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Autore: Oggetto: A colloquio con Enzo Vicennati su “Era mio figlio”….

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 11/04/2008 alle 19:16
Per alcuni è stata una conferma, per altri, invece, una coinvolgente sorpresa: un libro come “Era mio figlio”, ha donato ai lettori, anche a quelli da non definirsi principalmente pantaniani, una lettura piacevole, coinvolgente, scritta da una penna abile, calda, da scrittore vero. Qualcuno direbbe: da romanziere, capace di sviluppare un saggio, attraverso l’armonia propria del cantastorie. Il protagonista è ovviamente Enzo Vicennati, un giornalista che mi è sempre piaciuto definire non comune, proprio perché in grado di raggiungere gli acuti della professione, senza dimenticare il rispetto che si deve alla sostanza del visto, alle consistenze degli interpreti da raccontare, che rimangono i veri protagonisti; all’esigenza di non aprire campagne per sviluppare propri teoremi. Una realtà per nulla maggioritaria, purtroppo, nel giornalismo di oggi. I ricordi di mamma Tonina, hanno così trovato, mi si permetta, il fuoriclasse che serviva al racconto del grandissimo figlio, senza rielaborazioni ed incanti meccanicamente costruiti. Ne è uscito uno spaccato di letteratura, perché “Era mio figlio” lo è, in ogni angolo delle sue 286 pagine.

Bèh….caro Enzo, avendo conosciuto Marco e ben sapendo quante pedalate avete consumato assieme, mi sembra di sentirlo, mentre ti dice: “In bicicletta non sei molto distate da un modesto, ma con la tastiera sei un campione. Mi hai fatto vivere delle belle sensazioni, te ne sono grato, ormai potrei dirti…come sempre!”

Grazie. Devo dire che non immaginavo che il libro avrebbe suscitato così tante emozioni in persone così diverse. L’idea di partenza era proprio quella di raccontare la storia di un uomo e non solo di un corridore, affinché la stessa storia arrivasse al pubblico più ampio possibile. Forse ci siamo riusciti e questa è la soddisfazione più grande. In fondo, il pubblico del ciclismo conosceva Marco e ha imparato a rivalutarlo. La gente comune invece è quella che è stata fuorviata dalle campagne di stampa un po’ troppo di parte ed è piacevole sentirsi dire da ragazzini o casalinghi: non sapevo che la sua storia fosse proprio così…

Quando Tonina ti ha chiamato per chiederti di scrivere questo libro, sicuramente ti sarà subito giunta l’esigenza di fare delle scelte e tu hai imboccato una via che non era proprio la più immediata. Ad esempio, poteva essere più semplice quella di un testo di denuncia sui motivi della sua lunga via crucis. Perché hai scelto di raccontare Marco Pantani, andando così a sfidare quelle presunzioni di ovvio, di cui tanti, magari attraverso altre chiavi della comunicazione, parevano aver elevato?

Avevo una gran paura che Tonina volesse fare un libro in risposta alla Ronchi e non mi andava di diventare il suo portavoce acritico. E’ quello che le dissi subito, ma lei capì perfettamente le mie ragioni e mi lasciò carta bianca. Per inquadrare la storia di Marco bisognava raccontarla tenendo conto di tutte le sfumature che potevano aver formato il suo carattere e la sua natura. Purtroppo abbiamo anche dovuto correre un po’, perché altrimenti il racconto avrebbe potuto essere più approfondito. Se avessimo fatto una semplice denuncia della via crucis, avremmo persa la credibilità che viene dal racconto di fatti concreti. Il libro è un lungo, allegro e inquietante elenco di fatti, di pillole di realtà, attraverso cui volevo scolpire la figura di Marco. Alcuni dopo averlo letto, persone che conoscevano Marco, hanno detto che manca qualcosa. Che manca la parte del Marco trasgressivo, che ad esempio fra il Giro e il Tour del 1998 se la godette e fece un miracolo per tornare in condizione. E’ vero, forse si poteva indugiare di più sulle… marachelle. Tuttavia ho ritenuto bastasse dire che Marco Pantani non era un santo, che sapeva vivere nel mondo e gli piaceva sperimentare, perché ai miei occhi la passione che metteva nel suo mestiere non è mai stata intaccata minimamente, almeno fino al 2000, dalle distrazioni del mondo pagano.

