Bobet si incontra uno di quei corridori che costringono qualsiasi storico, a dedicargli un capitolo.

Luison Bobet

1952 - Giuseppe Minardi (Italia)
Faentino del medesimo paesino di Cassani, Solarolo, Giuseppe “Pipaza” Minardi, non è stato un grande campione, ma ha saputo ritagliarsi uno spazio di nota nel panorama italiano degli anni cinquanta. Nel suo palmares di ruota veloce e dall’ottimo spunto da finisseur, ci sono sei tappe del Giro, e tante classiche nazionali. Il Lombardia rappresenta la chicca della sua carriera. Vinse la tappa del Giro d’Italia che inaugurò lo stadio olimpico di Roma, pieno quel giorno in ogni ordine di posti. E’ ancora un record, perché nessun’altra manifestazione ciclistica, ha radunato, fisse sul traguardo, 80.000 persone. Di Minardi è prevista una puntata di Graffiti.

Giuseppe Minardi

1953 - Bruno Landi (Italia)
Questo spezzino nato nel 1928, è da considerarsi il più sorprendente vincitore dell’intera storia del Lombardia. Fu praticamente l’unico successo nei suoi quattro anni di professionismo, colto proprio alla prima stagione. Nell’occasione, regolò un drappello di undici corridori, fra i quali il siculo-belga Pino Cerami (2°), Stan Ockers (4°), “Penna Bianca” Angelo Conterno (5°), Fiorenzo Magni (7°) e Pasquale Fornaia (11°). Successivamente, Landi, vinse solo una prova minore: la Nazionale di Romito Magra.

Bruno Landi

1955 - Cleto Maule (Italia)
Questo vicentino, ha fatto sperare a lungo quell’esplosione che, poi, non è mai arrivata. Ben dotato con polpacci da calciatore e un notevole spunto veloce, vinse il Lombardia superando un drappello di nove unità che vedeva, fra gli altri, il grande Fred De Bruyne (2°), il solito “Penna Bianca” Conterno (3°) e il francese Privat (4°). Dopo questo successo, Maule non fu, come detto, pari alle attese, ma riuscì a vincere ancora qualche bella corsa: su tutte, due volte il Giro dell’Appennino.

Cleto Maule

1956 - André Darrigade (Francia)
Dalla velocità su pista, Andrè, detto “Dedè” o “basco saltellante”, nonostante fosse delle Lande, si trasformò in uno stradista che seppe segnare una traccia ben più profonda di quanto non dica il pur ottimo curriculum. Campione mondiale nel 1959, partecipò a 14 Tour de France conquistando 22 tappe, due volte la maglia verde finale, ed indossò la gialla per 19 giornate. Specialista nel vincere la tappa inaugurale della Grande Boucle (vi riuscì in 5 occasioni), deve al Lombardia, un’altra fetta della sua notorietà al di fuori della Francia. Su Dedè, è prevista una prossima puntata di Graffiti. Corridore gentile e persona squisita, rappresenta ancora oggi una delle figure più popolari del ciclismo transalpino.

"Dedè" Darrigade

1957 - Diego Ronchini (Italia)
Il debutto professionistico di Ronchini, fu di quelli che, per un verso o per l’altro, nessuno può scordare, proprio al Lombardia ’56. L’anno successivo vinse alla grande la Classica d’autunno. Pareva destinato ad una stupenda carriera, ma riuscì a tradurre sulle strade solo una parte del suo indubbio talento, a causa dell’ameba, una malattia perniciosa. Vinse comunque diverse classiche nazionali e fu campione italiano nel ’59. Sull’imolese Diego Ronchini, deceduto nel 2003 a 68 anni, è prevista una prossima puntata di Graffiti.

Diego Ronchini

1958 - Nino Defilippis (Italia)
Torinese purosangue, “Il Cit”, come era soprannominato, fu un corridore di grande livello, con particolari doti sulle variabili della velocità: la pura dello sprinter e quella più resistente del finisseur. Fra le 58 vittorie colte in carriera, quasi tutte le classiche nazionali, una miriade di tappe dei più grandi Giri, due titoli tricolori, ed il Giro di Lombardia. Di prove monumento ne poteva vincere altre, come, del resto, almeno un mondiale. Si avvicinò a questo trionfi moltissimo, ma non li colse, a volte per questione di centimetri. Si rifece da CT della Nazionale italiana quando guidò Gimondi all’iride ’73. Anche su Nino Defilippis, autentico big degli anni cinquanta e primi anni sessanta, è prevista una prossima puntata di Graffiti.

Nino Defilippis

1959 - Rik Van Looy (Belgio)
Sarà stato antipatico, avrà lasciato poco spazio ai suoi grandi gregari come dice qualcuno, ma con Rik, soprannominato il “Sire di Herentals”, incontriamo il più grande cacciatore di classiche della storia dopo Eddy Merckx e l’unico ad averle vinte tutte. Altro commento o trasformazione di questa realtà, è puro esercizio di contorsione blasfema. E’ stato pure un corridore longevo e se non fosse capitato in un’epoca fatta di grandi corridori, avrebbe vinto anche quelle corse a tappe, che ha cercato con tutte le sue forze. Dire che in salita era una schiappa è un’altra sciocchezza e non oso immaginare cosa sarebbe potuto diventare con la chimica di oggi. Giù il cappello di fronte a questo immenso atleta che spero di portare in Italia nel 2007, per il sessantesimo di una società ciclistica. Su Rik Van Looy, oggi settantreenne, ma con l’apparenza di un sessantenne, è prevista una prossima puntata di Graffiti.

Rik Van Looy


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Livello Fausto Coppi




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  postato il 15/10/2006 alle 01:21
Splendido..aspetto il giorno in cui riuscirò a stringerti la mano Morris...

 

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www.vcoazzurratv.it
...- --- .-.. .-
.--. ..- .--. .. .-.. .-.. .-
...- --- .-.. .- !!!!

LA CAROVANA VA..CONFINI NON NE HA..E TUTTE LE DISTANZE ANNULLERA'!!
"..Dinnanzi a me non fuor cose create se non etterne.. Ed io in etterno duro!!
Lasciate ogni speranza voi ch'entrate...!!!

"C'è Bugno in testaaaa!!! è Bugnoooo!!! ed è campione del mondo Bugno su Jalabert!!!"

"...ma ti sollevero' tutte le volte che cadrai
e raccogliero' i tuoi fiori che per strada perderai
e seguiro' il tuo volo senza interferire mai
perche' quello che voglio e' stare insieme a te
senza catene stare insieme a te"...

"Cascata ha un pregio non da poco. ama il ciclismo e però lo riesce a guardare con l'occhio dello scienziato. informatissimo, sa sceglire personaggi sempre di levatira superiore, pur non "scadendo" nello scontato.
un bravo di cuore.
(post di Ilic JanJansen, nel Thread "Un ricordo: Pedro Delgado, il capitano di Indurain")

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Ottobre 2009




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  postato il 15/10/2006 alle 09:37
Morris, grazie mille! Ora me lo salvo tutto sul pc!

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 15/10/2006 alle 10:59

grande morris!

 

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pedala che fa bene.....

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 15/10/2006 alle 11:15
1960 - Emile Daems (Belgio)
Un brevilineo compatto, veloce, persino potente, con un carattere fortissimo, ed una simpatia evidente. Passò professionista con un palmares da predestinato e nei soli sei anni e mezzo trascorsi nell’elite, mantenne le promesse. Si scontrò con Van Looy, a cui non giurò fedeltà in occasione dei mondiali di Sachsenring. Fu l’unico a contrastarlo in patria volgendogli la faccia e questo fatto gli rese l’antipatia e il dichiarato contrasto del Sire di Herentals. Ma in quel duello, Emile non uscì sconfitto. Agli esordi vinse alcune medie classiche belghe ed al primo anno da totale prof, si ribadì nelle corse fiamminghe, conquistò due tappe al Giro e l’Appennino, quindi il gran finale col trionfo nel Giro di Lombardia che per la prima volta affrontò il “muro” di Sormano. Nel ’61, vinse il Giro di Sardegna irridendo il più che ottimo cast, diverse corse in patria, nonché l’allora prestigioso Giro del Ticino. Imperiale nel ’62, dove si impose nella Milano-Sanremo. Alla Roubaix, solo Van Looy lo anticipò, ma dopo il traguardo gli disse che si sarebbe vendicato l’anno successivo. Fu poi protagonista al Tour de France, con tre tappe all’attivo e la vittoria nella mitica Briancon, dopo aver scalato il Col di Restefond, il Vars e l'Izoard. Il carattere del Daems si vide nel ’63, quando vinse proprio la Roubaix, superando allo sprint il rivale Van Looy. Vendetta era fatta. Nel ’64, complici diversi contrattempi fisici s’aggiudicò qualche gara fiamminga e l’anno successivo, dopo 4 stagioni in squadre italiane o francesi, ritornò in patria, ma una grave caduta alla Sei Giorni di Bruxelles, pose di fatto fine alla sua carriera.

Emile Daems

1961 - Vito Taccone (Italia)
Dire che Vito Taccone è stato un grande personaggio degli anni sessanta, può apparire un eufemismo. L’abruzzese tignoso e loquace, fu il protagonista principale del Processo alla Tappa di Sergio Zavoli e basterebbe già questo, come biglietto da visita. Vito però, era pure un campione, uno che se avesse contenuto i suoi furori, probabilmente, un Giro d’Italia, lo avrebbe potuto vincere. Per le sue doti di scalatore, ereditò presto la definizione di "camoscio d'Abruzzo", ed è riuscito a evidenziarsi in circostanze particolarmente significative, che ne dimostravano ampiamente i valori, ma anche una certa fragilità quando incontrava più salite in successione. Il resto lo faceva il suo essere nelle bocche di tutti, indipendentemente da una considerazione di simpatia o antipatia. Il Lombardia conquistato agli esordi e col Muro di Sormano da scalare, rappresenta la chicca delle sue bellissime 27 vittorie da prof. Su Taccone, presto un ritratto in Graffiti.

Vito Taccone

1962 - 1963 Jo De Roo (Paesi Bassi)
Jo, vero nome Johan (detto anche Joop) era forte ovunque, salvo le salite lunghe. Nei primi anni sessanta fu un autentico winner. Nel 1962 vinse la Bordeaux-Parigi, la Parigi-Tour (alla media di 44,903kmh - per tantissimi anni record!) e il Giro di Lombardia. Si ripeté nel 1963, vincendo nuovamente la Tours e il Lombardia. Nel 1965, vinse il Giro delle Fiandre e nel ‘66 l'Het Volk. Fu campione olandese nel ‘64 e '65. Ha vinto pure tre tappe al Tour de France e una alla Vuelta. Tanti i suoi successi su corse di medio valore per un totale di 57 vittorie.

Jo De Roo

1964 - Gianni Motta (Italia)
Sicuramente il miglior talento puro della grande generazione italiana degli anni sessanta. Gianni Motta, possedeva un poker di distinguo che i pur illustri colleghi suoi contemporanei non avevano: classe, coraggio, inventiva e completezza. Ad esaltare quelle qualità, interveniva nel “biondino di Groppello d’Adda”, come da definizione a lui siamese fin da giovanissimo, un carattere spontaneo, venduto per difficile e contorto, quando in realtà era solamente non conformista. Voleva vederci chiaro il Gianni, e lo diceva magari con un fraseggio sgrammaticato, ma la sostanza era evidente. Passava per antipatico e la sua spavalderia non lo aiutava di certo, ma l’oggettività dei suoi valori, a distanza di 40 anni è ancora lì, a gridare le sue grandezze e, diciamolo pure, le sue sfortune. Già, perché sul curriculum di Motta, giocò un ruolo notevole il dolore ad una gamba, nato probabilmente in seguito ad una caduta in Romandia nel ‘65, dove un’auto al seguito, gli passò sul ginocchio sinistro. Anni dopo, al termine di peripezie e continue visite presso specialisti, alcuni dei quali completamente fuori rotta, gli fu diagnosticata una strozzatura e una lesione traumatica alla arteria iliaca sinistra. Era così evidente, che un intero staff medico, si chiese come avesse fatto a correre e vincere in quelle condizioni. Le sue vittorie? Saranno fotografate in un prossimo Graffiti.

