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Autore: Oggetto: Fuori tema: Piccola storia delle religioni

Livello Greg Lemond
Utente del mese Gennaio 2009
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  postato il 14/10/2008 alle 08:22
(Quarta puntata)
MADRE TERESA E IL DENARO
In una celebre intervista MT dichiarò: «Non possiamo lavorare
per i ricchi né accettare alcuna ricompensa in denaro per le
azioni che facciamo. Il nostro deve essere un servizio gratuito
per i poveri».
Ma di fatto le Missionarie della Carità sono state per decenni
beneficiarie di una enorme beneficenza da parte di governi,
fondazioni, società e privati. L'ostentazione di povertà ha
nascosto perennemente questa situazione.
Ricordiamo alcuni esempi:
- Nel 1971 il Vaticano le conferì il premio Loto Prodigioso.
- Nel 1971 a Boston ricevette il premio in denaro Buon samaritano.
- Nel 1972 il governo Indiano le diede un cospicuo premio in denaro.
- Nel 1973 il principe Filippo donò alle Suore della Carità
34.000 sterline.
- Nel 1975 l'Onu coniò una speciale moneta in onore di MT e gli
introiti della vendita furono interamente devoluti.
- Nel 1979 il governo italiano le conferì il Premio Balzan (250
milioni di lire).
- Nel dicembre 1979 ricevette il premio nobel per la pace e il
relativo assegno.
Eccetera...
MT collaborò e ricevette soldi dal truffatore americano Robert
Maxell, ora defunto; 10.000 dollari le furono regalati dal
predicatore-impostore John Roger. Inoltre ricevette donazioni
per 1.250.000 dollari da Charles Keating, protagonista di una
gigantesca frode a danno dei risparmiatori americani.
Addirittura durante il processo a Keating, MT inviò una lettera
ai giudici chiedendo clemenza per il truffatore; il procuratore
Turley le rispose spiegandole che razza di farabutto fosse
Keating, e chiedendole di restituire il denaro da lei ricevuto,
in quanto frutto di ladrocinio. MT non rispose mai al procuratore.
Infine MT ricevette grandi somme di denaro da dittatori
sanguinari come J. Duvalier di Haiti.
Ma allora come si spiega il vergognoso livello di indigenza dei
suoi istituti?
Nessuno si è mai preso la briga di calcolare l'ammontare dei
premi in denaro e della beneficenza, né nessuno ha mai chiesto
che fine abbiano fatto i fondi. È certo che MT distribuì i soldi
col contagocce e preferì destinarli all'attività religiosa
piuttosto che al sollievo dalle privazioni.

 

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Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
...
e i barbieri il lunedì

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 15/10/2008 alle 08:48
(Quinta puntata)

MADRE TERESA E LA POLITICA
In svariate occasioni Madre Teresa si dichiarò assolutamente
apolitica... ma anche in questo caso predicava bene e razzolava
male. Vediamo perchè...
- MT fu amica e appoggiò J. C. Duvalier, feroce dittatore
haitiano che infine scappò all'estero con i soldi rubati al suo
popolo.
- Nel 1981 in una conferenza stampa disse: «È bellissimo che i
poveri accettino il loro destino, condividendo la passione di
Cristo. La sofferenza della gente è di grande aiuto per il mondo».
- Rese omaggio a Hoxha, dittatore albanese.
- In Spagna simpatizzò apertamente con i nostalgici di Franco,
contestando la moderna legislazione spagnola in materia sessuale.
- Nel 1988 si recò in G. Bretagna e diede il suo accorato
appoggio al deputato liberale Alton, che voleva limitare le
possibilità di aborto.
- Ebbe frequenti contatti col dittatore eritreo Menghistu, che
usava l'arma della fame contro il dissenso interno.
- Quando visitò il Nicaragua ammonì il governo sandinista e
diede il proprio appoggio al Cardinale di Managua, sponsor dei
contras e stipendiato dalla CIA.
- Visitò il Guatemala, straziato dagli squadroni della morte e
dichiarò: «Tutto era pacifico nel paese che visitai. Io non mi
faccio coinvolgere dalla politica».

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 16/10/2008 alle 09:36
(Sesta puntata)
MADRE TERESA E LA BEATIFICAZIONE DEL DOLORE

Chi era davvero Madre Teresa?
Negava medicine ai malati, ma per sé sceglieva cliniche
lussuose. Rifiutava doni, ma non l'amicizia di dittatori.
Chi era davvero Madre Teresa?

possiamo leggere anche da -La Repubblica delle donne del 10 dicembre 2002-
di Maria Grazia Meda.

È possibile, con un gesto iconoclasta, smontare il mito di Madre
Teresa?
Per quanto paradossale possa sembrare, è più facile farlo che dirlo.
L'ha scoperto un celebre - e serio - saggista inglese,
Christopher Hitchens, autore di La posizione della Missionaria:
Teoria e pratica di Madre Teresa, edito in Italia da Minimum
fax. Il libro, uscito nel 1995, provocò ampio dibattito nel
mondo anglosassone. Quello latino e cattolico, che ne scoprì la
traduzione nel '97, invece non gli dedicò alcuna attenzione.
O, in qualche raro caso, lo definì un libercolo pieno di odio e
nefandezze, chiudendo la faccenda con la sempre utile formula
del Vangelo: "Perdona loro perché non sanno quello che fanno".
Il tutto senza mai confrontarsi con i contenuti del saggio. Vale
la pena di domandarsi perché informazioni magari spiacevoli, ma
documentate e mai confutate, vengano sostanzialmente ignorate in
Italia. Ora, comunque, sarà più difficile, visto il bailamme che
si creerà attorno alla beatificazione, prevista entro dicembre.
Sarebbe un trattamento di favore, e un caso unico nella storia.
Infatti, per la prima volta verrebbe ignorato l'obbligo di
attendere cinque anni dalla morte dell'interessato prima di
avviare qualsiasi pratica. I devoti giubileranno. Altri
potrebbero tentare di andare oltre il mito, e porsi qualche
domanda. Quello che disturba, che lascia perplessi e che a suo
tempo spinse Hitchens a scrivere il libro, sono le azioni
terrene di Madre Teresa, il suo aver messo in piedi un sistema
altamente discutibile che nessuno ha mai osato, o voluto,
esaminare e ancor meno criticare. Hitchens racconta di essersi
interessato per la prima volta alla suora dopo essersi reso
conto della cieca devozione di cui era oggetto a livello
planetario. E cominciò a porsi qualche domanda. Per esempio:
come si può adorare una donna che, ricevendo il Nobel per la
pace, ha pronunciato un discorso nel quale la frase clou era:
"L'unica, vera minaccia alla pace nel mondo è l'aborto"? Che
intrattiene relazioni di amicizia, e sostegno politico, con
dittatori sanguinari quali gli haitiani Duvalier? Dov'è la
credibilità di una persona che proibisce l'uso delle medicine
più comuni nei "suoi" ospedali, ma si fa curare nelle migliori
cliniche private della California? Con quale diritto decide le
sorti dei "suoi" bambini, preferendo lasciarli parcheggiati nei
"suoi" miseri orfanotrofi piuttosto che affidarli a genitori
pieni d'amore, ma privi degli altissimi standard morali da lei
richiesti? Perché, di tutti i milioni di dollari affluiti nelle
casse dell'Ordine, neanche un centesimo si trova nel posto più
logico, ossia nelle banche di Calcutta? In effetti, a
quest'ultima domanda Hitchens aveva già trovato risposta. Per
intuire quale sia, basta riflettere sul fatto che il Governo
indiano è molto rigido in materia di contabilità delle
organizzazioni no profit: per legge, tutte le donazioni e i
conti devono essere resi pubblici. Per le altre domande, il
saggista andò in India a incontrare Madre Teresa. Non senza aver
letto, prima, un rapporto pubblicato nell'autorevolissima
rivista scientifica The Lancet: un lungo articolo, nel quale un
medico esponeva le condizioni sanitarie dei vari "ospedali"
creati dalla suora. Il resoconto era raccapricciante: i malati
sono ammucchiati per terra o su brandine sporche, lo stesso ago
è riutilizzato finché non si rompe (alla faccia delle più
elementari regole di igiene), non c'è personale specializzato,
non è prevista alcuna terapia del dolore né alcuna forma di
training medico per le sorelle che accudiscono i non morenti,
nessuno è in grado di fare una diagnosi e quindi di salvare una
persona.

Tutte informazioni che Hitchens verificò in prima persona. E
soprattutto un fatto lo sconvolse: Madre Teresa non ha mai avuto
la più lontana intenzione di curare gli altri, di alleviare
fisicamente le loro sofferenze. Anzi, uno dei cardini della sua
dottrina è basato proprio sul dolore fisico: Gesù ha sofferto
sulla croce, ergo i suoi figli devono fare altrettanto.
Indipendentemente dalla loro volontà. Nel suo libro, e nelle
decine di interviste rilasciate dopo la pubblicazione, Hitchens
riporta le testimonianze dei volontari e delle tante sorelle che
hanno abbandonato l'ordine. Storie sempre uguali: non
accettavano più di vedere soffrire fisicamente i malati, sapendo
che esistevano i mezzi per alleviarne il dolore. Non
sopportavano più di non potere comprare antibiotici specifici
per curare la tubercolosi di tanti bambini. Né che un paziente
facilmente curabile non fosse mandato in un altro ospedale
perché "altri avrebbero potuto chiedere la stessa cosa".
Erano disgustati dal dover battezzare di nascosto i morenti. O
dal veder rifiutata la costruzione di un ascensore, offerta dal
Comune, in un rifugio per i poveri nel Bronx, perché allo
spostamento dei disabili "avrebbe provveduto il cielo". Non
capivano perché, con tutto il denaro raccolto, non si potesse
costruire un ospedale efficiente. Né perché Madre Teresa si
buttasse, con una foga da crociato, nel referendum contro il
divorzio in Irlanda, ma rilasciasse interviste nelle quali
benediceva con giubilo la fine del matrimonio della sua amica
Lady Diana. Erano esterrefatti dall'esperienza di alcune sorelle
romane, le quali, trovandosi con troppi pomodori, avevano deciso
di farne conserva. Che fu buttata, in quanto segno di sfiducia
nella provvidenza divina. Se questi episodi fossero
decontestualizzati, fornirebbero materia eccellente per qualche
gag di humour nero. Ma Hitchens non è un umorista e noi,
leggendolo, non possiamo ignorare la domanda che sottende tutto
il libro: Madre Teresa era davvero una santa? O piuttosto era
una dogmatica integralista, che usò i poveri e i morenti per
lodare e promuovere una forma di religiosità spietata,
intollerante e probabilmente estranea alla maggior parte dei
credenti? Quegli stessi credenti - troppo occupati dai problemi
materiali, e dal bisogno di avere la coscienza tranquilla - che
parteciparono alla costruzione del mito senza porsi troppe
domande. Ora che Madre Teresa è in cielo (ma siamo sicuri che,
con il suo passato, non debba scontare almeno una piccola pena
in purgatorio?) pare che il nuovo vertice delle Missionarie di
Carità stia modificando le regole. Nell'attesa di una conferma,
ci sono tantissime Ong, laiche e trasparenti, alle quali
possiamo dare fondi. E continuare così a riscattare la nostra
coscienza di occidentali ricchi, egoisti ma, speriamo, un po’
meno ciechi.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 17/10/2008 alle 08:17
(Settima ed ultima puntata)

MARIA TERESA: VITA E CARRIERA DI UN’ICONA
1910: Agnes Gonxha Boilaxhiu nasce a Skopje, Macedonia, da
genitori albanesi. 1928: entra nell'ordine delle Sorelle
irlandesi di Loreto, a Dublino, e parte per l'India, dove farà
il noviziato.
1931: prende i voti a Darjeeling diventando Madre Teresa, in
onore di Santa Teresa del Bambino Gesù. Va a Calcutta per
insegnare geografia alla St. Mary High School.
1937: è nominata direttrice della scuola e responsabile delle
Figlie di Sant'Anna, l'ordine indiano collegato alle suore di
Loreto.
1948: fa richiesta a Roma per poter vivere fuori dal convento, e
lavorare nei quartieri più poveri di Calcutta. Apre un primo
centro a Motijheel, due stanze in affitto: in una insegna,
nell'altra accoglie malati e morenti.
1950: il Vaticano approva la nascita della Congregazione delle
Missionarie della Carità.
1953: creazione di Link of Sick and Suffering Co-Workers (una
rete di solidarietà di aiuto per i morenti) e inaugurazione
della prima Shishu Bhavan (Casa per i bambini abbandonati e
malnutriti).
1969: il documentario della Bbc Qualcosa di bello per Dio, nel
quale viene suggerito che Madre Teresa abbia compiuto un
miracolo, la lancia sulla scena mondiale.
1979: riceve il Nobel per la pace.
1997: il 5 settembre Madre Teresa muore, il 13 vengono celebrati
i funerali di Stato.
1998: l'ex arcivescovo di Calcutta Henry D'Souza avvia le
pratiche per beatificarla.
2002: l'arcivescovo di Bombay Ivan Dias annuncia la
beatificazione entro Natale. L'ordine delle Missionarie di
Carità conta più di quattromila suore e circa 40 mila operatori
laici. È presente in 127 Paesi con 670 lazzaretti, ospedali,
orfanotrofi. Tra i riconoscimenti ricevuti da Madre Teresa:
Premio per la pace Giovanni XXIII; Premio internazionale J.F.
Kennedy; Premio Jawaharlal Nehru per la comprensione
internazionale; Medaglia Fao; Premio Albert Schweitzer; Premio
internazionale Balzan; Bharat Ratna ("perla d'India"), il più
alto riconoscimento ufficiale indiano; Medaglia d'oro del
Congresso Usa, Legion d'Onore haitiana, cittadinanza indiana e
americana, più varie lauree honoris causa.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 18/10/2008 alle 13:54
L'esodo biblico

Chi abbia una certa passione per la storia, a proposito del presunto esodo degli ebrei dall’Egitto, può legittimamente chiedersi quanto tutto ciò sia letteralmente "vero", visto che si desume solo dalla parzialità del testo biblico, tramandato come "parola di Dio" e quindi "sacra scrittura". Non si esce cioè da questo cerchio che inibisce di approssimarsi con autonomia laicista a una qualche possibile "verità" storica, sulle tracce della antica storia d’Israele. Infatti, quanto si è autorizzati a identificare e confondere la lunga storia civile, economica e politica del popolo israelita con la storia della "invenzione" religiosa del Dio unico nominato Jahvè, e con la storia parziale ma totalitaria del suo culto, ricavata dall’unica fonte "divina" perché sacralizzata dalle gerarchie sacerdotali?
Basterebbe pensare all’incredibile problema storico discusso su un personaggio dominante come Mosè, la cui "fondazione" religiosa e legislativa nella storiografia novecentesca, non solo è invalidata ma da alcuni negata al punto da escludere finanche la sua presenza sul Sinai, in relazione agli eventi tramandati (M.Noth, pp.167ss.). Fu dunque "teocrazia" dalle origini quella di Israele, o la ierocrazia dominante ne costruì e ne impose d’autorità l’immagine in tradizione e in scrittura, per i secoli futuri usurpando, con le funzioni giuridico-amministrative, anche quelle che direi "pubblicistiche", della trasmissione ufficiale delle informazioni storiche, ricomposte non solo in mitografie "bibliche", in libri-memoria di lettura dogmatica, ma anche in perpetua e univoca scenografia sacra, soggetto e oggetto rituale di venerazione assoluta. Ma la risposta a questi e simili interrogativi è semplice, giacché la Bibbia non è un documento arcaico o antico dato come tale all’analisi critica, come qualunque testo antico: è un corpus testuale che fu nei secoli e resta ancora oggi il fondamento storico-religioso di Israele. Quindi ciò che vi si racconta, comunque sia stato raccolto e confezionato, vale ancora oggi come "verità" di fede, soggetta magari a interpretazione allegorica, nell’esercitazione bimillenaria in cui rifulsero Filone e Origene, ma pur sempre "verità divina", assoluta e immodificabile perché "rivelata".
E’ d’altra parte vero che in tutta l’antichità, dall’ispirazione naturalistica delle civiltà egiziana, sumerica e babilonese, di popoli devoti al dio-sole, pure nell’affidamento al "saggio" mediatore di una divinità "padrona del destino umano" (Moscati, Le antiche civiltà semitiche cit., pp.43ss), fino a ... , le religioni politeistiche permeavano ugualmente la vita privata e pubblica, ma nel paganesimo la dimensione religiosa era "aperta" a misura dell’uomo e della vita reale, Tutt'altra cosa è la mistica dell’assolutismo (mono)teistico, che, se non fu un’invenzione ebraica, ne fu l’ossessione permanente, e la Bibbia ne rappresentò la compiuta codificazione ecclesiastica, frutto di lunga selezione e raccolta e relativa unificazione.
Pure Hammurabi figura in cima alla stele di basalto nero dove è incisa la sua legge, a tu per tu – non prosternato - con Marduk suo Dio-Sole ispiratore seduto in trono come se fosse lui il vero Re, ma il testo che il suo vicario produce ("riceve") e trasmette rappresenta solo un "illuminato" codice di norme etico-giuridiche a servizio dell’uomo, giacché Hammurabi faceva soprattutto politica e amministrazione, con ogni mezzo, e il codice porta ancora il suo nome! Non è una "scrittura sacra" concepita per una celebrazione teistica delirante, una apoteosi del Dio-Signore assoluto, da cui tutto promana – come nella Bibbia ebraico-cristiana – anche la Legge.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 19/10/2008 alle 11:25
Giovanni XXIII (prima puntata)

Papa boys o papa bo.a?

Per i quattro ultimi sovrani del vaticano ho avuto sentimenti contrastanti, in ogni modo due mi erano simpatici per ragioni diverse: di Montini apprezzavo l’intelligenza, per Luciani faceva premio l’umanità. Del primo ero innamorato (era un’altra età).
Ma, il quarto …
La prima domanda che mi faccio è perché un così grande entusiasmo per tale persona?
In prima approssimazione mi rispondo così:

a) Protagonismo
b) Forza morale
c) Povertà
d) Santità
e) Europa
f) Letteratura
g) Pace
h) Socialità
i) la mia Africa
l) Bontà
m) Laicità
n) Perdono
o) amore per i Bambini
p) Carisma
q) Morte

Però non basta una breve sintesi, per illustrare 27 anni di regno e quindi mi, e vi, impongo una lunga analisi.

A) : “ Super Star”

Egli ritiene di aver realizzato il succo del suo programma espresso dalla frase, che pronunciò appena eletto: «Aprite le porte a Cristo: non abbiate paura». L'intenzione è certamente nobile, ma il metodo è ambiguo e infine controproducente. Cristo in realtà è rimasto escluso: al posto di Cristo è entrata dappertutto la grande star mediatica papale. E’ il Papa, con la sua ubiquitaria presenza itinerante, con il suo corpo visibile dietro i vetri della “papamobile” più che con la sua parola, il baricentro della Cristianità cattolica, la “Roma” dello spirito, il cuore della comunità ecclesiale. Grazie ai media e alla facilità dei viaggi, l’universalità ecclesiale ha assunto dimensioni e orizzonti fino a ieri impensabili.
Ritengo che Wojtyla fosse consapevole dell’innovazione, e la considerasse il più importante dei suoi lasciti. Ed è qui è la responsabilità più grave del pontificato wojtyliano.
Per conquistare i media il papa stesso si è trasformato in potere mediatico, un potere immenso capace di dominare la comunicazione, di raggiungere picchi di ascolto e trascinare le folle, usando senza riserve la potenza dei mezzi mondani in alternativa alla forza intrinseca dell'annuncio profetico e della fede. E la persona del papa, divenuta fenomeno mediatico, ha quasi annullato l'autonomia di ogni altra realtà ecclesiale dando al mondo l'immagine di una identificazione della Chiesa cattolica col sommo pontefice. La Chiesa tutta vive della sua luce, della sua popolarità e forza. La stessa esibizione della sofferenza del papa sta in questa linea di conquista del potere mediatico. L'esibizione della sofferenza del Dio fatto uomo è stata la chiave strategica con cui il cristianesimo si è imposto come religione universale vincente, offrendosi al tempo stesso all'Impero di Costantino come strumento di stabilità e unità. Di questo cristianesimo, di questa religione della croce vincente, simbolo del valore salvifico universale della sofferenza, l'esibizione on line della sofferenza di Wojtyla è profezia. Gesù è stato oscurato dalla star pontificia. E la chiesa, nell'immagine dei media, è stata ridotta a un gregge di fan (fanatici). Una coltre di ghiaccio paralizzante sembra aver coperto la vita ecclesiale. Ma il potere mediatico, nell’esibizione sia della forza che della sofferenza del leader massimo, non è profezia del cristianesimo, bensì annuncio di morte.
L’ex papa adorava il culto della persona. Ha fondato il suo personale successo lanciando la sua immagine con palcoscenici da concerto rock, con mosse popolari (come il baciare la terra appena sceso dall'aereo, usare la parola giovani spesso per non dire niente, sempre per cercare di richiamarli, ostentare la propria sofferenza etc.) e dando di sé l'immagine del buon uomo vicino alla gente. Nella realtà è facile capire quanto ogni sua mossa sia stata studiata a tavolino per ottenere scena, palco e consensi, un vero politico da campagna elettorale che fa propaganda al suo dio.
Tutti i dittatori, da Mussolini a Stalin a Hitler (solo per citarne i più grandi) hanno fondato la loro forza sul culto dell'immagine e come loro con le guardie scelte, la nostra « star » mediatica, si è
appoggiato soprattutto ai « nuovi movimenti » di origine italiana, all'Opus Dei di casa in Spagna e a un pubblico acritico e fedele del Pontefice. Tutto ciò è sintomatico del rapporto del papa con la laicità e della sua incapacità di dialogare con un pubblico critico.
I grandi raduni mondiali dei giovani sostenuti a livello regionale e internazionale, sotto la sorveglianza della gerarchia dei nuovi movimenti laici ( Focolare, Comunione e Liberazione, Sant'Egidio, Legionari di Cristo, Regnum Christi, etc.), hanno attirato e attirano centinaia di migliaia di giovani. Molti di loro volonterosi, troppi, del tutto acritici. Il carisma personale di Wojtyla è quasi più importante dei contenuti da lui trasmessi.
Questo papa istrione ben si concilia con la psicologia italiana di massa, che è a sfondo religioso. Per questo siamo poco democratici, ci piacciono i fascismi, le figure che li incarnano. La nostra matrice antropologica è profondamente religiosa, ma è una religiosità di tipo infantile, proiettiva, mitica. Ha bisogno del grande uomo, del personaggio per commuoversi. C’è qualche analogia tra l'affollarsi in migliaia ad un concerto all'aperto di Vasco Rossi, o ad una partita di calcio e andare in piazza San Pietro coi papa-boys. La metafora è l'adunata di massa, ben nota al comunismo e al fascismo. Alla massa si dà uno stimolo e subito reagisce. È qualcosa di molto primitivo.
Vuote le chiese, il papa ha saputo riempire le piazze. Questo, per molti, è un successo del suo pontificato. La religione dovrebbe invece identificarsi con l’interiorità, e questo papa non ha espresso interiorità, ma il suo contrario: una chiesa trionfante, populista, demagogica, televisiva.
E se le adunate a San Pietro sembrano spontanee, in realtà è perché la chiesa ha la possibilità di lavorare sull'inconscio. Freud racconta bene questa macchina: il sentimento oceanico, la fusione totale col Padre (un fenomeno irrazionale potentissimo).
Resterà sempre il sospetto che molte sue decisioni fossero prese proprio in funzione della tv e dei giornali. Non per caso fu il primo papa a nominare un vero addetto stampa, a scrivere libri e articoli, a organizzare viaggi in aereo insieme con i giornalisti, in conferenza stampa viaggiante. Amò le folle, come se fosse insicuro di sé e avesse un disperato bisogno d’un surrogato di consenso politico. E tra la folla morì.
L’Italia allora sembra un paese in sospeso: riprese a reti tv unificate, città chiuse al traffico, cinema chiusi, spazi pubblici requisiti. Una Repubblica a sovranità limitata! Non c’è altro modo di definire un Paese in cui per anni in tutti i telegiornali ogni domenica dieci minuti erano dedicati all’inquadratura del papa: come l'immagine del leader del momento, il quale, a sua volta, arriva alla TV quando ha raggiunto un patto solidale con il potere.
Giovanni Paolo II, il più grande attore politico di quest´ultimo quarto di secolo, ha saputo approfittare subito di questo potere, perché il teatro è stato, fin dai tempi dell’occupazione nazista della Polonia, la seconda passione del giovane Karol, che ha dato prova di talento sul palcoscenico. Prima di essere colpito dal morbo di Parkinson, aveva una bella voce, e la capacità di esporre il suo pensiero, come ha detto il grande attore britannico John Gielgud, «in maniera perfetta». Aveva la straordinaria capacità di parlare ad una folla di milioni dando l´impressione di rivolgersi direttamente a ciascuna di loro. Parlava per immagini, anche al di là delle parole (si pensi alla sua foto con un sombrero e un bimbo messicano in braccio). Il calore che emanava dalla sua persona bucava lo schermo della tv. Il militante sovietico per i diritti umani Andrej Sacharov ha detto di lui: «È un uomo che irradia luce». Bill Clinton, che pure possedeva notevoli doti d’attore, ricorda nelle sue memorie che il Papa gli aveva dato «una lezione di politica» con il suo superbo, teatrale ingresso in una cattedrale americana, dove le suore «squittivano come ragazzine ad un concerto rock». Per questo Giovanni Paolo II incarna lo spirito del tempo. Conservatore a livello ideologico ha impedito ogni spinta di rinnovamento interno alla chiesa, che gli chiedeva il rispetto del concilio vaticano II, ha riportato la chiesa ad una classicità, una solennità, una tradizione che fanno parte oggi del senso comune (che non è buon senso, ma il suo contrario). E lo ha fatto non con le armi tradizionali, ma con le armi della comunicazione. Tutto il suo pontificato è stato un viaggio, ricerca e creazione di eventi. Come il giubileo, che, rispetto al concilio, non ha portato un rinnovamento di idee o princìpi, ma una esibizione vistosa della liturgia. Anche in questo il papa è stato contemporaneo: con Wojtyla ritorna la liturgia.
Lo spirito del tempo è conservatore e visionario. Chiede emozioni e immagini, e la chiesa tradizionale è più fotogenica e solenne dei preti operai. Esiste una spiritualità che non si esprime per concetti, ma per sensazioni: il canto gregoriano, l'incenso, le folle, il latino incomprensibile, come il corano, recitato meccanicamente a memoria ma egualmente solenne.