Nel libro, hai evitato di fungere da cassa di risonanza verso teorie non dimostrabili. Hai percorso i dubbi sullo spiegato delle vicende di Marco, col grande merito dell’equidistanza, di chi non ha la verità in tasca e si pone delle domande, come del resto se le è sempre poste lo stesso Pirata. In altre parole, non hai fatto come taluni paladini dell’ufficialità, fra i quali diversi tuoi colleghi, che dimostrano, oggi come ieri, un irrefrenabile antipatia o eufemistico fastidio, di fronte a chi, in qualche modo, parla di Pantani senza bollarlo a prescindere. Vien quasi naturale pensare che la storia di Marco sia uno scheletro nell’armadio di troppi, o un semplice segno d’errore che non si vuole ammettere, perché lo si vede come una crepa alla propria credibilità. Che ne pensi?

Mi sono sempre chiesto, continuando a sentirmi il giovane e ingenuo nel gruppo dei colleghi, per quale motivo si sia concesso così poco spazio alla difesa di Marco dopo Campiglio e si sia sposata subito la teoria del doping. Al comando di un ipotetico mio giornale, avrei esaminato tutte le strade possibili, pur nel segno della fermezza. Purtroppo con Marco si è innescato lo stesso meccanismo che, ad esempio, volle Mia Martini maledetta a vita. A Campiglio, giusto o sbagliato, qualcuno ha deciso che Pantani dovesse diventare l’emblema del doping e la mancanza di reazione da parte del suo entourage ha incoraggiato tutti a seguire la stessa strada. Su Bicisport di maggio uscirà un’illuminante intervista a un personaggio di spicco del mondo del calcio: andate a vedere in che modo si difendono quelli che sono capaci di farlo.

Tu e Marco, quasi coetanei, siete cresciuti, nei rispettivi campi, praticamente assieme. Come detto, avete pedalato sovente uno a fianco dell’altro. Ti ha sempre stimato, anche se poi, pure tu, sei stato vittima dell’isolamento che la gestione di Pantani aveva steso. In “Era mio figlio”, fuoriesce con esemplare nitidezza quel lasso che rappresenta un dramma, nel dramma più complessivo del campione. Ma quanto ha pesato, secondo te, quel segmento sulla sua ellisse?

Marco era un personaggio vero, sanguigno e spontaneo. Capace di reggere una conferenza stampa da solo senza il minimo problema. Capace di alzare il telefono se un articolo non gli stava bene e capace di sostenere un contraddittorio con chiunque. Quando gli hanno dato la possibilità di autocommiserarsi, di sfuggire al confronto, quando lo hanno isolato in nome del suo bene, hanno ucciso la sua spontaneità. Hanno tolto i denti al leone e hanno cominciato a ruggire al posto suo. Non faceva più paura a nessuno, non convinceva più nessuno. Non hanno capito che la cura stava nell’affrontare e risolvere il problema, invece preferirono nasconderlo sotto il tappeto, anche se era troppo grosso e si finiva comunque con l’inciamparci. A un certo punto qualcuno iniziò persino ad averne compassione. Marco non meritava tutto questo. Lui capì tutto e questo senso di derisione e la distanza dal mondo che prima riusciva a controllare da sé non produssero altro che danni.

Il talento era il tratto cardine del distinguo di Marco. Eppure, nonostante gli esempi che “Era mio figlio” ha portato a iosa, c’è ancora qualche osservatore, magari addetto ai lavori solo perché giornalista, che non lo ha ancora capito e tende a supportare le risultanze storiche del percorso agonistico del Pirata, come un’icona di supposte ed indimostrabili alchimie. Si torna al solito punto, che è poi quello che ha distrutto Pantani; ’artista e uomo Pantani, come sarebbe più giusto dire. Perché solo sul ciclismo, ed in particolare quando si parla di Marco, escono disamine di questa, permettimi, esemplare sciocchezza?

Perché non c’è mai stato nessuno in passato che abbia fatto paura, con cause e argomenti credibili, a chi queste teorie continua a elaborarle. Rubano le caramelle ai bambini. Vorrebbero prenderle anche ai grandi, ma i grandi poi danno le botte. Certe tesi sono nei cassetti anche riguardo ai calciatori e ad altri soggetti dello sport professionistico, ma su quelli c’è un veto che viene dettato dall’opportunità e dalla prudenza. Marco era un uomo di talento e lo ha palesato in ogni attività che abbia affrontato. Chi vuole negarlo, a questo punto della storia, vuole negare un’evidenza per il gusto di farlo. O per l’incapacità intellettuale di ammettere che, in fondo, potrebbe aver sbagliato.