Gianni Motta

1965 - Tom Simpson (Gran Bretagna)
Di Tommy Simpson, praticamente tutti ricordano la morte, ma pochi, molto pochi, sanno che era un gran corridore. Per questo, credo sia opportuno allegare l’elenco delle vittorie più belle e dei significativi piazzamenti del baronetto inglese….. in attesa di un prossimo Graffiti….

1959: Due tappe del Giro dell’Ovest; Tappa al Route de France; 4° al Campionato Mondiale.
1960: Corsa del Mont Faron; Giro del Sud Est; Criterium Poly di Lorient; Criterium di Ploerduts; 3° nella Genova-Roma (primo nel GPM); 9° Parigi-Roubaix; 7° Freccia Vallone.
1961: Giro delle Fiandre; Tappa alla Quattro Giorni di Dunkerque; Tappa al G. P. Eibar; 9° Campionato Mondiale; 5° ParigiNizza; 2° Genova-Roma
1962: 2° Parigi-Nizza; 5° Giro delle Fiandre, 6° Tour de France .
1963: Bordeaux-Parigi, Trofeo della Manica; Tappa del Tour del Var; Ruota d'oro di Dansmenil; Criterium di Chef Bautonne; Criterium di Valenciennes; Criterium di St. Gaudens; G. P. Isola di Man; 2° Parigi Tours; 2° Gand Wevelgem; 2° Parigi Bruxelles; 3° Giro delle Fiandre; 8° Parigi-Roubaix; 10° Freccia Vallone.
1964: Milano Sanremo; G. P. della Corona a Londra; Tappa del Giro della Provenza; Criterium di Issoiret; Criterium di Zolder; 4° Campionato Mondiale; 2° Mont Faron; 2° Kuurne-Bruxelles-Kuurne; 3° Trofeo Baracchi con Rudi Altig.
1965: Campionato Mondiale; Giro di Lombardia; G.P. di Vayrac; 3° Midi Libre; 3° Bordeaux-Parigi; 3° Freccia Vallone; 7° Parigi-Roubaix; 9° Liegi-Bastogne-Liegi.
1966: Criterium di Brest; Criterium Felletin; Criterium Laval; 2° Luchon-Revel; 2° Revel-Sete (tappe del Tour de France).
1967: Parigi Nizza; Tappa del Giro di Sardegna; Trofeo della Manica; due Tappe della Vuelta di Spagna; 3° G. P. Salvarani di Bruxelles.

Tommy Simpson

1966 – 1973 - Felice Gimondi (Italia)
Quando si parla di Gimondi, qualcuno non so fino a che punto con oggettività, lo antepone ad altri di peso, motivando questa scelta per la sovrapposizione del suo segmento con quello di Eddy Merckx, risultando così privato di successi che senza il belga avrebbe sicuramente ottenuto. Non sono assolutamente d’accordo con questa tesi per due motivi: il primo viene dalla mancanza di controprova e se la dottrina del “se” viene considerata aleatoria per gli altri, lo stesso deve valere per Gimondi; il secondo mi viene dal ricordo e dall’oggettività dei comportamenti sulla strada, nel momento in cui il bergamasco s’è trovato a correre senza Merckx. Analizzando il peso di quest’ultimo motivo scopriamo delle curiose risultanze che tendono a ribaltare anche l’ottimistica previsione del “se”. Dico subito che il miglior Gimondi, o quello che mi è piaciuto di più, è il primo, fra il 1965 e il 1968, quando doveva giocarsi le vittorie con un ventaglio di avversari e non col solo belga. Lì attaccava, certo dietro i suggerimenti e le spinte di gregari come non ha avuto nessuno fra gli italiani e, soprattutto, per la sicurezza che gli veniva da un Adorni a lui votato anche troppo, nonché dal suo storico nocchiero Pezzi. In altre parole, un corridore che faceva fruttare il suo potenziale spesso superiore, ma non brillava per acume tattico e per inventiva personale. Non serviva crescere, perché c’erano gli altri a pilotarlo come meglio non si poteva per le sue caratteristiche e straordinarie qualità. Quindi un grande e fortissimo campione, ma pure fortunato ad avere un simile contorno.
Quanto scritto rappresenta la parte iniziale del Graffiti su Gimondi, presto su queste pagine….

Felice Gimondi

Segue...

 

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Livello Gino Bartali




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  postato il 15/10/2006 alle 11:37
morris FE-NO-ME-NO

grazieeeeeeeeeeeeeee

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 15/10/2006 alle 16:17
1967 – 1970 - Franco Bitossi (Italia)
Il corridore che più mi è piaciuto, fra gli italiani dell’era Merckx, dopo la fine della carriera di Adorni. Bitossi era un virtuoso che cercava di vincere, tanto veloce, quanto capace di tenere in salita e poi era onesto in tutto. Avesse avuto le capacità fisiche di Gimondi, avrebbe battuto il belga in maniera assai più tangibile, rispetto al bergamasco. Professionista dal settembre del 1961 al 1978 nel palmares del corridore fiorentino ci sono 147 vittorie. Molte delle quali bellissime e colte col fare del campione di razza. Purtroppo, manca solo la perla dell’iride, ma ci andò davvero vicino nel 1972. Uscito nel finale, la sua azione da finisseur parve dargli quella soddisfazione che meritava, ma poi, sul traguardo in leggera salita, il tentativo di rinvenire su di lui per vincere dell’amico Eddy (certo perché i due lo erano veramente), fu sufficiente per lanciare i, per Merckx, odiati succhiaruote, Cyrille Guimard e Marino Basso. Il primo giunse terzo, per una gomma dietro Bitossi, ed il secondo andò a conquistare l’iride. Quel successo sfumato rappresenta, purtroppo, un’immagine distorta di un Campione che, anche senza l’arcobaleno, è stato tale. I primi anni della carriera di Franco furono stentati, soprattutto per un disturbo (in gran parte psicologico) che gli diede il perenne appellativo di "cuore matto", ovvero un’ipertrofia cardiaca che lo costringeva, durante la gara, a fermarsi e a ripartire quando il battito s'era un po' calmato. Fu poi il dottor Falai a risolverglielo, con un intervento più psicologico che medico. Le caratteristiche di completezza che consentivano a Bitossi di correre anche di rimessa, si esaltarono a metà degli anni sessanta e furono capaci di superare, sovente, anche le stagioni non più verdi. Franco infatti, è stato uno dei corridori più longevi in assoluto. Alcune sue giornate di vena rimarranno memorabili, come quella che lo portò alla prima vittoria nei suoi due “Lombardia”, colta dopo una lunghissima fuga solitaria. Dotato di un guizzo al fulmicotone, nel suo palmares anche la maglia verde al Tour ’68 (chiuso 7°), due Campionati di Zurigo, il Giro di Svizzera, la Tirreno Adriatico, tre campionati italiani su strada oltre a decine di classiche nazionali, tappe dei grandi giri. Un grande corridore, che oggi sarebbe un super. Anche su “cuore matto”, e non poteva essere diversamente, è prevista una puntata di Graffiti.

Franco Bitossi

1968 - Herman Van Springel (Belgio)
Il primo giudizio che viene spontaneo sul corridore Van Springel, ci evidenzia un atleta dal potenziale enorme, in grado di raccogliere numerose affermazioni di prestigio, ma che non riuscì mai ad arrivare ai vertici della notorietà che meritavano le sue qualità e le sue condotte, a causa di un carattere schivo e di una modestia evidente ed esagerata. Un distinguo caratteriale, che ne ha limitato pure il rendimento, fino a frenarne il comunque vasto curriculum. Avesse avuto quel pizzico di cattiveria, sicuramente non avrebbe perso corse lautamente alla sua portata e si sarebbe sicuramente insediato, su un piano ancor più nobile nel grande romanzo del ciclismo. Quando si parla di lui è impossibile non soffermarsi su un record che possiede fulgido: il suo amore verso una classica durissima, d’altri tempi nel vero senso della parola e di cui ribadisco la necessità di un suo rilancio, per il bene stesso del ciclismo odierno: la Bordeaux-Parigi. Herman Van Springel la disputò dieci volte e la vinse in sette occasioni (’70, ’74, ’75, ’77,’78, ’80, ’81), finendo due volte secondo e una volta terzo. Chiamarlo “Monsieur Bordeaux- Parigi” è dunque un obbligo. Nel suo palmares professionistico (fu un ottimo dilettante, ma non uno di quei super, tanto frequenti nella storia dei “puri” fiamminghi), iniziato nel 1965 e chiuso nel 1981, figurano tante corse di primario prestigio. Fra queste, come una stella brilla la sua vittoria nel Giro di Lombardia ’68, dove staccò tutti alla maniera dei grandi del pedale. Di Herman, si può leggere di più su Graffiti….

Herman Van Springel

1969 - Jean-Pierre Monsere (Belgio)
Un talento purissimo breve e tragico. Le sue doti, tanto consistenti quanto fulgide, gli consentirono di vincere oltre 120 corse nelle categorie giovanili. Fu secondo al mondiale dilettanti di Brno, anticipato dal danese Mortensen fuggito nel finale e sullo slancio, come costumanza del periodo, passò professionista. Fu subito protagonista assoluto, tanto da vincere, a 21 e un mese, proprio il Giro di Lombardia, in seguito alla squalifica per doping dell'olandese Gerben Karstens, l’unico capace di anticipare il neofita Jean Pierre nello sprint sulla pista di Como. Nel '70, dopo aver vinto diverse gare minori in patria, giunse 3° (dopo Merckx e Van Springel) nel campionato belga e, infine, non ancora ventiduenne, in Inghilterra, sul circuito di Mallory Park, divenne campione del mondo, precedendo il danese, sì proprio lui, Leif Mortensen e Felice Gimondi. Aprì la stagione ’71 vincendo il Giro dell’Andalusia e due tappe dello stesso, con l’obiettivo dichiarato della Sanremo, ma non la corse mai.
Quattro giorni prima della Classicissima, si schierò per far la gamba, alla kermesse di Retie-en-Capine, ma qui trovò la morte nelle vesti di una Mercedes che, nonostante gli avvertimenti della polizia e degli organizzatori, era uscita dalla fila. Il campione mondiale, lasciò la moglie e Giovanni, il figlio di quasi tre anni. Ma il più tragico dei destini si accanì anche sul piccolo Monserè che, quattro anni più tardi, nel 1975, trovò la morte nell’identico modo del padre: in sella alla bicicletta fu investito da un’auto a Rumbeke.

Jean Pierre Monserè

1971 – 1972 - Eddy Merckx (Belgio)
Che dire? Uno che avrebbe fatto sfracelli in qualsiasi sport. Già nel pugilato e nel mezzofondo con le scarpette chiodate, prima di praticare il ciclismo, s’era fatto notare come un vincente per antonomasia. Pure nel calcio non passava inosservato. Poi, l’incontro con Claudine e la folgorazione per quella che diverrà sua moglie. Lei però, non era una “neutra”, ma la figlia di Lucien Acou, l’allora CT della nazionale belga dei dilettanti. Per stare più vicino al suo amore, Eddy si dedicò alla bicicletta e nacque quel Merckx che non sarà più superato da nessuno, nel ciclismo e nello sport. Soprannominato “Il cannibale”, per la onnipresente fame di vittorie, ha dimostrato coi gregari e nel dopo carriera, di essere un generoso come pochi.