 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 19/10/2008 alle 11:36
Riporto due citazioni, che mi sono piaciute (il libro per il momento, no) da C. Augius "Inchiesta sul cristianesimo"

pag. 4 S. Freud, da L'avvenire di un'illusione "Dove sono coinvolte questioni religiose, gli uomini si rendono colpevoli di ogni sorta di disonestà e illecito intellettuale"

pag. 5 J.J. Rousseau "Il cristiano non può essere un buon cittadino. Se lo è, lo è di fatto, ma non di principio, perché la patria del cristiano non è di questo mondo."

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 20/10/2008 alle 08:22
Giovanni Paolo II (seconda puntata)

Correzione al messaggio precedente ove il titolo era Giovanni XXIII

B): Restaurazione


Woytila è stato un papa re, nella realtà e nel mito. All'interno della Chiesa ha rafforzato una concezione dottrinaria e intransigente della fede. Mille anni prima avrebbe fatto anche le crociate, quelle vere. Il papa polacco ha fatto sua la massima di un celebre cardinale: “L’unico fanatismo ammesso è quello di Dio". Nonostante i pronunciamenti ufficiali, Woytila continuava a concepire la chiesa cattolica come “società perfetta”, seguendo la teologia preconciliare. Essa è l'unico porto di salvezza per l'umanità e custode esclusiva della verità di Cristo. Chi si è discostato dalle direttive del papa, ha meritato la condanna ufficiale della rimozione da ogni incarico di responsabilità nella chiesa. Si pensi ai vescovi avvicendati e ai teologi messi a tacere, che vivono e operano ai margini dell'istituzione: un'altra chiesa del silenzio.
Giovanni Paolo II ha continuato nella visione imperiale-universalistica del cattolicesimo romano, che non tollera le mediazioni dialogiche con altre concezioni del mondo, alle quali invece possono adeguarsi senza difficoltà le confessioni protestanti più “liberal”, che nulla hanno in comune con la volontà di governo giurisdizionale su cui regge la concezione cattolica. L’ortodossia, vissuta a lungo sotto il forte controllo dell’Imperatore d’Oriente, non ha papa (solo pope), non ha il senso di una missione universalistica (se non nel suo misticismo rituale): resta essenzialmente la Chiesa degli slavi, in ogni caso dei popoli del nuovo impero costituitosi, dopo il crollo di Bisanzio, a Mosca, la “terza Roma”.
Mantenuto saldo dalla Controriforma, il retaggio dell’imperialismo obbliga i papi a coltivare nel profondo e immutabilmente, strutture, valori, linguaggio e prospettive della chiesa loro affidata. Ciò, pensiamo, spiega che Wojtyla, nel momento in cui ha dato il massimo impulso alla predicazione universale piantando le sue tende ideali in mezzo mondo, ha bloccato le riforme modernizzanti (ah, l’odiato “modernismo” dei Buonaiuti!), respingendo ogni richiesta in tal senso. Ha affidato anzi al suo braccio destro, il cardinal Ratzinger, il compito di spezzare e liquidare con metodi inquisitori ogni esperienza innovatrice, sia nella direzione pastorale che in quella teologico-speculativa.
Wojtyla rappresenta quindi soltanto il tentativo di arginare un processo di modernizzazione che ha fatto irruzione nella chiesa all'altezza degli anni sessanta, e che stava interessando tutto il cristianesimo. In questo modo è venuta realizzandosi una resa dei conti che la chiesa sta affrontando rispetto a due gravi questioni, dalle quali è martirizzata da più di quattro secoli.
La prima è legata alla nascita e allo sviluppo delle altre chiese, come conseguenza della Riforma Protestante avvenuta nel XVI secolo, la quale ha fratturato l'unità dell'Episcope cattolico-romana, obbligandola a tollerare le nuove chiese, che ha interpretato come scismatiche ed eretiche.
La seconda deriva dalla modernità illuminista, con l'imporsi del primato della ragione, della tecnoscienza, delle libertà civili e della democrazia. Questa nuova cultura ha messo sotto scacco la rivelazione di cui la Chiesa si sente esclusiva custode e ha messo in discussione la forma
istituzionale con cui la Chiesa stessa si è andata organizzando: come una monarchia assolutista spirituale in contraddizione con la democrazia e il valore dei diritti umani.
In rapporto alle chiese evangeliche, la strategia del Vaticano puntava alla riconversione, al fine di restaurare l'antica unità ecclesiale sotto l'autorità del papa.
In rapporto alla società moderna, si critica e condanna il progetto emancipativo e secolarizzatore, mirando a ricreare l'unità culturale sotto l'egida dei valori morali cristiani. La Chiesa cattolica si è vista trasformare in un bastione di conservatorismo religioso e di autoritarismo politico.
Era stata opera di coraggiosa e ispirata lungimiranza di un papa, Giovanni XXIII, la convocazione di un concilio ecumenico che affrontasse entrambe quelle questioni non risolte.
E, in effetti, il concilio vaticano II (1962-65) assunse come motto di base:
”Non più anatema, ma comprensione, non più condanna, ma dialogo”.
Rispetto alle altre chiese fu inaugurato il dialogo interconfessionale, che presuppone l'accettazione dell'esistenza delle altre realtà.
Rispetto al mondo moderno s’impose una riconciliazione negli àmbiti del lavoro, della scienza, della tecnica, delle libertà e della tolleranza religiosa.
Con il nuovo papa si ha invece un ribaltamento completo e quindi il ritorno alla più rigida disciplina. Strinse accordi con la burocrazia vaticana, conservatrice per sua natura, che era del suo medesimo avviso. Si stabilì un granitico blocco storico costituito dal papa e dalla curia, che aveva il fine di imporre la restaurazione dell'antica identità ecclesiale e della vecchia disciplina.
Le caratteristiche personali di Giovanni Paolo II contribuirono a realizzare nella maniera migliore un simile progetto, grazie alla sua figura carismatica, alla sua innegabile capacità di irradiazione, alla sua abilità nel drammatizzare mediaticamente.
Egli si dotò degli strumenti adeguati. Riscrisse il diritto canonico in modo da reinquadrare la totalità della vita ecclesiale, giunse a pubblicare il catechismo universale della chiesa cattolica e con esso ufficializzò il pensiero unico all'interno della chiesa. Sottrasse potere decisionale al sinodo dei vescovi, sottomettendolo in toto al potere del papa, così come limitò il potere delle conferenze
vescovili continentali, di quelle nazionali, delle conferenze religiose a livello nazionale e internazionale, marginalizzò il potere di partecipazione decisionale dei delegati e negò piena cittadinanza ecclesiale alle donne, relegate in funzioni secondarie, sempre distanti dall'altare e dal
pulpito.
In accordo con il suo principale ministro, il cardinale Joseph Ratzinger, il papa professa una visione agostiniana della storia, per questo ciò che importa effettivamente è soltanto ciò che passa attraverso la mediazione della chiesa, portatrice di salvezza sovrannaturale. In accordo con questa
visione, ciò che passa per la mediazione degli uomini e della storia non raggiunge la divina profondità ed è insufficiente agli occhi di dio.
Come prelato polacco, Wojtyla proveniva da quello che era probabilmente l'avamposto nazionale più reazionario di tutta la chiesa cattolica, pieno di piagnucolosi adoratori di Maria e fervidi nazionalisti. L'aver avuto a che fare per anni con i comunisti polacchi, aveva trasformato Wojtyla e la sua compagnia di vescovi in consumati politici. In effetti, Wojtyla aveva dato alla chiesa polacca un'organizzazione spesso non differente da quella della burocrazia stalinista. Entrambe le istituzioni erano dogmatiche, ottuse, censorie e gerarchiche, impregnate di miti e culti della personalità. In realtà, gli uni e gli altri erano nemici mortali tra loro, ingabbiati nella loro battaglia per la conquista dell'anima polacca.
In una visita al vaticano, prima di essere papa, l'autoritario Wojtyla era inorridito alla vista dei litigiosi teologi. Non era così che si faceva a Varsavia. L'ala conservatrice della curia, che fin dalle origini detestava il Concilio II e aveva tentato di tutto per sabotarlo, guardò quindi ai polacchi come ancora di salvezza. Quando il trono di Pietro si liberò, i conservatori si turarono il naso e vinsero la loro avversione per un non-italiano, eleggendone uno per la prima volta dal 1522.
Una volta investito dei poteri papali, Giovanni Paolo II fece marcia indietro su tutte le liberalità concesse dal concilio vaticano II. I più importanti teologi liberali furono chiamati al suo cospetto per una strigliata. Uno dei suoi primi obiettivi fu quello di ripristinare in mano del papa il potere fin lì decentrato presso le chiese e le curie locali. I primi cristiani eleggevano (uomini e donne) i loro ministri. Il vaticano II non arrivò a sostenere la necessità di tornare a tale istituto, tuttavia aveva insistito sulla dottrina della collegialità, nella quale il papa non era il capo dei capi, ma il primus inter pares.
Giovanni Paolo, però, non riconosceva eguaglianza con nessuno. Dall'inizio della sua carriera ecclesiastica, era sempre stato noto per la sconfinata fiducia nei suoi mezzi spirituali e intellettuali.
Graham Greene una volta disse di aver sognato un titolo di giornale che diceva «Papa Giovanni Paolo beatifica Gesù Cristo». I vescovi erano convocati a Roma per ricevere ordini, non consigli fraterni. Destrorsi gallonati, filofranchisti erano onorati, e i teologi della liberazione sudamericani sgridati ad alta voce.
L'autorità del papa era così indiscutibile che il capo di un seminario spagnolo riuscì a convincere i suoi studenti di aver ricevuto dal papa stesso l'autorità per masturbarli.
Come risultato dell'accentramento di tutto il potere a Roma, vi fu una regressione di tutte le chiese locali. Il clero si trovò incapace di assumere decisioni autonome senza guardarsi alle spalle,
verso il sant'uffizio.
Questo è il pensiero di un papa presentato da tutti i media nazionali come "moderno" ed "innovatore", e tanto amato anche dalla sinistra nostrana, che si guarda bene dal metterne in discussione la morale anacronistica e teocratica.
Non si sono mai accorti che dopo la primavera del concilio vaticano II, è venuto l'inverno di Giovanni Paolo II: ha normalizzato la teologia ed imposto il pensiero unico.
Il pontefice e il suo Grande Inquisitore Ratzinger hanno creato un clima di sospetto per impedire qualsiasi riforma e ogni possibile dissenso in vaticano. Come faceva già a Cracovia, ha concesso piena fiducia all'Opus Dei, potente associazione conservatrice, in passato compromessa con il fascismo. Una devastante politica pastorale ha prodotto un episcopato servile e di basso livello morale: questa è l'ipoteca più pesante del suo lungo pontificato. Predica il dialogo ma ha isolato la chiesa, le sue idee di fede e di morale hanno cancellato il concilio vaticano II, la sua « politica estera » ha preteso da tutto il mondo conversione, riforma, dialogo. Però, in tutta contraddizione, la sua « politica interna » ha puntato alla restaurazione dello status quo ante concilium, ad impedire le riforme, al rifiuto del dialogo intra ecclesiastico e al dominio assoluto di Roma. Giovanni Paolo II predica i diritti degli uomini all'esterno, ma li ha negati all'interno, vale a dire ai vescovi, ai teologi e soprattutto alle donne.
La separazione dei poteri, principio fondamentale del diritto moderno, è sconosciuta alla Chiesa Cattolica romana, nel cui comportamento non vi è nessuna lealtà: nei casi di disputa l'autorità vaticana funge nel contempo da legislatore, accusa e giudice.
Il Papa ha elogiato spesso e volentieri gli ecumenici, ma al tempo stesso ha pesantemente compromesso i rapporti con le Chiese ortodosse e con quelle riformate ed evitato il riconoscimento dei suoi funzionari e dell'eucarestia. Il Papa avrebbe dovuto consentire, come suggerito in molti modi dalle commissioni di studio ecumeniche e come praticato direttamente da tanti parroci, le messe e l'eucarestia nelle chiese non cattoliche e l'ospitalità eucaristica. Avrebbe anche dovuto ridurre l'eccessivo potere esercitato dalla chiesa nei confronti delle chiese dell'Est e delle chiese riformate e avrebbe dovuto rinunciare all'insediamento dei vescovi romano cattolici nelle zone delle chiese russe ortodosse. Avrebbe potuto, ma non ha mai voluto. Ha voluto invece mantenere e ampliare il sistema di potere romano.
La politica di potere e di prestigio del Vaticano è stata mascherata da discorsi ecumenici pronunciati dalla finestra di piazza San Pietro, da gesti vuoti e da una giovialità del papa e dei suoi cardinali che cela in realtà il desiderio di « sottomissione » della chiesa dell'est sotto il primato romano e il “ritorno” dei protestanti alla casa paterna romano cattolica. La vera natura di Wojtyla si rivelava durante il giubileo quando il Papa affermava che il terzo millennio doveva essere dedicato alla conquista del continente asiatico. Ma il vangelo non mira al proselitismo, pone invece il cristiano sulla dimensione di chi deve convertire se stesso!
Karol Wojtyla ha preso parte al concilio vaticano II. Una volta diventato Papa, ha però
disprezzato la collegialità del pontefice con i vescovi, decretata proprio al concilio. Questo pontefice ha più volte dichiarato la sua fedeltà al concilio, per poi tradirlo nei fatti attraverso la sua « politica interna ». I termini conciliari come « aggiornamento, dialogo, collegialità e apertura ecumenica » sono stati sostituiti da parole quali « restaurazione, magistero, obbedienza, romanizzazione ».
Il criterio per la nomina dei vescovi non è affatto lo spirito del vangelo e l'apertura mentale pastorale, bensì la fedeltà assoluta verso la condotta romana. Meisner, Dyba, Haas, Groer e Krenn sono solo gli errori più clamorosi di questa politica pastorale devastante, la quale fa pericolosamente scivolare in basso il livello morale e intellettuale dell'episcopato, reso ancor più mediocre, rigido, conservatore e servile (forse l'ipoteca più pesante di questo lunghissimo pontificato).
La grande credibilità della chiesa cattolica ottenuta da Giovanni XXIII ha lasciato il posto ad una vera e propria crisi della speranza.
Questo è il risultato della profonda tragicità personale di questo papa: la sua idea di stampo polacco (medioevale, controriformista e antimoderna), l'ha voluta portare anche nel resto del mondo cattolico.
Il pontificato di Giovanni Paolo II era modellato sulla monarchia del XIX secolo. Il suo ritorno all'infallibilità era appropriato al concilio vaticano I, convocato da Pio IX nel 1869. Le preoccupazioni di Pio IX, oltre al suo antisemitismo viscerale, avevano più a che fare con il potere personale che con la verità teologica. Un secolo dopo, Giovanni Paolo II chiedeva la stessa obbedienza cieca alla sua interpretazione delle leggi di dio.
La questione di quando la vita abbia inizio, al centro del dibattito sulla contraccezione, sull'aborto e sulla ricerca sulle cellule staminali embrionali, ha interrogato la Chiesa per quasi tutta la sua esistenza. Ci sono stati importanti teologi da entrambe le parti. Tommaso d'Aquino prese la strana posizione che una vita esistesse già ancor prima che un ovulo sia fertile. Che l'anima umana risiedesse nello sperma dell'uomo. Che la masturbazione fosse un crimine al pari dell'omicidio. C'è da chiedersi se il cardinale Joseph Ratzinger, che presiede la congregazione per la dottrina della fede, l'Inquisizione moderna del vaticano, non abbia a prendere quasi le stesse posizioni assolutiste ed erronee.
Non essendo un teologo, papa Wojtyla disprezzava questi legittimi dubbi. Poco importava a lui che, un tempo, il clero potesse sposarsi o che le donne servissero come diaconi. Su questi temi, come sull'uso del preservativo per prevenire l'Aids in Africa, il primitivismo dottrinale del tipo Opus Dei ha fatto fuori lo spirito degli interrogativi teologici incoraggiati dai gesuiti e da altri ordini relgiosi.
Quello di Giovanni Paolo II, in realtà, è stato un pontificato devoto al suo stesso potere. Il papa ha promosso l'autorità temporale a spese della sua missione spirituale. Così, il rifiuto del vaticano di agire con decisione sulla crisi generata dai preti pedofili, ha messo la protezione delle gerarchie e del benessere materiale della chiesa sopra le necessità del gregge.
Il paradosso è che l'autoritarismo di Giovanni Paolo II ha dissanguato l'autorità della Chiesa. La maggior parte dei cattolici praticanti ignora le regole del vaticano e continua a ricevere i sacramenti guardando alla propria coscienza e non agli insegnamenti del papa su questioni di etica personale.
Giovanni Paolo II, in sintesi, è stato "un entusiastico condannatore" e, anche se sarà ricordato come uno dei "responsabili della caduta del Comunismo", "non era una grande figura religiosa". Anzi, "nei tempi a venire, potrebbe essergli attribuita la responsabilità di aver distrutto la sua chiesa".

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 21/10/2008 alle 08:22
Giovanni Paolo II (terza puntata)

C): La Teologia della liberazione

Questo Papa ha cercato il dialogo con le religioni del mondo (dicono), ma contemporaneamente ha disprezzato le religioni non cristiane definendole “forme deficitarie di fede”. In India incontra i capi delle chiese orientali affermando che non esiste una religione che possegga una verità superiore a quella delle altre. Ma, appena tornato in Vaticano, propone di fare santo Pio IX… l’autore del Sillabo, la bolla più assolutista mai scritta nella storia della Chiesa, in cui si afferma che solo la chiesa cattolica possiede la verità. Non solo, perché, quando la componente latinoamericana del suo gregge chiese di operare in modo da strappare i poveri alla miseria, convertendo questa realtà, dal male che è, in bene, Giovanni Paolo II si oppose a queste eretiche tendenze. Furono senza dubbio determinanti, in relazione a questa posizione, la sua origine polacca e le élite della curia romana, messe ai margini ma non estinte dal concilio vaticano II.
Il papa ebbe una fondamentale incomprensione della teologia della liberazione. Questa afferma che la liberazione è opera dei poveri tutti. La Chiesa è soltanto un'alleata che rafforza e legittima la lotta per la liberazione dei poveri.
Per il cardinal Ratzinger e per il papa defunto questa liberazione è unicamente umana e carente di rilevanza soprannaturale e il duo teorizzava la missione religiosa della Chiesa, non la sua missione sociale e si comportò di conseguenza.
Papa Wojtyla, in Brasile, allo stadio Maracanà, tenne un discorso sulla Teologia della Liberazione che, in pratica, sconfessava l’apertura di Paolo VI (fatta nello stesso luogo anni prima) e bloccò ogni tentativo di liberazione dei popoli oppressi (ed in particolare di quelli latino-americani). Sono anni in cui migliaia di contadini, sacerdoti e monaci sono uccisi dai governi fascisti latino-americani perché aiutano la povera gente. Sono anni in cui i contadini che vanno a prendere regolarmente possesso del pezzo di terra assegnatogli dal governo sono massacrati dagli jaunqueros… i pistoleros dei latifondisti. Spesso l’unico posto in cui i superstiti riescono a trovare rifugio, è una chiesa. Paolo VI disse: “Come non capire quelle povere creature che si vedono ammazzare le mogli ed i figli mentre stanno cercando di prendere possesso del loro pezzo di terra… e reagiscono levando le armi”? Papa Wojtyla, nello stesso identico luogo, disse che per nessun motivo al mondo un cristiano deve alzare un’arma, nemmeno verso il peggior nemico: i latifondisti, i fazenderos, anche se ricchi, erano anch’essi figli di Cristo.
Wojtyla interdice per un anno il capo della Teologia della Liberazione, il francescano Leonard Boff (che sarà costretto a ritirarsi per sempre dalla vita ecclesiastica). Sostituisce, in tutto il mondo, i vescovi progressisti vicini alla povera gente con quelli più conservatori e reazionari, lontani dai veri bisogni dei popoli che soffrono e che sono oppressi.
Il vescovo Romero del Salvador uscì dall’udienza papale (che aveva richiesto per spronare papa Wojtyla a fare qualche dichiarazione ufficiale contro il governo fascista del Salvador che aggiornava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che erano squarciati dalle esplosioni) e al giornalista che gli chiese com’era andata, il vescovo Romero rispose soltanto questo: “Non mi sono mai sentito tanto solo in vita mia”. Tornato in patria, di domenica, dopo l’omelia in cui denuncia per l’ennesima volta il governo che assassina i bambini, mentre dà la comunione sull’altare, viene assassinato con un colpo di pistola da un killer del governo. (Dopo averlo isolato, avrebbero detto in altri casi i politici nostrani antimafia).
Al funerale papa Wojtyla non andrà. Ci si recherà solo in seguito a rendere omaggio sulla tomba dell’amico Romero… ma non al vescovo che non si era conformato. Così continuo è anche lo scontro col basso clero, coi preti rivoluzionari, con quella parte dei gesuiti che, specie in centro America, si schierano apertamente con i ribelli armati in Nicaragua, Guatemala, Costarica. Egli li ferma con estrema durezza, la sua religiosità contadina prevale sulla modernità della nuova teologia, ma la disputa va bene al di là di una questione teologica, assume il rilievo della primazia del magistero papale su ogni altra ipotesi di assetto della struttura gerarchica nella chiesa e si dispiega sul simbolismo religioso, sul ruolo della madonna, dei santi, dei beati, sull'esistenza del diavolo come dato di fatto attuale, sul gelo che cala tra l'alto clero sudamericano e i movimenti di liberazione contadina di quei paesi.
A vent'anni dal golpe, così come farà poi con Castro, legittima il dittatore Augusto Pinochet dalle stanze del Vaticano. 18 febbraio 1993: la privatissima ricorrenza delle sue nozze d'oro è allietata da due lettere autografe in spagnolo che esprimono amicizia e stima e portano in calce le
firme di papa Wojtyla e del segretario di Stato Angelo Sodano. “Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla sua distinta sposa, Signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle loro nozze d'oro matrimoniali e come pegno di abbondanti grazie divine», scrive senza imbarazzo il Sommo Pontefice, “con gran piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione
apostolica speciale. Giovanni Paolo II.» Ancor più caloroso e prodigo d’apprezzamenti è il messaggio di Sodano (da sempre compagno di merende del papa e di Ratzinger), che era stato nunzio apostolico in Cile dal '77 all'88, e che nell'87 aveva perorato e organizzato la visita del papa a Santiago, trascurando le accese proteste dei circoli cattolici impegnati nella difesa dei diritti umani.
Il cardinale scrive di aver ricevuto dal pontefice “il compito di far pervenire a Sua Eccellenza e alla sua distinta sposa l'autografo pontificio qui accluso, come espressione di particolare benevolenza”.
Aggiunge: “Sua Santità conserva il commosso ricordo del suo incontro con i membri della sua famiglia in occasione della sua straordinaria visita pastorale in Cile». E conclude riaffermando al signor generale “l'espressione della mia più alta e distinta considerazione”.
Il vaticano non rese pubbliche queste missive così partecipi, né lo fece Pinochet, che pure probabilmente le aveva sollecitate. Si decise di mantenerle nell'ambito della sfera privata, per timore che l'eccesso di enfasi attizzasse nuove polemiche. Tre mesi dopo prevalse la vanità del
dittatore. I documenti furono portati alla luce dal quotidiano cileno "El Mercurio" e furono ripresi da "Témoignage Chrétien", la rivista francese dei cattolici progressisti, provocando “reazioni di rivolta, di tristezza e di vergogna”, nel ricordo delle barbare esecuzioni e delle feroci torture
perpetrate dal regime di Pinochet.
Molti lettori indirizzarono al Vaticano lettere d’indignazione. Un gruppo di preti-operai di Caen diede una risposta particolarmente risentita all'iniziativa del papa e di Sodano, opponendo al commosso ricordo di Wojtyla, altre emozioni: “La morte del presidente Allende e di molti
suoi collaboratori, la retata e il parcheggio dei sospetti nello stadio di Santiago, le dita amputate del cantante Victor Jara per impedirgli di intonare sulla sua chitarra gli accordi della libertà, le sparizioni, le carcerazioni, le torture”. La Fraternità e la comunità francescana di Béziers espressero la loro costernazione in modo lapidario: “Durante il potere di Pinochet Gesù Cristo era crocifisso!”
Possiamo aggiungere per completare il discorso il silenzio assordante su Banzer, Stroessner, Videla, o la beatificazione di personaggi come Escrivà, o il cardinale Stepinac, vicino al regime nazi-fascista degli Ustascia, mentre per Romero ... (vedi sopra).