Hai scritto che la parte finale del libro, bellissima, vissuta sulle palpitazioni ed i sogni del bambino (Enzo Vicennati) che si rapporta con un Pantani vivo ed anziano, rappresentano il romanzo che avresti scritto su Marco, se ne avessi avuto il tempo. Beh, ma sei proprio sicuro che una simile storia non abbia più senso, anche alla luce di quanto sta avvenendo nel ciclismo? Non ti sembra che sul corridore in bicicletta si possa ancora sognare e fantasticare, o semplicemente vedere quanto sia attuale, come spaccato di vita, questo sport divenuto “tordo da impallinare”, per i cosiddetti perbenisti o teorici dell’ipocrisia? Ti dirò, anche se apparirà scontato, il sottoscritto, come tanti che han letto “Era mio figlio”, un libro del genere, scritto da Vicennati, andrebbe a comprarlo di corsa…..

Non avrebbe senso, a mio avviso, tornare su Marco con quello stile, con quella chiave. Il bambino non è solo Enzo Vicennati, ma è chiunque abbia creduto in Marco e continui a trovare inconcepibile il fatto che sia morto. Quanto al ciclismo, certo che è l’unico sport che permette di sognare, ma semplicemente perché non è uno sport, bensì un perfetto spaccato della vita e i corridori, nonostante tutti i loro difetti, sono molto più uomini dei loro coetanei che svolgono il loro mestiere al chiuso di centri impenetrabili e parlano soltanto con chi vogliono e non hanno l’obbligo della reperibilità e non donano il sangue e neanche il dna. Occorre essere uomini veri per sopportare tutto questo, i corridori sono più uomini di tanti calciatori sbruffoni che di fronte alle critiche si permettono di offendere e non concedono replica.

Chiudo, sull’attualità derivata dai tanti incontri con te e Tonina, che la Mondadori sta organizzando su “Era mio figlio”. Se ne sono già svolti diversi e so che se ne stanno aggiungendo altri. Anche da qui, un segnale importante di quanto il successo del libro, sia già superiore alle più rosee aspettative. Cosa stai constatando da queste iniziative? Quali segni ulteriori stanno giungendo?

Vedo che c’è tanta voglia di sentir parlare Tonina, per avere la sensazione che Marco sia ancora qui. Tanti tifosi di Marco ne avevano bisogno per risolvere qualche loro insicurezza. Il Pantani che si rialzava dalla sfortuna ha dato speranza a un popolo che altrimenti sarebbe rimasto nell’ombra. E adesso questa mamma così sanguigna è il modo che gli è rimasto per rimanere legati a quel ragazzo così speciale. Ma ho visto anche tante mamme andare ad abbracciarla, mamme che capivano il dramma e la difficoltà della storia che raccontiamo. "Era mio figlio" significa dire che potrebbe essere anche il vostro e il fatto che il messaggio si arrivato significa che forse, con tutti gli errori che possiamo aver commesso, abbiamo colto nel segno.

Grazie, ed a presto.



Morris

 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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Livello Rik Van Looy




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  postato il 11/04/2008 alle 20:33
Bellissimo colloquio. Vicennati dimostra di essere un giornalista serio e competente, schierato solo dalla parte della verità.
 
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Livello Marco Pantani
Utente del mese Febbraio 2009
Utente del mese Agosto 2009