Eddy Merckx

1974 – 1976 - Roger de Vlaeminck (Belgio)
Il “Gitano di Eeklo” come veniva soprannominato è stato un grandissimo passista veloce che, nella mia personale classifica, sta dopo Merckx e Van Looy, per quanto riguarda le corse di un giorno. Al suo attivo oltre 270 successi, colti fra il 1969 e il 1984. Gli è mancata solo la maglia di campione del mondo per completare una carriera favolosa e per taluni aspetti geniale. Se per Gimondi si spendono tante parole, circa la sfortuna di essersi trovato con Merckx, a maggior ragione questo vale per Roger che, a differenza del bergamasco, non era un inseguitore di Eddy, ma uno che lo affrontava a viso aperto. Professionista nel 1969, dopo aver vinto tanto da dilettante, compreso il mondiale di ciclocross, si scontrò subito col “Cannibale” cercando di scendere anche sul terreno più favorevole a Merckx, le corse a tappe, ma ne uscì distrutto, perché Roger non era per nulla strutturato per fare classifica in gare di tre settimane. A quel punto, De Vlaeminck, scelse di correre al meglio tutte le altre componenti del ciclismo e divenne un grande. Cominciò a vincere un po' dovunque, su strada, su pista, nelle Sei Giorni, nel ciclocross. Vinse due titoli di campione del Belgio ('69 e '81 a 12 anni di distanza), Het Volk due volte, Liegi-Bastogne-Liegi, Freccia Vallone, Giro delle Fiandre, Campionato di Zurigo, Parigi-Bruxelles, Giro di Lombardia due volte, Milano-Sanremo tre volte e, soprattutto, la Parigi-Roubaix 4 volte: '72, '74, '75, '77, un poker di successi in sei anni sulle pietre dell'inferno del Nord, che gli valse il soprannome di "monsieur Roubaix". Dopo un deludente '82 e un '83 senza vittorie, annunciò il ritiro, ma tornò sui suoi passi, per concludere la carriera su strada con un ottimo ‘84. Continuò poi a gareggiare nel cross, per puro diletto, senza perdere l’abitudine ad essere protagonista, fino al 1987, a quaranta anni.

Roger De Vlaeminck

1975 – 1978 - Francesco Moser (Italia)
Il primo dato che balza agli occhi parlando di Francesco Moser, ci viene dalla corposità del suo palmares: è infatti il corridore italiano più vittorioso della storia del ciclismo. Un altro aspetto ci giunge dalla sua longevità ai vertici, lunga almeno il 90% di una carriera che presenta sedici anni di permanenza fra i professionisti. Un terzo quadrante ci mostra un personaggio divenuto così popolare da far passare quasi per il contrario la sua mancanza maggiore: la tenuta in salita e la conseguente vulnerabilità nelle corse a tappe. Una vasta schiera di tifosi, dunque, che continuava a vederlo come un predestinato per quelle gare, quando al massimo poteva vincerle, come in effetti s’è verificato, per la congiunzione di determinati straordinari fattori.
Dal punto di vista tecnico un passista formidabile, che diventava veloce per l’eccelsa potenza che possedeva, ed una musicalità nel ritmo che sgorgava a fiotti dai suoi centri nervosi. Certo, pericoloso in volata, per le sue poderose progressioni, in grado di annichilire chiunque. In salita era solo discreto, ma recuperava una gran parte di questa sua lacuna, con una bravura in discesa che, relativamente alla sua epoca, non conosceva rivali similari. Sul piano mentale aggiungeva una qualità alle consorelle fisiche: una generosa ed infinita combattività. Grazie a tutto questo s’è eletto icona del nostro ciclismo negli ultimi otto lustri e chi batteva Francesco Moser se l’era comunque guadagnata. Nel suo palmares ci sono quasi tutte le più grandi classiche del calendario nazionale e internazionale (alcune vinte più volte) e, parzialmente e totalmente le maglie più prestigiose del grande romanzo ciclistico, anche se, ripeto, considerare Francesco un corridore da corse a tappe significa avere qualche appannamento alla vista.
Anche per Moser, un prossimo Graffiti…

Francesco Moser

1977 – 1986 - Gianbattista Baronchelli (Italia)
Gian Battista “Gibì” o “Tista” Baronchelli è passato, o si cerca di farlo passare, alla storia come un incompiuto, quando in realtà, semmai, può essere considerato un corridore dal quale ci si aspettava di più. Ogni giudizio, aldilà degli errori e della sfortuna di questo comunque stupendo atleta, non può non partire dall’analisi dei tempi in cui Gibì ha corso e dalle non poche storture e contraddizioni del ciclismo italiano di quel periodo. Le ragioni oggettive che hanno pesato in quel contesto storico si muovevano, dapprima nell’esigenza ossessiva tipicamente italiana di trovare un indigeno in grado di mettere alle corde Eddy Merckx, poi nello stravalutare le corse della penisola a danno di quel Tour per anni dribblato malamente dai nostri migliori ciclisti, indi nell’esagerazione di vedere il dualismo Moser Saronni come un chiasma che, di fatto, bruciava tutto il resto, ed infine nel non considerare nel giusto merito chi giungeva secondo dietro Bernard Hinault. Se analizziamo passo su passo questi aspetti, Baronchelli, esce più cospicuo e il suo comunque ottimo palmares assume ben altri significati. Su Gibì, sulla sua carriera e sulle sue grandi vittorie al Lombardia, c’è un Graffiti presente nel thread sul compleanno del suo primo tifoso, il dottor Janjanssen. Quanto prima, sarà portato dalla redazione all’interno della rubrica…

Gibì Baronchelli

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  postato il 15/10/2006 alle 16:18
Originariamente inviato da Morris

1941 – 1942 - Mario Ricci (Italia)
Un corridore dai modi garbati, ma determinato e completo come pochi nelle corse di un giorno. Molto veloce. Nonostante l’era in cui ha corso, s’è ritagliato un bel palmares, anche se gli mancano acuti nelle classifiche a tempo di quelle corse a tappe, dove pativa la mancanza di recupero. Ciononostante, nelle sue 4 partecipazioni al Giro, vinse altrettante frazioni. Le due vittorie al Lombardia sono le chicche, ma fu anche campione italiano. Il padovano, fu poi un valente tecnico e, come CT azzurro dei professionisti (per sei anni), vinse due mondiali con Adorni nel ’68 e Basso nel ’72.

Mario Ricci


Ieri un amico di Cicloweb.it ci ha fatto conoscere un "riccio", un tipo pungente, un uomo che risponde al cognome Ricci, ed all'albero genealogico di Mario: il figlio di Mario Ricci, appunto.

In mano brandiva una pubblicazione di RCS Sport che ha omaggiato i 100 anni del Giro di Lombardia con una raccolta fotografica e cronachistica le varie edizioni della "classica delle foglie morte".

Grazie Morris per questo amarcord.

 

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Mario Casaldi - Cicloweb.it

CICLISTI
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie

 
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Livello Hugo Koblet




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  postato il 15/10/2006 alle 17:17
la "minaccia" di tutti questi nuovi graffiti non può che riempirci di gioia.....

p.s. anche se non vedo l'ora di leggerne uno sul ragno nero

 

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...Nessuna cortesia all'uscita...

...La faccia sporca e gli occhi vivi....

"La bicicletta era come l'aria che respiravo" (Giovanni Pesce)

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 15/10/2006 alle 20:43
grazie morris,
sei grandioso e sommo, oltre che enciclopedico....

in particolare ti voglio ringraziare per le considerazioni che riguardano il sire di herenthals e tommy simpson, che condivido in pieno, così come condivido il giusto peso che assegni ad un campione come gianni motta e anche a franco bitossi.

quando si sentono e si leggono affermazioni spropositate sul peso di corridori contemporanei e/o recentissimi, è un piacere leggere uno storico del ciclismo che sa riportare tutto nelle giuste prospettive.

grazie, grazie, grazie

chapeau, maestro

mesty

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 15/10/2006 alle 21:25
1979 – 1984 - Bernard Hinault (Francia)
Anche per il bretone Bernard, nato a Yffiniac, il 14 novembre 1954, si può parlare di fisico non eccezionale, a dimostrazione di quanto, spesso, tale componente non sia decisiva. Hinault, seppe collezionare 200 vittorie, 27 delle quali al Tour de France, dove indossò per 70 giorni la maglia gialla. Ciò gli valse il soprannome di “Tasso”, che non l’abbandonò mai. Secondo le opinioni ricorrenti, Bernard è stato il miglior ciclista francese di tutti i tempi, superiore quindi ad Anquetil, ma il sottoscritto non è d’accordo, perché pur vincendo diverse classiche in più rispetto al normanno ed un mondiale da mostro, nelle corse a tappe, di grandi avversari, il bretone, ne ha avuti troppi in meno. A parte Zoetemelck (comunque corridore che prendeva da Merckx a fine Grande Boucle, distacchi che stavano nell’intorno del quarto d’ora), gli altri, a cominciare da Moser e Saronni, era ciclisti che nei giri di tre settimane, valevano meno di taluni gregari o spalle dell’epoca precedente. Quando poi incontrò avversari veri, come l’ex gregario Fignon ed il giovane Lemond, perse anche in maniera clamorosa (vedi Tour 1984). Alla Vuelta vinse un’edizione, quella del 1983, perché tutto il mondo del pedale (compreso quel Saronni che non ho mai perdonato per questa vera e propria scorrettezza) si alleò con lui, contro Marino Lejarreta. Il suo ritiro al Tour del 1980, quando era maglia gialla, resta, appunto un giallo. Poi si presentò ai mondiali di Sallanches con quel “vestito” da marziano addosso. Ora, visto che si ragiona sempre e troppo con in mano gli albi d’oro, senza fotografare le epopee e le consistenze di queste, mi chiedo: con quattro o cinque grandi giri in meno chi sarebbe stato disposto a considerare Hinault, superiore ad Anquetil? Dunque, io appartengo al ristretto partito che vede il bretone tangibile e grandioso soprattutto per le classiche che ha vinto, ma nelle corse a tappe, rimarrò per sempre col forte dubbio, di un suo reale valore da “top cinque” di tutti i tempi. Anzi, non glielo metterei proprio! Se tra gli avversari oltre ai citati ci mettiamo i vari Kuiper, il vecchissimo Agostinho, il vecchio Van Impe, il vecchio Panizza, nonché i modesti se non addirittura semisconosciuti, come Alban, Martin, Winnen, o i non certo trascendentali, come il giovanissimo Van der Velde (si quello del Gavia, poi finito a fare il “topo di appartamenti”…) o lo svizzero Zimmerman….bèh allora ben si capisce che chi la pensa come me, non è fuori senno. Comunque, il certo fuoriclasse Hinault (non vorrei aver dato l’impressione del contrario), ha mostrato altro per essere considerato campionissimo e ne parlerò nel Graffiti a lui dedicato. Per ora ecco il suo stringato curriculum: 5 Tour e 3 Giri con due doppiette nello stesso anno, un mondiale, 2 Vuelta, 9 grandi classiche, 4 GP delle Nazioni. Numericamente, quanto basta per porlo al posto d’onore della storia, dietro a Merckx.