Foto con Pinochet

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Qualche tempo dopo questi scatti, Giovanni Paolo II intervenne ufficiosamente presso il governo inglese per impedire l'estradizione del macellaio cileno in Spagna, perché fosse processato per l'assassinio di alcuni cittadini spagnoli, Le Madri della Piazza di maggio ricordarono a tutti quelle foto (davvero impressionante quella dal balcone della Moneda a cui si affacciò Allende prima di essere trucidato) e scrissero una durissima lettera di cui riporto alcuni brani:
«Ci rivolgiamo a Lei come ad un cittadino comune perché ci sembra aberrante che dalla sua poltrona di Papa nel Vaticano, senza conoscere né aver sofferto in carne propria il pungolo elettrico (picana), le mutilazioni, lo stupro, si animi in nome di Gesù Cristo a chiedere clemenza per l'assassino. (...) Signor Giovanni Paolo, nessuna madre de1 terzo mondo, che ha dato alla luce un figlio (che ha amato, coperto e curato con amore e che poi è stato mutilato e ucciso dalla dittatura di Pinochet, di Videla, di Banzer o di Stroessner) accetterà rassegnatamente la sua richiesta. Noi La incontrammo in tre occasioni, però Lei non ha impedito il massacro, non ha alzato la sua voce per le nostre migliaia di figli in quegli anni d’orrore. Adesso non ci rimangono dubbi da che parte Lei stia, però sappia che sebbene il suo potere sia immenso non arriva fino a Dio, fino a Gesù. Molti dei nostri figli s’ispirarono a Gesù Cristo, nel donarsi al popolo. Noi, la Associazione "Madres de Plaza de Mayo" supplichiamo, chiediamo a Dio in un’immensa preghiera che si estenderà per il mondo, che non perdoni Lei signor Giovanni Paolo II, che denigra la Chiesa del popolo che soffre, ed in nome dei milioni di esseri umani che muoiono e continuano a morire oggi nel mondo nelle mani dei responsabili di genocidio che Lei difende e sostiene, diciamo: No lo perdone, Señor, a Juan Pablo Segundo.
Asociación Madres de Plaza de Mayo»

 

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  postato il 22/10/2008 alle 07:08
Giovanni Paolo II (quarta puntata)

D): Santo! Subito!

"Santo subito!", gridavano i fedeli a piazza San Pietro, con gli enormi striscioni (tutti stranamente uguali) esposti lungo via della Conciliazione. Mai si è assistito ad un movimento di massa così imponente per la canonizzazione di un papa. Ma la cosa significativa è che la gerarchia
ecclesiastica stavolta non ha esercitato la sua naturale funzione di freno dell'onda emotiva, ma l'ha cavalcata, con inaspettati strappi al diritto canonico. Era pratica medievale la santificazione " vox populi ". Fino al concilio di Trento, i santi erano dichiarati tali per acclamazione popolare... esattamente ciò che sta accadendo oggi, anno domini 2005. Questa strana fretta fa pensare, sembra quasi che si voglia imporre un'ipoteca (non certo solo sulla canonizzazione, ma sull'ideologia e il programma di governo) al successore, nel caso non fosse eletto un altro boia.
Evidentemente Wojtyla “docet”. Egli era notoriamente contro il capitalismo (vedi) e massime contro il consumismo, però ha sempre “chiuso un occhio” sul consumismo religioso, fatto di nomine di santi e beati (superiori in 26 anni rispetto a quelle dei 4 secoli precedenti).
La simonia è un'operazione di marketing, ovviamente, e serve a vendere il prodotto. Il nostro ha ben imparato dall’ultimo conclave che, per farsi pubblicità, elesse un papa polacco alla vigilia del
crollo del comunismo (e quindi dell'aprirsi del mercato religioso est-europeo).
Per qualche cristiano convinto e sincero tutto ciò dovrebbe apparire triste e impuro, ma si sa, la TV riesce a patinare chiunque voglia ed ora poi siamo in piena orgia massmediatica, voci in disaccordo non sono previste (in barba al pluralismo dell'informazione), né si innalzano da alcuna parte, comprese quelle che predicherebbero cose ben lontane da quelle da sempre osannate dal papa ormai morto (quando qualcuno muore, poi tutti ne devono parlar bene...che uggia, la paura della morte è tale da levare agli individui il coraggio delle proprie opinioni).
Certo è stato santo per chi vive una religione "all'antica", che è stato educato ad una gran devozione per i santi e specialmente per la Madonna, per le reliquie e i luoghi di pellegrinaggio.
E' stato un santo viaggiatore, ma soprattutto un uomo di preghiera (lui pregava più bianco!).
Nella preghiera egli si trasfigurava e impallidiva, altre volte gemeva e arrivava alle lacrime. Una volta lo sorpresero nella sua cappella personale, disteso al suolo in forma di croce, come in estasi,
simile agli illuminati spagnoli del XVI secolo.
Quando infine gli enormi riflettori mediatici taceranno, quando la folla sarà libera di smetterla di commuoversi quasi per dovere, quando ci tornerà in mente di vivere in uno stato laico, nel quale forse, fatto salvo il doveroso rispetto per la parte cattolica della nostra società, si sarebbe dovuto lasciare qualche piccolo spazio in più a quei non credenti che pure avevano il diritto all'indifferenza, allora il bilancio di questo pontificato potrà essere tentato.
Il papa polacco, ripeto, ha praticato un numero elevatissimo di canonizzazioni, ma al tempo stesso ha operato l'inquisizione nei confronti di teologi, sacerdoti e membri di ordini malvisti dalla chiesa.
I devoti, strumentalizzati politicamente e commercialmente con spese ingenti e conseguenti profitti per la curia, sono soprattutto pie suore, fondatori di ordini religiosi o Papi come l'antidemocratico, antisemita, autoritario Papa Pio IX.
Devoti sono divenuti anche l'imperatore asburgico Carlo I e il ben poco pio fondatore dell'Opus Dei Josémaria Escrivá.
Uomini e donne (anche donne appartenenti a ordini religiosi) che si sono distinti, per il loro pensiero critico e per la loro energica volontà di riforme, sono stati invece trattati con metodi da Inquisizione. Pio XII fece perseguitare i più importanti teologi del suo tempo, allo stesso modo si comportano Giovanni Paolo II e il suo Grande Inquisitore Ratzinger con Schillebeeckx, Balasuriya, Boff, Bulányi, Curran, Fox, Drewermann e anche il Vescovo di Evreux Gaillot e l'Arcivescono di Seattle Huntington. Nella vita pubblica mancano oggi intellettuali e teologi cattolici della levatura della generazione del concilio. Questo è il risultato di un clima di sospetto, che circonda i pensatori critici di questo Pontificato. I vescovi si sentono governatori romani invece che servitori del popolo della Chiesa e troppi teologi scrivono in modo conformista oppure tacciono.
Il papa ha chiesto perdono solo per gli errori dei “figli e delle figlie della chiesa”, ma non per quelle del “santo padre » , per quelle della chiesa stessa e dei gerarchi presenti. Il papa non ha mai preso posizione contro gli intrighi delle varie sedi della curia in affari mafiosi e ha contribuito più all'occultamento che alla rivelazione di scandali e crimini ( Banca Vaticana, il « suicidio » di Roberto Calvi, l'omicidio avvenuto nell'ambiente del corpo delle guardie svizzere...). Anche con la rivelazione degli scandali della pedofilia nel clero, il vaticano è stato straordinariamente titubante: il papa non ha mai dato udienza ad alcuna vittima. Anzi, ha riempito d’elogi un insigne criminale nel corso di una fastosa cerimonia al vaticano: il messicano Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo ( 500 sacerdoti e 2.000 seminaristi) e del movimento laico Regnum Christi, diventato ormai concorrente ancora più conservatore dell'Opus Dei.
Papa Wojtyla c’introduce forse, insomma, ad una concezione della storia nella quale il primato passerà alle grandi figure carismatiche, al loro “messaggio” personalizzato, fideistico, populistico, etc.
Infatti, quello che alla folla (l'Homo wojtylianus, var. juvenilis (ovvero tifoso iuventino al tempo di Capello), che arranca con la bottiglietta d'acqua in una mano e la fotocamera digitale) è piaciuto, in realtà, è soprattutto l'idea del pellegrinaggio d'avventura al grande Divo dello Spirito che ha avuto successo, di cui tutti parlano, entrato nel Mito appena morto. La ricerca di un contatto feticistico col neo-taumaturgo, prima che sia calato per sempre nella tomba. Ecco la "devozione popolare" di centinaia di migliaia di turisti da catafalco, collezionisti d’immagini carpite e ricordi da video-telefonino, accalcati per poter dire un giorno di aver partecipato anche loro al "famoso evento mediatico". Come fanatici stiliti esposti al sole, alla pioggia e al vento, non sentono né caldo né freddo, né fame né sete. E' questo il primo miracolo?

(ecco il secondo)
"Ho visto il Papa era con la Madonna"
Antonio Socci
Infatti, il nostro ha sempre proclamato di essere un grande ammiratore di Maria e predicato gli ideali femminili, vietando però alle donne la pillola e negando loro l'ordinazione. Per molte donne cattoliche tradizionali ( soprattutto le donne appartenenti a ordini religiosi), l'aspetto più apprezzato di questo Papa è il suo respingere le donne moderne, giacché le ha escluse da tutte le consacrazioni più importanti e considera la contraccezione appartenente alla « cultura della morte ».


(seguono)
Francesco Marchisano, arciprete di San Pietro, ha raccontato
pubblicamente di quando il papa "gli toccò la gola e lo guarì".

Una signora dalla fede molto ardente.
“accende un cero per il papa e le va a fuoco la casa”, salvata dai pompieri avrebbe dichiarato "il papa mi ha salvata!"

Ratzinger, da 23 anni teutonico custode della Fede, Ha parlato nell'omelia funebre di un “Wojtyla "già in Paradiso".

(Ultimo miracolo)
La grande invenzione di Woytila ha portato alla Chiesa una crescita enorme d'immagine (televisione e giornali), potere politico e soldi. Tanti soldi. Dalle donazioni libere a quelle mediate dallo Stato (8 per mille). Dopotutto "pecunia non olet". Anzi, per paradosso, questo è l'unico movente razionale dell'intera faccenda. Prima la chiesa era povera, dopo Wojtyla è ricca. Gli immobili Inpdap (Ente pensionistico degli statali) sono stati tutti ceduti alla Fimit per la privatizzazione del patrimonio immobiliare. I prezzi pagati sono stati irrisori visto che gli immobili sono stati rivenduti dalla Fimit a tre volte il loro prezzo. Il fabbricato di Via Buozzi a Roma è stato comprato dalla soc. Berrywoods Ltd dell'isola di Man, paradiso fiscale. Chi c'è dietro? L'Opus Dei, che sponsorizza tra l'altro, anche l'elezione del Papa. La banca centrale del Vaticano: può emettere fino a 670 mila euro l'anno, con l'aggiunta di 201 mila euro in occasione di un concilio, di un santo o, "sede vacante".

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 23/10/2008 alle 07:18
Giovanni Paolo II (quinta puntata)

E) Olanda e Svizzera

Fiori e non opere …

Il nostro, si dice, ha viaggiato come mai nessun papa, portando la buona novella per tutto il mondo. Uno dei paesi che ha visitato è l’Olanda.
Il rapporto fra il defunto Giovanni Paolo II ed i Paesi Bassi è sempre stato molto difficile e pieno d’incomprensioni.
Il primo canale della televisione di stato olandese, Nederland 1, ha tracciato crudamente l'ingloriosa storia di questo rapporto.

Le relazioni fra il Vaticano e il clero olandese, quando Karol Wojtyla salì al trono nel 1978, erano già pessime. Il Cardinale Arcivescovo Alfrink si era fatto portatore, insieme alla maggioranza degli altri vescovi e preti olandesi, di grandi aperture su temi scottanti come omosessualità, aborto,
pratiche anticoncezionali, il sacerdozio delle donne, il celibato dei preti ed il divorzio. Già sotto Paolo VI, nel 1975, Alfrink fu "dimissionato". Ovviamente non bastò la testa del cardinale progressista per calmare gli animi. La società olandese stava cambiando rapidamente ed il clero
cattolico locale stava cercando di rimanere forza sociale viva aprendosi alle nuove idee di libertà e abbandonando i pregiudizi di sapore più medievale. Giovanni Paolo II smorzò presto gli animi e nel 1980 chiamò a Roma i vescovi olandesi per un sinodo, in cui gli ricordava, con grande
costernazione di quest'ultimi, che solo quella del vaticano e' l'unica ed incontestabile via giusta. Wojtyla impose al nuovo primate d'Olanda il cardinal Simonis, già vescovo di Rotterdam, noto per le sue posizioni fortemente reazionarie. Al suo fianco fu posto il cardinal Gijsen: i due avevano il compito di restaurare l'ortodossia romana ormai palesemente smarrita. Viste le premesse, il viaggio, che Giovanni Paolo II intraprese nel 1985 nella terra dei tulipani, non poteva che trasformarsi in un autentico disastro. A Den Bosch le strade rimasero deserte, a testimonianza di tutta l'ostilità che il papa polacco si era guadagnato nei suoi 7 anni di regno. Durante la visita ad Utrecht finì anche peggio: la contestazione degli attivisti di sinistra fu così dura che dovette intervenire la polizia. L'incontro con la base cattolica fu anch'esso infelice. Il pontefice fu sommerso di critiche, in particolare si ricorda il discorso di una donna cattolica che chiedeva piena accoglienza nella chiesa per conviventi, divorziati, omosessuali, preti sposati e donne. Negli anni seguenti le critiche dei
cattolici olandesi nei confronti di Roma non diminuiranno, nonostante i tentativi di normalizzazione wojtyliani. Molti credenti abbandoneranno del tutto il cattolicesimo, aprendo quella crisi in cui la chiesa cattolica olandese tuttora versa.
Scontri fra la monarchia assoluta vaticana e la democrazia olandese, si ripeterono negli anni, soprattutto all'indomani dell'approvazione di leggi che toccavano la morale e la sessualità: la legge sull'eutanasia, la legalizzazione della prostituzione e soprattutto il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Giovanni Paolo II condannò ferocemente come atto sovversivo la scelta del parlamento de L'Aia, di permettere a due uomini o a due donne di sposarsi e adottare bambini.
L'Olanda sembra ora quasi voler archiviare in fretta questo funesto pontificato. Comprensibilmente. L'agonia del papa e' stata quasi del tutto ignorata dai mezzi d'informazione olandesi, oscurata dalla crisi di governo apertasi, negli stessi giorni, con le dimissioni del viceprimoministro di D66, Thom De Graaf. Ironia della sorte, D66 è anche il partito che ha promosso la legge sul matrimonio fra persone dello stesso sesso. Quasi un ultimo casuale sgarbo. Nessun canale ha interrotto le trasmissioni per lanciare la notizia della morte del papa, e solo verso le 23 Nederland 1 ha dedicato uno speciale di una quarantina di minuti all'evento.
Wojtyla da queste parti sembrano più volerlo dimenticare che ricordare.

Riforme: tieh!

I cattolici svizzeri hanno spesso avuto un ideale di chiesa diverso da quello promosso da Giovanni Paolo II e ora sperano in un papa riformatore.
L’unico rappresentante svizzero nel conclave che eleggerà il futuro pontefice è il cardinale Henry Schwery, ex vescovo di Sion. "Al contrario delle guardie in Vaticano, i religiosi svizzeri faticano a piegarsi agli ordini provenienti da Roma.")
Papa Giovanni Paolo II ha più volte rimproverato la ritrosia dei cattolici svizzeri e frenato la loro smania di riforme.
I rapporti tra la Svizzera ed il Vaticano sono spesso stati difficili, anche a causa del sistema di democrazia diretta vigente nella Confederazione che mal si combina con la pronunciata gerarchia che caratterizza invece lo Stato del Pontefice.
Il Papa scomparso era stato criticato in modo veemente per aver concentrato il potere nella curia romana. Durante il suo pontificato, la chiesa cattolica in Svizzera ha dovuto affrontare le crescenti critiche della propria base. Credenti troppo critici sono stati isolati. Parroci scomodi sono invece stati trasferiti.
"Sarei felice se il nuovo Papa fosse meno dittatoriale e ridistribuisse quel potere che ora è in gran parte concentrato a Roma. Il mondo e la base della chiesa cattolica devono essere considerati maggiormente", dice Elia Marty, suora superiora presso la casa di riposo Viktoria di Berna, dove Giovanni Paolo II aveva soggiornato in occasione del suo ultimo viaggio in Svizzera.
Le finestre che sono state chiuse nel recente passato dovranno essere riaperte, continua la Marty. È urgentemente necessario che la chiesa si confronti con i tempi e gli sviluppi nella società attuale, conclude.
Pure i vescovi svizzeri chiedono più attenzione alle chiese locali e l’attribuzione di maggiori poteri alle conferenze episcopali nazionali. In passato, i principali attriti con il papa erano nati a proposito del concetto di laicità dei pastori. La diatriba concernente la nomina di Wolfgang Haas, quale vescovo della diocesi di Coira, aveva poi suscitato interesse anche all’estero.
Il cardinale elvetico dice di favorire un candidato che conosca il lavoro pastorale ma ammette che sarà per lui difficile trovarsi sulla stessa lunghezza d’onda dei membri della curia che hanno svolto la loro carriera nella burocrazia vaticana.
Come ha indicato un recente sondaggio, anche la popolazione svizzera spera in un Papa riformatore. Tre quarti dei cattolici elvetici sperano, infatti, che la loro nuova guida difenda posizioni più progressiste rispetto al predecessore.
Una grande maggioranza si esprime per l’abolizione del celibato dei parroci e per l’ammissione delle donne al ruolo di prete. Molti sperano in un Papa giovane, in ogni caso non oltre i 60 anni.


 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 23/10/2008 alle 08:37



From: Paolo Dune - Scrittore, satiro, aforista


Notizie surreali (vere para-notizie!): un processo a Dio.
In America è stato intentato un processo contro Dio.
Sembra l'idea di un mio romanzo, invece è accaduto realmente. Il senatore democratico del Nebraska, Ernie Chambers, il 14 settembre dello scorso anno, ha fatto causa a Dio, presso una corte del Nebraska, in quanto responsabile di aver diffuso paura e terrore nel mondo. Nel documento gli si attribuisce anche la responsabilità di "terremoti, uragani, guerre e nascite di bimbi con malformazioni". Ancora: Dio è accusato di aver "distribuito, in forma scritta, documenti che servono a trasmettere paura, ansia, terrore e incertezza, al fine di ottenere obbedienza" da parte degli uomini.
Chambers ha spiegato di aver avviato questo procedimento per sottolineare che "ognuno può essere citato in giudizio". Il suo obiettivo era di ottenere dai giudici una diffida, in cui si sarebbe dovuto sollecitare Dio a interrompere ogni genere di "minaccia" al mondo.
Ma la notizia di maggior rilievo è che il giudice, Marlon Polk, ha dichiarato l'improcedibilità dell'azione in quanto non sarebbe possibile notificare l'atto, poichè Dio non ha un indirizzo ufficiale. Praticamente il giudice non ha negato l'esistenza di Diio, ma ha solo detto che risulta irreperibile (interessante metafora teologica). Eppure da un punto di vista giuridico, la motivazione presenta un vizio intrinseco, per cui sarà possibile ricorrere in appello: se Dio esiste, infatti, ed è onnisciente e onnipresente, non c'è alcun bisogno di notificargli l'atto, in quanto lo conosce già. Tra l'altro, ad ascoltare il papa, sembra che Dio abbia eletto domicilio in Vaticano, per cui si potrebbe ricorrere alla procedura del codice civile: affiggere un avviso all'albo pretorio e mandare una raccomandata a Roma.
In ogni caso, sicuramente il processo si svolgerebbe in contumacia, perchè Dio non ha interesse a legittimare una giustizia "concorrente" con la sua (e soprattuo nulla da temere se il processo si svolge in Italia). Al limite, si avvarrebbe delle leggi ad personam del suo "unto", Berlusconi. Ma il vero problema sarebbe trovare una corte imparziale, cosa piuttosto difficile in quanto tutti hanno qualche congiunto in Purgatorio, e difficilmente si metterebbero contro Dio per timore di qualche ritorsione.
Ci sono precedenti di un simile processo?
In letteratura si segnala l'opera "Abaddon" di James Morrow, che narra proprio di un processo a Dio. L'opera è recensita sul mio sito.
Analoga è anche la mia opera "L'attenuante 666", in cui narro di un processo al diavolo, che tira in ballo Dio.
Sul piano giudiziario, in Italia c'è stata una inziativa interessante, in cui il cristologo Luigi Cascioli ha citato in giudizio la Chiesa cattolica per confutare l'autenticità del suo "Gesù storico".

Paolo Dune
www.paolodune.it

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 24/10/2008 alle 08:51
Giovanni Paolo II (sesta puntata)

F): Il libro dell’infamia

Memoria e identità è il titolo dell'ultimo libro uscito a firma di Karol Wojtyla. Fin dalle prime pagine l'autore ci proietta in una dimensione greve, in cui l'intera realtà è letta ed interpretata alla
luce di categorie mistiche come quelle di peccato originale, redenzione, bene/male, conversione: il classico bagaglio dell'ideologia medioevale cristiana, nell'ultima versione papista. Quanto di carismatico e di travolgente poteva esserci nella personalità del papa brilla per la sua assenza in ciò che egli ha reso pubblico del proprio pensiero: si tratta di speculazioni dottrinali scolasticamente retrograde, dichiaratamente opposte non solo all'illuminismo voltairiano, ma a tutta la modernità intellettuale partendo da Descartes. Un ritorno senza complessi, naturalmente, ma anche senza troppe luci al meno flessibile tomismo medievale, al punto che sorge il sospetto che se lo stesso San Tommaso d'Aquino, il quale fu considerato ai suoi tempi personaggio abbastanza «di rottura», tornasse oggi alla Sorbona sarebbe immediatamente bocciato perché troppo allineato alla «via modernorum».
La grande divisione tra bene e male, che viene affrontata sin dall'inizio del libro, serve all'autore per rappresentare una dinamica sociale manichea, in cui da una parte ci sarebbero i buoni, coloro che accettano e fanno proprio il vangelo di Gesù Cristo letto attraverso la dottrina del magistero cattolico, dall'altra tutti coloro che negano la "realtà" del messaggio cristiano.
In particolare il discorso del papa prende in considerazione il ruolo delle dittature nazista e comunista, alla cui base starebbe un atteggiamento ontologicamente incline al male, cioè il rifiuto della concezione cristiana della libertà.
Come già affermato da Wojtyla nell'enciclica "Veritatis splendor", infatti, la libertà non è pensabile se non in vista della verità, anzi la libertà è se stessa nella misura in cui realizza la verità sul bene. Per Wojtyla la verità è oggettiva e assoluta, perché rappresentata da una persona, Cristo stesso, che ha redento l'umanità con la sua morte e resurrezione, dando a tutti la possibilità di emanciparsi dal peccato commesso dai "progenitori" (Adamo ed Eva!). Il peccato
originale scaturito dalla ribellione primordiale dei progenitori coinvolge l'umanità tutta, perché avrebbe mutato, ereditariamente, l'essenza degli esseri umani. Di conseguenza nessun uomo può fare a meno della redenzione offerta dal sacrificio di Cristo. Per essere liberi, quindi, è necessario conoscere ed accettare la "verità" così come ci viene narrata nei testi sacri; come scrive l'evangelista Giovanni: "Se voi rimanete nella mia parola conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". «Non abbiate paura», ci suggerì questo papa. Eppure egli ebbe «profondamente paura della complicata verità» intrinseca agli aspetti della sessualità umana. Soprattutto, fu un papa che seppe «distogliere lo sguardo». I credenti forse si sono accorti di dove egli non ha saputo guardare.
I guai, secondo Wojtyla, sarebbero cominciati con il ribaltamento moderno e scellerato prodotto da Cartesio, il quale nel suo famoso "penso dunque sono" avrebbe proclamato la priorità del pensiero sull'essere, dando vita ad un percorso antropocentrico che, ulteriormente sviluppato dagli illuministi, ha portato l'umanità alla presunzione di poter agire "et si deus non daretur", come se dio non ci fosse, con le conseguenze aberranti delle ideologie pagane ed atee espresse dal nazismo e dal comunismo. Il fatto che, qualche anno prima della nascita di Cartesio, i sostenitori cattolici della dottrina dell'essere di Tommaso D’Aquino avessero attuato in Sud America il più grande genocidio che la storia ricordi, non sembra porre a Giovanni Paolo II dubbi di sorta.
Nonostante l'apparente sconfitta del bene rappresentata dalle dittature del Novecento, la provvidenza divina ha impedito che il male potesse trionfare a lungo e ha permesso (anche tramite il suo vicario Karol) che le dittature anti-cristiane cadessero, lasciando spazio alle moderne democrazie (le quali, in ogni caso, non sono immuni dal male, come dimostrano le pratiche abortiste e l'alta percentuale di divorzi).
Alcune considerazioni su quanto detto: è evidente come la chiesa, affermando l'unicità e l'assolutezza della propria visione morale, non abbia mai veramente rinunciato al primitivo progetto teocratico, fatto che si ricava dalla lettura di tutti i testi ufficiali della gerarchia cattolica.
In particolare il rifiuto dell'antropocentrismo moderno e contemporaneo, cui sono attribuiti tutti i mali dell'umanità, rivela in maniera palese come la chiesa ritenga di essere depositaria
non solo di valori morali assoluti ed universali, ma anche del diritto di poter governare il mondo alla luce di quei valori, sponsorizzando tutti i sistemi politici che se ne facessero portatori. Sembra proprio il ritorno al potere temporale. Egli parla ad esempio di "gravi forme di violazione della legge di Dio", tra cui mette le "forti pressioni del parlamento europeo sulle unioni omosessuali", riconosciute "come una forma alternativa di famiglia". "E' lecito e anzi doveroso, scrive il pontefice, porsi la domanda se qui non operi ancora una nuova ideologia del male, forse la più subdola e celata, che tenta di sfruttare, contro l'uomo e contro la famiglia, perfino i diritti dell'uomo".
Infatti se un'azione è etica solo se "cristiana" e cosa sia o no cristiano può essere stabilito esclusivamente dall'interpretazione magisteriale dei vangeli, (di cui vescovi, cardinali e papi sono gli unici interpreti "autorizzati") si delinea, di conseguenza, il progetto teocratico che è sempre stato proprio delle gerarchie vaticane. Oggi, come al tempo del fascismo e poi della democrazia cristiana, si usa il braccio secolare della politica "laica" di stato, asservita agli interessi clericali.
È impossibile rintracciare, nelle parole del papa, una seppur minima ricerca delle reali responsabilità dei cristiani in tutti i massacri perpetrati ai danni dell'umanità.
La mancanza assoluta di strumenti sociologici e psicologici per analizzare le dinamiche storiche e l'uso esclusivo di una prospettiva metafisica fanno sì che nel discorso del papa non esistano né individui, né società, né processi storici e che non ci sia, di conseguenza, spazio per le scienze sociali, né per le scienze naturali. C'è solo una teleologia medioevale, datata quanto presuntuosa, e una teologia della storia bella e pronta cui tutti gli uomini, al di là delle "irrisorie" differenze di razza, religione, sesso, ideologia, classe sociale, dovrebbero adeguarsi per poter entrare a far parte dell'esercito del bene. Esercito al quale i cattolici appartengono per diritto divino, nonostante i crimini di cui hanno potuto e potranno macchiarsi.
L'identità della persona nel progetto teocratico è data da un intreccio profondo tra la generazione umana, quella divina (cui l'uomo partecipa per adozione) e l'appartenenza territoriale alla propria patria. La patria ha un ruolo fondamentale nella costruzione dell'identità dell'individuo, in quanto "l'espressione patria si collega con il concetto e con la realtà di padre", cioè è portatrice di un legame tra aspetto spirituale e materiale, cultura e territorio.
L'importanza della patria nella genesi della coscienza valoriale e individuale delle persone ha la propria giustificazione morale (neanche a dirlo) negli insegnamenti di Cristo, che contengono in sé i più profondi elementi di una visione teologica sia della patria che della cultura.
Il vangelo, così, conferisce un nuovo valore al concetto di patria, che non è solo ciò che abbiamo ereditato dai nostri padri e dalle nostre madri sulla terra, ma l'eredità stessa che
dobbiamo a Cristo, il quale orienta ciò che fa parte del patrimonio delle patrie umane e delle umane culture verso la patria eterna.
In soldoni, i concetti di patria terrena e patria celeste s’intrecciano e chiariscono a vicenda, tanto che potremmo dire che senza il valore della patria terrena non saremmo in grado di comprendere quello della patria celeste, e viceversa.
Sebbene Wojtyla tenga a distinguere il patriottismo dal nazionalismo, che ne sarebbe una degenerazione totalitaria, egli afferma che la dipartita di Cristo ha aperto il concetto di patria sulla dimensione dell'escatologia e dell'eternità, ma non ha tolto nulla al suo contenuto temporale. Il papa afferma di sapere, sulla base della storia polacca, quanto il pensiero della patria eterna abbia favorito la prontezza a servire la patria terrena, disponendo i cittadini ad affrontare ogni genere di sacrifici in suo favore, sacrifici non di rado eroici.
Wojtyla ricorda come il valore morale del patriottismo sia contemplato dal quarto comandamento del decalogo di Mosè: "Patriottismo significa amore per tutto ciò che fa parte della patria, la sua storia, le sue tradizioni, la sua lingua, la sua stessa conformazione naturale… La nostra storia ci insegna che i Polacchi sono sempre stati capaci di grandi sacrifici per preservare questo bene, o per riconquistarlo. Lo testimoniano le numerose tombe dei soldati che hanno combattuto per la
Polonia su vari fronti del mondo, esse sono disseminate sia in patria che fuori dei suoi confini".
Benché il XX secolo testimoni un diffuso stimolo ad avanzare nella direzione di strutture sopranazionali o cosmopolite, in realtà "sembra tuttavia che come la famiglia, anche la nazione e la patria rimangano realtà non sostituibili", perché società naturali, senza le quali non è data alcuna possibilità di umana convivenza. Quindi dio, patria e famiglia rimangono la base ideologica sulla quale convergono chiaramente gli interessi della chiesa cattolica e della parte più reazionaria della società italiana.
Non solo, ma al di là di questo noto trittico valoriale, non è neanche data libertà possibile, perché non c'è verità al di fuori della società blindata concepita da Karol Wojtyla.
Già, povera Italiana, povera Polonia e povero mondo piagate e piegato dall’assolutismo e dall’ipocrisia cattolica che ha demonizzato l'individualismo solo per farvi fiorire l'egoismo di dio, patria e famiglia!