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  postato il 12/04/2008 alle 01:05
Dire che questa sia una bella intervista, è un’ovvietà, basta leggerla, quindi non mi soffermo sull’ovvietà.
1) Mi colpisce sempre e mi sorprende sempre constatare quanto Vicennati abbia capito Pantani. Lo abbia capito proprio nel profondo, nella sua psicologia più complessa ( ovviamente nei limiti in cui un uomo può capire un altro uomo,perché il mistero rimane rispetto all’anima di un uomo).
Dato che io considero una forma altissima di intelligenza la comprensione dell’altro, l’interrogarsi sulla psicologia dell’altro, rimango, appunto, sempre molto colpita da questa capacità di Vicennati.
Credo che lui si sia molto interrogato su Marco, soprattutto dopo la morte, penso che Marco abbia rappresentato una parte non piccola dei suoi pensieri.
2) Io credo che sul fatto che non abbia senso scrivere il libro che è accennato nell’ultimo capitolo di Era mio figlio, Vicennati abbia torto.
Il vecchio Marco che abbiamo lasciato a piangere in quell’ultimo capitolo,esige di parlare. Quella è la sfida più grande: Vicennati conosce tanto bene Marco da poter farlo parlare, non più gli altri a raccontarlo ma Marco a raccontare se stesso.
Il vecchio Marco pescatore, ha molto da dire e un percorso da seguire.
Per far parlare Marco occorre visionarietà,senso della sfida, audacia, sensibilità e capacità di creare una struttura narrativa.
Non sarebbe affatto lo stile di Era mo figlio, sbaglia Vicennati a pensarlo. Già in questo libro è evidente il cambio di scrittura dell’ultimo capitolo.
Io non so se è possibile pensare a un nuovo libro su Marco dopo i due appena usciti, non so le strategie editoriali, ma , per me, Vicennati deve scrivere quel libro e pubblicarlo in qualsiasi modo, se non fosse possibile nei modi tradizionali, anche in un blog, a puntate su Bs, non so, in qualsiasi maniera.
Far parlare il vecchio Marco è il folle volo di Enzo Vicennati , il bambino che siamo noi tutti, il bambino che per sempre indosserà una maglia della Mercatone uno, il bambino che ancora non accetta che Marco sia morto, magari è morto Pantani ma Marco no, Marco è in qualche posto del sud del mondo, quel bambino sogna di sentirlo parlare ancora una volta.
Un giorno qualcuno che ama Kipling mi scrisse che un uomo non può dirsi vecchio finché il rimpianto non avrà preso il posto dei sogni.
Vicennati sbaglierebbe a lasciarci con il rimpianto di non poter ascoltare quello che ha da dire ( o non dire, magari il percorso del romanzo potrebbe non essere solo la parola) il vecchio Marco che abbiamo lasciato a piangere con il cappello in testa e la canna (DA PESCA) sulla spalla, alla fine di Era mio figlio.
Il bambino fu l’ultima volta che lo vide ma la visionarietà del romanzo consente di riprendere i pensieri del vecchio Marco.
Cacciari,commentano il Tour 1998, diceva che il ciclismo ha bisogno di grandi campioni e di grandi narratori. Il grande campione c'è, il grande narratore pure, perciò.......
3) Fondamentale: aver capito che Era mio figlio, potrebbe essere il nostro figlio, potremmo essere noi.Grande verità, dove, ancora una volta, Vicennati dimostra quanto abbia capito Marco.
E se questo la gente che abbraccia Tonina alle presentazioni del libro l’ha capito, un senso ulteriore si aggiunge a un libro che ne ha già moltissimi.

 

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Livello Fausto Coppi




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Registrato: Oct 2007

  postato il 12/04/2008 alle 01:19
Originariamente inviato da Morris

Mi sono sempre chiesto, continuando a sentirmi il giovane e ingenuo nel gruppo dei colleghi, per quale motivo si sia concesso così poco spazio alla difesa di Marco dopo Campiglio e si sia sposata subito la teoria del doping. Al comando di un ipotetico mio giornale, avrei esaminato tutte le strade possibili, pur nel segno della fermezza. Purtroppo con Marco si è innescato lo stesso meccanismo che, ad esempio, volle Mia Martini maledetta a vita. A Campiglio, giusto o sbagliato, qualcuno ha deciso che Pantani dovesse diventare l’emblema del doping e la mancanza di reazione da parte del suo entourage ha incoraggiato tutti a seguire la stessa strada. Su Bicisport di maggio uscirà un’illuminante intervista a un personaggio di spicco del mondo del calcio: andate a vedere in che modo si difendono quelli che sono capaci di farlo.


Sono passati 9 anni da quel maledetto giorno, io ero poco più di un bambino, ma ricordo benissimo il gioco al massacro che si innescò subito dopo l'esclusione di Marco dal Giro. Mi ricordo soprattutto le parole di Cannavò, la sua condanna senza possibilità d'appello emessa con grande fretta. La ferocia delle sue parole pronunciate in diretta su RAI3 mentre i tifosi increduli ancora non riuscivano a capire cosa era successo.
Mi ricordo soprattutto lo schifo che provai nel sentire tutti quelli che, come Cannavò, stavano sputando fango sul povero Marco, dopo averlo lodato, esaltato, osannato nei giorni precedenti.