Bernard Hinault

1980 - Alfons De Wolf (Belgio)
Alfons, detto “Fons”, è da considerarsi uno dei talenti più grandi fra quelli che li hanno dispersi per loro demeriti caratteriali. Formidabile mattatore fra i “puri” (fra le 38 vittorie ottenute nel '78 anche la Parigi-Roubaix e il Campionato belga), dopo inizi degni fra i professionisti s’è lasciato andare alla bella vita, alle donne e ad ogni motivo adatto per non far fatica. Continuò a correre per anni fino al 1990, solo per guadagnare i denari sufficienti per mantenere quello che era diventato il suo trend di vita e, magari, per formarsi il dopo. Nella sua carriera da prof. Ha vinto 61 corse, quasi tutte concentrate dal 1979, anno d’esordio, al 1984. Quando però Fons intendeva svolgere l’acuto, mostrava una classe rara e la sua pedalata era davvero un esempio da studiare. Il Giro di Lombardia e la Milano Sanremo ’81, sono le stelle del suo palmares, ma non bisogna dimenticare le vittorie nel Trofeo Baracchi (corso in coppia con Jan Luc Vandenbroucke, lo zio di Frank) nell'80, l’Het Volk '82 e '83, la Sassari-Cagliari '82, la Coppa Agostoni, il Giro di Toscana, il Giro di Romagna nell’83, nonché frazioni nelle più importanti corse a tappe. Insomma, Fons De Wolf, anche se ha corso molto per scherzo, la sua bella traccia l’ha lasciata.

Fons De Wolf

1981 - Hennie Kuiper (Paesi Bassi)
Questo olandese dal fisico non eccezionale, forte sul passo ed in salita, è stato professionista dal 1973 al 1988, raccogliendo una cinquantina di affermazioni. Un campione, decisamente più adatto alle corse in linea, piuttosto che a quelle a tappe, per un motivo semplice: il suo pezzo migliore, quello del finisseur, ovviamente si addiceva alle classiche. Come scalatore era forte, ma non uno che poteva guadagnare al cospetto di scalatori veri, anzi, semmai poteva più che altro perdere; come cronoman era ottimo, ma non in grado di guadagnare minuti, insomma, non un predestinato per i grandi giri, contrariamente a quanto sostenuto da tanti. Grazie al suo essere finisseur, invece, gli riuscì un'accoppiata di lusso che solo Ercole Baldini, prima di lui, era riuscito a ottenere: vincere il titolo olimpionico (Monaco '72) e poi laurearsi campione del mondo professionisti, nel '75 in Belgio. A loro s’è poi aggiunto Paolo Bettini, che però corse da prof l’Olimpiade di Atene. Sempre nel medesimo modo, Hennie, vinse grandi classiche, come il Giro delle Fiandre '81, Giro di Lombardia '81, Parigi-Roubaix '83 e Milano-Sanremo '85, oppure corse di livello come il Gran Premio Dortmund '74 e il Gran Premio Vallonia '82. Sempre da finisseur trionfò nel campionato olandese '75. Nelle corse a tappe vinse il Giro di Svizzera '76 e l'Indre et Loire '74, finì secondo al Tour de France ’77 (dove vinse all’Alpe d’Huez) ed in quello del 1980, nel Giro d'Olanda '81 ed in quello del Lussemburgo '82.

Hennie Kuiper

1982 - Giuseppe Saronni (Italia)
Un talento precoce e orizzontale (la sua dimensione internazionale si vide su pista, dove eccelleva nella velocità, prima che sulla strada), potremmo dire prodigio. Nel suo palmares giovanile 127 affermazioni con titoli e azzurro, ed una tangibilità che spinse ad aprire un caso: il passaggio al professionismo anticipato sull’età minima. Giuseppe, infatti, fece il salto a 19 anni e mezzo, dimostrandosi subito un vincente. Nella stagione d’esordio, il 1977, colse qualcosa come 9 vittorie: esattamente il Trofeo Pantalica, il Giro di Sicilia ed una tappa dello stesso, la Tre Valli Varesine, il Giro del Veneto, il Giro del Friuli e tre circuiti. Di queste nove vittorie, ben sette furono raggiunte prima del compimento dei 20 anni. Solo il belga Frank Vandenbroucke, nel ciclismo moderno, può reggere il confronto in quanto a tangibilità prima dei vent’anni. Il crescendo di Saronni, continuò imperioso nel ’78 e nel ’79 vinse il suo primo Giro d’Italia. Nel 1980, con la vittoria nella Freccia Vallone, dove staccò di ruota Bernard Hinault, mise in saccoccia la sua prima classica monumento.
I massimi livelli di rendimento li raggiunse nei 14 mesi che vanno dal febbraio '82 al giugno '83. In questo favoloso periodo centrò una splendida collana di grandi successi. In ordine di tempo: Giro della Sardegna, Milano-Torino, Tirreno-Adriatico, Giro del Trentino, Giro della Svizzera, Coppa Agostoni, Campionato Mondiale a Goodwood con la celebre fucilata finale che resterà perenne nella storia, il Giro di Lombardia e, quindi, nella nuova stagione la Sassari-Cagliari, la Milano-Sanremo e il suo secondo Giro d'Italia!
A quel punto però, la sua macchina cominciò a dare segni di tosse: per il resto dell’83 solo vittorie in circuito e, nella stagione successiva, addirittura solo i successi in due tappe del Giro di Norvegia. Si riprese nel 1985, dove vinse un paio di tappe al Giro, ma per il resto delle nove vittorie dell’anno furono i circuiti a sorridergli maggiormente. Andò meglio nel 1986, dove raccolse sette successi, giunse secondo al Giro (dietro a Visentini, ma davanti a Moser) e chiuse l’anno col terzo posto al mondiale di Colorado Springs vinto da Argentin su Mottet. La stagione ’87 confermò il suo calo e le rimanenti tre che passò nel ciclismo non segnarino nessuna inversione. Un tramonto dunque repentino, ed è stucchevole pensare, che ben 170 delle sue 195 vittorie di carriera, furono colte prima del compimento dei 26 anni. Sulla sua ellisse sarebbero tante le riflessioni da compiere, parte delle quali spero di poterle esaurire in un prossimo Graffiti.

Giuseppe Saronni

1983 – 1985 – 1991 - Sean Kelly (Irlanda)
Le vittorie di questo irlandese, da definirsi passista veloce, sono solo tre in meno di Saronni (192 totali) ma la sua carriera, s’è consumata con una longevità ed un equilibrio ben diversi. Corridore dato per vincente sin dagli inizi, parve ad un certo punto condannato ad accontentarsi di traguardi di secondo piano. Poi, nel 1983 la svolta proprio col suo primo successo al Giro di Lombardia. Per Sean quella vittoria fu come rompere il ghiaccio anche se il suo palmares era gia denso di decine e decine di traguardi. La “Classica delle foglie morte” aprì così la sua lunga stagione di cacciatore di classiche. Nel 1984 vinse la Parigi-Roubaix, la Liegi-Bastogne-Liegi e il Gran Premio d'Autunno, nell’85 di nuovo il Giro di Lombardia, indi la Milano-Sanremo e la Parigi-Roubaix nell'86 e piazzamenti d'onore in quasi tutte le altre. Nel 1988 trionfò nella Gand Wevelgem e nel 1989 nella Liegi-Bastogne-Liegi, indi ancora il Giro di Lombardia nel 1991 e la Milano Sanremo nel 1992. Adattissimo per le corse a tappe di media durata, si specializzò nella Parigi-Nizza, che vinse sei volte dall'82 ininterrottamente sino all'88. S'è poi imposto nel Giro della Svizzera nel 1983 e nel ‘90, indi nella Tre Giorni di La Panne '80, nel Criterium della Strada '84 e '87, nel Giro dei Paesi Baschi '84, '86, '87, nel Giro della Catalogna '84 e '86 e nel Giro d'Irlanda '85, '86, '87. Ma il suo successo principe nelle corse a tappe, fu colto alla Vuelta di Spagna nel 1988. Anche sul finire della carriera, continuò dunque a vincere gare di grande qualità, risultando competitivo fino all’ultimo giorno di corsa. E’ stato il primo numero uno del Ranking UCI e se proprio vogliamo trovare punti amari nella sua splendida carriera, possiamo annotare il Tour de France, dove non fu mai tangibile e la mancanza di una maglia iridata, dove tra l’altro corse senza mai una squadra. Ciononostante, salì due volte sul terzo gradino del podio: a Goodwood nel 982 e a Chambery nell’89. Un grande.

Sean Kelly


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Livello Fausto Coppi




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  postato il 15/10/2006 alle 21:26
Davvero grandissimi complimenti, un superlativo e brillante lavoro che rende onore e omaggio a grandissimi e leggendari campioni del passato che non andrebbero mai dimenticati.

Grazie. Grazie davvero

 
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  postato il 15/10/2006 alle 23:21
Molto belle anche le foto che raffigurano volti antichi, disegnati dalla fatica, in grado di esprimere stupende storie di strada che trovano nel nostro Morris impareggiabile cantore.

 

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Vorrei morire in bici, in un giorno di sole, dopo aver scalato una di quelle montagne che sembrano protendersi verso il cielo, mi adagerei sull'erba fresca senza rimpianti, attendendo con serenità il compiersi del mio tempo. Non importa se sarà ...oggi o tra cent'anni, avrò in ogni caso trovato il mio giorno perfetto.

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 15/10/2006 alle 23:38
Concodo con te Morris. Anquetil davanti ad Hinault e Bobet, nelle cose a tappe.. Il bretone è però stato con Pellissier, il miglior cacciatore di classiche francese. Senza essere un velocista tipico. In fondo, il suo palmares è inferiore solo al cannibale. E in certi anni, la sua superiorità sui nostri etra imbarazzante. Moser, saronni, Baronchelli, Battaglin, Contini nulla potevano a tappe contro il tasso. Che campione...tradito dai legamenti del quadricipite troppe volte...Cortisonici di troppo?
Ciao grandissimo Morris!

 

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pedala che fa bene.....

 
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  postato il 16/10/2006 alle 00:00
Morris sei incredibile.
Grazie!!

 

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Enula.
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 16/10/2006 alle 00:05
caro Morris, dopo tanti meritati complimenti, ci vuole anche una piccola critica.
Secondo me sei stato un pò ingeneroso con Hinault.
Il bretone ha vinto 10 Grandi Giri in 13 partecipazioni (più due secondi posti e un ritiro), e, fino all'operazione ai tendini del 1983, dava l'impressione di essere imbattibile nelle corse di 3 settimane.
Poi ha perso nettamente da Fignon (opinione sia mia che tua che il Fignon del Tour 1984 è stato il più forte corridore visto in un grande Giro negli ultimi 30 anni), ma era appena tornato dall'operazione ai tendini e quindi non poteva essere al top, tanto che perdeva a cronometro da gente che nel corso della sua carriera lui ha regolarmente preso a schiaffi.
E ha perso contro Lemond, qualche mese prima del ritiro, dopo però averlo battuto l'anno precedente.

Gli avversari: lo Zoetemelk del 1979, a mio parere, è stato lo Zoetemelk più forte di sempre; poi tra gli avversari battuti nelle corse a tappe, citerei anche Battaglin, Baronchelli e Roche.