 

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  postato il 25/10/2008 alle 12:36
Giovanni Paolo II (settima puntata)

G) Antiamericanismo

Fu critico con gli Stati Uniti e i paesi liberali, nemico del mercato e della concorrenza, mettendo spesso sul banco degli accusati l'economia libera, le multinazionali, la moderna società dei consumi e la pubblicità. Non capì che era stato proprio il confronto con le libertà d'una società ricca, non l'idea pura della "libertà dello spirito", ad abbattere la dottrina più falsa e pericolosa della Storia. Secondo il tradizionale pauperismo della chiesa, giustificò tutte le debolezze e le povertà del sud del mondo, imputandole all'Occidente anziché alla corruzione e all'arretratezza culturale degli individui e delle classi dirigenti di quei paesi.
Condannò le guerre contro l'Iraq chiedendo di dialogare con un criminale, ma nulla disse del massacro dei curdi. Ma il pacifismo del 1991 è ancor più marcato e ricco d’implicazioni
del 2002, nei mesi precedenti e successivi alla guerra contro Saddam Hussein e alla sanguinosa e purulenta ferita dell'"Intifada" e reazione militare israeliana. Questa volta, infatti, Giovanni Paolo non si limita a predicare la pace, il disarmo degli animi e il negoziato al posto della
guerra, ma indica nominativamente l'America di Bush come l'elemento di turbolenza e nella teoria della guerra preventiva un fattore di destabilizzazione permanente al di fuori della cornice del diritto
internazionale e delle istituzioni preposte al suo corretto funzionamento.
E ancora: lo scambio d’idee, in Vaticano, con Hassan Al Tourabi, il maestro di Ben Laden,
l'eminenza grigia del fondamentalismo omicida e internazionalista. Secondo Patrick Sabatier un incontro logico: «Ultraconservatore, il Papa ha incarnato il ritorno ai tempi del bastone, all'opera in tutti gli integralismi più o meno violenti, induista, islamico e cristiano, accomunati dall’ostilità con ogni rilassamento della morale.
Logico quindi che dopo l'Undici settembre il papa sia diventato la bandiera di quanti vogliono, fortissimamente vogliono, ostacolare la riscossa dell'Occidente, quell'Occidente calvinista che per il solo fatto di esistere prima ancora che di vincere, umilia tanto la controriforma quanto il bolscevismo. Del resto basta leggere l'intervista concessa a Messori per capire che il capitalismo è tollerato mentre il socialismo ha un germe di Verità. Il capitalismo va bene solo se regolato dallo Stato e dai sindacati; l'individualismo è male.
D’altra parte lui questa volta è coerente con il viaggio a Cuba nel 1998 ove il profeta che aveva “torto il collo al totalitarismo comunista” andò a rendere visita all'ultimo suo bastione e la critica del papa all'embargo americano fu una boccata d'ossigeno per un regime agonizzante.
Castro ripagò con una più grande libertà di religione e con le condanne a morte degli oppositori.
Però le campane della chiese cubane hanno suonato ogni mezz'ora per Papa Giovanni Paolo II, mentre le autorità hanno consentito ai cattolici di piangere pubblicamente la morte del Pontefice.
I cubani hanno riempito le chiese per pregare per il solo Papa che abbia girato a piedi l'isola e Fidel Castro ha decretato tre giorni di lutto nazionale dal 3 al 5 aprile, ha sospeso le programmate feste della Gioventù comunista e le finali del campionato di baseball.
Funzionari hanno detto che i funerali del pontefice saranno seguiti dai media di stato, che normalmente non si occupano di questioni religiose.
"E' stato un respiro di libertà. Non c'era stato niente di simile prima", ha detto Carmen Vallejo, cattolica devota, che ha partecipato alla messa, anche se forse, ha aggiunto: "Le persone hanno paura di parlare".
Ma certo, i cubani hanno ragione! La chiesa romana non combatteva il comunismo, suo figlio un po’ degenere, perché brutale negazione della libertà, ma in quanto ateo. Una volta sconfitto, ha costretto i suoi resti a genuflettersi davanti al suo potere e si è coalizzata con loro contro il vero nemico: la libertà individuale, il capitalismo e la modernità. Nel 1993 dichiara: “La situazione di sfruttamento a cui un inumano capitalismo aveva sottoposto il proletariato fin dai primordi della società industriale rappresentava un'iniquità che anche la dottrina sociale della Chiesa apertamente condannava. Questa, in fondo era l'anima di verità del marxismo”. E aggiunge in altro tempo: “Il benessere conduce alla secolarizzazione e quindi la cosiddetta "corruzione" dei costumi”. Pertanto si condanni tutto ciò e questo spiega anche perché è molto amato da certi terzomondisti d'accatto un po' in tutta Italia ma anche fuori dai patrii confini). Galimberti ha detto che il papa deve essersi accorto che c'era più etica in quel comunismo che lui aveva tanto a lungo “combattuto”. Ma non per intrinseca superiore virtù del comunismo, bensì perché col comunismo c'erano pochi soldi, si era tutti mediamente poveri e c'era poco da lussureggiare.
foto con Fidel





 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 26/10/2008 alle 08:59
Giovanni Paolo II (ottava puntata)

H) Come sta il sociale? Sta bene, grazie.

La società moderna, con il suo portato di libertà, di scienza e di tecnica si è convertita in
paradigma per il mondo intero e lui, in apparenza, si presentava come paladino del dialogo, delle libertà, della tolleranza, della pace e dell'ecumenismo. Domandava perdono in varie occasioni per gli errori e le condanne ecclesiastiche del passato, e incontrava i leader spirituali delle altre confessioni per pregare, tutti uniti, per la pace mondiale.
Invece, dietro le quinte quale consumato regista teatrale, mutilò il diritto di espressione, proibì il dialogo e diede vita ad una teologia dai forti toni fondamentalisti. Il progetto politico-ecclesiastico, a cui il papa lavorò, non ha condotto ad alcuna risoluzione in merito alle questioni dei rapporti con la Riforma, la modernità e la povertà. Piuttosto, ha aggravato quei problemi, ritardando la resa dei conti.
I limiti dello stile che ha adottato nel governare la chiesa non hanno impedito che Giovanni Paolo II raggiungesse in grado eminente la santità personale (tanto ormai la santità non si nega a nessuno), perché per i media e per la chiesa solo due cose hanno importanza, esse sono: i conti nelle banche e l’apparenza.
E allora dai! Attacco ai diritti e all'autodeterminazione delle donne, guerra alle leggi sull'aborto, all'eutanasia, alla laicità delle istituzioni, ingerenze indebite nella vita politica del paese, attacco ai diritti dei/delle omosessuali, sostituiti da quelli sacri degli embrioni.
La campagna d’evangelizzazione del papa, il cui punto centrale è rappresentato da una morale sessuale ben poco adeguata ai tempi, ha discriminato soprattutto le donne: quelle che in questioni controverse, quali la contraccezione, l'aborto, il divorzio, l'inseminazione artificiale hanno dimostrato di avere opinioni diverse da quelle della Chiesa, sono state definite portatrici di una
“cultura della morte”. Attraverso interventi politici (com’è accaduto in Germania contro il Parlamento e l'episcopato nel caso del conflitto sul tema della gravidanza), la curia romana ha dato l'impressione di rispettare poco la separazione giuridica tra Stato e chiesa. Il vaticano cerca
(attraverso il gruppo parlamentare del P.P.E.) di esercitare pressioni anche sul Parlamento Europeo, incentivando l'ingaggio di osservatori particolarmente vicini alle idee di Roma, per questioni relative alla legislazione sull'aborto. Invece di farsi ovunque fautrice di soluzioni ragionevoli che consentano la mediazione, la curia romana con i suoi proclami acutizza, di fatto, a livello mondiale la polarizzazione tra oppositori e sostenitori dell'aborto, moralisti e libertini. Ma l'ultimo lascito di Giovanni Paolo II al cattolicesimo verrà dalle sue nomine episcopali. Per essere ordinato vescovo, un prete deve essere visto come un oppositore assoluto della masturbazione, del sesso prematrimoniale, del controllo delle nascite, dell'aborto, del divorzio, delle relazioni omosessuali, del matrimonio nel clero, delle donne prete. E' quasi impossibile trovare un intellettuale che garantisca completamente questo catalogo di certezze; il risultato è che i ranghi dell'episcopato sono pieni di gente senza cervello e d’incompetenti passacarte.
Inoltre le ricerche in molti paesi cattolici dicono che la campagna del papa contro il caos ha solamente aumentato il caos. In Europa, Nord America e Australia, la maggioranza delle popolazioni cattoliche si è ostinatamente rifiutata di cambiare idea su questioni come il controllo delle nascite, il sesso prematrimoniale, la fecondazione assistita e il matrimonio dei preti. In più l'attitudine dei cattolici durante il suo regno sembra essersi allontanata ancor di più dai precetti del papa. (Dopo il raduno giovanilista di Tor Vergata, gli addetti alle pulizie hanno spazzato migliaia di preservativi!). Anzi, con i cattolici praticanti che diminuiscono in tutto il mondo, la strategia del papa sembra essere stata controproducente.
Questo stesso dogmatismo, che gli ha impedito di rilanciare le vocazioni nella chiesa con il matrimonio dei preti o l'accesso delle donne al sacerdozio, lo rinchiude nell'immagine di un prelato la cui sola volontà era, come già detto, la restaurazione. In pieno ritorno delle religioni, in cui la Chiesa cattolica sembra la sola a non approfittarne, questo immobilismo resterà, forse, agli occhi della sua stessa parrocchia, che vuole e sa vedere, il suo peccato capitale.
Soprattutto dagli Stati Uniti arrivano le voci di dissenso dei movimenti femministi, Come Joana Manning, fondatrice di “Catholic Organisation for Renewal”: “In 27 anni ha restaurato la concezione di una donna sottomessa, la femminilità incarnata nella Madonna. Esaltava l’ideale femminile e poi ci negava la pillola e ci vietava di diventare preti”. E degli omosessuali, altro capitolo difficile del pontificato: “Non ci ha mai teso la mano che avremmo voluto stringere», accusa “Rainbow Sash Movement”, organizzazione di omosessuali cattolici.
La situazione per i veri credenti è disastrosa. Chi entra in una chiesa di domenica, vede solo banchi vuoti. (a parte Capraia Alta, che però non è negli U.S.A.), dice un fedele di cui non posso citare il nome, per suo basso desiderio.


 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 27/10/2008 alle 07:48
Giovanni Paolo II (ottava puntata)

I) Siddharta no, Sida (Aids) sì

Il più grosso crimine di questo papato è stata la grottesca ironia con la quale il vaticano ha condannato come "cultura della morte" i profilattici, che avrebbero potuto salvare non si sa quanti
cattolici (e no) del terzo mondo da una lenta e dolorosa morte per AIDS. Il papa va verso la sua gloria eterna portando in braccio tutti questi morti. È stato una delle più grandi disgrazie per il cristianesimo e per l’umanità!
Le scelte compiute, prima di tutto in Africa, lasciano in bocca il sapore amaro di un integralismo quasi medievale. Questo pontefice ha predicato contro la povertà di massa e l'indigenza nel mondo ma, al tempo stesso, con la sua posizione in merito al controllo delle nascite e all'esplosione demografica, si è reso colpevole di questa fame e di questa malattia.
In occasione dei suoi numerosi viaggi e anche di fronte alla Conferenza delle Nazioni Unite su Popolazione e Sviluppo tenutasi al Cairo nel 1994, questo Papa ha preso posizione contro l'uso della pillola e del profilattico e, pertanto, potrebbe essere ritenuto responsabile più di qualsiasi uomo di Stato della crescita demografica incontrollata in alcuni Paesi e del dilagare dell'Aids in Africa.
Mi rendo conto perfettamente che nessuno sarebbe in grado di dire quante decine di milioni di morti in meno ci sarebbero stati senza la guerra vaticana al preservativo, ma mi piacerebbe tanto che si potesse farlo. I bambini poveri in Africa continuano a morire a decine di milioni ogni anno perché non si usano profilattici che ridurrebbero l'AIDS e ridurrebbero le nascite (e, infatti, il messaggio infame che ha lasciato questo papa antimodernista e terzomondista è stato quello che per far star bene i bambini moribondi bastasse abbracciarli e baciarli, poi ripartire in aereo per Roma).
Ora che è morto, speriamo che diminuisca l’opposizione perniciosa del vaticano all'uso dei preservativi per combattere l'Aids, che ha causato tre milioni di morti, cancellato una generazione,
ucciso economie già moribonde, l'onda lunga di quel vuoto angoscerà il continente africano per un secolo. L'ostinato rifiuto di Giovanni Paolo II ad accettare “il peccato” salvatore della contraccezione, sì chiede il britannico «Guardian», non ha contribuito a condannare quei malati, quei bambini? Non sì uccide anche con il rigore dottrinario praticato fino all'estremo, fino a non accorgersi della realtà? Gli fa eco il francese «Libération»: “L'epidemia è iniziata quasi in concomitanza con il suo pontificato, ed è stata la più grande catastrofe sanitaria della storia umana. Per un quarto di secolo la linea del papa polacco verso questo virus non ha avuto cedimenti, ha continuato a ribadire che la castità era l'unico modo sicuro e virtuoso per fermare il contagio. Le conseguenze sono state drammatiche”.
Sono le stesse domande aspre che si pongono molte organizzazioni che si battono contro l'epidemia. “La chiesa rimpiangerà un giorno le posizioni dogmatiche di Giovanni Paolo II in tema di preservativi, accusa Act Up, (una delle sigle francesi più famose e attive), perché in questo modo si è resa corresponsabile della morte di milioni d’uomini donne e bambini».
L’Africa, continente dei massacri tribali, ha molto amato il Papa. Ma sul tema della sessualità ammette di non averlo compreso. “Bisogna riconoscerlo. Purtroppo è stato un ostacolo oggettivo per noi che cerchiamo di rallentare l’Aids”. Nathan Geffon è portavoce di «Treatment Action Campaign», nel Sud Africa dove l'epidemia uccide anche le speranze nate dalla fine dell'apartheid: “Speriamo che il nuovo Papa sia meno conservatore». Pierre Somse di «Onusi» dal Congo dove solo il silenzio dei massacri nasconde le cifre della malattia sceglie un’amara ironia: “Qui le parole del Papa sono inutili: nessuno ha la possibilità di comprarli, i preservativi”. E per fortuna le chiese locali, africanizzate, gli hanno disobbedito”. Il papa condannava l’emarginazione dei malati, invitava alla pietà anche eroica del curare, ma poi rifiutava di disfare l’antica intelaiatura delle concezioni cattoliche.
“Nessuno gli ha chiesto certo di promuovere il preservativo, si chiedeva solo che non lo condannasse. La sua ostinazione si è rivelata catastrofica”, afferma Christian Saoult della “Associazione francese per la lotta contro l’AIDS”.

 

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  postato il 27/10/2008 alle 13:53
Leggo a pag. 192 del libro di Augias-Cacitti "Inchiesta sul cristianesimo"

- Fra gli effetti personali sequestrai dall'FBI nella residenza di M. Atta, uno dei responsabili dell'attentato alle torri gemelle di New York, c'è una lettera che sorprende per la consonanza con la spiritualità martiriale dei primi cristiani. Vi si legge:

"Purifica il tuo cuore e liberalo da ogni cosa terrena. Il tempo dello spreco è finito. Il tempo del giudizio è arrivato. Dobbiamo quindi usare queste poche ore per chiedere perdono a Dio... Dopo comincerai a vivere una vita felice, il paradiso infinito. Ricorda sempre che... desidereresti la morte prima d'incontrarla, se solo riconoscessi la ricompensa che esiste dopo la morte... Ricorda che se Dio ti sostiene, nessuno potrà sconfiggerti... Continua a pregare ... Non c'è altro Dio che Dio e io sono un peccatore siamo di Dio e a Dio torniamo".

Il desiderio della morte per ottenere la ricompensa divina, tema già presente in Paolo di Tarso, costituisce la cifra costante di tutto il martirologio cristiano antico e, come si vede, anche di quello islamico.-

Commento mio: non è vero che le religioni sono tutte eguali, bensì ciascuna è peggiore dell'altra

 

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  postato il 28/10/2008 alle 07:31
Un decalogo laico
di Piergiorgio Odifreddi
su la Rinascita della Sinistra del 19/10/2008
Per una delle ironie della storia, il motto risorgimentale «Libera
Chiesa in Libero Stato» viene considerato nell'Italia repubblicana
un'espressione di anticlericalismo, invece che un'asserzione di
laicismo. Naturalmente, quasi tutti i nostri politici concordano sul
fatto che la Chiesa e il Vaticano debbano avere la massima libertà di
parola e di azione, e che lo Stato non debba interferire né con
l'una, né con l'altra. Ma quasi nessuno pensa, o almeno dice, che le
stesse libertà le debba avere anche lo Stato, senza esser costretto a
subire la pressione ufficiale e ufficiosa delle gerarchie
ecclesiastiche, a legiferare in ossequio alle loro credenze, e a
pagare di tasca propria per la propaganda e gli affari altrui.

Per affrontare concretamente la pratica di un comportamento laico
nella quotidianità individuale e sociale, proviamo dunque a formulare
un Decalogo Laico che isoli una serie limitata di «comandamenti» sui
quali ci si potrà confrontare ed, eventualmente, chiamare a
raccolta. «Comandamenti» che, a seconda dei casi, sono rivolti al
laico come stimoli propositivi, o al clericale come moniti dissuasivi.

1. Non avrai altro Stato all'infuori di me

Il rapporto fra Stato e Chiesa deve tener conto del fatto che
quest'ultima è indissolubilmente legata in matrimonio col Vaticano, e
che il Papa è anche il capo di uno stato estero indipendente. Questo
conflitto di interessi genera un'indebita confusione tra la religione
e politica, che un laico (anche, e soprattutto, se credente) dovrebbe
sapere e volere dirimere: in particolare, favorendo l'abrogazione
dell'articolo 7 della Costituzione e del relativo Concordato, che
limitano l'indipendenza e la sovranità dello Stato italiano in
maniera ormai anacronistica, perpetuando il «giogo pretesco» (come lo
chiamò Benedetto Croce) che Mussolini le impose l'11 febbraio 1929, e
Togliatti le reimpose il 25 marzo 1947.

2. Non nominare il nome di Dio invano

Il precedente conflitto di interessi tende a far sì che, andando ben
oltre i diritti sanciti dal Concordato, la Chiesa pretenda di dettare
politiche allo Stato sulle questioni più disparate, ritenendosi
l'unica interprete di valori etici universali. Anzitutto, un laico
non può accettare un preteso monopolio della religione sull'etica: al
contrario, rivendica da un lato l'assolutezza di alcuni principi
etici basati sulla natura e sulla ragione umane, e dall'altro la
relatività di altri princìpi etici basati sulle convenzioni e sulle
consuetudini sociali. Inoltre, un laico non può neppure accettare un
preteso monopolio religioso della Chiesa Cattolica sull'etica, a
scapito delle altre confessioni cristiane (protestanti o ortodosse) e
delle altre religioni (monoteiste e non).

3. Ricordati di rispettare il tuo ruolo istituzionale

Un politico che ricopra incarichi istituzionali rappresenta l'intero
elettorato, nazionale o locale, e non deve dunque compiere atti
pubblici che ledano la sensibilità di una parte di quell'elettorato e
la dignità del suo ruolo. Ad esempio, un ministro o un assessore
laici non devono prendere parte a funzioni religiose, seguendo
l'esempio del cattolico De Gaulle, che rifiutava di fare la comunione
in pubblico per questo motivo. In particolare, sono lesive del
principio della laicità le partecipazioni alle funzioni religiose dei
rappresentanti della nazione e degli enti locali, soprattutto se
effettuate come prassi regolare.

4. Onora il credente e il non credente

Un laico rispetta le credenze altrui, e questo rispetto si manifesta
in maniere complementari. Un laico non credente, infatti, rispetta
qualunque fede e religione (non solo una), e non rifiuta un'istanza
etica soltanto perché dedotta da princìpi religiosi: semplicemente,
non ritiene quei princìpi probatori e rivendica il diritto di
valutarne le conseguenze indipendentemente dalle premesse. Un laico
credente, simmetricamente, rispetta la mancanza di fede degli
agnostici e degli atei, e non pretende di affermare che solo chi
crede ha un senso etico, e che «senza Dio tutto sarebbe permesso»:
non fosse altro, perché la storia ha sistematicamente smentito
entrambe le affermazioni.

5. Non uccidere la razionalità scientifica

La scienza ricerca la verità mediante dimostrazioni ed esperimenti, e
non si sottomette a giudizi e tribunali che non accettino questo
metodo. Questa sua caratteristica la rende più compatibile con certe
religioni, ad esempio il buddismo, e meno con altre: soprattutto con
il cattolicesimo, la cui ricerca della verità si affida invece alla
rivelazione biblica e ai pronunciamenti dogmatici dei Concili e del
Papa. Il motto «la scienza è laica» significa semplicemente che si
può essere scienziati, credenti o no, solo se si accettano le regole
del gioco scientifico, che richiedono di tenere la religione fuori
dalla porta dei laboratori: altrimenti si abiura e, come dice il
Galileo di Brecht, «si tradisce la propria professione».

6. Non commettere adulterio filosofico

Più delicato è il rapporto tra filosofia e religione. E' innegabile
che ci siano stati e ci siano filosofi cattolici, ma rimane il fatto
che «nessun servo può servire due padroni: o odierà l'uno e amerà
l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro» (Luca,
XVI, 13). Un filosofo laico, dunque, dovrebbe scegliere con chiarezza
se servire la filosofia o la teologia, e soprattutto evitare di fare
i salti mortali per «servire Dio e mammona», come oggi va di moda fra
gli «atei devoti».

7. Non rubare

Tra spiritualità e materialità della Chiesa esiste un innegabile
conflitto di interessi, che si manifesta in maniera dirompente negli
immensi benefici economici, concordatari e non, che essa riceve dallo
Stato e dagli enti locali italiani. La legge di attuazione dell'otto
per mille, ad esempio, assegna alla Chiesa non solo le quote ad essa
esplicitamente destinate da circa il trenta per cento dei
contribuenti, ma anche la quasi totalità delle quote non destinate:
una furberia tremontiana che si configura come un vero e proprio
furto, che un laico (anche, e soprattutto, se credente) dovrebbe
denunciare come truffaldino, alla stregua di molti
altri «finanziamenti illeciti» che assommano a miliardi di euro
all'anno.