 
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  postato il 14/04/2008 alle 13:16
Grazie Morris per averci riportato la chiacchierata.

Mi piace la "misura" di Vicennati.
E mi ha fatto piacere leggere quella sua preoccupazione di poter essere strumentalizzato. Ottimo il mettere subito le cose in chiaro. Avrebbe fatto la stessa cosa Marco.

Per quanto riguarda il libro "narrativo", sono d'accordo con Maria Rita.
Enzo Vicennati può (vorrei scrivere "deve", ma...) scrivere quel libro.

 

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Livello Moreno Argentin




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  postato il 16/04/2008 alle 11:28
C'è una cosa che mi stupisce: il silenzio della Ronchi.
L'avrà letto il libro? E possibile che non senta l'impulso di difendersi? E' come quando dissero che Marco era dopato e nessuno della squadra e della famiglia si alzò (gridando: NON E' VERO. Se il silenzio suona come un'ammissione, quello della Ronchi è una conferma tremenda...

 

[Modificato il 16/04/2008 alle 13:16 by grilloparlante]


 
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Livello Fausto Coppi




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Registrato: Feb 2006

  postato il 25/04/2008 alle 09:58
ho finito un paio di giorni fa il libro in questione.
Un libro scritto molto bene e che ha centrato il punto: ha fatto conoscere un Pantani diverso a ampie fette di pubblico che non lo conoscevano come uomo. Mia madre, ad esempio, che ha letto il libro nelle sue insonnie notturne, è rimasta stupita del marcio che gli è girato attorno dopo Campiglio.

Devo anche rilevare ciò che ha già scritto Davide VDB in un altro thread: la copertine è meravigliosa, quasi commovente. Innanzitutto c'è da rimarcare il coraggio commerciale nel non aver voluto un'immagine di Marco campione, scegliendo quella del ragazzino. Inoltre, quell'espressione grintosa, quegli occhi seri e decisi sono splendidi. Aveva riassunto benissimo Andrea Maietti, nel suo "Canzone per Bugno": Bugno è solito dire "Vedremo"; gli occhi di Pantani invece dardeggiano un "Vedrete!".....(a tal proposito inizio a rivalutare la scelta di frequentare latrine televisive come "l'italia in diretta" per rilanciare l'immagine del pantani uomo)

Detto questo, faccio alcune considerazioni sulla famiglia e sulla Ronchi, in virtù del grande equilibrio che traspare nel libro di Vicennati e delle impressioni che mi ero già fatto nel corso di questi anni.

1) la Ronchi.
Manuela Ronchi è stata assunta per tre compiti principali: promuovere,a livello commerciale, l'immagine di Pantani; preservare la privacy di Pantani; tutelare l'immagine pubblica di Pantani.
a)Ora, non sono un esperto, ma non credo che ad inizio 1999, ci volesse un mostro per promuovere l'immagine di Pantani: bastava semplicemente esserci. Non ho strumenti per valutare il suo operato, ma il contratto con la Citroen e altre sponsorizzazioni ma fanno ritenere che abbia svolto il suo lavoro.
b)io sono sempre stato appassionato di ciclismo, e ho sempre cercato le notizie su questo sport. Ho avuto internet a 56 k fino a 3 anni fa, quindi le mie incursioni sul web sono sempre state limitate. Detto questo, potrà anche essere una mia mancanza, ma io che non faccio parte dell'ambiente della cocaina di Pantani l'ho saputo con certezza solo dopo la morte. Prima, qualche rumor e nulla più. Anche quando ci fu il ricovero presso la clinica di Padova, il Resto del Carlino parlò apertamente di depressione, non di abuso di droghe.
Giocoforza, ne traggo questa considerazione: che l'immagine di un Pantani drogato la ebbi solo dopo la morte, non prima. Questo non è poco, sia in considerazione della tutela della privacy, sia ricollegandosi al punto a), cioè alla spendibilità di Marco sotto il profilo commerciale. Dopotutto sono ancora in parecchi a sostenere che Marco avrebbe avuto bisogno di correre (io no, però), e un Pantani pubblicamente cocainomane avrebbe fatto scappare gli sponsor ben più dell'immagine di dopato che gli era stata affibbiata.
c)sotto il profilo della tutela dell'immagine, la gestione Ronchi è stata completamente fallimentare: la si "giustifica" sostenendo la sua totale incompetenza di ciclismo, vado oltre e credo che in realtà, bruciato il Pantani ciclista, non abbia voluto crearsi problemi con la stampa sparando denunce e querele per calunnie, preservando il SUO futuro professionale. Opportunista, ma umanamente una mer.da (se ai Bridge del forum non piace il mio lessico, che leggano altrove).
A tal proposito la decisione con cui si affrontano i dementi che ancora oggi vogliono l'equazione Pantani=dopato, sia su questo forum, sia da parte della fondazione, è encomiabile.