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 16/10/2006 alle 01:03
1987 - Moreno Argentin (Italia)
Da dilettante era una promessa, ma da professionista è andato oltre quelli che potevano sembrare auspici. Un passista veloce che poteva tenere bene nelle salite medie o quelle dure, ma corte. Un perfetto assioma da classiche. Se poi a tutto questo aggiungiamo il suo carattere da “cagnaccio”, come si dice nel gergo ciclistico, il quadro si forma chiaro. Argentin era uno di quei corridori che non vorresti mai avere in squadra perché, prima di tutto, fanno la loro corsa, cercando di limare anche le lamette pur di emergere e poi, quando la strada della sconfitta si forma, si fanno da parte cercando il miglior modo di ritirarsi o non uscire troppo bastonati. Come compagno andava bene, invece, in Nazionale, perché prima del mondiale, il suo sindacalismo estremistico, avrebbe strappato entità di premi impensabili, mentre dopo l’eventuale positiva conclusione della corsa, pur di far percepire quelle entità a tutti, avrebbe morso anche i calzetti dell’usciere della Federazione. In corsa, quando si diede ad un compagno come se fosse se stesso, nel Giro ’94 a favore di Berzin nella più che discutibile e discussa Gewiss, lo fece in un modo tale, da spingere a non far inserire nell’albo d’oro il russo, bensì il suo nome. Un “cagnaccio” anche lì. Quindi un grande corridore, ma per la terza volta dico: un cagnaccio. Moreno Argentin è stato professionista dall'ottobre del 1980 al 1994 con 84 vittorie. La particolarità tecnica che l’ha fatto animale da classiche, s’è legata siamese al suo scatto bruciante, che diveniva letale negli arrivi o nelle parti crogiolo della corsa che presentavano pendenze. Ai mondiali è sempre stato o quasi protagonista, a volte anche in negativo come nel 1983 e nel 1984. Nel 1985, al Montello, invece, per un eccesso di presuntuosità, si fece beffare dal vecchissimo Zoetemelk, trascinando nella sconfitta anche quel Greg Lemond che, a parte il mondiale, le corse di un giorno non le vinceva nemmeno se lo mettevi nella canna di un fucile. Il veneto di San Donà di Piave finì terzo. L’anno successivo, a Colorado Springs, Moreno completò la sua crescita, vincendo da grandissimo campione la maglia iridata, ai danni del peso piuma francese Mottet. Anche nel 1987, a Villach, pur essendo l’unico azzurro nel gruppetto di testa, diede la sensazione di poter vincere, ma ancora un errore di presunzione, favorì l’acuto di Roche e per Argentin si completò il personale podio iridato con la conquista dell’argento. Ma la vera grandiosità di Moreno, la si vide nelle classiche e dire che nei primi anni di professionismo, l’osservatorio italiano, imbambolato “dal e nel” dualismo Moser-Saronni (una tragedia per la crescita del movimento!), arrivò all’impresa di giudicarlo fragile e discontinuo. Un errore che anche un raffreddato con 40 di febbre non avrebbe commesso visto il già evidente coltello che il giovabne veneto teneva fra i denti! Ed infatti, Moreno a nemmeno ventun anni, colse il 2° posto nel Giro di Lombardia ’81, e pochi mesi più tardi finì 3° nella Milano-Sanremo. Con la maturazione e la minor asfissia onnipresente ed a 360° del “mosersaronnismo, Argentin, si portò a casa un curriculum che, limitatamente alle classiche monumento, non è da considerarsi inferiore a quello del duo. Nel suo palmares infatti, ci sono 4 Liegi-Bastogne-Liegi ('85, '86, '87 e '91), 3 Freccia Vallone ('90, '91 e '94), il Giro delle Fiandre ('90), il Giro di Lombardia (’87). Gli manca la Sanremo, dove fu 2° nel ’92, mentre per la Roubaix non era tagliato. Fu poi due volte campione d'Italia ('83 e '89). Non è stato un evidente delle grandi corse a tappe (soffriva le salite vere e lunghe), nelle quali ha comunque colto un 3° posto al Giro del 1984 (il più facile della storia), ed ha saputo vincere tredici tappe, nonché indossare dodici volte la maglia rosa. Al Tour ha vinto tre tappe. In carriera è stato undici volte azzurro.

Moreno Argentin

1988 - Charles Mottet (Francia)
Un peso piuma, dotato di un buon motore che diventava ottimo a cronometro, ma privo di picchi di qualità in grado di partorire qualcosa di più di una bella carriera. Charles “Charly” Mottet, fece sperare i francesi, con la vittoria al Tour de l’Avenir ’84, di aver trovato un altro corridore, oltre a Fignon e a Bernard, in grado di proseguire la tradizione nel grandi tour che vedeva Hinault giocarsi gli ultimi fuochi. Invece, il biondino di Valence, era troppo fragile per affrontare in successione le grandi salite di un grande giro. Quello che si dimostrò impossibile su questa variabile però, parve concretizzarsi nelle corse di un giorno, quando, nel 1985, vinse il Giro del Piemonte, il GP delle Nazioni a cronometro e giunse terzo nel Lombardia. Nel 1986, col secondo posto al mondiale e due tappe della Vuelta, l’auspicio non perse vigore, ma l’anno successivo pur prodigo di successi in diverse corse minori, col solo GP delle Nazioni a far da eco di spessore, raffreddò le speranze. Ed invece, il 1988, dopo aver vinto corse di maggior livello, portò Charly a trovare nell’Italia una terra amica, grazie al successo dapprima nel Giro del Lazio, indi proprio in quel Giro di Lombardia che parve consacrarlo come un corridore possibile per le classiche. La carriera di Mottet però, non decollò ulteriormente e le sue stagioni si consumarono a buoni livelli, ma mai da grande. Rivinse il Giro del Lazio nel 1989, diverse corse a tappe contenute in una settimana, ma comunque di spessore, come il Dauphiné Liberé (1989-’92), il Giro di Romandia ’90, la 4 Giorni di Dunkerque ’91, il Giro del Mediterraneo ’93, nonché tappe al Giro, al Tour e in altre corse a frazioni. In totale una cinquantina di successi, più o meno in linea con quanto poteva raggiungere il suo talento.

Charly Mottet

1989 – 1992 - Tony Rominger (Svizzera)
Far passare per un grande del ciclismo questo svizzero ben lontano dai valori di un Koblet e un Kubler, mi sembra azzardato, o perlomeno sincronico alle illusioni che possono dare gli albi d’oro, nonché, vista l’era in cui Rominger ha corso, un esercizio di buonismo da occhi bendati. Se dagli States, giunse sul ciclismo un trasformato da considerarsi caso mondiale per non dire planetario, questo svizzero mi pare di gran lunga il primo degli umani con ambizioni di trasformismo…Ad un certo punto, da vecchio che cresceva come fosse un adolescente, l’elvetico con la faccia da topo, si mise a pedalare come fosse preso da un esubero di potenza. Brutto da vedere, anzi pessimo. E poi per chi oggi ama le maturazioni tardive, questo Toni, rappresenta il “tonno insuperabile”. Da bravo sul passo che non staccava mai il fondoschiena dalla sella, ad un certo punto iniziò ad andare forte in salita, fino al punto di saltare a capretto sui pedali, ed a sprigionare una forza che forse aveva preso in prestito da Hulk. Insomma, meglio passare al freddo elenco dei suoi successi. Passato professionista nel 1986, solo nel 1989 cominciò a stabilirsi ai vertici, vincendo la Tirreno-Adriatico (successo ripetuto l'anno seguente) e proprio il Giro di Lombardia colto in una giornata tipicamente autunnale. Il primo successo nella Classica delle foglie morte, resta per me il più importante e significativo della sua carriera. Nel 1991 si aggiudicò la Parigi-Nizza (come pure nel 1994) e il Giro di Romandia (rivinto poi nel 1995). Nel 1992, vinse la prima delle sue tre Vuelta di Spagna (le altre furono nel ’93 e ’94), e si ripeté ancora nel Giro di Lombardia. Nel 1994 finì al primo posto nel ranking UCI e stabilì il primato dell’ora, che rimase insuperato per due anni. Nel ’95 il Giro d’Italia e il GP delle Nazioni. Il miglior piazzamento al Tour de France di Rominger lo colse nel 1993, quando finì secondo alle spalle di Miguel Indurain, ma riuscì a vincere tre tappe e la classifica del miglior scalatore. Chiuse la carriera nel ’97.

Tony Rominger

1990 - Gilles Delion (Francia)
Nato a St Etienne, Gilles Delion passò professionista nel 1988 con la squadra svizzera Weinmann-La Suisse di Paul Koechli. Per tre anni si mise in luce come uno dei giovani più interessanti del panorama internazionale. Nel 1989, vinse il GP di Lugano e si classificò secondo nel Giro di Lombardia, ma questa grande classica fu sua nel 1990, quando seppe superare nello sprint decisivo a cinque, Richard, Mottet, Millar ed Echave. Dopo il fulgido ’90, Gilles parve sparire. Si rifece vivo nel 1992, vincendo la Classica delle Alpi e la bella tappa di Valkenburg al Tour de France, dove superò Stephen Roche. Ancora un anno buio nel ’93, corso con la Castorama di Cyrille Guimard, ed un discreto ritorno nel 1994, grazie alle vittorie nel G.P. la Marsellaise, in una tappa del Tour de l'Ain e nel G.P. Rennes. Ancora due stagioni in grigio ed il definitivo passaggio alla mountain bike. Successivamente Gilles fu citato come un esempio di corridore che ha sempre rifiutato di cedere alla tentazione del doping in un periodo, gli anni '90, dove i medici preparatori hanno radicalmente modificato e distrutto tanto del ciclismo. Che fosse pulito Delion? Può essere, perlomeno nei limiti poco confessionali e meno ipocriti del termine.

Gilles Delion


Segue...

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 16/10/2006 alle 13:12
MI LASCI SENZA PAROLE!!!!!


Grandissimo, immenso!!!!

GRAZIE DI CUORE

 

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EROE DEL GAVIA

A 2 Km dalla vetta mi sono detto "Vai Marco o salti tu o salta lui...E' saltato lui.
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27/28/29 giugno 2008...son stato pure randonneur

!platonicamente innamorato di admin!

 
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  postato il 16/10/2006 alle 13:19
Da suo grande tifoso, mi sono sempre fatto cruccio del fatto che nel palmares di Bugno non figurasse proprio la sua corsa di casa. Ci è andato vicino nell'anno di Mottet, il 1988.
Nel 1992 invece dopo aver vinto in pochi giorni Mondiale, Lazio, Emilia e Milano-Torino sembrava destinato a dominare il Lombardia ma in quel giorno pagò la sua idiosincrasia per il maltempo finendo nelle retrovie.

 

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  postato il 16/10/2006 alle 13:50
Grazie Morris!
Tengo molto al giro di Lombardia (sarà perchè sono lombarda e il Ghisallo fin da piccola è stato per me un "pounto di riferimento") ma non mi ero mai spinta più indietro degli anni 80-90 ...
grazie ancora per questi 100 anni di storia e di grande ciclismo!

 

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"...poi Dio creò la biciletta perché l'uomo ne facesse strumento di fatica e di esaltazione nell'ardito itinerario della vita ..." (monumento al Ghisallo)


L’orizzonte era fatto di monti
che guardavano in fondo la valle.
S'ergevano austeri e inviolati
al cuore d'un credo
provato dal non lontano
ricordo d'una immane prova di vita.... (L'Angelo della Montagna - Morris)

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 16/10/2006 alle 14:04
Grazie per l'ulteriore volume dell'Enciclopedia.

 

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nino58

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 16/10/2006 alle 14:29
Originariamente inviato da W00DST0CK76

Da suo grande tifoso, mi sono sempre fatto cruccio del fatto che nel palmares di Bugno non figurasse proprio la sua corsa di casa. Ci è andato vicino nell'anno di Mottet, il 1988.
Nel 1992 invece dopo aver vinto in pochi giorni Mondiale, Lazio, Emilia e Milano-Torino sembrava destinato a dominare il Lombardia ma in quel giorno pagò la sua idiosincrasia per il maltempo finendo nelle retrovie.


sai cosa disse rominger riguardo a quella edizione del lombardia"non ho mai visto nessuno andare cosi forte in salita ma non ho mai visto nessuno andare cosi piano in discesa".chiaramente si riferiva a gianni.rominger aveva un vantaggio di un paio di minuti sulla valcava.bugno usci' dal gruppo e da solo lo ando'a raggiungere.tirando come un matto nei rimanenti km di salita.arrivo' la discesa(bagnata)e Bugno si dissolse.peccato.era il piu' forte.ma il meno coraggioso.