8. Non dire falsa testimonianza

Parte delle tensioni laiche nel rapporto con la Chiesa sono dovute
all'esagerata cassa di risonanza che i media offrono alle sue
istanze, unita a una loro diffusa mancanza di obiettività.
L'Osservatorio Radicale ha fatto notare, ad esempio, che nei suoi
primi tre anni di pontificato il Papa ha ricevuto dal Tg1 e dal Tg2
più copertura sia del Presidente del Consiglio che del Presidente
della Repubblica, come ci aspetterebbe da una Televisione Vaticana:
un laico dovrebbe invece chiedere e pretendere un opposto
comportamento dalle televisioni e dai giornali nazionali.

9. Non desiderare la scuola d'altri

La Chiesa continua ancor oggi a pretendere che si attui la richiesta
del restauratore De Maistre: «dateceli dai cinque ai dieci anni, e
saranno nostri per tutta la vita». Un laico progressista, credente o
no, dovrebbe invece invocare la libertà di insegnamento religioso
negli oratori e nelle scuole private, ma la neutralità
dell'insegnamento nella scuola pubblica: che si abolisca dunque
l'anacronistica ora di religione, o che almeno la si muti in un'ora
di religioni (al plurale), insegnata da docenti statali che non siano
sottoposti a un benestare della Curia che umilia uno Stato sovrano,
tanto quanto il benestare del governo alle nomine dei vescovi
umiliava una Chiesa coatta.

10. Non desiderare l'università d'altri

Ricordando la polemica sull'opportunità di invitare il Papa a parlare
alla Sapienza, un laico non avrebbe certamente nulla da obiettare a
che egli aprisse da solo l'anno accademico di un'università cattolica
(forse sì, invece, al fatto che essa fosse finanziata coi soldi dello
Stato). E sarebbe comunque felice di sentirlo dibattere con altri sul
rapporto tra fede e ragione, o tra religione e scienza, anche in
un'università pubblica. Facciamoli allora questi dibattiti, a tutti i
livelli e in tutte le sedi, comprese quelle vaticane e non solo in
quelle statali, per affermare i princìpi dell'ascolto reciproco e
della mancanza di preclusioni da entrambe le parti, come richiede
appunto la laicità.

Ma soprattutto osserviamo questi "comandamenti", per affermare e
riaffermare che le chiese e le religioni non hanno il monopolio
dell'etica, e che comportarsi «come se Dio non ci fosse» non
significa affatto rinunciare al nostro essere uomini morali, ma è
piuttosto l'unico vero modo di farsene carico completamente.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 28/10/2008 alle 07:45
Giovanni Paolo II (nona puntata)

L): Buonismo

Sono pure disgustato per questo buonismo. Nessuna nazione si è mai sognata di mettersi a lutto quando è morto Hitler per rispetto al dolore delle SS. Se vi pare troppo forte il paragone (per me non lo è affatto), pensiamo ad altri grandi del XX secolo... Giovanni XXIII, De Gaulle, Stalin, Feynmann, Mao, Miles Davis, Franco, Planck, Gandhi, Ford, Che Guevara, Einstein, Kennedy,
von Karajan, Mitterand, Fermi, Paolo VI, McCartney... per nessuno di questi si è fermata la nazione. Per nessuno di questi si è vista una simile unanimità di consensi. Ciascuno di questi ha fatto grandi cose, nel bene e nel male e per ciascuno di loro ci sono state milioni di persone che hanno sofferto quando sono morti e talvolta anche quando erano in vita. Non per questo si è imposto il rispetto universale.
Sarà ancora lecito sperare di essere in un paese laico e liberale, tale da considerare i propri cittadini degli adulti responsabili capaci autonomamente di stabilire, per sé stessi e senza bisogno di chi li mandi a letto senza cena, quali spettacoli seguire o non seguire, quali comportamenti tenere o non tenere, quali idee e sentimenti concepire?
Si può ancora manifestare un interesse consono, semplicemente consono, alla morte di un pontefice, senza far divenire un evento ineluttabile e normale, seppure doloroso, dolorosissimo (per chi lo prova), e commovente, commoventissimo (per chi la sente), come la morte di un anziano malato, una tragedia collettiva?
Si può ancora fare e farsi forza sulla dignità del soffrire sommessamente, in raccoglimento, con chi condivida il proprio dolore, senza sventolarlo come uno stendardo portato in testa alle folte schiere compatte marcianti all'unisono?
Il buonismo non dovrebbe essere definito in positivo, ma in negativo. E’ più facile capire cosa non è, piuttosto che ciò che è. Non è analisi delle cause dei fenomeni, ma è l’uso propagandistico delle immagini di sofferenza e disagio. L'approccio buonistico alle sofferenze dei popoli dell'Africa ad esempio, permette di offrire una visione edificante e consolatoria per chi ha bisogno di sentirsi buono senza affrontare gli inconvenienti e i costi del pensiero critico e dell'azione efficace.
Giovanni Paolo II ha offerto nel 2000 una pubblica confessione dei peccati per gli errori della chiesa nel passato, senza però trarne alcuna conseguenza pratica. La confessione dei peccati ampollosa e barocca inscenata a San Pietro per gli errori della chiesa è rimasta vaga e ambigua, altro tipico esempio di buonismo, perché è facile chiedere scusa alla scienza per Galileo, molto meno lo sarebbe fare ammenda sulla genetica!
Per Giovanni Paolo II. , da sempre, l'unica realtà che conta, è quella dei media e Galileo “fa audience”. Ed è così che è diventato la più grande star mediatica di tutti i tempi, raggiungendo l’apice con la malattia e la morte (si fa per dire, perché lui non è certo morto, bensì è passato a miglior vita!).

 

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  postato il 29/10/2008 alle 08:27
Giovanni Paolo II (decima puntata)

M): Morte al laicismo!

La Chiesa non ha apprezzato il risultato complessivo del Trattato per quanto riguarda la posizione di rilievo riconosciuta alle Chiese in Europa, ai sensi dell'art. 52 del Trattato. Anzi, anche qui emerge il limite del concetto di laicità per gli uomini di Chiesa.
Il Trattato costituzionale europeo realizza il principio storico, incontestabile e irreversibile, della libertà di religione, comprensiva della pienezza delle sue espressioni pubbliche, giuridiche e politiche, affermando che «rispetta lo status previsto nelle legislazioni nazionali per
le Chiese», «riconoscendone l'identità e il contributo specifico». Nel contempo però il Trattato non favorisce le Chiese rispetto ad altre «organizzazioni filosofiche e non confessionali». Il testo costituzionale sottintende cioè che i valori rappresentati dalla religione-di-chiesa sono
soltanto un’espressione di quella «libertà di coscienza» individuale dei cittadini cui va il primato assoluto nella gerarchia delle libertà fondanti della democrazia. In questa prospettiva, la laicità non è un valore accanto ad altri (secondo il cliché del laico giustapposto al credente) ma è il
criterio stesso con cui tutte «le visioni della vita» si confrontano con pari dignità etica. Ciò che conta è il confronto ragionevole degli argomenti e la leale osservanza delle procedure democratica nella decisione politica. Considerare l'art. 52 del Trattato costituzionale un’implicita, surrettizia
diminutio delle chiese significa non aver capito nulla della laicità della democrazia.
D’altra parte il vaticano per il suo “de iure condito” continua a non poter sottoscrivere la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo del Consiglio d'Europa: troppi canoni del diritto ecclesiastico romano, assolutistico e medioevale, dovrebbero prima essere modificati. Il governo della Chiesa è oggi sostanzialmente simile a quello dei giorni pre-conciliari. I vescovi locali sono poco più che funzionari al servizio della Curia.
A chiedere un programma di riforma del papato furono in molti a partire dai giorni del concilio vaticano II, specialmente dall'esterno delle gerarchie vaticane. Un forte impegno in questo senso si vide ad esempio da parte del gruppo di studi bolognese, guidato per anni da Guiseppe Dossetti. Ai cardinali riuniti nel conclave del 1978, che poi decise la nomina di Giovanni Paolo II, fu fatto pervenire un documento in cui si chiedeva al nuovo pontefice di mettere fine al papato monarchico, si chiedeva la creazione di un organo collegiale di vescovi e cardinali, dotato di una capacità legislativa vera e propria, si chiedeva inoltre di far eleggere i nuovi vescovi dalle comunità ecclesiali interessate. Nell'ambito di una revisione della condotta concordataria internazionale portata avanti anche da Paolo VI, nel documento compariva tra l'altro anche un invito per l'abolizione delle nunziature apostoliche troncando i rapporti con gli stati "come potenza tra le potenze".
Nessuna di tutte le richieste avanzate nel documento del gruppo di Bologna fu accolta dal nuovo eletto al soglio di Pietro nel 1978. Il concetto della democratizzazione del vaticano restò lettera morta nell'impronta che il papa polacco dava sempre di più con il passare degli anni al suo magistero. Il culmine di questo allontanamento lo si tocca nel discusso ultimo libro di Giovanni Paolo II, pubblicato nel febbraio 2005. «Fu un parlamento regolarmente eletto - scrive Giovanni Paolo II in questo libro a pag.161 - ad acconsentire alla chiamata di Hitler al potere nella Germania degli anni Trenta; fu poi lo stesso Reichstag che con la delega dei pieni poteri […] a Hitler, gli aprì la strada per la politica d'invasione dell'Europa, per l'organizzazione dei campi di concentramento, e per l'attuazione della cosiddetta "soluzione finale" della questione ebraica». Poche righe più avanti, il papa aggiunge: «è proprio in questa prospettiva […] che ci si deve interrogare, all'inizio di un nuovo secolo e di un nuovo millennio, circa alcune scelte legislative decise nei parlamenti degli odierni regimi democratici. Il riferimento più immediato è alle leggi abortiste. Quando un parlamento autorizza l'interruzione della gravidanza, consentendo la soppressione del nascituro, commette un grave sopruso […]. I parlamenti che approvano e promulgano simili leggi devono essere consapevoli di spingersi oltre le proprie competenze e di porsi in palese conflitto con la Legge di Dio e con la legge di natura».
La realtà è che quando il papa usa le parole: trattati, costituzione, libertà e democrazia, le intende in modo univoco a vantaggio dei soli clericali e non di tutti. Domandano le guarentigie a noi laicisti in nome dei principi nostri, e negano le libertà altrui in nome dei principi loro.
La chiesa avrebbe invece bisogno di un papato riformato una monarchia costituzionale al posto di una monarchia assoluta. Il punto di partenza è un ritorno allo spirito di collegialità episcopale del concilio che metta da parte il concetto dell'infallibilità.


 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 30/10/2008 alle 07:32
Giovanni Paolo II (undicesima puntata)

N): Scuse

Come Celentano, papa Woytila ha chiesto perdono per gli errori di ieri, ma non per quelli di oggi. La storia di un “mea culpa” piuttosto lungo, come quello in nome dell'Occidente per la schiavitù e la tratta, dimenticando che solo l'Occidente è stato capace, in un secolo (dal 1760 al 1860) di bandire una pratica legale e comunemente accettata da almeno 5000 anni. Capisco che questo storicamente è stato più un merito dei Metodisti (la fede in cui fu allevata la baronessa Thatcher e a cui si convertì Bush, tanto per capirsi) e degli illuministi che dei cattolici, ma tant'è, questo dettaglio se lo poteva ricordare. Ha riconosciuto gli sbagli e perfino i crimini passati della Chiesa cattolica, come l'antigiudaismo religioso, i ghetti e la persecuzione degli ebrei, l'Inquisizione, la strage degli Ugonotti, il rogo di Giordano Bruno, la condanna di Galileo. Ma dopo la riabilitazione di Galileo i danni chi li paga? E non ha chiesto perdono per le gravi colpe di oggi, come le ingerenze politiche, la negazione della libertà di scienza, di critica e di stampa, l'appropriazione indebita dell'etica da parte della Chiesa cattolica, il riconoscimento dei dittatori e dei gruppi rivoluzionari o terroristici, l'umiliazione della ricerca scientifica (medicina, aborto, sperimentazione, clonazione, fecondazione, controllo delle nascite) e della donna. Insomma, ha chiesto, al solito, la "libertà" solo per la chiesa, non nella chiesa o nei confronti della chiesa.
Per la chiesa cattolica questo Pontificato si rivela una grande speranza (per chi sperava) delusa, in fin dei conti un disastro, perché Karol Wojtyla, con le sue contraddizioni, ha profondamente polarizzato la chiesa, allontanando i suoi innumerevoli uomini e gettandoli in una crisi epocale.

O): Pedofilia

Una delle più serie accuse contro il suo pontificato è il fallimento nell'affrontare onestamente gli scandali legati alla pedofilia che hanno coinvolto centinaia di preti americani e che il Vaticano ha cercato invano di occultare, tentando di sottrarre i colpevoli alla giurisdizione. Possiamo prendere ad esempio Bernard Law, nato in Messico da genitori americani, è divenuto arciprete dopo essersi dimesso dalla carica di arcivescovo di Boston nel 2003, in seguito ad uno scandalo sulle molestie sessuali perpetrate da sacerdoti della sua arcidiocesi, di cui il cardinale sarebbe stato a conoscenza. Le prime critiche arrivarono nella seconda metà degli anni Novanta, quando il sacerdote John Geoghan fu processato per 130 casi di molestie su minori: nel 1998 rinunciò ai voti poco prima di essere condannato. Dagli atti del processo risultò che il cardinale Law, giunto a conoscenza degli abusi, per tre volte trasferì padre Geoghan in nuove parrocchie, senza prendere precauzioni affinché le violenze non si ripetessero. Law presentò per la prima volta le sue dimissioni nell’aprile 2003, ma il pontefice le rifiutò. Quando le denunce per molestie raggiunsero la quota 500 e gli atti d’alcuni processi furono resi pubblici (lettere in cui il cardinale esprimeva il proprio sostegno a preti indagati), 58 sacerdoti della sua stessa arcidiocesi domandarono ufficialmente le dimissioni del cardinale. Nel gennaio 2003, Bernard Law fu sollevato dall’incarico e trasferito a Roma.
Nelle ultime settimane avevano duramente criticato il ruolo di rilievo di Law, di fianco a Ratzinger nei funerali di Wojtyla: ”E’ come spargere sale su una ferita aperta”. Alla loro voce si erano unite altre, come l’associazione cattolica “Voice of the Faithful”, il Boston Globe, e alcuni sacerdoti dell’università cattolica Georgetown.Ieri una piccola delegazione del Survivor Network era a Roma per esprimere il proprio dissenso nei confronti di Law ma anche le proprie esigenze in vista del conclave.
Una di loro, Barbara Dorris, che ha subito delle violenze da parte di un insegnante sacerdote quando era alle elementari, ha detto che gli onori conferiti al cardinale Law, nonostante il suo comportamento, danno l’impressione che la Chiesa attribuisca più valore ad un personaggio come Law, che ai bimbi vittime di violenze da lui coperte. Eppure, Barbara Dorris si dice una fervente cattolica: “Se sono qui, è perché la Chiesa tenga presente che quello degli abusi sessuali sarà tra i problemi che il prossimo pontefice dovrà affrontare”.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 06/11/2008 alle 08:29
Giovanni Paolo II (dodicesima puntata)

P): Politicismo

Con realismo, dobbiamo considerare papi, vescovi e cardinali come veri e propri uomini politici, non potenziali "santi" o eroi, a differenza delle folle acritiche eccitate dal messaggio televisivo. Questo sono e vogliono essere i generali della chiesa.
A cominciare dagli accordi politici e dal lungimirante realismo machiavellico, con cui sono ordinati vescovi ed eletti pontefici. Sanno bene, del resto, che per la pura e semplice contemplazione e testimonianza spirituale sarebbe bastato loro esser umili frati, semplici preti o perfino laici praticanti. Ma se vogliono, invece, essere un potere del mondo, se costruiscono un governo, se instaurano una gerarchia, se conducono campagne di informazione, se stipulano accordi, se prescrivono di votare o non votare, se criticano i politici o condannano la stampa (e un tempo incoronavano, combattevano guerre sanguinose, incarceravano e condannavano a morte), noi dovremmo considerarli per quello che sono: politici. E il carisma politico fa certamente parte della personalità del papa defunto, ma il cedere alla dimensione carismatica è anche infantilismo delle masse. Va concesso ai giovani, i papa-boys sono l'effetto evidente della dimensione carismatica, ma il mondo laico non è di soli ragazzi. E restando nel tema, è infantile pensare che un sistema ad es. crolli per l'azione di un uomo. Il sistema sovietico è crollato per una semplice ragione: l'apparato tecnico dell'Unione Sovietica era certamente inferiore a quello americano. È imploso per ragioni proprie. Il papa ha favorito l'azione di Solidarnosc; ha approfittato del crollo del comunismo per far uscire la Polonia prima degli altri Stati satelliti. Punto.
Non solo, Wojtyla può essere ritenuto responsabile, anche se marginalmente, del massacro jugoslavo. Chi furono, dopo lo sfaldamento, i primi Stati a riconoscere le nazioni cattoliche Slovenia e Croazia? La Germania di Kohl e il Vaticano. Wojtyla ha canonizzato Stepinac, il cardinale di Zagabria che aveva benedetto le armi degli ustascia, i massacratori (pulizia etnico-religiosa) dei serbi. Papa Wojtyla non è potuto andare in Russia, né con Gorbaciov né con Putin, ma non per i comunisti: per il veto della Chiesa ortodossa. E perché? Perché la distanza che la separa da Roma da mille anni è ancora, più di prima, il primato del papa.


 
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  postato il 07/11/2008 alle 08:38
Giovanni Paolo II (tredicesima puntata)

Q): Funerali in TV

I funerali sono un trionfo senza precedenti, sono un evento. Presenti i capi di stato attuali e storici di tutto il mondo. La folla affluisce da ogni parte ed è incontenibile, commossa, conscia di partecipare ad un evento storico. Woytila ha vissuto il suo papato alla presenza ossessiva delle telecamere per cui sarà una dura impresa, per i suoi successori, eguagliare la sua mediaticità estranea al nascondimento di Nazareth. I prossimi papi sapranno sottrarsi al trasporto emotivo delle folle, come fece Cristo che rifiuto di essere proclamato re? Questo papa non è morto nell’infamia del venerdì santo, ma nel trionfo della domenica delle palme: è morto sulla ribalta, come ha scelto di vivere.
Tra le grandi cerimonie dei media, questa è la cerimonia per eccellenza. L'eccezionale successo di questo evento è legato ad una serie di congiunture favorevoli: la figura del papa incarna oggi lo spirito del tempo. Il bisogno di superstizione è pa(l)pabile. La gente è affamata di cerimonie che consolidano il reciproco legame di appartenenza e connessione. Partecipare ad una cerimonia storica, essere parte attiva di una maggioranza, essere inquadrato da una telecamera come un punto in mezzo a centinaia di migliaia di punti sembra oggi un obiettivo sufficiente a dare un valore alla vita. Si dirà: il papa è il papa. Ma non basta.
Nessun papa storico, e tutti i papi hanno fatto la storia, ha incarnato così profondamente gli umori della folla. Le spoglie di Pio IX, storico papa del Risorgimento italiano, furono assalite dagli anticlericali al grido «al fiume il papa porco». (Nessuno invece a lui ha gridato: papa boia!) E anche il pontefice più popolare Giovanni XXIII non ebbe per le sue esequie un così massiccio, irrazionale e divistico assalto di pubblico, perché tutto il suo pontificato era stato svolto sulle corde della carità, dell'impegno terreno e dell'aiuto reciproco tra gli uomini.
Cerimonie storiche sono state le nozze e i funerali di Diana, ma anche la monarchia è più sobria e meno sacrale e solenne della chiesa e della sua liturgia. A questo si aggiunge il bisogno di aggregazione della nostra epoca. Conformismo e maggioranza sono stati a lungo disvalori. Oggi il bisogno di aggregazione, d' integrazione, prevale sul bisogno di distinzione. Nessuno ricerca più l'esclusività, la differenza, l'originalità. L'imperativo è partecipare, essere accettati, connessi, presenti. Viviamo oggi un’adolescenza collettiva in cui il bisogno di appartenenza al gruppo prevale sulla ricerca della propria identità. Appartenere alla maggioranza, fare maggioranza, non passivamente, ma attivamente è il desiderio di tutti. Per questo come per i pellegrinaggi dell'anno mille, un’immensa folla si è riversata sul sagrato di san Pietro. E' una folla di fedeli, ma anche di menefreghisti, che non andrà forse a votare al referendum, ma che capisce che un frammento di storia si celebra oggi e che è importante essere presenti. Ore di coda sono sopportabili per poter fissare sul telefonino l'immagine del papa. Quell'immagine significa: “Io c'ero”. A quella folla in jeans attaccata al cellulare, compatta ed eternamente connessa, la chiesa conferisce forma e significato. E' la liturgia che attribuisce a questa massa informe un contenuto religioso, una convinzione. La maggioranza, la folla, scopre di avere un senso, di essere venuta per un’idea e uno scopo e le guance di tutti si rigano di lacrime.
La “kermesse” dei funerali del papa, la folla dei fedeli piangenti e commossi, degli spettatori curiosi, degli uomini potenti chini davanti alla bara di un uomo la cui forza era nelle parole e nella grandezza dell'istituzione che rappresentava. Alcuni hanno detto che questo spettacolo
aveva al contempo un che di pagano oltre che di cristiano, al pari di altri riti che hanno accompagnato in passato la morte dei grandi e dei meno grandi, degli uomini di stato così come delle celebrità di dubbio merito. Sono quasi sicuro che il papa avrebbe approvato lo spettacolo delle folle festanti, che sono arrivate a rendergli, come si dice, omaggio. L'uomo aveva un’altissima concezione di sé e del suo ruolo, non tanto come persona (questo non si sa, ma dicono che fosse personalmente umile), quanto come capo della chiesa.
Tanta gente è rimasta colpita, nel rivedere le immagini che si sono susseguite in questi giorni, dall'espressione intensa e benevola, dalla postura leggermente inclinata anche nei primi anni
quando ancora stava bene: certamente non una persona arrogante, o vanitosa nel senso comune del termine, o trionfalistica; una persona molto compresa della sua missione, intensamente dedita a realizzarla. E la sua missione era quella di fare trionfare la grandezza della chiesa in quanto
guida di tutta l'umanità verso la croce, verso Cristo. E' il caso di dire beato chi ci crede! Da questa visione "clericale" in senso alto sono anche nate le durezze verso coloro che nel suo gregge gli disubbidivano, le incomprensioni della modernità e le compromissioni con il potere; e anche l'uso della spettacolarità, al servizio della quale ha messo la sua persona in vita e il suo corpo in
morte.
Un grande antico papa. Noi, uomini e donne che ci professiamo laici, guardiamo e restiamo meravigliati di fronte allo spettacolo di tanta fede missionaria; ma allo stesso tempo pensiamo che in definitiva anche questo pontefice, pur definito grande, non abbia molto da insegnarci, perché crediamo che il mistero della vita e della morte, il bisogno di permanenza e di spiritualità presente in ogni singolo uomo, è ancora più profondo, ancora più insondabile di quanto il suo messaggio, il suo insegnamento abbiano da proporre.
Certo, Giovanni Paolo II ha entusiasmato in vita ed entusiasma da morto il suo gregge, gli ha consentito di immedesimarsi, di riconoscersi suo seguace e di sentirsi parte della sua missione. Anche questo è un bisogno degli uomini, o meglio una via d’uscita dall'angoscia. E questa folla cerca disperatamente di riempire un vuoto apparentemente incolmabile, tante persone costrette a fare qualche gesto che le mostrasse in lutto. Porte socchiuse, saracinesche abbassate, bandiere a mezz'asta. A quelli con una fede sincera (quanti?) non sarà venuta voglia di smettere di fronte a questo teatrino mediatico? Non ci resta che continuare a dire che c'e un modo migliore per vivere.
Secondo me sono tutti colpevoli di avere dato in pasto al pubblico un uomo morente, con maxi schermo come se si fosse trattato di un evento sportivo. Volevano fare “tutto il calcio” minuto per minuto, solo che i telecronisti non sapevano cosa dire per apparire sensazionali, anche perché non c'era nulla da dire. Uno scempio della vicenda che sarà ricordata forse più per com’è stata raccontata: con dovizia d’inutili particolari.

Epitaffio

Ventisettanni,
poco più son mezza vita
ma qualcuno (io) oggi può esultare
perché una tirannia è finita.



 
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  postato il 08/11/2008 alle 13:40
Giovanni Paolo II (ultima puntata)

Papi

E’ venuto il momento di chiedersi a quale tradizione egli sia appartenuto.
Anche la scelta del suo nome, Giovanni Paolo II è solo apparenza: ha poco da condividere con il suo immediato predecessore. Giovanni Paolo I, per esempio, prima della sua elezione si congratulò con i genitori del primo bambino in provetta, non si tratta certo di un gesto che fa rima con il fondamentalismo della chiesa. Giovanni Paolo II è stato anche l'opposto di Giovanni XXIII, che portò il cattolicesimo a confrontarsi con le realtà del 20° secolo, accettandone i princìpi moderni.
E ad entrambi il nostro ha risposto con “ i diritti degli embrioni”!!!
Paolo VI, infine, affascinava quale intellettuale sottile, che lasciava ai teologi la libertà di cercare e sperimentare. In sintesi possiamo dire, che la tradizione alla quale si richiama il nostro è san Pio IX.