Tutto ciò premesso, quello che proprio non riesco a capire sono le contestazioni che vengono mosse a questa donna circa la sua incapacità di gestire il Pantani uomo: Manuela Ronchi, con i pregi e difetti che ho sintetizzato sopra, era la manager, non la psicologa.
O meglio, inquadro meglio queste contestazioni quando mi accorgo delle incredibili mancanze familiari.

2) la famiglia.
non si sa mai come affrontare un discorso di questo tipo, vista la tragedia che ha investito Paolo, Tonina e Manola.
Tuttavia è innegabile che vi siano state mancanze incredibili da parte della famiglia nel gestire il Marco post-Campiglio.
Mi ha molto colpito una pagina del libro di Brunel, in cui lo stesso giornalista intervista Mengozzi, l'amico di Marco. In quella pagina Mengozzi è dispiaciuto delle constestazioni che la famiglia muove nei suoi confronti, sostenendo che era una sanguisuga, e contrattaccando relativamente al fatto che Paolo gli avrebbe offerto 20000 euro per andare a recuperare Marco a Cuba.
Se fosse vera, sarebbe di una gravità assurda. Ma come, sei il padre di una ragazzo disperato, e addirittura offri soldi per NON andare in prima persona a prenderlo?
Pantani aveva bisogno di una sola cosa: di decisione. Di qualcuno che avrebbe dovuto sacrificarsi per impedirgli di vivere come stava vivendo, anche con le cattive. Anche rinchiudendolo con il catenaccio in garage, impedendogli di uscire. Per il padre sarebbe stato difficile, meglio un fratello: ma in mancanza era il padre a doversi prendere carico di tutto, facendosi assistere da professionisti.
Nessuno sarebbe stato in grado di gestire in autonomia una bomba del genere, men che meno una famiglia dagli evidenti limiti culturali (sia chiaro, senza nessuna offesa): però le redini le deve tenere uno in famiglia, non delegare persone terze per poi accusarle di non aver fatto abbastanza, come la Ronchi o Mengozzi.

Non voglio essere troppo severo nei confronti di chi ha avuto un lutto così grande, tuttavia rimango dell'idea che la madre di tutte le lacune umane nei confornti di Marco sia stata proprio in famiglia, non fuori da questa cerchia.

 

[Modificato il 25/04/2008 alle 10:03 by Carrefour de l arbre]


 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 25/04/2008 alle 12:13
Originariamente inviato da Carrefour de l arbre
1) la Ronchi.
Manuela Ronchi è stata assunta per tre compiti principali...


La Ronchi potrebbe anche essere un'incapace totale nel suo lavoro: non ho elementi per dare una valutazione sulla questione, e nemmeno mi interessa più di tanto.
Voglio però ricordare che Manuela Ronchi è stata scelta da Marco Pantani in persona - e non era lo sola manager disponibile sul mercato - senza che nessuno lo forzasse nella scelta; e lo stesso Pantani l'ha sempre tenuta accanto a sè anche se non era certo obbligato a farlo.
Non ha capito di cosa aveva effettivamente bisogno Marco Pantani? sono stati in tanti a non capirlo, non solo lei.
Avrà le sue colpe, come ce l'hanno in parecchi, ma non può certo essere ritenuta la sola o la principale responsabile della tragedia Pantani.