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 16/10/2006 alle 14:31


Non ho parole, grazie Morris!!!!!

 
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  postato il 16/10/2006 alle 15:30
bellissima questa antologia sui vincitori del Giro di Lombardia complimenti davvero Morris

 

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Se si è ritirato Bewolcic si possono ritirare tutti...


Gianni



 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 16/10/2006 alle 22:32
1993 - Pascal Richard (Svizzera)
Con Pascal Richard di Vevey, classe 1964, incontriamo una storia particolare. Nato per cercare nella tradizione svizzera del cross, il suo posto nel ciclismo, s’è trovato pian piano nelle condizioni di eleggersi campione. La conquista, nel 1988, a 24 anni, della maglia iridata nel ciclocross, dopo due stagioni passate fra i professionisti, svegliarono in lui considerazioni e convinzioni che parevano impensabili solo qualche anni prima. E così, Richard, dal fango e dal freddo del fuoristrada, provò con tutte le sue forze, ad emergere anche dove l’asfalto risultava infinito. Già nel 1999, gli riuscirono un paio d’acuti di peso: la conquista del titolo svizzero su strada, ed una tappa niente popò di meno che al Tour de France. Era divenuto un corridore sul serio e non uno “stagiaire”. Nel 1990 si confermò, con la conquista della Tre Valli Varesine e, l’anno successivo, in un periodo molto vicino a quella del cross, vinse il Trofeo Laigueglia ed una tappa della Tirreno Adriatico. Successi che davano tangibilità, ma non ancora quella notorietà che sentiva sempre più possibile. L’esplosione nel 1993, dove, nella dozzina di successi conquistati, inserì quelli che non puoi mai dimenticare, come il Giro di Lombardia. Ma la sua stagione annoverò pure il Giro del Lazio, il Trofeo dello Scalatore, il Giro di Romandia, quello di Romagna, una tappa al Giro di Svizzera e diverse altre di manifestazioni contenute in una settimana. Per darsi la soddisfazione di una maglia da tenere tutto l’anno, riconquistò il titolo elvetico. Anche nel 1994 dodici successi, tra i quali il Giro di Svizzera ed una frazione dello stesso, nonché una tappa del Giro d’Italia, arricchita dalla conquista della classifica del G.P.M. Sei successi nel ’95, fra i quali due tappe della “corsa rosa” e nuovamente il Giro del Lazio. Di grande qualità la sua stagione ’96, che s’aprì con la conquista della sua seconda classica monumento, la Liegi Bastone Liegi; proseguì con la conquista di una tappa al Giro, indi incontrò l’Oro alle Olimpiade di Atlanta, le prime aperte ai professionisti. Divenuto per questo successo un riferimento in patria, festeggiò il nuovo ruolo, conquistando una tappa al Tour. Il 1997, un po’ per l’arrivo di problemi fisici, un po’ per i segni dell’età non più verdissima, lo passò all’asciutto. Tornò al successo l’anno seguente in una tappa del Giro del Trentino, mentre nel 1999 conquistò tre vittorie, l’ultima delle quali, una tappa del Giro di Svizzera, fu anche l’ultima di carriera. Corse pure nel 2000, ma non vinse nulla ed a fine stagione, a quasi trentasette anni, appese la bicicletta al chiodo.

Pascal Richard

1994 - Vladislav Bobrik (Russia)
Lo ricordavo pistard discreto nell’inseguimento, anche se un po’ screziato nella pedalata. Lo vidi da vicino in una gara a coppie assieme al suo gemello Berzin e ricavai la convinzione che fosse solo un discreto corridore. Invece, per i miracoli del ciclismo anni novanta, lo ritrovai nel 1994, nel ruolo di corridore emergente, grazie ad una primavera di evidenza persino nelle classiche, indi vincitore di una tappa alla Vuelta d’Aragona e di una del Trofeo dello Scalatore. In autunno, il successo, tra l’altro ampiamente meritato, nel Giro di Lombardia. Mi ero sbagliato? No, erano solo le meraviglie del luogo e dell’epopea in cui stava correndo. L’anno seguente, un paio di vittorie minori ed un progressivo ritorno ai contenuti di Cenerentola. Provò a gridare vincendo la Cronoscalata della Futa nel 1997, ma fu un’eccezione. Corse fino al 1999, ma sempre con connotati grigi. Che dire? Per non andare oltre: uno dei vincitori più modesti della storia, della Classica delle foglie morte.

Vladislav Bobrik

1995 - Gianni Faresin (Italia)
Vicentino di Marostica, Gianni Faresin è stato professionista dal 1988 al 2004, ottenendo 13 vittorie in carriera, fra le quali il Giro di Lombardia nel 1995 (la sua corsa leggenda). Nello stesso anno vinse anche la Hofbrau Cup. Ha vinto 3 volte il Gp Larciano: nel 1991, 1992 e nel 1997, quando gli è valso il titolo di campione italiano su strada. Di nota anche i suoi successi nel G.P. di Camaiore ’91, nella seconda prova del G.P. Sanson ’94 e nel Trofeo Matteotti del 2001. Il tutto senza aver mai corso da capitano, ma da spalla in libera uscita. Il suo tratto: “come rendersi qualcuno con la modestia, la volontà e il cuore”. Una prova: è stato 9 volte azzurro ai mondiali.

Gianni Faresin

1996 - Andrea Tafi (Italia)
Toscano di Fucecchio (Firenze), “Tafone” o “il Gladiatore” come veniva chiamato, è stato professionista dal 1989 al 2005, ottenendo trenta vittorie, tra le quali cinque prove dell'ex Coppa del Mondo: Giro di Lombardia nel 1996, Rochester Classic nel 1997, Parigi-Roubaix nel 1999 (la corsa che più di tutte lo ha entusiasmato), Parigi-Tours nel 2000 e Giro delle Fiandre nel 2002. Altri importanti bersagli: il Giro del Lazio nel 1991, la Parigi-Bruxelles nel 1996, la Coppa Sabatini nel 1997, il Campionato italiano su strada e la Coppa Agostoni nel 1998, il Giro del Piemonte nel 1999. Dotato di mezzi fisici da passista adatto a far da treno per i velocisti, ha saputo crescere pian piano, fino a trovare, sulla soglia dei 30 anni, la via dei vertici. Un campione? Coi metri di oggi sicuramente, in assoluto, non saprei.

Andrea Tafi

1997 - Laurent Jalabert (Francia)
Al suo debutto, nel 1989, si annunciava come un velocista. Poi, pian piano, iniziò a difendersi su ogni terreno cogliendo oltre ad una decina di vittorie in gare di medio blasone un’infinità di piazzamenti di peso: 2° a San Sebastian '90, 2° Campionato di Zurigo '91, 7° Amstel Gold Race '91, 8° Giro di Lombardia '91. Sempre nel 1991 si piazzò 2° nella classifica di Coppa del Mondo e 16° nel ranking UCI.
Con la stagione ’92 e il suo passaggio alla Once di Manolo Sainz, la sua esplosione, attraverso le urla di nove successi, tra i quali una tappa e la maglia verde al Tour de France, il secondo posto al Campionato del Mondo, dove fu battuto da Gianni Bugno, nonché il 5° posto in Coppa del Mondo. La sua crescita parve inarrestabile nel ’93, dove ottenne ben 18 successi, anche se non di primissimo livello, ma nelle classiche fu sempre fra i primi.
Nel 1994, dopo aver vinto 7 tappe e la classifica a punti alla Vuelta di Spagna, attraverso una bruttissima caduta ad Armentière, durante il Tour de France, dove un imprudente poliziotto francese, per fotografare i ciclisti, provocò un mezzo disastro che fece perdere a Laurent gran parte della dentatura (anche Wlfred Nelissen e Alexander Gontchenkov uscirono malissimo), si concretizzò la seconda parte dell’evoluzione di Jaja, come già veniva soprannominato Jalabert. Già, perché i mesi atti al recupero forgiarono la sua tempra e le sue convinzioni al punto di far vedere, al suo rientro, un corridore ben diverso. Nel 1995, infatti, Laurent si dimostra un corridore superiore nelle classiche e negli atteggiamenti verso le stesse corse a tappe: vinse la Milano-San Remo e la Freccia Vallone, la Vuelta di Spagna con cinque tappe all’attivo e tutte le classifiche, nonché la Parigi-Nizza e il Giro della Catalogna. Al Tour de France finì 4°, ma conquistò la maglia verde, una vittoria di tappa ed indossò per tre giorni la maglia gialla. Furono 30 le vittorie a fine stagione di Jalabert, nuovo numero uno al mondo sia nel ranking UCI e sia per la stampa internazionale.
Nelle stagioni '96 e '97, si confermò numero uno UCI, vincendo una miriade di corse fra le quali altre due classiche: Freccia Vallone e Giro di Lombardia ’97. Sempre nel 1997 si laureò a San Sebastian, campione del Mondo a cronometro. Dopo un 1998 dove le pur copiose vittorie non furono di spessore tale da consentirgli la prima posizione nel ranking, si rifece nella stagione successiva, nella quale partecipò anche al Giro d’Italia (4° con tre tappe vinte) e riuscì a mietere il solito gruppo di successi. Nella classifica UCI di fine secolo fu dunque Jaja il numero uno. Col 2000 iniziò la sua lenta flessione, ma l’entità dei successi continuò ad essere alta. Un dato che testimoniava la tangibilità si ebbe a fine stagione, quando abbandonò la Once e si riscontrò che Jalabert nelle nove stagioni con quella maglia, aveva raccolto più di 140 successi! A 33 anni firmò un contratto con la squadra danese CSC Tiscali e mantenne un trend di vittorie da far rabbrividire. Ai Tour del 2001 e 2002 conquistò la maglia di miglior scalatore ed in entrambi gli anni vinse la Clasica di San Sebastian. A fine 2002 si ritirò dall'attività agonistica con un palmares tra i più grandi, nei numeri, dell’intera storia: 186 successi.

Laurent Jalabert


Segue...

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 16/10/2006 alle 23:02
1998 - Oskar Camenzind (Svizzera)
Nato a Schwyz (Svizzera) nel 1971, è stato professionista dal 1996 al 2004. Nella sua carriera ha ottenuto 21 vittorie, fra le quali il Campionato nazionale su strada nel 1997, il Campionato del Mondo a Valkenburg (Ola) e il Giro di Lombardia nel 1998, il Giro di Svizzera nel 2000, la Liegi-Bastogne-Liegi nel 2001. Si è ritirato dopo una accertata positività all'Epo in un controllo preolimpico. Come giudicare Camenzind? Un corridore dei tempi con delle qualità, dall’altalenate rendimento e con gli interrogativi che conosciamo. Non il peggiore e non il migliore, uno della media che ha incrociato perfettamente le congiunzioni positive dei credi e dell’opera di chi sta riducendo lo sport ad un esercizio tanto atletico quanto chimico. Difficile definire Oskar un campione, sbagliato considerarlo un mediocre. Già queste difficoltà, sono significative.