Giovanni XXXI






Giovanni XXIII a Regina Coeli

La parole di Giovanni XXIII

Riportiamo alcuni brani estratti dall'enciclica "Pacem in Terris", di Giovanni XXIII
«Il diritto alla libertà nella ricerca del vero è congiunto con il dovere di cercare la verità, in vista di una conoscenza della medesima sempre più vasta e profonda».
«La dignità di persona, propria di ogni essere umano, esige che [si] operi consapevolmente e liberamente. Per cui nei rapporti della convivenza, i diritti vanno esercitati, i doveri vanno compiuti, le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni o pressioni provenienti soprattutto dall'esterno».
«Vi è un fatto a tutti noto, e cioè l'ingresso della donna nella vita pubblica: più accentuatamente, forse, nei popoli di civiltà cristiana; più lentamente, ma sempre su larga scala, tra le genti di altre tradizioni o civiltà. Nella donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell'ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica».
«Per il fatto che l'autorità deriva da Dio, non ne segue che gli esseri umani non abbiano la libertà di scegliere le persone investite del compito di esercitarla; come pure di determinare le strutture di poteri pubblici, e gli àmbiti entro cui e i metodi secondo i quali l'autorità va esercitata. Per cui la dottrina sopra esposta è pienamente conciliabile con ogni sorta di regimi genuinamente democratici».
«Dev'essere sempre riaffermato il principio che la presenza dello Stato in campo economico non va attuata per ridurre sempre più la sfera di libertà della iniziativa personale dei singoli cittadini, ma per garantire a quella sfera la maggiore ampiezza possibile, nell'effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali della persona».
«Gli esseri umani, nell'epoca moderna, hanno acquistato una coscienza più viva della propria dignità: coscienza che, mentre li sospinge a prendere parte attiva alla vita pubblica, esige pure che i diritti della persona - diritti inalienabili e inviolabili - siano riaffermati negli ordinamenti giuridici positivi; ed esige inoltre che i poteri pubblici siano formati con procedimenti stabiliti da norme costituzionali, ed esercitino le loro specifiche funzioni nell'ambito di quadri giuridici».
«Vi sono regimi politici che non assicurano alle singole persone una sufficiente sfera di libertà, entro cui al loro spirito sia consentito respirare con ritmo umano; anzi in quei regimi è messa in discussione o addirittura misconosciuta la legittimità della stessa esistenza di quella sfera. Ciò, non v'è dubbio, rappresenta una radicale inversione nell'ordine della convivenza, giacché la ragione di essere dei poteri pubblici è quella di attuare il bene comune, di cui elemento fondamentale è riconoscere quella sfera di libertà e assicurarne l'immunità».
«I rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella libertà. Il che significa che nessuna di esse ha il diritto di esercitare un'azione oppressiva sulle altre o di indebita ingerenza. Tutte invece devono proporsi di contribuire perché in ognuna sia sviluppato il senso di responsabilità, lo spirito di iniziativa, e l'impegno ad essere la prima protagonista nel realizzare la propria ascesa in tutti i campi».
«I poteri pubblici della comunità mondiale devono proporsi come obiettivo fondamentale il riconoscimento, il rispetto, la tutela e la promozione dei diritti della persona: con un'azione diretta, quando il caso lo comporti; o creando un ambiente a raggio mondiale in cui sia reso più facile ai poteri pubblici delle singole comunità politiche svolgere le proprie specifiche funzioni».
«Atto della più alta importanza compiuto dalle Nazioni Unite è la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948». (m.l.)






Conclusioni
E' vero, morto un papa così, non se ne fa un altro uguale.
Probabilmente Wojtyla ha fallito su tutta la linea, poiché il suo successo è stato solo d’immagine, un'anomala imitazione del maestro. Col soffio dello spirito che rinnova, la chiesa attende, ora, un papa meno spettacolare, più vicino alla collegialità apostolica che all'impero dei cesari. Un papa che, come Giovanni Battista, vedendo Cristo esclami: "E' necessario che io diminuisca e lui cresca", un papa che "aprirà le porte a Cristo" ma non porrà la sua persona, di traverso, su quella soglia.

Risposta del santo spirito: Joseph Ratzinger.




 
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  postato il 09/11/2008 alle 10:30
Originariamente inviato da dedalus


ho avuto modo, quest'estate, di leggere un romanzo di Neal Stephenson: Snow Crash, nel quale tra mille spunti (va letto con un'enciclopedia vicino...) si parla anche di una sorta di ciclicità tra concezione elitaria e popolare della religione. sinceramente non ho ancora approfondito questo lato (ho iniziato a spulciare un po' le teorie economiche che vengono descritte, come l'anarco-capitalismo ), ma ho più o meno capito, nella parte più vicina al mio vissuto, che lo scrittore tratteggia la venuta di Cristo come una sorta di rivoluzione rispetto alla religione dei farisei e delle leggi, passando anche dalla semplificazione dei comandamenti-norma (il decalogo) nell'unico comandamento-azione (ama!).


Quello che scrivi è vero: il cristianesimo delle origini, rispetto alla legge Mosaica rappresenta una rivoluzione.

Originariamente inviato da dedalus

tra l'altro le famose lingue di fuoco vengono viste - nel contesto del romanzo, che si basa su una specie di virus neurolinguistico - come una specie di ritorno alla comunicazione tra popoli attraverso un'unica lingua.


Quello che si dice nel romanzo a me pare il contrario: Enki ha fatto il dono di Babele al mondo, in modo che, in presenza di un multilinguismo, un eventuale "virus" potesse attaccare soltanto una parte e non la totalità del genere umano (cosa che sarebbe accaduta invece nella lingua unica di Sumer).

P.S.

Per quanto riguarda il cristianesimo dell'origini etc. farò un riassunto (a puntate) del libro di Augias-Cacitti ove si tratta proprio dell'argomento in maniera, secondo me, piuttosto esaustiva.


 
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  postato il 10/11/2008 alle 07:55
Religione e miti sumerici
I sumeri avevano una religione politeista che aveva le proprie origini sul concetto di mito.
Allorchè il regno celeste venne sulla terra, esso fiorì in Eridu.
Così recita la più antica lista reale sumerica, scritta in caratteri cuneiformi alla fine del III millennio a.C.. In questa lista sono contenuti nomi mitici di re di Eridu, Alulim e Alagar che vissero prima del Diluvio Universale, conosciuto anche nella tradizione sumerica. La prima città sacra fu Eridu che conobbe una grande importanza in epoca arcaica.
Si osserva dunque che l'Antico Testamento della Bibbia e la tradizione sumerica si muovono nella stessa direzione.
Il signore della terra dei Sumeri era Enki, dio della sapienza e degli oracoli che governa i me, cioè le 100 forze divine che assicurano ad Eridu la supremazia sulle altre città sumeriche.
Enki è il signore di tutto ciò che sta sotto e, come Jahve, decide di popolare la terra di uomini. La madre di Enki è Nammu, madre primigenia, la dea che ha generato il cielo e la terra. Essa accoglie il suggerimento del figlio che per aiutare gli altri dei nel compiere il loro lavoro propone di creare l'uomo. Nammu, con l'aiuto di 8 dee, plasma l'argilla usando l'abzu, l'acqua dolce sotterranea dispensatrice di vita. Una delle dee, Ninmah, mossa dall'invidia crea esseri deformi con difetti fisici ed anomalie sessuali contro la bellezza del genere umano. Enki, in risposta a questo, crea l'umu'ul, cioè il vegliardo che simboleggia il compimento della felicità umana, in contrasto con la sofferenza di Ninmah. Inoltre offre all'uomo la possibilità di guardare al futuro: nascono così gli studiosi degli astri, del fegato di pecora (auruspici) che ritroviamo tra gli Etruschi , nonchè gli oracoli. Enki si mostra il dio più vicino agli uomini.
Enki ha il debole per le donne. Ebbe numerosi incesti (del resto come Zeus) con diverse divinità e con le loro figlie: Ninkhursanga, Nirsikil, Nintu, Damgalnunna, Ninkurra (dea della fecondità), Uttu; quest'ultima interrompe la catena degli incesti. Il luogo di questo paradiso incestuoso ha il nome di Tilmun, terra di fecondità e ricchezza, già conosciuto dalla tradizione di el Obeid e trasmessa a quella semita. Questa terra oggi sembra individuata nell'isola di Bahrein, nel Golfo Persico. Dunque la mitologia di Eridu ha le sue origini in epoca protosumera.
Nel corso del tempo Eridu lasciò il posto ad Uruk come importanza politica. Questo si deve alla dea dell'amore Inanna, che approfittando dell'ubriacatura di Enki gli tolse le cento forze divine e le portò nella sua città preferita Uruk. Ogni dio, dunque, era venerato in una specifica città ed ogni divinità veniva impiegata per fini politici.
Il pantheon sumerico era molto variegato: An, dio del cielo; Enlil, dio del vento; Uras o Ki, dea della terra, che partorirà Inanna e Nintu, dee dell'amore e fecondità; Enki, dio dell'acqua, simbolo di vita e della terra. Ci sono poi Mamitu, dio della morte; Marbu, dio della tempesta,; Guanna, il toro celeste che lotterà contro Gilghamesh; Tiamat, genitrice di tutti loro, che in accadico rappresenta il nome del mare, e Abzu (Apsu in semitico-accadico), il procreatore.
Questi ultimi due sono noti nel mito di Enuma Elish, riutilizzato dai Babilonesi. Si descrive la lotta tra Enlil, geloso del salvataggio dell’uomo, ed Enki. Per vendicarsi, ordina a Tiamat di generare dei mostri e comandare su tutti gli dei.
I babilonesi chiameranno in causa il loro dio Marduk che ucciderà Tiamat e fonderà Babilonia.
Enlil è anche il dio del destino, poichè è capace di porre fine ad ogni vita umana. Sarà lui a provocare il diluvio universale e se non fosse stato per Enki che avvertì il re Ziusudra (il Noè biblico) sarebbe scomparso tutto il genere umano. Si macchia di numerose colpe, come l'aver sedotto la dea Ninhil, figlia di Nammu. Per questo Enlil viene esiliato agli inferi, dove sarà accompagnato da creature infernali.
Fondamentale per i sumeri fu il mito di Gilgamesh, (***) diretto discendente di Dumuzi, che può essere paragonato al dio-eroe greco Ercole. Si richiama ad un re sumero vissuto ad Uruk intorno al 2700 a.C., che sperimenta l'esperienza della mortalità umana e compie un viaggio verso la conoscenza perfetta. Egli ci viene tramandato come per un terzo uomo e due terzi dio. Egli sconfigge anche Enmebaragesi, re di Kish, e sarà in lotta con la sua discendenza.
Tra le sue imprese, Gilgamesh avrebbe ucciso un toro divino, inviato sulla terra dalla dea Inanna, che opprimeva il proprio popolo.
LA BIBBIA ED I SUMERI
Attraverso documenti ed incisioni cuneiformi sono state ricostruite varie ipotesi circa diversi miti che si vengono ripresi anche nella Bibbia.
Abbiamo già accennato circa il diluvio universale che secondo la tradizione sumerica sarebbe avvenuto all'epoca del re Ziusudra (Utnapishtim per i Babilonesi), presso Nippur. Questo re, ritenuto giusto da Enki, viene avvisato dei piani diabiolici di Enlil e si salva, salvando anche tutto il genere umano. Attualmente sono state fatte scoperte in tal senso presso Ur. Ciò potrebbe confermare l'ipotesi che il diluvio universale coinciderebbe con una grande alluvione dell'Eufrate (la Mesopotamia era ricca di alluvioni). Questa avrebbe lasciato il segno nella tradizione sumera, tramandandola poi a quella semita, attraverso gli accadi .
La Torre di Babele è stata cercata per anni dagli studiosi. La storia ci dice che l'ultimo a ristrutturarla fu Alessandro Magno, per dare splendore a Babilonia. Alcuni l'hanno identificata a Samarra, altri ad Aqar Kuf, presso Bagdad, altri ancora a Birs Nimrud, vicino Babilonia. Sicuramente si trattava di una Ziqqurat costruita dopo la grande alluvione. Tra l'altro la grande alluvione segna da sparti-acque nella storia mitologica sumera, in quanto i re antecedenti al diluvio sopravvivevano almeno 10.000 anni, quelli successivi 100 anni. Questo significa che l'uomo, dopo aver conosciuto la catastrofe alluvionale, si è reso conto dei limiti del tempo e della vita.
Successivamente al diluvio troviamo la lotta tra il pastore Dumuzi ed Enkimdu, il contadino. Questo mito richiama quello di Caino e Abele, anche se nella Bibbia è antecedente al diluvio universale. I due rappresentano due classi sociali diverse in lotta tra loro. Nel mito la lotta è per la bellissima dea Inanna.Alla fine sarà Dumuzi a primeggiare, senza uccidere il rivale, anzi si accorderanno in pace. Dumuzi diventa dio dei pastori, ma Inanna discende agli inferi per essersi unita ad un uomo. Così Inanna per riscattarsi fa uccidere Dumuzi, ma, per amore, si pente e lo fa risorgere ogni sei mesi per averlo con se. Si innesca così un ciclo di morte e resurrezione nell'arco di ogni anno che i sumeri festeggiano.
In questo episodio si riscontrano tanti miti: la morte e la resurrezione, la fragilità della vita, l'amore, il pentimento, la fertilità. E' necessario ricordare che la Mesopotamia era diventata una regione fertile, dunque c'era di tutto, ma questo tutto era esposto ad ogni pericolo e poteva morire: nessuno può sentirsi al sicuro. Gli dei dunque non sono immortali, ma la loro importanza è legata al luogo dove si trovano, affinchè possano accompagnare gli uomini nella loro avventura terrena e quindi essere immortali nella loro tradizione. Il mito di Dumuzi richiama il raccolto che viene effettuato ogni metà anno e viene festeggiato dai sumeri come fonte di vita e di fertilità. Questo mito verrà ripresero dai Babilonesi con Innin e Tammuz .
Elementi fondamentali nella religione sumerica erano: una dea nuda (Inanna) ed un toro, simbolo degli eventi naturali che l'uomo non può gestire e controllare.
Si possono osservare anche dei richiami alla creazione dell'uomo ed alla cacciata dal paradiso terrestre.

 
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  postato il 11/11/2008 alle 12:01
Inchiesta sul cristianesimo (Elaborazione sintetica del libro di Augias-Cacitti)

L’ardua ricerca di una dottrina

Si può cominciare a parlare di religione cristiana a partire dalla metà del secondo secolo, quando la corrente giudaico-cristiana viene quasi del tutto emarginata a favore dei "gentili". Il canone si forma in tale periodo e per riuscire a renderlo stabile e sconfiggere "le eresie" occorre una struttura istituzionale e quindi gerarchia e denaro. La prima da "esorcizzare" era quella "gnostica" per la quale Dio non era nel mondo (opera del Demiurgo), ma dentro l'uomo e quindi non ci sarebbe bisogno di nessuna struttura ecclesiastica. Diventare gnostici significa liberarsi degli impacci del corpo ed esser consapevoli della negatività dell’universo. Tale visione era anche un ingegnoso tenativo di coniugare un essere onnipotente e buono con tutto il male e le ingiustizie che esistono nel mondo.
Nessuno in realtà ha risolto l’interrogativo che l’umanità si è sempre posto e massime dopo la Shoa.
Le primissime comunità di fedeli non avevano una precisa divisione gerarchica, bensì uno spirito fortemente paritario [con tanti saluti a chi vuol far credere che i papi abbiano potuto regnare sin dalle origini:-) ].
Nessun dubbio comunque sul fatto che alla fine del secondo secolo la maggioranza delle comunità erano passate al sistema episcopale. Alla domanda su come sia stato individuato il criterio di legittimità per il potere demandato agli “episcopos” si può rispondere in due modi:
a) un’investitura apostolica diretta
b) il fenomeno delle visioni

La prima non necessita di spiegazioni, mentre sul punto b potremmo cominciare con il descrivere il famoso episodio della grande visione collettiva (denominata pentecoste). C’è poi la drammatica visione di Saulo e ci sono quelle dei santi, dei martiri, delle vergini e dei profeti, che durante le loro estasi raccolgono parole attribuite direttamente a dio. Nel 1951 M.L. von Franz, una dei migliori allievi di Jung, ha pubblicato un saggio sull’interpretazione dei sogni e delle visioni contenute in un trattato della letteratura martirologica “La Passione di Perpetua e Felicita” ed esso arriva a risultati piuttosto interessanti da un punto di vista psicoanalitico. Un’altra interpretazione ce la fornisce il Bernini con la sua statua di Teresa d’Avila (chiesa di S. Maria della vittoria a Roma) mescolando il trasporto celeste con espressioni della più intensa partecipazione erotica.
Per siffatti motivi la chiesa (non delle origini) si è tenuta in posizione molto prudente, se non ostile, nei confronti dei mistici.
Ma la tendenza visionaria prosegue nel corso del tempo con Fatima, Lourdes, Medjugorje, ma il prof. Cacitti sostiene che il contenuto propriamente di fede sia piuttosto scarso. Si tratta di visioni ad es. ove la Madonna ha rivelato che non bisogna né fumare, né bere, facendo così una buona “Pubblità progresso”, ma non certo una profonda … :-)).




 
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  postato il 12/11/2008 alle 10:35
Inchiesta sul cristianesimo (Elaborazione sintetica del libro di Augias-Cacitti)



“Tu es Petrus”



Gesù non ha mai detto di voler fondare una nuova religione, che avrebbe dovuto chiamarsi cristianesimo. L’affermazione di Augias è condivisa dalla larga maggioranza degli studiosi in quanto si è scoperto che la chiusa del vangelo di Marco, ove Gesù sprona i discepoli ad andare per il mondo, dotandoli altresì dei poteri di taumaturghi, guaritori, esorcisti e quasi maghi, è posticcia.

Si tratta infatti di versetti aggiunti quasi certamente nei primi decenni del secondo secolo. Il testo originale si concludeva con la scena delle due donne che vanno al sepolcro e, con sgomento, lo trovano vuoto.

Per quanto riguarda l’altra celebre frase “Tu sei Pietro …” Si tratta del famoso “comma matteano” che ha una funzione precisa: segnalare la preminenza di Pietro sulle altre componenti delle comunità cristiane primitive.

Il concetto di chiesa poi riprende il termine semitico, che significa (Antico testamento) “assemblea”. Nei circoli giudaici esseni indicava coloro che alla fine del mondo, nel giorno del giudizio, potranno scampare all’ira di dio. Senza voler troppo approfondire, pare comunque evidente che la chiesa edificata su Pietro è una realtà escatologica, non istituzionale, come avverrà poi con il potere temporale e l’odierno vaticano .

Il primato di Roma è una dottrina elaborata in seguito e si può ricordare che anche Antiochia rivendica nel secondo secolo la successione petrina e che fino al quinto i grandi centri della produzione teologica sono in prevalenza orientali: Antiochia (appunto), Alessandria, Edessa, la Cappadocia, Costantinopoli, Gerusalemme. In occidente, la figura più significativa, Agostino, è vescovo di Ippona; a Milano, Ambrogio ha statura ben più alta (anche se immeritata, vedi calendario laico) di quello del coevo vescovo di Roma (che nessuno conosce .

D’altra parte occorre pure ricordare che quel Gesù che dichiara di voler edificare la sua chiesa su Pietro, qualche versetto dopo lo apostrofa con l’epiteto di Satana e che l’apostolo, durante le concitate fasi dell’arresto, tradisce ben tre volte il suo Signore.

Nell’anno 135 (seconda caduta di Gerusalemme) l’ecclesia cominciò, da assemblea di fedeli, a diventare istituzione e sorsero attriti, che molto spesso saranno risolti con la forza! Non era del resto facile stabilire compiti e responsabilità e da allora ci si avvia ad una struttura più simile a quella odierna che a quella neotestamentaria, che era senza dubbio più fluida ed articolata.

 
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  postato il 14/11/2008 alle 08:47
Inchiesta sul cristianesimo (Elaborazione sintetica del libro di Augias-Cacitti)



Nel segno di Costantino



Con questo imperatore, politico scaltro e senza scrupoli, la nuova fede assume connotati destinati a non cambiare più. Il cristianesimo, fino a quel momento malamente tollerato, diventa, quasi di colpo, religione di stato. Costantino si dimostrò imperatore capace di vedere lontano: utilizzare la nuova religione come strumento di governo, rimpiazzando i vecchi culti, ormai inefficaci ai fini pubblici. Per dare “un’aurea sacra” a queste motivazioni i cattolici hanno raccontato che “Hoc signo victor eris” era una visione cristiana. Lattanzio racconta che il segno era una T sormontata da una piccola o, ma quel segno non ha nulla di cristiano. Ne dobbiamo dedurre che, fra i suoi consiglieri, qualcuno lo ha orientato in quella direzione e lui abbia poi approvato, perché la religione è indispensabile per continuare a mantenere l’impero, proviamo a vedere se questa nuova divinità cristiana funziona meglio di quelle vecchie. Sarà lo stesso ragionamento che faranno in seguito tutti quei capi barbari che fecero convertire i propri sudditi. In altre parole si può dire (Cacitti) che non è stato Costantino a convertirsi al cristianesimo, quanto quest’ultimo a convertirsi all’imperatore.

Costantino cristiano fece uccidere moglie e il primogenito Crispo, per ragioni di carattere politico e la chiesa bizantina lo onora come un santo ed anche in occidente ci sono chiese a lui dedicate. Ma la figura più affascinante della famiglia, quanto meno dal punto di vista romanzesco, è quella di Elena, sua madre. Una figura ampiamente leggendaria, instancabile ricercatrice di reliquie: si racconta che l’imperatrice-madre fosse andata a Gerusalemme a cercare sul Golgota la croce di Cristo. La reliquia più preziosa, però sono i chiodi, uno dei quali viene incastonato nel diadema dell’imperatore, a significare che il potere è esercitato nel nome di Cristo. Nasce così la leggenda della “corona ferrea” conservata ancora oggi nel duomo di Monza.

In quegli anni Eusebio di Cesarea elabora una dottrina che suona, più o meno, così: Dio padre nomina come luogotenente per le faccende terrene il figlio che, a sua volta sceglie l’imperatore romano che deve agire in modo tale che il suo principato consegua la somiglianza (mimesis) con il regno celeste.

Augias: “Il disegno autocratico è evidente, ma fa comunque impressione lo sfruttamento ai fini di potere di leggende derivate dalla passione di Gesù … se penso al suo messaggio, a essere sincero, mi paiono elucubrazioni quasi blasfeme”

Cacitti:”Non per chi le elaborò, né per Costantino, tanto è vero che il principe, per raccogliere le sue spoglie mortali, fece costruire un grandioso edificio … E’ evidente che il mausoleo intendeva esprimere la sostanziale identificazione fra l’imperatore e Cristo.

Nel 324 Costantino, dopo aver sconfitto Licinio e diventato principe unico, scopre con preoccupazione una spaccatura all’interno delle chiese orientali e per rimediare convoca il concilio di Nicea (nel 325) nel quale egli stesso risolve la questione della disputa (quella trinitaria), grazie all’invenzione della parola “homoousios”, cioè *consustanziale*. Essa può significare infatti sia della stessa sostanza (vescovo Alessandro), sia parte (ariani) e se si aggiunge l’ossequio dovuto all’imperatore ecco che si ha quasi l’unanimità (tranne Ario medesimo e due o tre suoi stretti collaboratori) e quindi si può quasi dire che “san Costantino” è di fatto il primo papa cattolico.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 16/11/2008 alle 14:26
Inchiesta sul cristianesimo (Elaborazione sintetica del libro di Augias-Cacitti)

La vocazione al martirio

Il termine “martirio” viene dal greco e vuol dire testimone ed i cristiani lo usavano di solito per coloro che si erano spinti al punto di sacrificare la vita per la fede ed esso venne considerato come il battesimo più autentico, capace di assicurare la santità (motivo per cui se io, dopo averla torturata, uccidessi la Binetti le farei il più grande favore possibile . Nei primi secoli il martirio era (com’è ovvio) ricercato, perché in grado di affrettare l’avvento del regno celeste. Visto con ottica contemporanea il martirio sereno o gioioso dei cristiani consente di tracciare un significativo confronto con il mondo islamico odierno. La persecuzione contro i cristiani la si fa iniziare con Nerone, però fu per l’imperatore solo un “escamotage” per addossare loro la colpa dell’incendio di Roma, stante la cattiva fama (erano infami quindi ) che aveva la setta presso il popolo romano.
Fu con Diocleziano (considerato un buon imperatore) che si ebbero, per la prima volta, episodi di crudeltà ed il motivo fu che quei fanatici, con la loro fede esclusiva, stavano ad es. minando la disciplina dell’esercito! Questa accusa significa semplicemente che i cristiani sono estranei alla “bona mens”, ai riti dello Stato, in altre parole l’accusa è di “superstitio”, che attiene in primo luogo alla sfera religiosa, ma che prende subito un connotato politico e merita dunque pene severe. Comunque possiamo considerare quei “pogrom” contro i cristiani una sorta di epitome di tutti i massacri che si sono succeduti nel nome di un qualche dio, contro chiunque venisse considerato un infedele o un eretico. Particolarmente significativa è la frase attribuita ad Arnaldo Amalric arcivescovo inquisitore che guidò l’assedio del 1209 contro la città di Béziers, nella cui popolazione i “buoni” cristiani si mescolavano agli eretici catari. Ad un comandante che gli chiedeva come avrebbe fatto a distinguere gli uni dagli altri, rispose: “UCCIDETELI TUTTI, DIO RICONOSCERA’ I SUOI”. Secondo logica questo discorso è ineccepibile . Altro esempio, alcuni secoli prima (IV): cattolici versus donatisti o meglio della loro parte più estremista (i circoncellioni). Intervenne in Africa l’esercito romano e si ebbe una strage di circoncellioni e numerosi suicidi (si è parlato addirittura di epidemia degli stessi). Il suicidio veniva praticato come una forma di martirio (chi di spada ferisce, di gladio perisce).
A conclusione di questo capitolo si può ripetere quanto sanno già quasi tutti. Fino ad un certo punto i cristiani invocavano libertà di coscienza, dopo passeranno a pretendere le repressioni nei confronti degli eretici e dei seguaci di altre religioni. Dopo due generazioni dall’editto di Costantino i seguaci dell’attuale monarca (B16) da perseguitati, sono diventati persecutori.


