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Autore: Oggetto: Storia di una prima volta

Livello Fausto Coppi




Posts: 3539
Registrato: Jan 2008

  postato il 20/01/2010 alle 20:52
I più maliziosi chissà che avranno capito... Nulla di che, raffreddate gli spiriti.
Stasera mi è presa voglia di scrivere. Di getto, ho voluto raccontare la mia prima volta in bici da corsa, una storia poco interessante senza nessun colpo di scena, senza pathos o un climax degno di nota. Però, visto anche il periodo di magra (quantomeno europea) ciclistica, ho voluto comunque postarlo. Non senza timori, perchè siete abituati troppo bene in questo forum, troppe penne sopraffini.
Il titolo, "Storia di UNA prima volta", non è a caso. Magari prossimamente (anche senza magari) scriverò pure il seguito, cioè la seconda prima volta, ma in maniera totalmente diversa.

PS: perdonate se ci sono errori, l'ho scritta di getto, e non ho mai fatto una brutta copia in tanti anni di scuola. Non vedo motivo di iniziare adesso.




Storia di una prima volta


Da una parte speravo che piovesse, e invece c’è un sole e un caldo assurdo per essere fine maggio. Mamma mi guarda con l’aria di chi questa scena l’aveva già immaginata diverse volte. Forse sono anche un po’ ridicolo con questi vestiti addosso. E poi non ho le mutande cavolo, mi sento in imbarazzo davvero. Mi allontano dalla finestra e prendo la borraccia già riempita. Digerisco in gola la colazione mentre vado alla porta.
“Fai a modo, se non ce la fai non stare a sentire babbo”
“Si si.. va bene.. ciao..”
Ma chi me l’ha fatto fare? Sarei potuto andare alla messa, avrei giocato al pc e perfino fatto la lezione. Ho invece dei vestiti ridicoli e fra poco anche un paio di scarpre, provate ieri sera, che mi stanno largissime. Entro nella stanzina e il mi babbo è come al solito già pronto. La mtb gialla è più pulita e brutta che mai con quella specie di gomme da strada che ci ha messo. Gliel’avevo detto che l’avrei presa più volentieri io, ma nulla, mi ha voluto dare la sua bici da strada. Ed ora è lì, appoggiata al vecchio boxer, che mi aspetta come un cavallo attende uno sconosciuto autorizzato dal padrone a cavalcarlo. Mi fa paura, madonna santa, era meglio se stavo a letto. Dice che con quelle rotine così strette si fa meno fatica. Secondo si fa prima ad andare in terra. E se mi faccio male come posso giocare a pallatamburello domani? Accidenti a me, quasi quasi ritorno in casa. No non posso, ormai l’ho detto!

Mi infilo quei transatlantici marchiati 45, nonostante richieda un 42 scarso. Il casco è bruttissimo, sembra uscito da un filmato d’epoca. Speriamo che in paese nessuno mi veda, anche se saranno tutti davanti il bar. Chissà come rideranno.
Poi mi avvicino a quella bici rossa. Devo ammettere che è bella però, e quanto è leggera! Il rosso si, è vero, è il mio colore preferito, ma non è meravigliosa solo per quello. Vabbè, quella di Marco è un capolavoro, ma non si può avere tutto. E poi dopo quello che ha fatto…
Smetto di pensarci mentre la porto fuori sotto lo sguardo divertito del babbo. Mamma è davanti alla porta, un po’ nascosta dall’acero esuberante che avrebbe bisogno di una potata.
“Fate a modo…”
“Si..”, in coro io e babbo.
La sella è all’altezza più o meno giusta, è il manubrio che è troppo lontano. Mi sembra di sdraiarmi. Manca solo da attaccare i pedali. Uno lo attacco, lo schiocco me lo conferma. L’altro sono indeciso, meglio che aspetti lo stop.. se non mi si sgancia vado in terra!!
“Aggancia anche quell’altro su!!”
E ti pareva. Allora lo aggancio, mentre già mi muovevo. E inizio a pedalare. Cento metri e c'è lo stop, in salita. Lo sogno da due giorni, già mi vedo steso in terra. Due pensieri in fila e cento metri sono già passati, sono in piedi sui pedali per non accorgermi dello strappo. Sento il rumore di macchine. "particolare anatomico che, se rotto, simboleggia seccatura", mi devo fermare. Prego Dio di guardarmi da lassù anche se stamani salterò la sua funzione. Muovo la gamba, staccati ti prego.
Chiock
Ho il piede a terra. Quasi non ci credo. Incredibile.
Passa la macchina.
“Vai”