Oskar Camenzind

1999 - Mirko Celestino (Italia)
Professionista dal 1996. Essendo ancora in attività, nessun commento, ma una mera elencazione delle vittorie principali:
1998
Giro dell'Emilia
2a tappa Regio Tour
Regio Tour classifica finale
1999
Giro di Lombardia
Hamburger Cyclassics
Coppa Placci
2001
Trofeo Laiguelia
Tre Valli Varesine
Milano Torino
2003
Settimana Internazionale Coppi & Bartali
Milano Torino
2004
2a tappa Settimana Internazionale Coppi & Bartali

Mirko Celestino

2000 - Raimondas Rumsas (Lituania)
Professionista dal 1996, visto che ancora corre in quelle corse indefinibili e non collocabili chiamate Gran Fondo, anche per Rumsas, le cui vicende sono note, mi limito a presentare il suo curriculum che, tra l’altro, è molto meno conosciuto.
1996
Wyscig Kolarski o Memorial Andrzeja Trochanowskiego
1997
Lodz - Warszawa
1998
1a tappa della Corsa della Pace
4a tappa della Corsa della Pace
4a tappa dell’Internationale Hessen-Rundfahrt
1999
Settimana Ciclistica Lombarda - Tappa n°4
Settimana Ciclistica Lombarda
3a tappa della Corsa della Pace
Tour Baltyk-Karkonosze
2000
Giro di Lombardia
2001
5a tappa della Vuelta Ciclistica dei Paesi Baschi
Vuelta Ciclistica dei Paesi Baschi

Raimondas Rumsas

2001 - Danilo Di Luca (Italia)
Professionista dal 1999. Essendo ancora in attività, nessun commento, ma una mera elencazione delle vittorie principali:
1999
4° tappa Giro d'Abruzzo
2000
2a tappa Giro dei Paesi Baschi
3a e 6a tappa Giro d'Abruzzo
5a tappa Giro d'Italia
2001
3a tappa Giro d'Abruzzo
Giro d'Abruzzo
4a tappa Giro d'Italia
Giro di Lombardia
2002
2a tappa Vuelta a España
Giro del Veneto
3a e 5a tappa Tirreno-Adriatico
2003
Tre Valli Varesine
6a tappa Tirreno-Adriatico
2004
Brixia Tour
Trofeo Matteotti
2005
Amstel Gold Race
Freccia Vallone
1a tappa Giro dei Paesi Baschi
Giro dei Paesi Baschi
3a tappa Giro d'Italia
5a tappa Giro d'Italia
Classifica finale dell'UCI Pro-Tour
2006
5a tappa Vuelta a España

Danilo Di Luca

2002 – 2003 - Michele Bartoli (Italia)
Pisano, della grande generazione del 1970, Michele batoli, detto “il Leoncino”, può essere considerato un grande cacciatore di classiche. Professionista dall’agosto 1992 al 2004, nella seconda metà degli Anni ’90, è stato davvero il numero uno delle corse di un giorno. Inadatto alle lunghe salite, ma fortissimo in quelle brevi e dure, quindi ideale per le gare in linea, nonché dotato di classe cristallina, in certe giornate è parso davvero insuperabile. Ha ottenuto in carriera complessivamente 57 vittorie, fra cui spiccano 7 prove di Coppa del Mondo, ed una classica, la Freccia Vallone (1999), che solo gli assurdi metodi dell’UCI, potevano relegare per anni dietro ad una San Sebastian. Ricapitolando, nel palmares di Michele ci sono: 2 Giri di Lombardia (2002 e 2003), 2 Liegi-Bastogne-Liegi (1997 e 1998), il Giro delle Fiandre 1996, il Campionato di Zurigo 1998 e l'Amstel Gold Race 2002. Al Giro d'Italia ha vinto due tappe (Lienz ’94 e Schio ’98), mentre ha sempre sacrificato il Tour, anche quando l’ha corso, per ricercare la condizione migliore per il finale di stagione, con la prospettiva di quel mondiale che gli è sempre sfuggito. Nella corsa iridata, è stato due volte medaglia di bronzo (Lugano ’96 e Valkenburg ’98), ma ha pure dimostrato, in diverse occasioni, un nervosismo che gli ha creato non pochi danni per le positive risultanze di gara. Un rapporto molto contrastato, e dire che in più di un’occasione, era parso come il più forte in corsa. A dimostrazione delle sue indubbie qualità, nel suo curriculum ci sono due Coppe del Mondo (1997 e ’98), ed il primo posto nel ranking mondiale dell’UCI, tra l'autunno 1998 e l'estate ’99. Campione italiano nel 2000, può vantare anche altri successi di pregio, come diverse classiche nazionali e altre con maggiori tinte internazionali, come il Giro del Lazio, Freccia del Brabante ( ne ha vinte 2), l’Het Volk, il GP Plouay, il GP di Fourmiese, il GP Cerami, il GP Gippingen e l’Henninger Turm. Nelle brevi corse a tappe ha trionfato nella Tirreno Adriatico, nella Settimana Siciliana, nel Giro del Mediterraneo, ed in due edizioni della Tre Giorni di La Panne. A compromettergli la carriera, un paio di incidenti molto pesanti: il primo durante il Giro di Germania ’99, indi una rovinosa caduta al Giro d'Italia nel 2002. Spettacolare come pochi nelle sue punte da campione di razza, ha pagato oltre agli incidenti, le sue pecche caratteriali e l’estrema dedizione a programmi che poteva vivere con maggiori variabili. La sua è stata una grande carriera, ma non è esagerato per nulla dire che le sue qualità la potevano costruire ancora migliore.

Michele Bartoli

2004 - Damiano Cunego (Italia)
Professionista dal 2003. Essendo ancora in attività, nessun commento, ma una mera elencazione delle vittorie principali:
2003
1 tappa e classifica finale al Qinghai Tour
2004
2 tappe (Marcena di Rumo e Roncone) e classifica finale al Giro del Trentino
Giro dell'Appennino
Gran Premio Industria e Artigianato Larciano
4 tappe (Pontremoli, Montevergine, Falzes e Bormio2000) e classifica finale al Giro d'Italia
Gran Premio Fred Mengoni
Gran Premio Nobili Rubinetterie
Giro di Lombardia
N°1 nel ranking mondiale UCI
2005
1 tappa (Anzere) al Giro di Romandia
GP Nobili Rubinetterie
Trofeo Melinda - Cles
Japan Cup
2006
1 tappa e classifica finale al Coppi&Bartali
Giro d'oro con arrivo a Fiavè
2a tappa (Cles) e classifica finale al Giro del Trentino
GP Industria & Artigianato - Larciano
Maglia bianca per gli under 25 al Tour de France

Damiano Cunego

2005 – 2006 - Paolo Bettini (Italia)
Professionista dal 1997. Essendo ancora in attività, come per gli altri inserirò in calce il suo curriculum, ma un aggiunta a Bettini la devo: “Chapeau”!
1997
Cronometro a squadre Hoffbrau-cup
1998
4a tappa Giro di Romancia
1999
4a tappa Tirreno-Adriatico
2a tappa Memorial Cecchi Gori
1a tappa Vuelta Gallega
1a tappa Giro provincia di Lucca
Classifica finale Giro provincia di Lucca
2000
4a tappa Vuelta a Mallorca
2a tappa Memorial Cecchi Gori
4a tappa Memorial Cecchi Gori
classifica finale Memorial Cecchi Gori
Liegi-Bastogne-Liegi - Coppa del Mondo
9a Tour de France
2001
3a tappa Giro della Malesia
11a tappa Giro della Malesia
Campionato di Zurigo (Coppa del Mondo)
Coppa Placci
4a tappa Giro della Provincia di Lucca
2002
terza tappa Giro della Riviera Ligure di Ponente
quarta tappa Giro della Riviera Ligure di Ponente
Classifica Finale Giro della Riviera Ligure di Ponente
seconda tappa Tirreno-Adriatico
Liegi-Bastogne-Liegi (Coppa del Mondo)
prima tappa del Giro di Vallonia
Classifica Finale Giro di Vallonia
Giro del Lazio
Coppa Sabatini
3a tappa Giro della Provincia di Lucca
Vittoria della Classifica Finale di Coppa del Mondo
2003
Tour Méditerranéen - Classifica Finale
Milano Sanremo (Coppa del Mondo)
Campionato Nazionale
Hew Cyclassics Hamburg (Coppa del Mondo)
Clasica San Sebastian (Coppa del Mondo)
Coppa del Mondo - Classifica Finale
Ranking UCI: 1°
2004
Tour Méditerranéen – tappa La Londe – Hyeres
Tirreno – Adriatico – tappa Isernia – Paglieta
Tirreno – Adriatico – tappa Monte San Pietrangeli – Torre San Patrizio
Tirreno – Adriatico –Classifica generale
Tour de Suisse – tappa di Bellinzona
G.P. Camaiore
Olympic Games –Gara su strada
Circuit Franco Belge – tappa
World Cup – Classifica Finale
2005
Giro d'Italia - tappa reggio Calabria-Tropea
Giro d'Italia - Classifica a Punti
Vuelta Espana - tappa Leon-Valladolid
Championnat de Zurich
Giro di Lombardia
2006
Trofeo Sóller
Gp di Lugano
Tirreno-Adriatico - 1a tappa: Tivoli – Tivoli
Tirreno-Adriatico - 2a tappa: Tivoli – Frascati
Giro d'Italia - 15a tappa: Mergozzo – Brescia
Giro d'Italia - Classifica a Punti
Campionato Nazionale su strada
2a tappa: Málaga – Córdoba
Campionato del Mondo su strada
Giro di Lombardia

Paolo Bettini


Segue...

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 16/10/2006 alle 23:38
sommo maestro,

è giusto contestualizzare i campioni nella propria epoca e in relazione agli avversari, ma io penso che hinault abbia fatto apparire più piccoli i suoi avversari nelle corse a tappe.
con lui nessuno ha potuto elevarsi oltre ad un mediocre livello.

il fignon del 84 era imbattibile,lemond ha battuto un hinault malconcio e alla fine.

forse il ranking di jan è giusto, ma io hinault lo metto almeno alla pari di bobet. e per me anquetil non è nettamente superiore a nessuno dei due, anche se la sua eleganza sul velò è senza pari.

comunque ,caro morris, per me con il tasso sei stato un po' severo.
non devi cadere nel gioco dei se con lui, come hai detto a tutti di non cadere nello stesso gioco con felice gimondi,la locomotiva di sedrina.

ciao sommo

mesty

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 17/10/2006 alle 01:40
Quoto l’intervento di Antonello, ma la risposta vale anche per Mestatore.

Originariamente inviato da antonello64

caro Morris, dopo tanti meritati complimenti, ci vuole anche una piccola critica.
Secondo me sei stato un pò ingeneroso con Hinault.
Il bretone ha vinto 10 Grandi Giri in 13 partecipazioni (più due secondi posti e un ritiro), e, fino all'operazione ai tendini del 1983, dava l'impressione di essere imbattibile nelle corse di 3 settimane.


Non ho fatto un confronto numerico e come ho scritto nel finale, per palmares, Hinault è il secondo della storia dopo Merckx. Ho fatto un discorso sugli avversari che Hinault ha incontrato, ovvero i più scarsi fra quelli incontrati dai grandi delle corse a tappe.

Poi ha perso nettamente da Fignon (opinione sia mia che tua che il Fignon del Tour 1984 è stato il più forte corridore visto in un grande Giro negli ultimi 30 anni), ma era appena tornato dall'operazione ai tendini e quindi non poteva essere al top, tanto che perdeva a cronometro da gente che nel corso della sua carriera lui ha regolarmente preso a schiaffi.
E ha perso contro Lemond, qualche mese prima del ritiro, dopo però averlo battuto l'anno precedente.


