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Autore: Oggetto: Fuori tema: Piccola storia delle religioni

Livello Greg Lemond
Utente del mese Gennaio 2009
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  postato il 12/04/2009 alle 08:13
Originariamente inviato da elisamorbidona

"credere, obbedire, combattere"...."ama il prossimo tuo come te stesso"..."a chi ti chiama in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello". Mi pare che nelle tre citazioni la prima vada in una direzione un pò diversa. Invece sembra che per te siano la stessa cosa, giusto per il fatto che la seconda e la terza sono parole di una religione che pensa che esista un Dio solo.

>E' evidente che le citazioni vanno in direzione diverse, ma a me per quanto riguarda il comportamento delle "chiese" sembra più vicina la prima delle altre due. Basti confrontare quella cattolica come si è comportata finché ha avuto il potere temporale (1870) non venti secoli fa o quale sia l'imperativo categorico formulato dalla "GIHAD" ai nostri giorni. Io non rammento uno stato cristiano o musulmano che si sia avvicinato a quelle citazioni, mentre alla prima ...

Ricordo ancora una volta che il nazismo ben lungi dal richiamarsi ad alcun testo o citazione cristiana, musulmana o tantomeno ebraica, nelle sue opere pubbliche, grandi manifestazioni di piazza, discorsi alla nazione, reintrodusse il POLIteismo celtico e romano/greco classico. Esaltando naturalmente le divinità guerriere...

>Non ho mica detto che il nazismo ha copiato soltanto i monoteisti. Ha cercato di prendere il "meglio" dove poteva, ma senza il fanatismo (tipico di ogni assolutismo) non sarebbe riuscito a "convincere" la quasi totalità della popolazione tedesca. (Ti rammento che il nazismo è andato al potere con le elezioni !

potremmo parlare di San Francesco d'Assisi ? Anche lui era monoteista direi, non mi pare che il Vangelo lo abbia portato a credere (nelle armi e nella sopraffazione),obbedire ( al più forte) e combattere. Piuttosto a credere - che ci possa essere amore anche per i disperati - obbedire - alle leggi della convivenza pacifica e operosa di una comunità di persone che scelgono di abbandonare le proprie cose per vivere insieme di carità e lavoro condiviso- combattere - la sopraffazione ponendo innanzi la propria debolezza e provando a convincere restitendo bene per male ricevuto.

>Ecco, Francesco mi sembra un esempio più plausibile, ma non è che abbia lasciato un impronta profonda nella storia del monoteismo. Molto di più il movimento di Domenico con i suoi inquisitori, ai quali il popolo dette il nomignolo di "domini canis"



Per quanto riguarda i paralleli tra eventi accaduti a più di TRENTA SECOLI di distanza, tanto è il tempo che ci separa degli episodi narrati (non senza un chiaro intento parabolico e allegorico) nella Bibbia, prima di fare dei paragoni del tutto teorici, bisogna capire bene che cosa significava vivere nel 1200 avanti Cristo e che cosa nel ventesimo secolo dopo Cristo, basti pensare a ciò che veniva considerato "normale" nel relativamente vicino Medioevo e che cosa oggi.
Come spiegava con grande acume Michel Foucualt, ogni epoca ha le sue parole. E i concetti-base (tipo: equità sociale, parità di diritti, convivenza tra popoli...) di una epoca possono anche essere al di qua dall'essere anche solo pensati in un altra - soprattutto a TRENTA SECOLI di distanza!

>Vedi sopra

 

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il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
...
e i barbieri il lunedì

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 12/04/2009 alle 09:38
vedo che siamo d'accordo su molte cose, ma non sul nazismo.
Quello, da un punto di vista culturale e ideologico ha attinto: 1) alle filosofie del nichilismo e ad alcuni testi dell'idealismo tedesco 2) alle tradizioni religiose politeistiche celtiche ( ne è testimonianza tra l'altro l'adozione della croce svastica) e greco/romane, ma solo per quanto riguarda i loro aspetti bellici ed edonistici.
Cose di cui oggi, personalmente, noto un pericoloso ritorno.