E riparto. Mezzo giro di pedale e sono di nuovo tutt’uno con la C4. Adesso per qualche km non mi devo preuccupare, il prossimo stop è fra qualche km.
La compagnia silenziosa del babbo è quanto di meglio non posso chiedere. Di sicuro per la mole di discorsi tenuti dentro ho preso da lui. Mi ha proposto il San Baronto ieri sera. A parole mi sembrava troppo lontano. Allora è venuto fuori il Serra, senza dubbio più vicino. Mi ha detto che è più duro del San Baronto, però è più corto, se si fa fino a un certo bivio. Allora ho scelto per quello, meglio non mandare la fatica per le lunghe. La mia prima uscita con una bici da corsa. Un favore che faccio a babbo. Lo vedo contento, soddisfatto, anche se non mi ha messo pressioni. Forse lo faccio un po’ anche per me, sono curioso. A maggio poi la voglia di andare in bici è sempre più alta del solito. Forse se sono qui è perché la mia vecchia viner mi stà un po’ stretta, e le strade, conosciute come se l’avessi tracciate io, iniziano a diventare troppo ricorrenti.
Non lo so, c’è da dire che il giro quest’anno non lo sto proprio seguendo. Vedo ancora quei carabinieri e Marco. Non vedo più motivi per interessarmi ancora. Meglio che ci pensi io a pedalare.

Eccoci, quasi alle Quattro Strade. Prima però questa salitella. La chiamano “dei ciui”, chissà perché. Forse perché salendo su un ciuo le mie gambe non reclamerebbero pietà come in questo momento. Sento lancie in fiamme sulle coscie e milioni di pizzicotti tra la schiena e il petto. Ho caldo, sto iniziando a sudare. Il fiato risponde come può, con il ritmo che si può permettere.
È finita, fortunatamente. Durata poco, cinquecento metri, non di più. Ora un dubbio.
“Babbo quanto è lungo il Serra?”
“Sono 8 km, ma gli ultimi due spiana… Preoccupato?”
“No no.. chiedevo”
Sento che le gambe si agitano, vorrebbero tornare indietro. Si vede che la notizia è arrivata anche a loro. Otto km, quanti sono? Come sono?
Uno sguardo sul contakm e mi accorgo di non essere ancora a 7 km pedalati. Ora c’è un falsopiano, poi discesa e dopo non so, non ci sono mai stato a Buti. Probabilmente però ci sarà pianura fino a lì. Bene, con questa bicicletta si va bene in pianura, si fa meno fatica, aveva ragione.
La strada ampia sparisce e dopo poco riappare, mentre segue il pendio e scende verso la piana. Inizio a sentire la velocità. Sembra di volare. Ma io ho paura di volare, e i freni mi offrono l’opportunità di non mettere le ali. Babbo prende vantaggio.
“Non si tirano i freni quiii!!”
C’era da immaginarselo. Dice sempre che fa le discese fortissimo, di sicuro non sarò mai così. Anche quando vado in padule a fare le discese sterrate ci metto molto più dei miei amici a arrivare in fondo. In salita invece no, non ho paura di cadere.
Vado forte in salita per abbreviare la mia sofferenza, passa come un lampo nella mente. Una frase copiata che uso spesso quando mi dicono che vado bene. Una mezza coltellata, forse anche intera. Di certo sono curioso di sapere cosa si prova a fare una salita di 8 km, come quelle del giro.
Improvvisamente mi accorgo di non avere mai pensato fino ad ora della possibilità di non farcela. No, via, pensiero maledetto. Ce la farò.
Ho imparato subito come si muove il cambio, a sentire quello che babbo mi aveva detto averi dovuto fare casino per un po’. Invece il meccanismo l’ho imparato subito. Mi ha anche detto che i rapporti sono troppo duri per me, e che i ragazzi di dodici anni li devono avere più leggeri. La bici però è quella, e c’è poco da fare o da cambiare. Mi ha detto che devo arrangiarmi con il 39x25, anche se non ho la minima idea di cosa voglia dire. So invece perfettamente che cosa vuol dire la svolta a sinistra che abbiamo appena fatto. L’indicazione “Monteserra” me lo suggerisce senza domande. Oh che si scrive tutto attaccato poi? Vabbè, ultimo dei problemi, se mai un giorno lo dovrò raccontare scrivendolo, lo scriverò tutto attaccato.
Intanto, già da prima che babbo me lo facesse notare, una lieve pendenza inizia a distribuirsi sull’asfalto. Se ne accorgono le gambe e pure la stima del contakm si abbassa. Di nuovo ricomincio a far fatica, penso sia normale. È la prima volta che salgo su una bici da corsa e che vado così lontano da casa. Si, senza dubbio, è normale che faccia fatica.
Finalmente il cartello Buti, lì dove ho imparato dalla cartina e dalla voce del babbo che inizia la salita. Continua però il falsopiano, penso si chiami così, e le gambe proseguono nella loro singolare protesta. Tempo poco e la salita inizia a mantenere le promesse date. Subito cerco la leva a destra e il cambio diventa mio amico almeno per qualche secondo. Si entra in una piazza larga, bella, ideale per stare raccontarsi qualche storia davanti il bar. Subito le pendenze si rimangiano quanto offerto e il sole mette il timbro sulle parole che piovono dal nulla.
“Inizia qui”
Ok, cuore in pace e via. Memorizzo il dato del marchingegno elettronico per vedere quanto manca, bevo un sorso di acqua un po’ troppo tiepida per essere gradevole e butto lo sguardo oltre. La visione è cattiva, mi devo inerpicare su una semicurva.
“Non andare al massimo che poi dopo non ce la fai eh…”
Non so quale sia il massimo, ma posso provare a immaginarlo. Non so nemmeno quanto sia un po’ meno del massimo, ma so che non posso riuscire a mantenerlo troppo a lungo.
Vado forte in salita per abbreviare la mia sofferenza, ripiomba nella mente e sul tornante che mette fine al paese.
Deciso, la farò a tutta.
Ributto lo sguardo in basso, su quei numeri tanto fittizi quanto veri. Appena 500 metri di salita fatta. Sento coltellate colpirmi alle gambe. Chiedo aiuto al cambio, me lo nega. In un attimo mi accorgo di aver finito le possibilità di scelta.
Sono dolori. Le pedalate sono sempre più lunghe e il fiato sempre più corto. Sento il cuore che suona la sua melodia distorta e frenetica, sento la fronte e il viso bagnati. Mi iniziano a frizzare gli occhi. Mi asciugo come posso con la mano bagnata.
Devo trovare il modo di passare il tempo, devo pensare a qualcosa. Non ho canzoni da cantarmi perché la musica non mi piace. Anche se ieri in macchina ne ho sentita una bellina, una novità da quel che dicevano. Di sicuro si chiamava It’s my life, ma chi l’ha fatta non me lo ricordo proprio. Nei prossimi giorni vedrò di ribeccarla un’altra volta in radio.