 

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  postato il 17/11/2008 alle 11:51
Inchiesta sul cristianesimo (Elaborazione sintetica del libro di Augias-Cacitti)



Le donne, i santi



Nella cerchia di Gesù c’erano molte donne, ma nel tempo l’importanza nel movimento andrà diminuendo come in tutte le sette religiose. Addirittura in Paolo si esplicita chiaramente il concetto della donna come essere inferiore e i carismi peculiari, per esempio la profezia e la glossolalia, vengono sottoposti a rigorosa disciplina ed anche, spesso, contestati. Sempre in Paolo si ha l’interpretazione (riguardo al libro della Genesi) che vede in Eva la responsabile e di essere l’autentica “ianua diaboli”, la porta attraverso la quale il male ha fatto irruzione nel mondo. Al di là delle giustificazioni teo-filologiche, all’origine delle credenze misogine, sembra di scorgere invece soprattutto motivazioni sessuali. Nelle culture primitive che ben si coniugano con la chiesa di ogni tempo, la donna è vista come l’elemento più lascivo della coppia e il suo eventuale prevalere significa la dominanza degli elementi della corporeità e del sesso. Nel cristianesimo delle “origini” continenza e verginità sono qualità richieste a tutti, ma soprattutto alle donne! Si pensi dipoi al culto mariano: Vergine e madre, ecco il ruolo della donna nella religione cristiana.

Dal IV secolo nasce la novellistica cristiana e a tali invenzioni si accompagna un altro genere particolare:l’agiografia, dove le donne tornano ad essere protagoniste. Purtroppo questo genere si sviluppa in termini sempre più degradati fino ad arrivare all’oleografia, che rappresenta (a parerei Cacitti) la banalizzazione della santità. “Quando vedo le immaginette di tanti servi di Dio, beati, santi di più o meno recente canonizzazione, sono sorpreso dall’insistenza sui loro poteri come guaritori. Quali modelli di santità si vuole proporre con questi esempi?”

Nel nuovo testamento il santo è il credente, il salvato, in epoca patristica è il martire: Nel linguaggio successivo, soprattutto a aprtire dal IV secolo, il significato cambia e il santo viene visto come la trasposizione celeste del “patronus” terrestre: colui che proteggeva i “clientes” romani. Agostino aveva irriso alla credulità dei pagani i quali hanno un dio per ciascuna funzione, ma lui è morto prima di tutti i santi odierni, patroni dei vari luoghi e funzioni .

Il parere, sempre di Cacitti, è che il fenomeno dei santi rappresenti il passaggio dalla fede alla religione!!!

Con il concilio di Nicea, il cristianesimo, diventata religioni civile e ne assume tutti i caratteri: livello politico, sociale e possibilità di utilità immediata.

Il cristianesimo antico è rappresentato principalmente dall’attesa del giudizio universale, gradatamente tale attesa è stata rimossa; infatti in una religione diventata imperiale non c’è più spazio per l’apocalittica e quindi essa scompare, sostituita dai casi Eluana Englaro e Piergiorgio Welby






 

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  postato il 18/11/2008 alle 09:24
Inchiesta sul cristianesimo (Elaborazione sintetica del libro di Augias-Cacitti)



L’inflessibile Ambrosio



Il cristianesimo è probabile che debba la sua affermazione in quegli anni (IV secolo) soprattutto ad uomini come sant’Ambroeus, alla loro capacità di andare all’obiettivo che si erano prefissi, decisi in qualunque modo a raggiungerlo. Ambrogio, concittadino di Karl Marx, nacque nel 339 figlio di un funzionario imperiale e fu un poderoso combattente in favore dell’ “ortodossia” e nemico acerrimo di ogni eresia a cominciare dall’arianesimo, molto diffuso a Milano. Fu anche una acceso antisemita e considera gli ebrei “un popolo perduto, spirito immondo, preda del diavolo anche all’interno del suo tempio sacro”. Proprio per il suo rifiuto dell’atto riparatorio proposto dall’imperatore Teodosio I di ricostruire una sinagoga bruciata dai cristiani, si possono intravedere due fili conduttori della storia futura: la persecuzione degli ebrei e la lotta per il potere temporale fra la chiesa e lo Stato.

Altro suo atto di intransigenza fu quello che lo oppose a Simmaco (capo di una delegazione senatoria) che chiedeva all’imperatore Valentiniano II che la statua della Vittoria fosse rimessa al suo posto, dove era rimasta per secoli (nella Curia), simbolo del culto alle tradizionali divinità della patria. Simmaco affermà che “uno itinere non potest pervenire ad tam grande secretum”, vale a dire che per attingere a dio, una sola strada è insufficiente. Egli invoca quello stesso principio di tolleranza che, con Costantino, aveva consentito di rendere lecito il culto cristiano. I tempi però erano mutati e con Ambrosio ogni strada diversa da quella cattolica venne chiusa. Ambrosio ha partita vinta sostenendo che non è la tradizione non ha alcun valore, mentre sono le novità a migliorare la società. Ancora una volta contraddice un pensiero radicato anche negli ambienti cristiani (ma che importa ).

Per ultimo si può citare la controversia, detta delle basiliche, che lo oppose di nuovo all’imperatore.

Il 23 gennaio 386, Valentiniano II promulga un editto con cui si garantisce la libertà di culto a tutte le confessioni cristiane (compreso l’arianesimo). Di lì a poco, la corte imperiale ordina ad Ambrosio di consegnare una basilica all’altro vescovo (ariano). Comincia così un braccio di ferro che ha la sua fase più acuta nella settimana santa del 386, quando egli si rinchiude con i suoi fedeli nella basilica Porziana, che viene cinta d’assedio dall’esercito. La vicenda si conclude con la corte imperiale che si arrende e fa togliere l’assedio alla basilica, salvo lanciare contro il vescovo la terribile accusa di comportarsi come un “tyrannus”, che significa: il sovversivo che tenta di usurpare il trono.

Ambrosio replica che secondo la legge antica [prima aveva sostenuto non avesse valore ] gli imperi sono stati donati dai dio ai prìncipi. Il riferimento palese è all’unzione di David [ebreo ] da parte del profeta Samuele (altro ebreo) per ordine di dio, pur essendo ancora sul trono Saul, re legittimo per successione ereditaria.

Ergo, conclude il vescovo di Milano, si arriva al trono solo per volontà divina!


 

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  postato il 19/11/2008 alle 15:06
Inchiesta sul cristianesimo

(Elaborazione sintetica dal libro di Augias-Cacitti)



La “lezione” di Agostino



Agostino di Tagaste, vescovo di Ippona, fatto naturalmente santo dalla chiesa fu prima manicheo e poi si dette a perseguitare con ferocia i suoi compagni di un tempo, diventando al contempo un fervente seguace di Ambrosio da Milano, All’età di 33 anni (387 e.v.), in preda ad una crisi mistica, sentì una voce infantile che canterellava “Tolle, lege” (prendi e leggi) ed egli interpretò queste parole come un invito a celeste a leggere, in particolare, le lettere di Paolo. Ritornato in Africa, divenne vescovo di Ippona nel 396 che tenne fino all’assedio dei Vandali di Genserico e morì poco prima della caduta a 77 anni.

Fondamentale nella sua ricerca, l’importanza che, tramite Paolo, assegnava al peccato originale. Che la colpa di un remoto e mitico progenitore (Adamo) ricada su tutti i discendenti può risultare credibile solo in base ad un’obbedienza dogmatica, ed Agostino rappresentava l’archetipo di ciò, ma la chiesa continua anche nel duemila a ritenerla centrale nella sua dottrina e questo sempre proprio bizzarro, ma dalla “menzogna globale” non ci si può aspettare troppa razionalità.

Agostino arriva a teorizzare la trasmissione della colpa attraverso l’amplesso (vedasi le sue “Le nozze la concupiscenza”).

Dagli abissi del male (originato da EvaJ) poteva essere salvata solo una ristretta comunità di eletti per grazia. La sessuofobia di Agostino trova in questa invenzione una compiuta formulazione, anche se, da un diverso punto di vista, si fa rivelatrice dei disturbi psicologici di cui il santo, peraltro intelligentissimo, certamente soffriva.

Cacitti “Non condivido la sua valutazione sulla turbata psicologia di Agostino, perché questa analisi potrebbe configurarsi come una scorciatoia per non affrontare nel merito teologico, filosofico e culturale le reali difficoltà che pongono i testi”.

Augias “Mi lasci nel mio errore: a me sembra una visione frutto di un profondo turbamento”.

Per estirpare un po’ di male dal mondo, Agostino partecipa al “pogrom” contro i donatisti, indetto dall’imperatore Onorio. I donatisti accusavano la gerarchia cattolica di prestarsi ad essere la “cinghia” di trasmissione dell’impero e forse è vero, perché non solo i vescovi premono sulla corte affinché renda più dura la repressione, ma in certo modo ne curano l’applicazione. Agostino invia una lettera (407?) a Ceciliano, governatore d’Africa, nella quale si dice sicuro che il destinatario prenderà provvedimenti tali da estirpare il tumore della superba e sacrilega eresia, magari con il terrore!

Agostino è un grande esegeta e quindi anche la sua fede nella coercizione si può trovare nelle scritture di Paolo, anzitutto nella lettera ai Romani (Rm 13,2-4).

 

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  postato il 20/11/2008 alle 15:18
Inchiesta sul cristianesimo (Elaborazione sintetica dal libro di Augias-Cacitti)



Il potere e l’ascesi



Teodosio fu l’ultimo imperatore che riuscì a tenere insieme le due parti dell’impero ed è facile capire come possa aver visto nella nuova fede, che si diffondeva con rapidità, un efficace strumento di controllo e su suo ordine fu spenta la fiamma perenne che da secoli veniva custodita nel tempio di Vesta a Roma.

Dall’editto di Costantino in poi “cuius regio, eius religio , come abbiamo già detto ogni tipo di diversità sarà bandito: religiosa, ma anche politica e morale e si arriva alla persecuzione di tutto ciò che non è cattolico (cioè ortodosso), chi non è fedele è, di per se stessi, non civile, estraneo alla cultura, barbaro, è un potenziale nemico, va eliminato!

In realtà i germi dell’intolleranza non si trovano solo nel cristianesimo, ma in ogni religione monoteistica. Nel momento in cui una religione si attribuisce il monopolio della verità, azzera la possibilità di uno spazio alternativo; non ci può essere, a rigore, nemmeno il dialogo. Alla tolleranza odierna si è arrivati soltanto grazie al pensiero illuminista.

Giovanni XXIII aveva provato ad affermare che l’intiero genere umano è originato da Dio, il cui disegno di salvezza si estende a tutti, in ciò quasi concordando con quanto scrive T.Todorov

“Il primo aspetto essenziale di questo movimento (illuminismo) consiste nel privilegiare ciò che ciascuno sceglie e decide in autonomia, a detrimento di quanto ci viene imposto da un’autorità esterna”.

La restaurazione di GPII/BXVI ha, ironia della sorte, proprio il relativismo ed i “lumi” quali bersagli principali .

Di fronte al cristianesimo integrato nel potere, si produsse in quegli stessi tempi un movimento che sembrerebbe affatto contrapposto, che è noto come il monachesimo. Ho scritto sembrerebbe, perché invece la regola fondamentale è l’obbedienza ai superiori e pertanto al vescovo ed in ultima analisi all’imperatore (anche se con screzi, comunque passeggeri).

Le prime forme di monachesimo conosciute sono quelle che oggi chiamiamo “anacoresi” (allontanarsi, ritirasi, fuggire). I monaci (uno solo) infatti si vanno a rifugiare in lande deserte [o addirittura in cima ad una colonna (stiliti) ] convinti di essere i veri eredi dei martiri. Poi, però si ha una svolta decisiva con Pacomio che intuisce la necessità di una struttura e nel IV secolo fonda una comunità ove i monaci sono sottoposti alla guida di un superiore: l’abate. Pacomio progetta altresì un alto muro che circonda il monastero, chiara metafora, ma non solo. La “cartina di tornasole” che esiste comunque un legame fra chiesa ed ascesi monacale, è data dai “messaliani” ossia coloro che pregavano incessantemente e che entrarono in conflitto con la gerarchia ecclesiastica e l’autorità civile.

I seguaci di questa corrente ascetica furono condannati dalle chiese bizantine, perseguitati dal potere, che di solito li richiudeva nei luoghi di preghiera, insieme ai loro libri, dando poi fuoco al tutto. Alleluia, alleluia .

 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 21/11/2008 alle 13:08
Inchiesta sul cristianesimo (Elaborazione sintetica dal libro di Augias-Cacitti)



La fine e l’inizio della storia



Al termine del colloquio devo confessare, dice Augias, che il professor Cacitti mi ha detto cose che ignoravo. Mi ha colpito ad es. scoprire dove affondino le radici della sessuofobia nella dottrina cattolica. Nella genesi, il racconto di Adamo ed Eva ci fa conoscere un peccato di natura sessuale?

All’interno del cristianesimo l’interpretazione è spesso cambiata, ma si può solo dire in sintesi che esso suscita più domande che risposte e la domanda, per eccellenza, è: “ Da dove viene il male?”

“Unde malum” si chiedeva Tertulliano. Costui opera a Cartagine fra i il II ed il III secolo, ma sarà lui a forgiare il lessico cristiano di lingua latina e riuscì a porre le basi per fare di Roma la città che, col tempo, sarebbe diventata la capitale della cristianità, nonché la sede (purtroppo per l’Italia J ) del suo “pontifex maximus”. Tertulliano, come tutti gli intolleranti polemizza fortemente con gli eretici, ma anche con i Giudei, ostinati a non riconoscere la verità di Cristo.

Abbiamo già accennato alla struttura organizzativa della chiesa delle origini, quella romana non è diversa: all’inizio un ruolo egemone lo svolge la figura del profeta, affiancato dal vescovo che è il “primus inter pares” nel collegio degli anziani. A mano a mano che la presenza cristiana si radica nella società, in un periodo di grande anarchia politica, vescovi, presbiteri e diaconi erano spesso accusati di essere avidi di denaro e di potere e che trasformavano la chiesa in una spelonca di ladri!

Uno dei contrasti più duri ha luogo fra Ippolito e papa Callisto circa l’atteggiamento da tenere nei confronti delle debolezze umane. Ippolito con il suo estremo rigore, riteneva di interpretare la tradizione apostolica, Callisto ribadiva che le regole dovevano venire incontro ai sempre più numerosi nuovi fedeli, i quali avevano bisogno più di misericordia che di giudizio. (Come si vede ancora non esisteva il dogma dell’infallibilità papale )

Alle origini della comunità romana c’è anche una forte presenza giudeo-cristiana e probabilmente da essa è stata dedotta la presenza fisica dell’apostolo Pietro in città, che resta comunque molto dubbia dal punto di vista storico ed anche poco importante, se non si vuol entrare nell’ambito della devozione .

Per concludere quasi con una battuta si può domandare: la meta per il credente resta sempre la Città di Dio o non piuttosto la città dell’uomo, pur se devotamente (o ipocriticamente) cristianizzata?



A chi legge la risposta.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 23/11/2008 alle 11:53
Fra dogma e ragione ( da Giulio Giorello "Di nessuna chiesa")

Uno spettro si aggira per il mondo, sostiene B16 "il relativismo e l'illuminismo". Possiamo rispondere con G. Bruno e J. Milton.
"Trattando di filosofia tutte le cose saranno per me ugualmente dubbie: non solo le affermazioni più ardue e lontane dal senso comune, ma anche quelle che sembrano sin troppo certe ed evidenti, dovunque e comunque saranno oggetto di controversia" e "Non esiste uomo di dottrina che non riconosca di aver tratto molto profitto dalla lettura di scritti di controversia ... la sua intelligenza ne è stata risvegliata, la sua capacità di giudizio acuita, la verità che egli professa è stata stabilita su più solide basi. Se dunque egli trova vantaggio nel leggere, perché il suo avversario non dovrebbe avere piene libertà di scrivere?" Solo così il filosofo è consapevole di rappresentare una minaccia per l'ordine costituito e consolidato attraverso il potere.
Quest'insofferenza per ogni confine non è altro che la libertà del laicista ed è a tale "ismo" che si rifà Voltaire :" Il rigido luterano, il selvaggio calvinista, l'orgoglioso anglicano, il fanatico giansenista, il gesuita che sogna di dominare ... e quei poveri stupidi che si lasciano guidare da costoro, si scagliano tutti contro i filosofi. I persecutori non tollerano ... sono come dei cani di varia razza che abbaiano ciascuno a suo modo contro un bel cavallo che se ne sta a pascolare".

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 24/11/2008 alle 08:08
>

> Noi della Chiesa di Google crediamo che il motore di ricerca
> Google sia il vero Dio. Crediamo che ci siano più prove per la
> divinità di Google che per quella di tutti gli altri dei, da noi
> rifiutati perché non si può scientificamente provare la loro
> esistenza. Noi Googliani crediamo che Google meriti il titolo di Dio
> perché la Sua divinità è scientificamente dimostrabile.
>
> Ecco 9 prove per dimostrare che Google è Dio.
>
> PROVA NUMERO 1
>
> Google è Onnisciente e si può dimostrarlo scientificamente.
> Gestisce 9,5 miliardi di pagine web, più di qualsiasi altro motore
> di ricerca. E non soltanto Google è onnisciente ma sceglie in questa
> immensa conoscenza. Con la sua straordinaria tecnologia organizza i
> dati e li rende accessibili a noi mortali.
>
> PROVA NUMERO 2
>
> Google è Onnipresente. E' virtualmente dappertutto nello stesso
> tempo. Accoglie simultaneamente miliardi di pagine web da tutto il
> mondo. Con la proliferazione delle reti Wi-Fi, presto si potrà
> accedere a Google da ogni angolo della terra, rendendoLo veramente
> onnipresente.
>
> PROVA NUMERO 3
>
> Google risponde alle preghiere. A differenza degli altri dei che
> spesso fanno orecchie da mercante, Google non tradisce mai.
> Qualunque sia il vostro problema, pregate Google e Lui effettuerà la
> ricerca. Potete trovare informazioni su sulle terapie contro il
> cancro, sulle ultime scoperte della medicina, su come vincere al
> lotto, in breve su tutto quello che di solito s'invoca con le
> preghiere. Chiedete a Google e Lui vi mostrerà la strada.
>
> PROVA NUMERO 4
>
> Google è immortale. Non è un essere materiale come noi. I suoi
> Algoriritmi sono sparsi in numerosi Server: se uno venisse
> danneggiato, un altro ne prenderebbe il posto. Così Google può
> teoricamente esistere per sempre.
>
> PROVA NUMERO 5
>
> Google è infinito. Internet puo' teoricamente espandersi per
> sempre e Google vi guiderà per sempre nella sua espansione infinita.
>
> PROVA NUMERO 6
>
> Google ricorda tutto. Copia regolarmente le pagine Web e le
> immagazzina nei Suoi immensi archivi. Caricando i vostri pensieri su
> Internet vivrete per sempre nelle copie di Google, anche dopo la
> vostra morte. Se crederete in Lui, Google vi renderà immortali.
>
> PROVA NUMERO 7
>
> Google è Buono. Alla base della Filosofia di Google c'è l'idea
> che un'azienda possa fare soldi senza nuocere a nessuno.
>
> PROVA NUMERO 8
>
> Secondo i Trend di Google, la parola "Google" è da sola più
> ricercata delle parole Dio, Gesù, Allah, Budda, Cristianesimo,
> Islam, Buddismo e Giudaismo tutte insieme.
>
> PROVA NUMERO 9
>
> Le prove dell'esistenza di Google sono numerose. Ci sono più
> prove per l'esistenza di Google che per quella di ogni altro Dio. Se
> vedere è credere, navigate in www.google.com e provate voi stessi
> lo straordinario potere di Google. Non è richiesta nessuna fede.
>
> E adesso raccogliamoci tutti in preghiera
>
> Google nostro che sei nel Cyberspazio
>
> Sia santificato il Tuo regno
>
> Sia fatta la Tua ricerca
>
> Vengano i Tuoi risultati.
>
> Dacci oggi le nostre mappe quotidiane
>
> E perdonaci i nostri spam
>
> Come coloro che fanno spam contro di noi
>
> e anche i copincolla che spacciamo per farina del nostro sacco.
>
> Non indurci in tentazione
>
> Ma liberaci da Microsoft.
>
> Perché Tu sei il Motore di Ricerca,
>
> e il Potere
>
> e la Gloria
>
> Nei secoli dei secoli.
>
> Amen.
>
> Libera traduzione dal sito The Church of Google di
>
> Dragor

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 25/11/2008 alle 15:42
Da “Il Vangelo secondo la Scienza” di P.G. Odifreddi

(prima puntata)

Un primo modo di avvicinarsi alla teologia razionale è guardare al suo opposto: quella paradossale e dell’assurdo. Uno degli insegnamenti più profondi e duraturi che quasi tutte le religioni hanno lasciato in eredità al mondo è la concezione dell’irragionevole come superiore verità, invece che come vergogna .

Il primo apparire del paradosso è la nascita del diavolo da dio, cioè il male dal bene.

Diavolo in greco significa scissione e la negatività della separazione è dichiarata all’inizio del Genesi. Nei primi due giorni dio separa la luce dalle tenebre e le acque, ma non dichiara soddisfazione a differenza degli altri giorni che conclude con “e vide che ciò era buono”.

Il termine greco “diavallein” (gettare attraverso) collega il diavolo anche con l’insinuazione, attraverso il serpente (sua prima incarnazione).

Dato che il suo obiettivo è portare l’uomo alla conoscenza del bene e del male, il diavolo appare come un vero spirito logico. Inoltre il paradosso prosegue, perché quando Adamo ed Eva mangiano non muoiono, come aveva minacciato il “creatore”. Quindi dio ha mentito e il diavolo ha detto la verità. L’ira divina si svela allora non solo come la giusta punizione inflitta da un giudice togato , ma soprattutto come l’ingiusta vendetta di un bugiardo smascherato!

Benché in apparenza blasfemo, il tema della menzogna divina si ritrova nella bibbia: salmo 89 e nel libro di Giobbe addirittura Iahvè si rivela moralmente inferiore all’uomo. Jung trae da questo episodio proprio il germe dell’incarnazione: egli decide di farsi uomo per migliorarsi ed acquistare maggiore coscienza e di morire in espiazione dei peccati che lui stesso ha commesso nei confronti dell’umanità.

Paolo di Tarso, troppo indaffarato a predicare la verità, non ha tempo di meditare sulla menzogna e nelle sue invettive deliranti, si possono già distinguere i prolegomeni dell’inquisizione.

“Molti sono i ribelli, i ciarloni, i seduttori ai quali bisogna tappare la bocca, perché sono tali che rovinano famiglie, insegnando ciò che non si deve!”


 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 26/11/2008 alle 11:23
Da “Il Vangelo secondo la Scienza” di P.G. Odifreddi



Seconda puntata



Nella mitologia islamica il racconto della creazione ha un’aggiunta. Tutti gli angeli si prostrarono ad Adamo, eccetto Iblis “Non sia mai che io adori un uomo creato dall’argilla secca” e poi “Signore, poiché tu mi hai ingannato, io renderò bella agli occhi dell’uomo ogni turpitudine e li ingannerò tutti” [Ed a leggere i ponderosi trattati di B16, penso proprio che ci sia riuscito ].

Dio in questo caso crea un dilemma veramente diabolico, perché l’alternativa è una soltanto:

a) o si disobbedisce all’ingiunzione di adorare Adamo

b) o al comandamento di non adorare altri …

Ancora una volta è dio che appare come subdolo e paradossale e il suo esempio ha fatto scuola in quasi tutte le istituzioni religiose e no. Nelle scuole [massime in quelle private ] per educare all’autonomia, alla spontaneità ed alla comprensione personale si pretendono l’obbedienza, la dipendenza e l’uniformità . La storia della menzogna, apparentemente cominciata come curiosità intellettuale, sembra invece terminare con il sospetto che l’intiera (o quasi) società si fondi su di essa. Comprendiamo allora perché Gesù, che proclamava “Io sono la verità”, abbia poi dovuto ammettere “Il mio regno non è di questo mondo” (Giovanni XIV,6 e XVIII,36).