Anche io sull'efficacia umana di alcune vie percorse dalla Chiesa Cattolica nel corso dei secoli ho le mie riserve.
Se però andassimo ad cercare ed elencare gli enti, le iniziative, le istituzioni che hanno assistito gli "ultimi" della Terra dall'epoca romana ad oggi direttamente dipendenti o in qualche modo afferenti alla tanto vituperata (e certamente ricca) Chiesa Cattolica saremmo qui a fare un elenco lunghissimo. Ci sono le suore che assistono (non mi pare che ricevano degli stipendi da manager) i malati, i missionari che prima di ogni discorso sul credo provano a difendere i diritti degli abitanti delle favelas....
I latori del progresso scientifico e tecnologico per rimanere a questi ultimi decenni ci hanno "regalato" la guerra in Medio Oriente e inventato bombe "intelligenti" che tanto intelligenti non sono.
Non mi pare che Giovanni Paolo II dalla finestra di San Pietro inneggiasse alla politica aggressiva di Bush...o Giovanni XXIII alle logiche della guerra fredda...

"errare humanum est" dovrebbe valere per tutti, o no? Una parte di egoismo e di cattiveria esiste in misura maggiore o minore o anche QUASI nulla in tutti gli uomini. Non si può rifiutare tutto a causa della ingiustizia di alcuni, ma anzi: " anche se vi fossero solo 10 giusti a Ninive, la grande città, io la rispamierò"!


 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 12/04/2009 alle 11:27
Originariamente inviato da elisamorbidona

vedo che siamo d'accordo su molte cose, ma non sul nazismo.
Quello, da un punto di vista culturale e ideologico ha attinto: 1) alle filosofie del nichilismo e ad alcuni testi dell'idealismo tedesco 2) alle tradizioni religiose politeistiche celtiche ( ne è testimonianza tra l'altro l'adozione della croce svastica) e greco/romane, ma solo per quanto riguarda i loro aspetti bellici ed edonistici.
Cose di cui oggi, personalmente, noto un pericoloso ritorno.

>Mi sembra che invece sul nazismo siamo d'accordo, perché io non contesto che ci siano anche queste radici. Sul ritorno di aspetti bellici, non credo fossero mai estinti, mentre su quelli edonistici il discorso sarebbe lungo, però "en passsant" ti dirò che io non ho niente contro chi ricerca nella vita il piacere che può dargli. Ad. es. le discussioni su cicloweb

Anche io sull'efficacia umana di alcune vie percorse dalla Chiesa Cattolica nel corso dei secoli ho le mie riserve.
Se però andassimo ad cercare ed elencare gli enti, le iniziative, le istituzioni che hanno assistito gli "ultimi" della Terra dall'epoca romana ad oggi direttamente dipendenti o in qualche modo afferenti alla tanto vituperata (e certamente ricca) Chiesa Cattolica saremmo qui a fare un elenco lunghissimo. Ci sono le suore che assistono (non mi pare che ricevano degli stipendi da manager) i malati, i missionari che prima di ogni discorso sul credo provano a difendere i diritti degli abitanti delle favelas...

>Io distinguo nettamente il lavoro dei singoli, anche "contra ecclesiam" da quello dello S.C.V. [tradotto anche: se cristo vedesse ]. Il vaticano e le gerarchie ecclesiastiche sono come i talebani (secondo me)

I latori del progresso scientifico e tecnologico per rimanere a questi ultimi decenni ci hanno "regalato" la guerra in Medio Oriente e inventato bombe "intelligenti" che tanto intelligenti non sono.
Non mi pare che Giovanni Paolo II dalla finestra di San Pietro inneggiasse alla politica aggressiva di Bush...o Giovanni XXIII alle logiche della guerra fredda...

>Su Giovanni XXIII il mio giudizio è molto diverso da quello del polacco, basti un esempio: il comportamento nei confronti del beato Pio da Pietrelcina. Per il resto ti posso rimandare ai messaggi a puntate che ho spedito su colui che "riempiva le piazze e vuotava le chiese"
Ma ormai, e purtroppo, il concilio vaticano II è stato rovesciato ad opera della restaurazione polo-tedesca

"errare humanum est" dovrebbe valere per tutti, o no? Una parte di egoismo e di cattiveria esiste in misura maggiore o minore o anche QUASI nulla in tutti gli uomini. Non si può rifiutare tutto a causa della ingiustizia di alcuni, ma anzi: " anche se vi fossero solo 10 giusti a Ninive, la grande città, io la rispamierò"!

>Ma poi Gomorra non la risparmiò, vedi che si ottiene nella ricerca nella giustizia assoluta?