Tutto si fa sempre più difficile però. Il sole mette a dura prova la mia avversione all’acqua ormai calda della borraccia. La gola è secca, un po’ per il caldo e un po’ per l’aria che costringo a passare di lì a un ritmo troppo intenso a cui non sono abituato. Allora bevo, ma va giù a fatica.
“Fa schifo eh… dai, in cima si riepie con quella fresca della fonte..”
Eh.. ad arrivarci in cima… sarà bestiale. Forse però dopo ne sarò soddisfatto, questa fatica a qualcosa deve servire.
6-7-8, i numeri che continuamente passano più incerti che mai sul piccolo schermo. Anche un 5 nel pezzo dove iniziano gli olivi. Ora però mi pare che sia un po’ meno dura rispetto a lì. Di sicuro le piante fanno la sua parte nascondendomi a quella palla infuocata come il mio sangue. Per la prima volta, fra tutta la serie di sensazioni che questa mattina mi ha offerto fino a ora, sento una leggerissima brezza di fresco. O forse è solo l’afa che si è voluta far staccare ed è rimasta un poco più giù.
Prendo il passo, salgo con la velocità lenta che posso fare. Sono al massimo ma posso continuare ancora un po’, lo sento. Mancano 3 km. Non è poi molto. Ho fatto più della metà.