 

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Livello Marco Pantani
Utente del mese Febbraio 2009
Utente del mese Agosto 2009




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  postato il 28/04/2008 alle 23:24
Condivido molte cose di quanto hai detto, carrefour.
Solo alcune cose vorrei analizzare:
1) Il contratto con la Citroen, come si legge anche nel libro della Ronchi, fu fatto dalla Mercatone Uno e non dalla Ronchi.
2) la famiglia. Non dimentichiamo che marco non è diventato cocainomane da ragazzino. Marco era un trentenne, campione osannato, con uno staff di manager, sponsor, dirigenti ecc. a gestirne la vita.
Era difficile per la famiglia prendere da sola in mano una simile situazione, essendo persone semplici si sono affidati.
Del resto la Ronchi ha sempre detto di essere stata per Marco non tanto una manager quanto un'amica, sorella ,confidente e Tonina, fino a due anni fa, parlava di lei come della terza figlia.
Da tutti i libri che ho letto ( da quello della Ronchi agli altri), a me pare chiaro che Marco non è stato curato da specialisti.
Tre sedute da uno psicologo, pochi colloqui con un altro che, lo dice la Ronchi nel suo libro, si scoprì che non aveva titoli, poco altro, poi un andare e venire da casa Ronchi a amici su cui , da quanto leggo, molto ci sarebbe da dire.
Allora si doveva avere il coraggio di fare un passo indietro, non dare illusioni a nessuno ( nemmeno a Marco che, come tutti i cocainomani, non voleva curarsi), dire chiaramente: Questo non è curare, io non riesco a farlo curare, troviamo altre strade.
E poi la squadra del 2002 con Marco dirigente è stata un errore fatale.
Marco era curabile, almeno fino al 2001, recuperabile come uomo e anche come campione.
Non credo sia un merito nascondere quello che, almeno nell'ambiente, da un cero punto in poi, sapevano tutti.
Lo stesso padre, nel libro Era mio figlio, esprime i suoi drammatici rimorsi ( nel capitolo sul viaggio in Grecia con il figlio), essersi fidato di manager, direttori sportivi ecc., e ti assicuro che la stessa Tonina si rammarica tantissimo di non aver aperto gli occhi prima.
La situazione non era semplice, forse, come accade , la battaglia sarebbe stata comunque persa, ma leggere nei libri, compreso quello della Ronchi,come è stato curato Marco, fa veramente rammaricare.
E' vero che la Ronchi fu scelta da Marco ma il Marco del 1998 che la scelse non era lo stesso dopo Campiglio.
E su questo troppe cose ci sarebbero da dire ma non è questa la sede per farlo.
Per quanto riguarda il silenzio assoluto tenuto sul massacro mediatico di Marco dal 1999 in poi, l'assenza di querele ecc. dire che sia stato un errore è un eufemismo.

 

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Verità e giustizia per Marco Pantani: una battaglia di civiltà.

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Moderatore
Utente del mese Gennaio 2009




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  postato il 29/04/2008 alle 01:36
oggi mentre curiosavo in un megastore mi sono imbattuto
nel libro e me lo sono comprato.
Per ora l'inizio mi e'piaciuto

 

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"Non esistono montagne impossibili, esistono uomini che non sono capaci di salirle", Cesare Maestri

"Non chiederci la parola che mondi possa aprirti, si` qualche storta sillaba e secca come un ramo...
codesto solo oggi possiamo dirti: cio` che non siamo, cio` che non vogliamo.", Eugenio Montale.

 
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Livello Eddy Merckx




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  postato il 29/04/2008 alle 05:44
Originariamente inviato da antonello64

Originariamente inviato da Carrefour de l arbre
1) la Ronchi.
Manuela Ronchi è stata assunta per tre compiti principali...


Non ha capito di cosa aveva effettivamente bisogno Marco Pantani? sono stati in tanti a non capirlo, non solo lei.
Avrà le sue colpe, come ce l'hanno in parecchi, ma non può certo essere ritenuta la sola o la principale responsabile della tragedia Pantani.


Si' è molto importante dirlo.

 

[Modificato il 29/04/2008 alle 05:49 by prof]

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Difendi, conserva, prega !

(dalla poesia "Saluto e augurio" - "La nuova gioventu'" di P.P. Pasolini - Ediz. Einaudi)

 
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Livello Eddy Merckx




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  postato il 29/04/2008 alle 06:47
Originariamente inviato da Donchisciotte

Non credo sia un merito nascondere quello che, almeno nell'ambiente, da un cero punto in poi, sapevano tutti.