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 12/04/2009 alle 12:28
n.b.: mi scuso per la confusione di Ninive con Sodoma. La citazione era per dire che anche se una sola piccola parte dell'uomo (il simbolico 10 per mille) conserva un anelito di bene, e questo zoccolo duro di umanità credo che non possa estinguersi nemmeno nel peggiore delinquente, non è giusto metterci una pietra sopra e condannare. Non lo fa nemmeno il Dio dell' Antico Testamento. Stessa cosa vale per ogni istituzione che è composta di uomini onesti e disonesti in misura diversa, come la Chiesa.
L'episodio di Sodoma e Gomorra ha più o meno lo stesso significato simbolico di una risurrezione spirituale che ha l'intero Esodo con i suoi cavalli e cavalieri ricoperti dalle acque del Mar Rosso. Da Sodoma esce Lot avvertito da Dio, simbolo di quel cuore "sacro" dell'uomo che a volte riemerge più consapevole dai diluvi della vita.
Mettiamo in discussione ogni minimo aspetto storico della Bibbia, la stessa esistenza storica dei suoi personaggi principali...e poi crediamo come fosse oro colato ai racconti delle stragi compiute da Dio, anche quando invece questi racconti hanno evidentemente più un contenuto allegorico che storico?
Un Dio ciecamente giustizialista non avrebbe senso in testo in cui si dice: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai"

p.s.: nemmeno io ho qualcosa contro chi ricerca dalla vita il piacere che questa può dargli. E' solo che a volte non ci si rende a sufficienza conto di quanto piacere ci possa essere in ciò che non si conosce, come quando si assaggiano quei cibi esotici cucinati con spezie il cui sapore non abbiamo mai conosciuto...





 

[Modificato il 12/04/2009 alle 12:40 by elisamorbidona]

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  postato il 12/04/2009 alle 19:34
Originariamente inviato da elisamorbidona

n.b.: mi scuso per la confusione di Ninive con Sodoma. La citazione era per dire che anche se una sola piccola parte dell'uomo (il simbolico 10 per mille) conserva un anelito di bene, e questo zoccolo duro di umanità credo che non possa estinguersi nemmeno nel peggiore delinquente, non è giusto metterci una pietra sopra e condannare. Non lo fa nemmeno il Dio dell' Antico Testamento. Stessa cosa vale per ogni istituzione che è composta di uomini onesti e disonesti in misura diversa, come la Chiesa.
L'episodio di Sodoma e Gomorra ha più o meno lo stesso significato simbolico di una risurrezione spirituale che ha l'intero Esodo con i suoi cavalli e cavalieri ricoperti dalle acque del Mar Rosso. Da Sodoma esce Lot avvertito da Dio, simbolo di quel cuore "sacro" dell'uomo che a volte riemerge più consapevole dai diluvi della vita.
Mettiamo in discussione ogni minimo aspetto storico della Bibbia, la stessa esistenza storica dei suoi personaggi principali...e poi crediamo come fosse oro colato ai racconti delle stragi compiute da Dio, anche quando invece questi racconti hanno evidentemente più un contenuto allegorico che storico?
Un Dio ciecamente giustizialista non avrebbe senso in testo in cui si dice: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai"

>Bello Elisa quanto hai scritto e quindi non mi pare giusto replicare, altrimenti "vedrei la pagliuzza e non la trave"

p.s.: nemmeno io ho qualcosa contro chi ricerca dalla vita il piacere che questa può dargli. E' solo che a volte non ci si rende a sufficienza conto di quanto piacere ci possa essere in ciò che non si conosce, come quando si assaggiano quei cibi esotici cucinati con spezie il cui sapore non abbiamo mai conosciuto...

>sui cibi esotici non sono d'accordo, li lascio volentieri alle mie figlie, io resto fedele alla cucina toscana





 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 13/04/2009 alle 08:56
Anche la Bibbia al gusto intellettuale dell'uomo razionale a volte può sembrare un cibo esotico...con quelle speziature che a noi sembrano eccessive e perfino fuori luogo, in effetti appartiene ad una cultura più "orientale" che "occidentale". Come tutte le pietanze se ti fai condizionare dall'aspetto esteriore magari sgradevole, va sempre a finire che non le gusti...