“Dai che stai andando bene”
Un supporto, un incoraggiamento che serviva, perché mi accorgo di iniziare a provarci gusto, nonostante aspetti il miracolo di trovare qualche marcia in più da usare nel cambio. Fra l’altro, non so perché, questa bicicletta davanti ha solo due marcie. Nella mtb ce n’ho 3, adesso avrei usato l’ultima e sarei stato meglio.
Non so cosa stia succedendo adesso, ma improvvisamente vado più piano. Le coscie e i polpacci si accartocciano fra loro, nel petto un tentativo di fuga. Inizio a fare zig zag, a tirare il manubrio fortissimo. Non ce la faccio più, forse stò scoppiando, magari stò muorendo. Avrei voglia di fermarmi, di mettermi a sedere sul ciglio.
“Dai che è quasi finita la parte dura….”
Resisterò, ci provo almeno. Non voglio smacchi nella mia fedina, il piede deve rimanere al suo posto, la terra l’ha già vista tante volte. Così aggiungo metri al mio calvario improvvisando tornanti da una parte all’altra della strada. Sembra uno slalom inverso e lento. Forse sarebbe meglio la montagna, anche se a sciare il pomeriggio mi sentono le gambe lo stesso. Ma non in quel modo, non così forte, non da voler sdraiarsi per terra.

Ecco, sento qualcosa che si accende di nuovo. Sto ripartendo, sento meno male, sento di poter aumentare un po’. Ritrovo l’8 sul contakm. Stavolta non lo voglio lasciare. Lo tengo lì con quanto fiato e sangue buono mi resti, lo tengo lontano dalla tortura dei miei arti deboli. Mi avvicino al bordo e vedo la pianura bassa, là in fondo. Da qualche parte c’è anche Staffoli, ma di sicuro non posso vederlo. Ultimamente ci vedo meno. Non l’ho ancora detto a nessuno.
Delle chiome mi bloccano il panorama, un tornante richiede la mia attenzione. La strade pare più buona, e lo sento anche.
“Da qui spiana”
Due km, solo due km più semplici e il gioco è fatto. Le gambe iniziano a girare un po’ di più e sento qualcosa che mi spinge a premere di più sui pedali. Aumento, sembra di volare. Non ho paura adesso, qui non si casca. Più vicino alle nuvole, quasi da starci sopra se ci fossero, ma la paura di farmi male non c’è. Forse un infarto, ma sono giovane ancora. Tutto ha un altro sapore. Il vento fresco che mi viene incontro, gli alberi che si muovono veloci, le due cifre che fanno capolino dallo schermo mignon. Mi godo questo momento di massimo sforzo, che sembra però in secondo piano.
Poi un’indicazione di un bivio. Noi dovevamo arrivare a un bivio.
“È finita?”
“Si è finita, puoi anche rallentare”
Non rallento e continuo, finchè non sento finire la strada da fare sotto le ruote. È finita adesso, rallento, mi fermo.
“Te la sei cavata piuttosto bene eh… ci hai messo 50 minuti… non l’avrei detto..”
“È buono?”
“Beh… per te che non ti alleni ed è al prima volta che fai una salita del genere si… secondo me ci sei portato.. mi sa tanto che sei uno scalatore…”
Vado forte in salita per abbreviare la mia sofferenza, di nuovo in mente, mi spiazza. Sono felice, mi sento soddisfatto. È una sensazione bellissima. Ventitre km fatti, otto di salita, ora c’è da farne altrettanti per tornare, all’inverso ovviamente. Veramente bello. Ma quanta fatica.




Dopo la doccia mi sento riavere. Mi viene continuamente da tossire, le gambe tirano come funi di un ponte e anche il resto non ci scherza. La schiena, le braccia, i gomiti e le mani. Mi sente qualsiasi cosa.
Il ritorno è stato tremendo. A confrono il Serra è stato niente. Sulla salitella della Conserva sono esploso e ho quasi rischiato di fermarmi. La mia via crucis fortunatamente non ha avuto bisogno di fermate, se non l’ultima, quella di casa.
Pronto per andare a mangiare da nonna. Già mi immagino la crisi che avrò mentre salirò le scale verso il primo piano.
Devo chiudere la porta della stanzina prima. Faccio girare la serratura. Chissà quando tornerò a aprire quella porta e a pedalare su quella bici. Per ora ho chiuso, ma sono convinto che è una porta che riaprirò.
Prima o poi.




 

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Fabio

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 20/01/2010 alle 23:32
E bravo Plata
Veramente un bel racconto. La mia prima volta in bici da corsa è stata abbastanza simile, solo con molta meno salita. La poca che c'era ha spinto mio padre a tale considerazione:
"Mi sa che non sei proprio uno scalatore!"

P.S.: avevi 12 anni con "It's my life"??? E io che Bon Jovi ho smesso di seguirlo dopo Bad Medicine...