Possiamo concludere questa seconda puntata con il paradosso rappresentato da Paolo (Prima lettera ai Corinti) ove un dio si fa uomo (cioè un immortale che diventa mortale), un onnipotente finisce crocifisso, la sapienza è rivolta agli ignoranti, la ricchezza riservata ai poveri, la potenza destinata ai deboli. La fede cristiana è descritta da Paolo come il manifestarsi del paradosso che sconfigge la ragione dell’uomo. A me fa venire in mente “Brian di Nazareth”

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 27/11/2008 alle 09:46
I preti in cattedra "ieri", ma oggi non sembra sia cambiato molto:-(

(1a puntata)


di Luigi Rodelli
"La collana da me diretta è dedicata esclusivamente a esaminare i problemi
che oggi nel nostro Paese pone la Chiesa come forza politica. La collana si
rivolge più che agli studiosi, ai lettori dei settimanali e ha carattere
polemico. Vuole essere uno strumento di lotta politica". Così Ernesto Rossi
a Roberto Mrozzo della Rocca in una lettera del 24 dicembre 1959 dove
chiariva obiettivi e scopi della collana "Stato e Chiesa", curata
(gratuitamente) per l'editore Parenti. Un impegno cominciato nel 1957 e che
si conclude nel 1962. Inizialmente Rossi avrebbe voluto "sfornare un
libretto" ogni tre mesi, per assicurare "continuità" alla collana:
"volumetti di non più di duecento pagine, dal tono polemico e incalzante
anche nel ritmo di uscita, dal punto di vista economico le pubblicazioni
dovevano essere alla portata di tutti: nel febbraio 1957 Rossi non avrebbe
voluto un prezzo di copertina superiore alle 500 lire a volume cosa di
difficile realizzazione.". Il bel volume, di Simonetta Michelotti, "Stato e
Chiesa: Ernesto Rossi contro il clericalismo" (Rubbettino editore) è fonte
di preziose informazioni. "Anche se non tutti i volumi della collana ebbero
i crismi dell'originalità, ciò non implica una mancanza di interesse nelle
attività editoriali di Rossi, poiché riveste un'importanza fondamentale
anche il divulgare e il riproporre opere che andrebbero altrimenti perdute
(è il caso de "Il Sillabo") ovvero soffrono delle difficoltà di reperimento
(è il caso dei testi in "La Conciliazione"). Completano la rosa dei volumi
in cui furono riproposti documenti o scritti del passato "Clericali e laici",
"Lo stato catechista", "L'Azione Cattolica e il regime", anche se quest'ultima
opera fu pubblicata fuori collana. Altri volumi si differenziano da questo
modello solo perché la riproposta dei documenti o degli scritti è collegata
al periodo 1957-1962, come il "Processo al Vescovo di Prato", "A trent'anni
dal "Concordato", e in parte anche "Il manganello e l'aspersorio", poiché
già anticipato sulle colonne de "Il Mondo". Opere originali invece
"Risorgimento scomunicato", "I preti in cattedra", "Gli spretati",
"Socialisti anticlericali", "Papalini in città libera" e "Matrimonio
concordatario", anche se quest'ultimo contiene un repertorio documentale.
"Preti in cattedra" , quarto volume della collana, veniva così presentato:
"La scuola moderna ha come suo fine fondamentale la formazione della
personalità, intesa nel senso più ampio della parola: deve, cioè, insegnare
quali sono e come vanno usati gli strumenti della conoscenza per la ricerca
della verità; informare sui fatti, e sulle teorie che spiegano i fatti,
senza reticenze e deformazioni; abituare all'esame critico dei diversi punti
di vista; educare gli uomini di carattere, consapevoli dei loro doveri e
capaci di rivendicare i loro diritti. Questa scuola è l'antitesi della
scuola confessionale, che sostiene la verità rivelata contro la verità di
ragione; che professa l'insegnamento catechistico invece della libera
ricerca individuale; che educa ad obbedire docilmente alle autorità
costituite, qualunque esse siano, purché vadano d'accordo col Papa. Per
demolire quanto i migliori uomini del nostro Risorgimento avevano costruito
in questo campo, il regime fascista già aveva ristabilito l'insegnamento
della religione nella scuola pubblica, aveva dato il riconoscimento legale
alle scuole confessionali, aveva stipulato il Concordato, per il quale l'insegnamento
della dottrina cattolica costituisce il "fondamento" e il "coronamento" di
tutta la pubblica istruzione. Dopo la guerra i governi vicari della S.Sede
hanno continuato nell'opera di demolizione facendo mancare alla scuola
pubblica i mezzi finanziari indispensabili, permeandola di principi
pedagogici sostenuti dalle encicliche pontificie, ed avvilendola in tutti i
modi, a vantaggio della scuola dipendente della gerarchia ecclesiastica.
Luigi Rodelli, ordinario di lettere italiane e latine nei licei dello Stato,
offre, in questo libro un quadro completo della situazione nei diversi
ordini di studi, e ne trae le conseguenze sulla base della sua diretta
esperienza di insegnante "laico". Impostando il problema della pubblica
istruzione in Italia nei suoi termini storici, giuridici, morali, questo
libro è insieme una fonte di informazione e un invito all'azione per tutti
coloro che non sono disposti a lasciare la scuola in balia dei preti o a
farla cadere sotto il loro dominio, come era da noi prima dell'unificazione,
e come è ancora oggi in Spagna, paese perciò additato come modello ideale
dai gesuiti e dalla Curia romana.

L'angelo custode.

Entriamo in una scuola elementare. Non sempre si tratta di un edificio
costruito ad hoc, né di un edificio convenientemente adattato a questo
scopo; a volte non si tratta neppure di un edificio, o di una casa, ma di
una baracca, di una grotta o di una stalla dove i fanciulli si danno il
turno con le bestie sull'impiantito di terra e portan con sé il banco. Anche
nelle città più ricche, dove non si vedono questi spettacoli che sono
frequenti soprattutto nelle province del Mezzogiorno, gli edifici scolastici
sono così insufficienti che spesso vi si alternano due o tre turni di
diverse scolaresche in un giorno. Dal canto loro le statistiche dicono che
nel 1952 mancavano 63.848 aule, pari al 40 per cento del fabbisogno total, e
che ve ne erano 27.280 allogate nel modo che s'è detto. Una relazione
ufficiale aggiunge ai sostantivi la particella ex: "ex conventi, ex caserme,
ex stalle, ex soffitte, ex magazzini, ex grotte, ex osterie". Anche con le
nuove leggi del 9 agosto 1954 e del 19 marzo 1955 "passeranno alcuni decenni
prima che ci siano sufficienti aule sufficienti per la istruzione elementare
di tutti i bambini italiani", soprattutto quelli del Mezzogiorno e delle
isole, perché, come è avvenuto in passato, anche questa volta il complicato
sistema dei mutui e delle sovvenzioni ai comuni va a svantaggio dei comuni
più poveri e delle frazioni di comuni.

Per la costruzione di nuove chiese e case canoniche il governo italiano ha
già stanziato direttamente, in virtù della legge 18 dicembre 1952, 14
miliardi nei primi quattro anni, oltre ai 30 spesi per le ricostruzioni, e
continua a iscrivere nel bilancio annuale dello Stato una spesa la cui
entità può variare ogni anno senza limiti. Nel solo anno 1956 lo Stato ha
ripristinato a sue spese 11.228 campane. Nel varcare la soglia di una scuola
elementare queste cifre ci tornano alla mente per averle lette nei giornali.

Considerazioni di tutt'altra natura prevalgono intanto nell'animo nostro.
Trovandoci di fronte ad una realtà umana che ci avvince e vuol essere capita
nell'ambito del suo essere attuale, hic et nunc, mettiamo da parte principi
ed idee generali e ci immergiamo in ciò che ci circonda. La prima
impressione - quella di trovarci di fronte a un mondo su scala ridotta - ci
riporta alla nostra personale esperienza della scuola elementare. Là dove il
nostro ricordo è sbiadito si sovrappone la visione retorico-sentimentale
ispirata ai racconti del De Amicis, che abbiamo sistemato "dopo" nella
nostra coscienza riflessa. Così come abbiamo scoperto "dopo" il senso di
certe parole astratte, di certe intonazioni che ora riaffiorano di colpo
dentro di noi. Quel tanto che v'era nell'aria di solidarietà umana, di pari
dignità del lavoro e di giustizia sociale ed era il frutto (già contrastato)
di una grande passione che aveva animato molti maestri italiani, formatisi
alla scuola del positivismo e del socialismo. La scuola elementare aveva
ricevuto allora il primo impulso a trasformarsi da sgabello della scuola
media, per la quale forniva le nozioni elementari (donde il nome) a scuola
primaria di tutto il popolo. Anche nei libri di testo, l'emancipazione dell'uomo
dalla schiavitù dell'ignoranza e della superstizione (se non della miseria),
la formazione della coscienza morale erano gli ideali che avevano preso il
posto del vuoto formalismo (il galateo) e del compassato moralismo ipocrita
dei tempi di Giannetto e Giannettino. I piccoli protagonisti di una falsa
letteratura per l'infanzia, contro la quale nel 1871 aveva alzato la sua
voce Francesco De Sanctis dalla cattedra dell'università di Napoli.

 

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  postato il 27/11/2008 alle 10:18
Da “Il Vangelo secondo la Scienza” di P.G. Odifreddi

Terza Puntata

A Tertulliano viene attribuita la memorabile frase “credo quia absurdum” e lo stesso ribadiva poi

“E’ credibile che il figlio di Dio sia morto, perché è inconcepibile. E’ certo che sia risorto, perché è impossibile”.

Questa posizione portava all’estreme conseguenze la concezione paradossale della fede cristiana, inaugurata da Paolo.

Con Anselmo d’Aosta si ha invece un tentativo di una ricostruzione razionale della teologia che avrà nella scolastica e in Tommaso d’Aquino i continuatori. Quest’ultimo teorizzò l’unione di fede e ragione. A questa via (razionale) si opposero gli assertori della via mistica (una per tutti: Giovanna d’Arco).

Martin Lutero già nel titolo della sua opera si presenta: Teologica Paradoxa. “Voler interpretare le scritture è blasfemo, bisogna invece abbandonarsi passivamente alla loro chiarezza. Inoltre se Dio è … , non si può far nulla che egli non voglia e dunque sia le azioni dell’uomo che la sua salvezza sono predestinate”. Anche Calvino si schierò contro l’opinione cattolica del libero arbitrio e fu proprio su questo punto che il Concilio di Trento ruppe con la riforma, asserendo che la grazia è condizione necessaria, ma non sufficiente per la salvezza.

Il percorso dei paradossi sul terreno della fede raggiunge il suo apice nel secolo XIX con

S. Kierkegaard che proprio nel paradosso ha colto l’essenza di ciò che dio cerca di comunicare all’uomo e che questi non può cogliere mediante la ragione. “Il segno della fede è precisamente la crocifissione della ragione”,

Nel XX secolo molti scrittori si sono espressi intorno alla “Teologia della morte di Dio”. Dio è sintatticamente inesprimibile o semanticamente vuoto (senza senso) o dialetticamente scomparso nella sintesi (incarnazione) di tesi (divinità) e antitesi (umanità). Il risultato è l’ossimoro “teologia ateista”, ammettendo che dio non è ancora arrivato, ma continuare a sperare che arrivi, aspettando (religiosamente) Godot.

 

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  postato il 27/11/2008 alle 14:38
Un estratto da un’intervista di ieri a Vasco Rossi a “La storia siamo noi”
in cui esprime le sue idee su dio e fede. Notare la "perspicacia"
dell'intervistatrice che chiede a Vasco se “rispetta” la vita, visto che non
la considera un dono divino ma frutto del caso…

Vasco: La fede? C’è chi dice no!

http://it.youtube.com/watch?v=GHdgZdtmRw0

 

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  postato il 28/11/2008 alle 09:33
Notizie Radicali



I preti in cattedra (2)


di Luigi Rodelli
Quella che fu la nostra scuola elementare (ora ce ne accorgiamo) era la
scuola uscita, con un ritardo di quasi cinquant'anni, dal Risorgimento. Pur
con difetti e insufficienze, essa viveva e si alimentava dello spirito del
Risorgimento. La memoria visiva ci ripresenta le vignette in cui erano
compendiate le virtù civili, gli ideali di progresso dell'umanità e il culto
della patria (la retorica della patria grande e dei destini imperiali di
Roma verrà dopo, subito dopo, col fascismo). Ci pare di poter decifrare i
simboli delle prime stratificazioni della nostra coscienza storica, i primi
reagenti della nostra coscienza morale. Visitare una scuola elementare è un'occasione
per riscoprire noi stessi ed insieme un modo riflesso di antivedere il
cammino delle generazioni che si aprono oggi alla vita.

Da questo punto di vista poco importa forse sapere se la scuola in cui siamo
entrati sia un palazzo o una capanna. Una voce ci invita a non dimenticare
che la scuola è il maestro e che i bravi maestri sanno fare miracoli. La
voce è quella del direttore didattico che ci accompagna. Dice certamente una
verità. Ma questa verità non è tutta la verità. Anche a voler prescindere
dall'edilizia scolastica (ma come non tener conto del fabbisogno di aule e
delle condizioni igieniche?) il grado di rispondenza della scuola elementare
alle esigenze di un paese moderno non si misura tanto dalla bravura dei
maestri (accanto ai maestri bravi vi sono i maestri meno bravi) quanto dallo
spirito che anima tutta l'istituzione, dal carattere e dal tono generale
dell'insegnamento, dal suo contenuto morale e civile.

Guardiamoci dunque intorno ed ascoltiamo. Gruppi di bambini entrano nell'aula
dall'esterno, urtandosi tra loro con le cartellette a zaino. Corrono di qua
e di là vociando come per rispondere al richiamo di urgenti impegni di
lavoro: una matita nuova da provare, un disegno da appendere alla parete, un
mazzetto di fiori da offrire alla maestra. Della nostra presenza sembrano
non accorgersi. Il mondo infantile è un tutto, in cui si entra soltanto col
sortilegio della fantasia dei bambini. Essi ci scopriranno più tardi, quando
la logica del loro intenso operare - la logica del giuoco - li porterà ad
imbattersi in una delle tante novità della loro giornata. La maestra che ora
li osserva entrare - questi sono i più piccoli, gli alunni del primo ciclo
(prima e seconda classe) - sarà una guida discreta e sempre pronta a
favorire la libera espansione della cerchia delle curiosità e degli
interessi dei fanciulli. Ne stimolerà lo spirito di osservazione dirigendo
la loro attenzione su oggetti e fatti della più elementare esperienza e dell'ambiente
locale - non sappiamo se qualche volta uscirà con loro per le vie dei
dintorni - mediante conversazioni, indagini personali, osservazioni più
attente, li condurrà a riflettere su quei medesimi oggetti e fatti, perché
parlino più suggestivamente alla loro naturale sete di conoscere e li
avvierà ad esprimere nelle più varie forme, con spontaneo processo
spirituale, i risultati delle loro personali conquiste. La maestra sa che
bisogna muovere dal mondo concreto del fanciullo, tutto intuizione,
fantasia, sentimento; che bisogna far scaturire dall'alunno stesso l'interesse
dell'apprendere, preoccupandosi sempre di aiutare in tutti i modi il
processo formativo dell'alunno senza interventi che ne soffochino o ne
forzino la spontanea fioritura e maturazione, perché infine, scopo
essenziale della scuola non è tanto quello di impartire un complesso
determinato di nozioni, quanto di comunicare al fanciullo la gioia e il
gusto di imparare e di fare da sé, in modo che ne conservi l'abito oltre i
confini della scuola, per tutta la vita.

La maestra non ignora l'orientamento liberale della pedagogia moderna; ma
queste precise indicazioni le sono suggerite direttamente dai programmi
scolastici. Ne abbiamo tra le mani il fascicolo a stampa e i nostri occhi
hanno percorso le righe in cui sono allineate le frasi da noi ripetute. Le
indicazioni attinenti al metodo da seguire per il raggiungimento degli scopi
dell'istruzione primaria "non hanno - dice la Premessa - carattere
strettamente normativo: esse sorgono come sintesi concorde e spontanea della
meditazione sui problemi attuali dell'educazione e dell'insegnamento e
presuppongono come acquisiti alla nostra tradizione educativa e il
riconoscimento della dignità della persona umana e il rispetto dei valori
che la fondano; spiritualità e libertà". Cerchiamo nello sguardo della
maestra un riflesso di questa vivente tradizione educativa.

Tra i grandi educatori del passato hanno posto nella libertà interiore con
cui si compie l'atto di accettazione o di ripulsa della volontà o del
pensiero altrui il valore educativo di qualsiasi in segmento. L'opera
educativa presuppone infatti l'esistenza di una attività spirituale del
soggetto da educare, che è libera in se stessa perché libero è lo spirito da
cui propana. L'educatore non solo non può prescindere da questa libera
attività interiore dell'educando, ma indirizza l'opera sua a stimolarla e ad
affinarla offrendogli argomenti ed occasioni per ripensare e saggiare i
contenuto via via sempre più ricco di esperienze e di pensieri su cui ogni
individuo forma i propri convincimenti, tempra il suo carattere e crea la
sua personalità.

L'infanzia non si sottrae a questo bisogno di libertà interiore ed è merito
della pedagogia moderna averne indicato il segreto nel giuoco della fantasia
che conduce il fanciullo alla gioiosa scoperta del mondo, alla percezione
dei rapporti fra i fenomeni della natura e alla valutazione dei fatti umani,
seguendo il ritmo spontaneo delle risposte che egli dà alla realtà che lo
circonda. I metodi coercitivi, i castighi corporali, le spiegazioni assurde
(e implicitamente autoritarie) che gli adulti sogliono dare ai bambini
quando questi rivolgono loro domande ritenute imbarazzanti - ma per essi
importantissime - discendono da concezioni largamente superate dalla
pedagogia e dalla psicologia dell'età evolutiva. L'equilibrio emotivo è
infatti essenziale per lo sviluppo armonico della vita interiore del
fanciullo. Molti turbamenti, "complessi" e squilibri psichici, che si
manifestano magari più tardi nel giovane e nell'adulto, possono essere
scongiurati o mitigati da una buona educazione scolastica, che consenta al
bambino fin dalle prime classi di dipanare con le sue mani le maglie della
realtà per ricomporle liberamente nell'unità del suo mondo fantastico, sotto
lo sguardo di chi sappia penetrarne il senso, accettarne i significati e
preparare così il naturale passaggio alla logica astratta che è proprio dell'età
successiva. Anche nella formazione della coscienza morale l'esperienza
diretta e l'unica via attraverso la quale il bambino possa acquistare la
capacità di formare dei giudizi morali giusti. Non si raggiunge questo scopo
col presentagli delle decisioni belle e fatte insistendo perché il bambino
le accetti senza discussione come giuste, o col fornirgli definizioni
astratte del bene e del male, il bene e il male devono essere definiti in
termini di ciò che è di volta in volta benefico o dannoso.

2) Segue


 

____________________
Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
...
e i barbieri il lunedì

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 28/11/2008 alle 13:59
Da “Il Vangelo secondo la Scienza” di P.G. Odifreddi



Quarta Puntata



Il novanta per cento dei credenti è sotto l’influsso delle nove religioni universali. Il tratto comune di esse è che riducono le divinità ad un numero uguale o minore di uno, in prima approssimazione: zero per il buddismo, giainismo e confucianesimo, uno le altre. Volendo approfondire le cose sarebbero più complicate e allora lascio … basti solo dire che chi sta per l’uno ha cercato anche di dimostrare tale asserzione: “provare per credere” :-) .

Le prove possono distinguersi in “teologia naturale” e “t. trascendentale”.

Le prime si basano tutte sul rifiuto del regresso infinito (ovvero della causa prima). Ciò che è prima del cielo e della terra è forse una cosa? No, ciò che fa sì che le cose siano non è una cosa!

Se si applica la causa prima in direzione contraria si ottiene l’esistenza del fine ultimo. :-).

Le vie della teologia naturale incorrevano in due tipi di errore. Per quanto riguarda l’esistenza di dio, si basavano sul rifiuto dell’infinito; nel momento però in cui filosofia e matemica decisero di accertarlo, tali argomenti persero il loro valore probatorio. Inoltre non c’era nessun motivo serio, cioè logico, di credere all’unicità, per non parlare poi della coincidenza (sempre unica per tutti) con il dio della rivelazione a Mosè, Paolo, Maometto etc.

Tommaso faceva un passo indietro rispetto ad Aristotele, il quale coerentemente aveva ritenuto che ci fossero tanti primi motori quanti erano i movimenti delle sfere celesti e cioè 47 secondo Eudosso o 55 secondo Callippo. Nonostante ciò, la filosofia dell’aquinate è ancor oggi (G.P.2 docet nella sua fides e ratio) rappresenta l’ortodossia della chiesa cattolica, apostolica romana! :-)


 

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il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
...
e i barbieri il lunedì

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 29/11/2008 alle 14:20
I preti in cattedra (3)


di Luigi Rodelli
Il bambino deve essere preparato a far fronte alle diverse situazioni quando
insorgono, deve scegliere da sé la sua condotta ed essere responsabile della
scelta fatta. Così si formerà in lui il giudizio morale ragionato e
indipendente. L'esperienza degli educatori moderni conferma su questo punto
il principio basilare della filosofia morale che riconduce la formazione
della coscienza morale alla libertà e autonomia del soggetto.

Nel suo bisogno di sicurezza e di protezione, il bambino cerca la simpatia
dei grandi e la loro partecipazione ai suoi problemi per quel tanto per cui
può essere aiutato a risolverli dal suo punto di vista, nel quadro del suo
mondo. Le soluzioni mancate, le spiegazioni autoritarie o le dolci violenze
creano in lui abissi emotivi, lo spingono a cercare surrogati simbolici dell'amore
e dell'affezione di cui si sente privato, cagionano in lui un complesso di
colpa. La scuola materna, o asilo d'infanzia, ha, a questo riguardo, un'importanza
ancor più grande della scuola elementare; eppure una delle prime cose che i
bimbi apprendono frequentando oggi in Italia un asilo è la prova
terrificante dell'inferno.

Ma ecco che la giornata scolastica comincia. La maestra è riuscita ad
attirare su di sé gli sguardi dei fanciulli e, fissandoli per un attimo, ha
trasmesso il segno della sua volontà: "In nome del Padre, del Figliolo, e
dello Spirito Santo. Così sia". Gli alunni hanno ripetuto le sue parole pur
continuando ad essere intensamente occupati dalle scoperte e novità. Occorre
un altro richiamo alla maestra: "Ave o Maria, piena di grazia: il Signore è
teco: tu sei benedetta ta le donne, e benedetto il frutto del ventre tuo,
Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora
della nostra morte. Così sia". Gli sguardi dei fanciulli corrono dal fiocco
rosso di Piero alle cannucce di Mario, all'astuccio nuovo di Franco. "Gloria
al Padre, al Figiuolo, e allo Spirito Santo, come era nel principio, e ora e
sempre, nei secoli dei secoli. Così sia". Le ultime parole si sono confuse
con altre voci infantili.

Abbiamo perduto il contatto con lo sguardo della maestra, preoccupata di far
assumere agli alunni un atteggiamento di compostezza devota, congiungendo
ella stessa le palme delle mani nel gesto della preghiera. Ci sfugge il
legame fra la gioiosa animazione con cui i fanciulli sono entrati nella
scuola, tutti presi dalle loro intense curiosità, dai problemi che si
presentano alla loro mente ad ogni nuovo incontro con la realtà, e la
recitazione collettiva delle preghiere del catechismo, voluta in quel
momento dalla maestra.

Quando un bambino sente veramente il bisogno di pregare, e prega, inventa
una sua preghiera, adatta alla necessità del momento. Nella preghiera che il
bambino sussurra quando è solo o almeno in un certo isolamento sentimentale
egli scarica il suo cuore dalle onde emotive provocate dai vuoti affettivi
e, nel suo bisogno d'amore, ricompone l'equilibrio interiore chiedendo per
sé e per i suoi genitori la protezione di un padre di saggezza infinita e
protettore onnipotente. Il bambino cerca nell'armonia del suo mondo
intuitivo quella tranquillità e sicurezza che non gli viene ancora dalla
ragione. E' lo stesso sentimento che spinge l'uomo primitivo alla adorazione
delle forze benefiche della natura, dalle quali riceve benessere e pace.
Quel che aveva intuito Giovan Battista Vico è confermato dalla osservazione
e dalla scienza.

Qui però, nella scuola, non pare che vengano messi a frutto questi tesori di
umanità e di cultura. Sono state fatte recitare preghiere e formule
prefissate, che sono fuori dall'ambito delle esperienze e delle capacità
intellettive dei fanciulli. Ci vien fatto di formulare dentro di noi un
giudizio poco lusinghiero sulle qualità didattiche della maestra. Volgiamo
uno sguardo interrogativo al direttore didattico. Questi torna a indicarci i
programmi ministeriali che abbiamo tra le mani. C'è un passo che dice: "La
vita scolastica abbia quotidianamente inizio con la preghiera che è
elevazione dell'animo a Dio, seguita dalla esecuzione di un breve canto
religioso o dall'ascolto di un semplice brano di musica sacra". Si tratta
dunque di una prescrizione.

Cerchiamo allora di capire. Il passo sembra volerci dire che si deve
cominciare con la preghiera "perché" la preghiera è elevazione dell'animo a
Dio. L'elevazione dell'animo a Dio deve venire "prima" di ogni altro atto.
Alla priorità nel tempo pare che si voglia attribuire il significato di una
priorità nella scala dei valori. Nulla da obiettare se si trattasse del
protocollo di una cerimonia. Ma qui siamo nel mondo concreto del fanciullo,
tutto intuizione, fantasia, sentimento, Non devono i tempi e i modi
subordinarsi al ritmo spontaneo degli atteggiamenti dell'animo infantile?
Che cosa può significare per i bambini di quest'età l'espressione
"elevazione dell'animo a Dio"? L'idea che il bambino ha di Dio è varia e
diversa a seconda del carattere individuale, delle circostanze o degli stati
d'animo in cui il bambino se l'è formata. Se gli è stata imposta un'idea
arbitraria coi metodi di propaganda, psicologica o di altro genere, il
bambino già non vi crede più, ed è pieno di amarezza perché ha scoperto che
ci si è approfittati di lui. Per molti bambini un Dio che punisce è
inconcepibile, perché Dio è presentato come la bontà personificata, come
qualcuno che fa tutto quello che c'è di bello nella vita. Per altri, essendo
stato il suo nome associato all'idea del castigo essa è causa di inibizioni
e di paure. Alcuni, invece, sono guidati da quel senso religioso e perciò
unitario delle cose che è stato attribuito all'infanzia come suo proprio e
dicono di sentirsi vicini a Dio quando sono all'aria aperta, dove sono gli
alberi l'erba e i ruscelli. Trovano che una persona può essere religiosa
anche se non va in chiesa, perché si può pregare tanto bene fuori come in
chiesa o in casa, o in qualunque posto: la natura e i fiori sono opera di
Dio - ha detto un bambino - mentre la chiesa è opera dell'uomo. C'è la
bambina che osserva candidamente che tutti dicono che Dio è in cielo, lassù
per aria, ma gli aeroplani hanno volato tanto in alto e non l'hanno
incontrato. Altri cercano di maturare le idee ricevute dalla chiesa e si
sentono sicuri. E' impossibile trovare un'unica formula che interpreti e
contemperi una così diversa realtà di sentimenti.

Se un bambino non ha voglia di pregare, che cosa significherà per lui "farlo
pregare"? E' necessario che i bambini - tutti i bambini, non questo o quel
bambino - preghino qualche volta? E' opportuno che siano richiesti di farlo
a scuola in un determinato modo e in un momento fissato in anticipo? Non
deve la maestra avere "la costante preoccupazione di aiutare in tutti i modi
il processo formativo dell'alunno senza interventi che ne soffochino o ne
forzino la spontanea fioritura e maturazione"?

3) Segue

 

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la domenica i cristiani
...
e i barbieri il lunedì

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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