Condivido tutto il tuo post ma questo passaggio mi ha steso. Mi ha steso perchè anch'io ebbi esperienza di quale coltre illusionistica fosse riuscito a stendere sulla persona di Marco l'ambiente che ne gestiva l'attività professionale. Io sono sempre stato molto duro nei confronti di chi, di volta in volta, svolgeva questo ruolo. A partire dai primi dirigenti, fino agli ultimi, li ho sempre considerati tutti un po' dei saltimbanchi. D'altronde ho espresso piu' di una volta quel che penso del ciclismo come ambiente e, in particolare, dei suoi uomini.
Quando però venni, casualmente, a conoscere la verità circa le nuove abitudini di Marco, mi resi conto anche che per assemblare tutta quella corte dei miracoli, per farla coincidere con una delle gestioni piu' fallimentari della storia del ciclismo italiano, per avere personaggi ributtanti alla guida dei quotidiani di riferimento, per avere una magistratura come quella nata in quegli anni, per avere una tv nella piu' totale ignavia, beh, ci voleva anche dell'altro. Chiamalo, se vuoi, destino cinico e baro ma, se non è lui, dev'essere qualcosa che molto gli somiglia.

E' giusto, profondamente giusto capire quel che è accaduto e, così facendo, individuare anche le responsabilità che ci sono state, che sono tante ed in capo a tanti ma, una volta fatto questo, sarebbe giusto uscire dalla gabbia di impotenza in cui tendiamo a rinchiuderci e darci un colpo d'ala per mettere a frutto tutte queste intelligenze che ruotano come in folle attorno ad essa . E' un sogno, lo capisco, ma questo cacchio di Cicloweb non è che sia poi cosa da poco e così trascurabile. Occorrerebbe farlo diventare il vero riferimento culturale di tutto il movimento ciclistico. Già, come ?

 

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Difendi, conserva, prega !

(dalla poesia "Saluto e augurio" - "La nuova gioventu'" di P.P. Pasolini - Ediz. Einaudi)

 
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Livello Marco Pantani
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  postato il 29/04/2008 alle 13:59
La gabbia di impotenza è fatale, io posso solo dire della mia esperienza ( pochissima) ma da quando mi sono avvicinata a questo mondo ciclistico attraverso il forum di Pantani, da quando mi sono impegnata ( molto) in questa battaglia donchisciottesca( sono sette anni), la nausea è salita sempre più. Adesso se facessi il test Conconi risulterei fuori soglia alla grande, in piena crisi da acido lattico ( spero di non aver detto qualche sciocchezza tecnica sul test Conconi).
Magari Cicloweb divenisse un riferimento culturale del mondo ciclistico,mondo che avrebbe bisogno di riflettere su stesso, soprattutto i ciclisti.Ma sai, fino a che si deve discutere di tesi sul doping appiattite sulle tesi di Capodacqua ......
Sul mondo che circondava Pantani, diciamo che per anni sono stata ,donchisciottescamente, ingenua fino alla cecità.
Ho sempre considerato Marco un meraviglioso Dimitri Karamazov, ma adesso mi pare abbia tratti anche di madame Bovary.
Che trasformava i suoi amanti in giganti dell'umanità, ma appena si allontanavano da lei, apparivano per quello che erano: mediocri.
Fino al 5 giugno 1999, quando Pantani era Pantani, il suo staff sembrava fatto di persone giuste, dopo il 5 giugno 1999, tramortito Pantani ( sempre, più che mai, Dimitri Karamazov) si è vista la mediocre verità. Solo la grandezza di Pantani consentiva di occultarla.
La deriva di Pantani consentiva spazi sempre più grandi per alcuni personaggi.
Per me la summa tutto è la squadra del 2002. Pantani, cocainomane,dirigente della squadra stessa. Atti dirigenziali compiuti:rimetterci parecchi soldi,assumere uno spacciatore come autista del pullman, guardie del corpo sospette, cose così.
Mi chiedo a chi abbia giovato quella squadra.
Ma la risposta, temo, sta scritta nel vento.

 

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Verità e giustizia per Marco Pantani: una battaglia di civiltà.

Arcana loggia per il ripristino della civiltà dell'ordalia.

IO NON L'HO VOTATO.

IO CORRO DOPATO COME TUTTI.

"E' tutto alla conoscenza di tutti" Marco Pantani,1997 ( tempi non sospetti),parlando di doping in un'intervista televisiva con Gianni Minà.

Non sono a favore del doping. Sono semplicemente contro l'antidoping.

Hypocrisy free.

CAREFUL WITH THAT AXE, EUGENIO.



 
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