 

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"Per aspera ad astra" Seneca o Eros Poli ... non ricordo

Ad imperitura memoria di quando, dal 4 al 14 marzo 2009, fu "Livello Sean Kelly",
queste stelline pose:

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 21/01/2010 alle 08:19
Grazie Lorenzo
Se vuoi, anzi, mi rivolgo a tutti, potete raccontare la vostra prima uscita in questo thread. Mi sono dimenticato di scriverlo all'inizio, è aperto a tutti.

PS: hai un messaggio privato

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 21/01/2010 alle 09:22
Bravo plata.
Bello il passaggio del racconto in cui scopri che Monteserra si scrive tutto attaccato.
Una curiosità : in che anno siamo ?

 

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nino58

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 21/01/2010 alle 09:32
Siamo nel 2000... l'anno dopo Madonna di Campiglio, a cui faccio riferimento indirettamente più volte. Per la precisione l'ultima domenica di maggio del 2000. La vicenda di pantani mi aveva scosso e non poco, era il mio idolo e mi sentivo tradito. Avevo anche 12 anni (11 nel '99) e certe cose le capii molto più tardi.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 21/01/2010 alle 16:03
eh sì...dovrò scriverla pureio qualcosa

parliamo del 92, non ho ricordi esatti di una prima uscita, ma ricordi intensi della prima "maddalena" (salita che inizia praticamente dal centro di Brescia)...10 km per più di un'ora di salita col babbo dietro a spingermi quando non ce la facevo più....la volevo bruciare quella bici!

...anche se in effetti i ricordi più belli facendo riferimento ad una "prima volta" sono quelli legati al mortirolo del 97, quasi 14 anni...la mia prima vera salita...non ne potevo scegliere una un tantino più facile vero????

ora non ho tempo ma qualcosa su quel mortirolo fatto insieme a mio padre la scriverò, promesso

 

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EROE DEL GAVIA

A 2 Km dalla vetta mi sono detto "Vai Marco o salti tu o salta lui...E' saltato lui.
Marco Pantani.Montecampione 1998

27/28/29 giugno 2008...son stato pure randonneur

!platonicamente innamorato di admin!

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 21/01/2010 alle 17:07
Bel racconto!
Vediamo qualche mia prima volta.
La prima volta che mi misero sulla bicletta da corsa: 1992, se non sbaglio metà aprile. Primo giro in un anello d'asfalto vicino la centrale elettrica. Al momento di fermarmi qualcosa andò storto e mi sono schiantato contro il guardrail. Bell'inizio. Prima corsa: parto come un forsennato, e ho fatto la prima curva dentro un balla di fieno. Prima vittoria: non me la ricordo, credo nell'interland milanese.
Prima corsa da allievi: rientro su una fuga da solo, un'azione della madonna, parto all'ultimo chilomentro - non so nemmeno perchè dato che ero veloce - però agli ultimi 20 metri mi si bloccano le gambe. Insomma, non so che c'è ma avevo paura. E agli ultimi 5 metri mi passa uno, che tra l'altro adesso è prof, a velocità doppia. Che figura di mmm.
Primo giorno che ho smesso di correre in bici: misto tra felicità, finalmente potevo vivere e depressione: non sapevo vivere al di fuori del ciclismo.

 

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I'm ipocrisy free

Io sto con Silvio che è
un gran furbacchione e con
la bellissima Oriana che ha
il coraggio di dire ciò che
tutti pensano ma nessuno dice
(si vocifera che la casalinga
di Voghera impallidisca
al suo cospetto).

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Anti-Zerbinegnan club - Iscritto n°2

Anti Armstrong n°3
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Solo chi non ha paura di morire di mille ferite riuscirà a disarcionare l'imperatore

 
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Livello Fausto Coppi




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Registrato: Nov 2005

  postato il 22/01/2010 alle 14:35
7 giugno 1997, ore 5 del mattino

si parte in direzione Mortirolo, si va a vedere il Giro d'Italia nonostante un bastardissimo gatto grigio abbia sottratto alla corsa rosa il più spettacolare dei corridori che avessi mai visto in vita mia.

eh già, Marco ancora una volta aveva incontrato la sfortuna con la quale pareva andasse a braccetto, stavolta si erano dati appuntamento in discesa dal Valico del Chiunzi, c.azzo che nervoso

ero lì, sul Mortirolo con mio padre e mia madre nel 94, in quella salita che l'ha visto nascere spiccando un volo da favola e massacrando brutalmente Mr. imbattibilità Indurain, appena lo vidi spuntare dalla fine del bosco guardai mio padre incredulo dicendogli..."papi è quello di ieri"...incredibile non mi ricordavo ancora il nome ma mi ricordavo che il giorno prima aveva fatto il folle scatenato in discesa verso Merano....e volevo essere lì a tutti i costi ancora nel 97 e magari rivederlo passare in maglia rosa solitario verso la vittoria.

ma stavolta non avevo voglia di salire sul mortirolo solamente in automobile, volevo guadagnarmela la salita!