Per quanto riguarda il piacere, nella Bibbia ci sono parole di condanna quando per la voluttà del corpo si giunge a fare del male o si perde il senso delle cose della vita di tutti i giorni - es. il re Davide (pur sempre l'unto di Dio) che manda a combattere in prima linea il suo generale marito della bella Bersabea sperando che sia al più presto sia ucciso, oppure gli stessi abitanti di Sodoma e Gomorra dediti unicamente alle gozzoviglie più sfrenate, quando magari ci sarebbero stati campi da coltivare e concittadini da aiutare .
Ma per il piacere fisico in sè e per sè io parole di condanna non ne ho mai lette...anzi l'impressione è che i "peccati della carne" siano quasi tenuti in scarsa considerazione rispetto per esempio all'invidia, alla superbia, alla prevaricazione, all'averizia...

 

[Modificato il 13/04/2009 alle 09:01 by elisamorbidona]

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  postato il 13/04/2009 alle 10:45
Originariamente inviato da elisamorbidona

Per quanto riguarda il piacere ... gli stessi abitanti di Sodoma e Gomorra dediti unicamente alle gozzoviglie più sfrenate, quando magari ci sarebbero stati campi da coltivare e concittadini da aiutare .
Ma per il piacere fisico in sè e per sè io parole di condanna non ne ho mai lette...


Mah, su questo non posso essere d'accordo. Se ho capito bene, per te, siccome gli abitanti non coltivavano i campi e non aiutavano i concittadini, era meglio ditruggere le due città e così i campi si sarebbero coltivati da soli e, d'altra parte, i Sodomiti/Gomorriani (si chiamavano così?) non avrebbero avuto più bisogno di essere aiutati?

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 13/04/2009 alle 11:12
Messianismo politico e religioso (terza parte)




La radice religiosa, e quindi esistenziale emerge anche nel
millenarismo comunista, oltre che dalle forti componenti comunistiche
dei programmi degli anabattisti e di vari altri movimenti religiosi già
menzionati, anche da alcune forme di «socialismo utopistico», come fu detto
il primo socialismo dai marxisti per distinguerlo dal proprio, che si
affannarono a definire «scientifico» (senza accorgersi che proprio in questa
qualifica affiorava il loro ancoramento fideistico alla religione e utopia
del tempo: appunto la Scienza).

Mentre nei programmi di Fourier, di Proudhon o di Weitling affiorano
chiaramente un paio di temi essenziali del mito millenaristico - quelli
della Giustizia e dell'Amore Universale - l'afflato religioso permea tutti
gli ultimi scritti di C.H.. Saint-Simon (non a caso pubblicati col titolo
Nuovo cristianesimo, 1825) ed esplode esplicitamente nell'opera dei suoi
continuatori che, raggruppati intorno a B.-P. Enfantin, diedero vita a una
vera e propria comunità ecclesiale, con riti e gerarchie propri, tutta
protesa ad attendere l'avvento di una profetessa e dell'era di felicità che
questa avrebbe inaugurato. «Facitori di utopie ma insieme rinnovatori del
Cristianesimo», sarà scritto dei sansimoniani e degli enfantiniani, «essi
fondono a un tempo l'avvenire promesso dal Progresso con il Regno di Dio,
sacralizzando il sociale e socializzando il sacro. »11

Sotto l'incalzare della crisi religiosa aperta dall'illuminismo e
approfondita dal positivismo, il movimento socialista assunse comunque -
prima con Babeuf e Blanqui e poi con Marx, Engels e Lenin - connorazioni
dichiaratamente atee e materialiste. Ciò nondimeno, la componente
millenaristica della sua ala rivoluzionaria non solo restò intatta ma si
accentuò. Essa emergerà anzitutto nel furore settario con cui gli esponenti
di quest'ala giudicheranno e perseguiteranno i capi delle correnti moderate
e riformiste che rifiutano di adottare il loro programma apocalittico.

Così, quando Eduard Bernstein formulerà le sue critiche alla tesi marxiana
del progressivo impoverimento del proletariato e sosterrà la necessità di
adottare una linea riformista e democratico-parlamentare, verrà subito
bollato come un traditore: e «social-traditori» saranno chiamati per quasi
cent'anni, dai comunisti «puri», i socialdemocratici.

E quando Karl Kautsky oserà dissentire dall'opportunità di una rivoluzione
violenta per la conquista del potere, Lenin lo additerà al disprezzo dei
suoi seguaci come «il rinnegato Kautsky». Il tono adottato contro questi
dissenzienti è lo stesso, gonfio d'odio e di maledizioni, usato un tempo
contro gli «eretici impenitenti». E analoghe saranno presto le accuse: nei
processi staliniani e in quelli maoisti gli oppositori vengono accusati di
ogni nefandezza (dal furto, all'assassinio, al sabotaggio, alla violenza
carnale, all'omosessualità, all'« intelligenza col nemico»: moderna versione
della complicità con Satana).