Intanto chiediamoci perché fu operato ai tendini e perché si ritirò nel 1980, quasi fuggendo di notte…. Non vado oltre, perché non voglio percorrere certi “puntini”… che anni fa mi lasciarono un po' così... Non è vero che nell’84 ha perso a cronometro da gente che prima prendeva a schiaffi. Delle tre crono di quel Tour, la prima, un prologo complicato lo vinse, e nelle altre due finì terzo, sempre con distacchi lautamente inferiori al minuto, dietro gente come Fignon e Kelly che erano più che bravi contro le lancette, quando stavano bene. In quanto al Tour perso contro Lemond, (il Tasso e l’americano erano gli unici corridori di vertice di quella edizione da considerarsi una delle più povere di sempre), avente come terzo incomodo il modesto Zimmerman, ho sentito corridori che l’han corso, dire che l’americano fu nettamente superiore, al punto di non infierire sul compagno.

Gli avversari: lo Zoetemelk del 1979, a mio parere, è stato lo Zoetemelk più forte di sempre; poi tra gli avversari battuti nelle corse a tappe, citerei anche Battaglin, Baronchelli e Roche.


Antonello, Zoetemelk aveva 33 anni nel ’79, non andava più forte di quando le buscava da Merckx a livelli di minuti a palate. Allora non c’erano ancora gli zambiottini chesembrano lavorare bene solo con gli attempati. Roche (uno dei corridori più fortunati che abbia mai visto e se penso che lui ha vinto un mondiale, mentre il connazionale Kelly no, mi vengono i dolori di pancia) avrà fatto quel popò di roba nell’87, ma non era certo un avversario temibile in salita, suvvia. A cronometro, tra l’altro, era troppo altalenante. Se poi sono da considerare avversari di rango due italiani come Battaglin e Baronchelli, uccisi in Italia dal mosersaronnismo (la malattia più cancerogena mai vissuta dall’ambiente ciclistico in un secolo) e con personalità deboli, allora tocchiamo il fondo. Anche perché, particolare decisivo, andavano al Tour, nel caso di Battaglin per cercare una tappa e senza squadra (nel ’79 lo finì praticamente da solo), mentre Baronchelli non ha mai corso una Grande Boucle col coltello fra i denti, anzi. Al Giro, Hinault, poteva passeggiare, perché con avversari come Moser e Saronni, significava mettere lui, peso massimo, al cospetto di due leggeri, mentre Panizza, che dieci anni prima, rischiava la disoccupazione, era un corridore di buon livello e nulla più, tra l’altro 35enne. Nell’unica occasione dove il bretone poteva perdere, perché in un’unica squadra, la Bianchi, si concentravano tre avversari di una certa consistenza, ovvero Contini, Baronchelli e Prim, a guastare tutto, ci pensò Ferretti, che è sempre stato un diesse da corse di un giorno. E poi, siamo sinceri, a parte Baronchelli, gli altri due non erano un granché.
Non capisco perché non si debbano considerare queste cose: quando parliamo di Hinault, prendiamo uno che nei numeri è il secondo, non un tipo di seconda fascia.
Ripeto, il bretone guadagna il podio della storia, per il summa fra classiche e corse a tappe, ma se prendiamo solo quest’ultima variabile, non può essere messo davanti ad Anquetil, perché gli avversari del normanno, erano ben altra cosa. Un Poulidor, ad esempio, Hinault non l’ha mai incontrato e sono arciconvinto che il miglior Poupou, fosse più forte di Zoetemelk. Ma Jacques, doveva fare i conti anche con due dei tre più grandi scalatori della storia, quali Gaul e Bahamontes. Tra l’altro, il lussemburghese, a cronometro era molto forte. Ti ricordo che Charly vinse tutte le crono del Tour ’58 ed a Chateaulin, su un percorso poco adatto a lui, riuscì a superare Anquetil contro ogni pronostico. A Digione poi, su una prova di 74 km, corse a quasi 45 di media: una performance eccezionale se consideriamo che allora esistevano solo le stenamine o la simpamina. Se poi ci mettiamo ad analizzare gli altri avversari del normanno, scopriamo che i rivali di Hinault, erano dei pinguini. Suvvia, non vedo come un simile aspetto non debba essere considerato…. E questo non significa disprezzare Hinault, ma solo fare delle disamine corrette, senza farsi suggestionare dai numeri. Se poi aggiungo quanto ho sentito con le mie orecchie da corridori del tempo….allora posso dire di essere stato anche parziale, ma non a danno del bretone.
E questo vale anche per Gimondi, l’inseguitore di Merckx, caro Mesty. Certo, una locomotiva, ma come tutte le locomotive aveva bisogno di un macchinista, nel caso del bergamasco, di un tipo chiamato Eddy. Senza quel tizio, perdeva quello che, se era veramente il numero due, non poteva perdere.... Di solito i muli sono forti più dei "non muli", ma la forza non è sufficiente per sciogliere la sostanza mulesca. Ripeto, se la forza mulesca, l'avesse avuta un Bitossi, Merckx si sarebbe trovato a perdere sovente, non a regalare mondiali per vendette contro un connazionale che si era comportato da stro.nzo.
Motta attaccava Eddy, poi perdeva, ma ci provava. Ocana, uno ben più forte nelle punte di un Gimondi, scattò in faccia al Cannibale e lo ridicolizzò come nessuno. Fuente, pur con tutti i suoi limiti tattici, diverse volte fece tremare e incaz.zare il belga.
De Vlaeminck, nelle corse di un giorno, giocava le sue carte di qualità fino in fondo, ed il suo connazionale, specie alla Roubaix, per quattro volte pianse.
Gimondi no, non ne era capace, inseguiva il suo faro di Bruxelles, cercando di prendersi per strada quello che la luce, da sola, lasciava per errore, o per mero regalo. Quando poi gli mancava il riferimento da inseguire, vinceva tremando come afflitto da delirium tremens, al cospetto di Michelotto. Oppure prendeva vagonate di minuti da Roger Pingeon, Gosta Pettersson, Fausto Bertoglio e tanti altri. Suvvia, guardiamo meglio ciò che han detto le corse, se non abbiamo la fortuna di sentire quelli che confermerebbero certe tesi cancellate dal tifo e dal nazionalismo.
Il mio se, Mesty, è diverso da quello dei tanti: su Gimondi vado contro corrente, porto delle analisi e quando, in separata sede, incontro i protagonisti dell'epoca, tutti, dico tutti, mi danno ragione.
Dire che Hinault non ha avuto nelle corse a tappe degli avversari credibili e che Gimondi deve ringraziare Merckx, nonché quei suoi gregari che oltre alle gambe, han messo sulla strada la testa dei capitani, è impopolare, ma è la verità. Altrimenti, quelli che sono stati coinvolti, non ti stringerebbero la mano e non t'abbraccerebbero.

Comunque tornerò su questi temi....

Cari saluti.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 17/10/2006 alle 08:57
Doverosissimi complimenti a Morris per la sua storia del Lombardia...

volevo però farti una domanda, Morris (e anche agli altri):
Non pensi che negli anni '90 il Giro di Lombardia abbia perso un pò di smalto nei confronti delle altre classiche monumento?
In primo luogo per il nuovo calendario che lo ha spostato a volte verso il 20 di ottobre, e fino a quando il mondiale era ai primi di settembre ciò significava perdere gran parte dei migliori.
Poi perchè il modo di correre ultraspecializzato ha spazzato via i corridori "da marzo a ottobre".
Infine per la scelta di percorsi anonimi, come i 4 anni con arrivo a Monza, o successivamente privi di tradizione, come gli arrivi a Bergamo. Da questo punto di vista, fortunatamente il ritorno a Como, con il Ghisallo a dare fuoco alle polveri e il San Fermo a chiudere è stata una scelta azzeccatissima.

 

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  postato il 17/10/2006 alle 09:15
Gli arrivi a Bergamo tecnicamente non erano male.
Nelle valli bergamasche le salite sono vere e l'ingresso in città con il tratto in pavè in salita era molto spettacolare.
E anche a Monza e Milano ci sono stati arrivi in solitaria o di due o tre corridori.
Il Lombardia è stato massacrato dalla TV.

 

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  postato il 17/10/2006 alle 09:29
Grazie Morris!!!
Sto leggendo "a tappe" il tuo scritto e lo trovo veramente ottimo.

 
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  postato il 17/10/2006 alle 09:34
Originariamente inviato da nino58

Gli arrivi a Bergamo tecnicamente non erano male.
Nelle valli bergamasche le salite sono vere e l'ingresso in città con il tratto in pavè in salita era molto spettacolare.
E anche a Monza e Milano ci sono stati arrivi in solitaria o di due o tre corridori.
Il Lombardia è stato massacrato dalla TV.


Ho qualche conoscente a BG () e mi diceva che gli arrivi erano poco affollati...

 

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  postato il 17/10/2006 alle 10:12
Como è certamente più raggiungibile da Milano e dalla Brianza con mezzi pubblici che non Bergamo, perchè andarci in auto, sia nell'una che nell'altra città, è un mezzo suicidio.

 

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  postato il 17/10/2006 alle 11:10
Secondo me però era penalizzante un Ghisallo lontanissimo dal traguardo... il San Gallo, o Bergamo Alta, per quanto selettivi, erano un'altra cosa.

Penalizzare il Ghisallo sarebbe come mettere il Grammont come primo muro del Fiandre o la Redoute a 100 km dall'arrivo della Liegi: anche trovando muri e cotes più dure, la tradizione e di conseguenza l'attrattività ci perderebbero.

Sul Lombardia rovinato dalla tv concordo, ma la tv ha rovinato tutto il ciclismo, non solo la classica delle foglie morte.

 

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  postato il 17/10/2006 alle 11:21
Sì, però se vengono date due ore a Fiandre, Roubaix e Liegi ed un'ora al Lombardia qualcosa non quadra.
E' possibile che la domenica su RAI3 si possano dare due ore di diretta e il sabato no ?
Allora corriamo Sanremo e Lombardia la domenica tanto non c'è più la scusa che la domenica c'è il calcio, perchè la domenica pomeriggio si giocano solo sette partite.

 

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  postato il 17/10/2006 alle 11:28
@ Morris

non avendo visto correre Jacques Anquetil, non posso dire se fosse o meno più forte di Hinault: il loro palmares (nelle corse a tappe) è più o meno simile (10-8 per il bretone), quindi ci sta che si possa preferire Jacques.
Il discorso sugli avversari: non so se Poulidor fosse più forte di Zoetemelk, ma l'olandese (almeno per il biennio 1978-79) è stato veramente tosto; Lemond sicuramente ha surclassato Hinault nel 1986, ma nei due anni precedenti gli è finito dietro; Roche, Battaglin, Baronchelli (questi ultimi due solo al Giro) non erano fuoriclasse, ma soprattutto Battaglin nelle giornate di vena era veramente forte.
Non sono in grado di dire se gli avversari di Anquetil fossero superiori o inferiori a quelli di Hinault, ma sono convinto che avrebbero fatto la loro bella figura anche in altre epoche: Baronchelli, non dimentichiamo, fece soffrire anche il grande Eddy.

Comunque non è stata la tua preferenza per Anquetil piuttosto che per Hinault a lasciarmi perplesso, quanto la tua affermazione che Hinault non entrerebbe nei Top 5 delle corse a tappe.
Davanti a lui ci sono Merckx, Coppi e Anquetil, ma poi?

Su una cosa invece mi trovi perfettamente d'accordo: Eddy Merckx è stato il più grande atleta di sempre, non solo nel ciclismo ma in tutta la storia dello sport.

 
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  postato il 17/10/2006 alle 13:38
Grazie Morris.

 

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"Non chiederci la parola che mondi possa aprirti, si` qualche storta sillaba e secca come un ramo...
codesto solo oggi possiamo dirti: cio` che non siamo, cio` che non vogliamo.", Eugenio Montale.

 
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  postato il 17/10/2006 alle 15:41
Letto tutto! Grazie Morris...

Magari potresti fare anche la storia di tutti gli anni della Roubaix... o magari c'è già?

 

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