Ricordo che il babbo (che già avevo affrontato il mostro da mazzo) mi diceva: "possiamo salire anche da Monno, la salita è più umana e già per un ragazzino come te sarebbe un impresa arrivare in cima, scommetto che non c'è nessuno così piccolo che voglia salire qui in cima". Col caxxo, se faccio il mortirolo, lo faccio da Mazzo! non me ne frega se non ho nemmeno 14 anni, io voglio salire da Mazzo!

e allora via, partenza da casa in auto, siamo in 4: io il babbo il fratellone e un mio zio siculo innamorato di ciclismo e di Pantani, lo zio Pippo (caxxo che uomo, quanto mi manca!!!)

Il programma prevede di arrivare in auto a Edolo, arrivare fin quasi all'aprica e poi arrivare sul mortirolo da una stradina che passa per trivigno e rimane in costa fino ad arrivare in cima al mortirolo. Lo zio Pippo e il fratellone sarebbero rimasti a godersi la festa della gente negli ultimi km della salita e io e mio padre avremmo attaccato il mostro.

Una volta arrivati in cima al mortirolo salendo dalla dorsale di trivigno io e il Babbo prepariamo le bici e pensiamo al percorso da fare. il giro classico prevede la discesa verso monno, la risalita dell'aprica e poi l'attacco al mostro, ma ero un bambino con nelle gambe al massimo una salita da 10 km al 6% non potevo permettermi di fare addirittura due salite (per quanto la prima fosse facile).

e allora si pensa di ridiscendere la dorsale per poi arrivare all'aprica, scendere verso la valltellina e prendere con calma il mortirolo.

Pronti partenza via, mi sento come galvanizzato da tutta la gente presente...non era la prima volta che andavo a vedere il giro, ma era la prima volta che volevo arrivare dove arrivavano i corridori professionisti pure io in bici.

7 km...puff e buco! Evvai! mai bucato in vita mia e vado a bucare nel giorno più bello??!! eccheppalle!

il babbo provvede con cura alla sostituzione e si riparte

altri 5 km e puff buco di nuovo...finite le camere d'aria! evvai!!!! mentre già mi sale la tristezza col pensiero di dover tornare al mortirolo a piedi dalla strada appena percorsa, mio padre da buon ciclista chiede aiuto ad altri ciclisti, probabilmente per la prima volta comprendo il vero clima che si respira nella gente che mastica e pratica ciclismo. ci ritroviamo con 3 camere d'aria di scorta da tanta era la gente che voleva aiutare un povero ragazzino sfortunato..."ma te vuoi salire sul mortirolo"..."certo, so che è durissimo e che son piccolo, ma non vedo perchè non dovrei farcela"

si riparte nuovamente, io mi faccio assalire dalla paura del "non c'è due senza tre" e vado in discesa molto molto cauto, fortunatamente arriviamo all'aprica senza ulteriori complicazioni, e da lì dopo un km di salitina leggerissima ancora discesa...."mamma mia quanta gente che vuole sto mortirolo, sarà bellissimo" penso tra me e me...una ventina di minuti dopo mi ritroverò a mangiarmi amarissimamente le mie stesse parole

ci dirigiamo verso Mazzo in Valtellina e il mio cuore cominicia a tremare, vedo la montagna sulla destra salire dritta e vedo che tutti i ciclisti che ci passano guardano con timore verso destra, verso il pendio che li attende, che ci attende.

"ci siamo, adesso Roby, vai con calma, stai sempre vicino a me che ti aiuterò io, l'hai notato che sei il più piccolo di tutti?"
proprio vero oh, e mi gaso.

La salita inzia e io imposto già il mio passo con il rapporto più corto che ho a disposizione, non tanto perchè non ne avesi già più quanto per cercare di risparmiare il più possibile fin dai primi metri di salita....il rapporto più corto è un 42x28, avete capito bene, col senno di poi mi fanno male le gambe anche solo adesso che ho 26 anni e con il mortirolo affrontato ormai una decina di volte.

la salita inizia subito dura per me che son abituato a fare la maddalena di brescia, ma mio padre mi avverte che quello sarebbe stato solo l'inizio, arriviamo dopo un tratto di respiro di 35 metri (non di più) ad una curva verso destra con un chiesetta e un prato che si apre davanti a noi e il babbo sentenzia "qui inizia la salita Roby" io sgrano gli occhi e non riesco a capacitarmi su cosa mi aspetta, vedo poco più avanti un tornante che mi sembra disumano, non riesco a credere di dover passare di lì, mi pare impossibile non ribaltarmi dalla troppa pendenza.