Come già nei processi per stregoneria, le donne (si pensi alla campagna
contro Chiang Ching, o vent'anni prima contro la leader comunista romena
Anna Pauker, caduta in disgrazia) sono accusate di scostumatezza e di
cospirazione ai danni dei mariti.

E come negli autodafé, i condannati dovranno confermare le confessioni
estorte con la tortura e riconoscere la giusta severità della condanna
inflitta dalla Vera Chiesa (cioè il Partito) e dai suoi fedeli ministri.


 

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  postato il 15/04/2009 alle 07:15
Quando Ratzinger bazzicava il più lercio sottobosco della destra estrema
europea

Die Aula è una rivista austriaca di estrema destra fondata nel 1951 che il
Dokumentationsarchiv des österreichischen Widerstandes, l'Informationsdienst
gegen Rechtsextremismus e l'Informationsportal Rassismus und Antisemitismus
schedano come neonazista e negazionista. Un giornalaccio, insomma. Tuttavia
può vantare di aver avuto un collaboratore di eccezione: Joseph Ratzinger.
Poco più di dieci anni fa, un suo breve saggio dal titolo Freiheit und
Wahrheit impreziosiva il numero speciale che la rivista dedicava ai 150 anni
trascorsi dai moti liberali del 1848 (1848 - Erbe und Auftrag).
A soli 19,90 euro, sul sito web della rivista (dalla cui homepage Benedetto
XVI saluta i visitatori col suo ineffabile sorriso), si può ordinare una
copia di quel fascicolo che fieramente espone una fascetta con la scritta:
"Mit einem Beitrag von Kardinal Ratzinger". Questo per i feticisti, perché
il testo del contributo che Joseph Ratzinger dava alla rivista preferita dai
neonazisti austriaci è reperibile in rete in una eccellente traduzione in
lingua inglese.

Niente di eccezionale, in realtà, si tratta del solito Ratzinger e del
solito attacco al cuore della modernità, cioè al concetto di libertà così
come venutosi a definire dall'Illuminismo in poi, ineluttabilmente -
fatalmente, quasi - in opposizione al concetto di libertà cristiana.
Insomma, siamo di fronte al solito lamento dell'uomo della Tradizione che
nel tramonto del principio di autorità com'era inteso nel Medioevo vede la
fonte prima di ogni bruttura e di ogni male del mondo moderno. Toni soffici
da chierico, ma nella sostanza si tratta della solita critica alla
democrazia e al principio della libera e responsabile autodeterminazione
dell'individuo.
È stato il deputato austriaco Karl Öllinger a ritrovare questo testo e la
rivista Der Spiegel a segnalare le pessime frequentazioni di Joseph
Ratzinger. Imbarazzo della diocesi di pertinenza, quella di Vienna, che
subito si precipitava a dichiarare che l'autore di quello scritto non ne
avesse mai autorizzato la pubblicazione su Die Aula. È una bugia, se ne ha
la conferma quando salta fuori il carteggio tra il responsabile della
rivista e il segretario dell'allora cardinal Ratzinger: l'assenso era stato
dato con tutti i crismi.

Fa un po' impressione, scorrendo l'indice di questo numero della rivista,
vedere, tra i nomi di antisemiti e negazionisti, il nome di chi tra poco più
di dieci anni, da pontefice, spalancherà le braccia a monsignor Richard
Williamson. La stampa di mezza Europa ha fatto espressione di tale
sconcerto, ma voi pensate che in Italia qualcuno abbia ritenuto utile
segnalare la cosaccia? Macché.
Abbiamo visto, ieri: i nostri vaticanisti pensano che "il giornalista in
Vaticano non deve mai venire meno alla legge dell'ospitalità". Ricordare al
Papa che dieci anni fa bazzicava il più lercio sottobosco della destra
estrema europea sarebbe un'indelicatezza. Non si fa.