Supero il tornante con non pochi problemi, mi si avvicina il babbo: "adesso c'è uno dei pezzi più duri" e mi da una spinta x aiutarmi, superiamo una semicurva verso destra e mi si apre davanti un me un muro vero e proprio, ancora peggio del tornante, un drittone in mezzo ai prati, una cosa impossibile. mi faccio prendere quasi dallo sconforto, mio padre mi vede e mi da un altra spinta "dai roby che se passi questo pezzo ce la facciamo". Proseguo nella mia fatica estenuante, mi piego sulla bici alla ricerca del massimo sforzo, passo il muro con determinazione e arrivo al tornante convinto che la strada spiani...col cacchio, sale sempre su durissima, non ce la faccio, mollo e mi fermo. Metto piede a terra e mio padre si ferma con me.

"dai ci riposiamo due minuti e poi ti aiuto a ripartire, sei stato bravo finora" eh già, ripartire...come faccio a ripartire se la strada sale a più del 15% e io ho ancora i pedali coi fermapiedi stile anni 70???

il babbo mi da una grande spinta, al primo momento non riesco a mettere dentro il secondo piedo e faccio una pedalata con una gamba sola al limite del ribaltamento e allo stremo delle forze...arrivo a pensare che da lì a poco mi si sarebbero sfasciate le masse muscolari..ritento e stavolta il piede entra. la fatica è ancora immensa, salgo lentamente trascinandomi, mio padre mi raggiunge e gli chiedo "quanto manca?" "non ci pensare adesso"

Non era proprio la risposta che m'aspettavo! mi sembrava di salire da un enternità e invece mancavano ancora più di 8 km, tutti durissimi. Che strazio!

mi riprendo un attimo, comincio a controllarmi e comincio a slaire in maniera quasi decente, mio padre mi incoraggia "dai che stai andando benissimo, dai che fra poco non è più così dura!, gli ultimi 3 km sono meno duri di adesso"

Siamo ai - 5, una vecchina con la canna dell'acqua mi corre incontro e mi bagna, io mi comincio a sentire bene e sento di non fare più la fatica immane dei km precedenti, vedo che riesco a tenere il passo di mio padre

Arriviamo ai -3 e mio padre mi dice "vai, ora parti, ora la salita è meno dura, ci vediamo in cima" e io preso non so da quale follia, parto. Sento di non fare fatica e su un tornante scatto passando 3 signori che mi guardano come fossi un alieno, una prova a starmi dietro, ma non ce la fa...io vado su che è una meraviglia, ma ad un certo punto mi si spegne la luce, e quel signore che prima avevo superato mi riprende "ragazzino ma quanti anni sc'hai te?" mi dice con evidente cadenza toscana "nemmeno 14" "Come??? Maremma!!! bravvissimo, ora pigliala con calma, non è dura come prima ma in cima ormai c'arrivi"

Non so che mi piglia, gli rispondo con un cenno della testa e scatto di nuovo, ritrovo energie e ormai sento il profumo della cima, non mi passa più nessuno ad un certo punto vedo che il bosco termina e si apre la radura dalla quale avevo visto uscire Panta 3 anni prima. Capisco che ormai è fatta e poco più avanti vedo mio fratello e mio zio appostati in nostra attesa e con macchina fotografica pronta, mio fratello mi viene incontro, mi incita, è contento come me e mi riempie di foto, saluto mio zio che mi risponde guardandomi con gli occhi lucidi e gli dico, "arrivo in cima e torno subito"

mio fratello corre al mio fianco tutto l'ultimo km e io salgo al suo passo ormai soddisfatto, arriviamo insieme in cima e sento le gambe tremare, non per la fatica ma per l'emozione, mi scende una lacrima e vedo arrivare nello stesso momento il toscanaccio di prima che incredulo mi fa ancora i complimenti.

scendo dalla bici e mio fratello mi dice di posizionarmi vicino al cartello per fare la tipica foto ricordo, attendiamo il babbo e appena lo vedo arrivare mi ci fiondo e lo abbraccio, lui ricambia e mi chiede " da quanto sei arrivata", "boh, 5 minuti, ma alla fine non facevo nemmeno più fatica, sono troppo contento, le voglio fare tutte le grandi salite"...col senno di poi non c'ho visto mica nemmeno troppo sbagliato

 

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EROE DEL GAVIA

A 2 Km dalla vetta mi sono detto "Vai Marco o salti tu o salta lui...E' saltato lui.
Marco Pantani.Montecampione 1998

27/28/29 giugno 2008...son stato pure randonneur

!platonicamente innamorato di admin!

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/01/2010 alle 15:01
Wow!! Che impresa robby!! azzo!!



Mi sembrava di essere lì con te... come prima salita HC non potevi scegliere di meglio...

 

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Fabio

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"L'unico sport che pratico è seguire, camminando, i funerali dei miei amici che avevano praticato sport" Bertrand Russell

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Livello Gand-Wevelvem




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  postato il 23/01/2010 alle 19:50
A me invece mi viene da raccontare, sperando che a qualcuno interessi, il giorno che ho sofferto di più in bici da corsa. Siamo (ero) nel 2001 al primo anno Juniores, i primi allenamenti prima delle gare. Ero in una squadra piuttosto competitiva, composta da una 20ina di corridori con 4 elementi piuttosto interessanti. Uno in particolare poi ha vinto 8 gare di cui 3 internazionali ed è stato riserva ai mondiali di Lisbona. Questa squadra aveva e ha sede a una quindicina di chilometri da casa mia e i primissimi allenamenti li facevo in compagnia di altri due compagni di squadra che abitavano nella zona mentre gli altri corridori abitavano fuori regione e quindi venivano in prossimità delle gare e nei momenti può importanti della stagione.
Nei primi allenamenti che facevo in compagnia di questi due compagni e dei due direttori sportivi mi sono trovato subito bene.
Mi ammalai però una settimana di febbraio in concomitanza con la prima settimana in cui gli allenamenti dovevano essere un po’ più “pesanti” e stetti dal lunedì al sabato senza andare in bicicletta. La domenica era previsto un allenamento di 110km (che io non avevo mai fatto prima di allora) con tutta la squadra e io pur essendo stato malato non volevo perderlo in nessun modo per non rimanere troppo indietro nella preparazione.
Ebbene: si parte in doppia fila con cambi regolari con il 39: i primi 15km si doveva procedere con passo tranquillo e a fianco a me c’era un siciliano che ogni volta che toccava a noi tirare prendeva e faceva un allungo.. Io per stargli a fianco duravo una fatica terribile e per giunta poi mi beccavo le infamate di tutti gli altri che attribuivano a me l’improvvisa variazione di ritmo e io dicevo:”E’ colpa sua, io l’ho solo seguito..”. Questo per almeno 4 volte…
L’allenamento era un giro da ripetere 5 volte con una salita di 3km, si mette il 52 e con cambi ogni 300m si tira a 45km/h nei tratti in pianura, in salita me la cavavo abbastanza bene nonostante perdessi contatto da un po’ di compagni, ma il brutto era nei tratti tirati in pianura dove complice il fatto che ero stato una settimana fermo e malato non riuscivo proprio a spingere il rapporto quindi soffrivo davvero tanto a mantenere quel ritmo al punto che quella salita di 3km affrontata a tutta per me era davvero un sollievo. Alla fine ero talmente stanco che verso la fine dell’allenamento non mi ricordavo di mettere il 52 nei tratti in pianura e andavo a 45 con il 39 (ormai per me non faceva praticamente differenza) e gli altri mi urlavano:”Il 52!!”.
Insomma sono stati 110km e 3 ore di autentica sofferenza. Menomale che poi venne mio padre a prendermi sennò non avrei saputo proprio come fare per farmi gli altri 15km per tornare a casa. La sera quasi non potevo camminare per il mal di gambe e anche nei due giorni successivi dovevo un po’ riprendermi.
Da allora capii che tenete ritmi sostenuti senza essere in condizioni adeguate = farsi del male.
Quest'allenamento penso non me lo dimenticherò mai..


 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 3539
Registrato: Jan 2008

  postato il 23/01/2010 alle 20:04
Ti ho letto volentieri Federico. Ho capito bene la situazione perchè quando provai a correre fra i dilettanti andava sempre così, e anche io benedivo la salita quando arrivava.

PS: quando sei al ponte fai un fischio!

 

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Fabio

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