 

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  postato il 16/04/2009 alle 09:08
Messianismo politico e religioso (quarta parte)

È soprattutto nello schema teorico dell 'evoluzione umana che il marxismo
svela il suo inconsapevole e insormontabile ancoramento al mito
biblico-millenaristico: un ancoramento del resto comprensibile data
l'educazione ebraica di Marx. A un esame psicologicamente vigile, infatti,
quello schema risulta essere essenzialmente una ennesima versione
secolarizzata e scientifica del fanatismo religioso e della sua promessa
salvazionistica, insomma della difesa religiosa contro lo shock
esistenziale.

Come nel mito biblico dell'Eden, così anche nelle teorie di Lewis R. Morgan
e di Friedrich Engels, l'uomo delle origini viveva felicemente e
pacificamente in un regime di matriarcato comunista.18

Con il progresso tecnologico (cioè con i frutti dell'Albero della
Scienza...) si sviluppa però la proprietà privata (una sorta di «peccato
originale») e l'uomo precipita dalla felice età comunistica dell'oro
nell'era bronzea della cupidigia proprietaria, della divisione in classi,
dello sfruttamento e del dominio, che si trascina per millenni fino alla sua
fase finale, quella capitalistica, ove le masse umane sono condannate a una
sofferenza e a una miseria crescenti.

È proprio in questa fase estrema, mentre la Mala Bestia del capitalismo
rovescia i suoi flagelli di fame e di guerra sull'umanità sventurata, che
sopraggiunge il Messia: un Messaggero di Verità, inflessibile nemico dei
farisei, degli scribi e di tutti i falsi profeti della Fede Rivoluzionaria.
E non a caso, gran parte del tempo di Marx (come poi di Lenin e dei suoi
successori) sarà dedicata alla lotta contro i profeti rivali: da Bauer a
Lassalle, da Duhring a Proudhon, da Weitling a Bakunin. Intorno al vero
Messia si forma la Vera Chiesa, cioè il Partito che guida i fedeli (il
proletariato) alla lotta contro le forze del Male (il capitalismo) destinate
a essere sconfitte e abbattute con la guerra rivoluzionaria (versione
politicizzata della guerra santa).

Segue una sorta di Giudizio Universale (la «dittatura del proletariato»)
durante il quale (almeno nella versione leninista e stalinista del «vangelo»
marxiano) i malvagi, cioè i nemici della Vera Fede, vengono puniti e
precipitati nell'inferno concentrazionario dei Gulag e, infine, in un'epoca
che la profezia (come tutte le profezie millenaristiche) indica prossima e
che tuttavia tende ad allontanarsi sempre più, ha inizio il Millennio
comunista di perfetta armonia e beatitudine: per dirla con Marx, «il salto
dal Regno della Necessità al Regno della Libertà» (una versione
politicizzata della vecchia formula religiosa «Dal regno di Satana al regno
di Dio»).

Se guarderemo a questo essenziale nucleo psicologico-esistenziale del
messaggio marxista senza lasciarci distrarre proprio da quegli elementi di
determinazione e articolazione storica, economica e politica che il marxismo
stesso e la storiografia convenzionale considerano prioritari, vedremo con
chiarezza l'analogia fra le sue vicende e quelle dei messaggi millenaristici
di stampo religioso.

Questa analogia affiora in modo lampante perfino in alcuni particolari dei
prodromi del Millennio. La tradizione millenaristica (dall'Apocalisse a
Gioacchino da Fiore a Savonarola) aveva spesso sostenuto che l'inizio del
Millennio sarebbe stato preceduto da sconvolgimenti terribili e da una
estrema offensiva delle forze del Male, guidate dall'Anticristo. Ebbene, sia
Stalin sia Mao sostennero che la guerra atomica era inevitabile e che i
nemici dei popoli, sia interni sia internazionali, avrebbero intensificato i
loro attacchi al socialismo: pertanto le persecuzioni contro questi nemici
andavano moltiplicate.19

Inoltre, già poco dopo la morte del Profeta, la chiesa marxista si scinde in
due tronconi: uno moderato ed empirista, la social-democrazia, che viene a
patti col potere esistente, influenzandolo e trasformandolo, e rinuncia
all'apocalisse rivoluzionaria, prima nel breve periodo, poi definitivamente;
l'altro dogmatico e fanatico, guidato da un capo carismatico che deve
imporsi prima come autentico interprete del vangelo marxista e poi come
legittimo erede dell'autentico interprete. Così, non a caso, nella Russia
stalinista, la trinità profetica sarà quella di Marx-Lenin-Stalin e nella
Cina maoista quella di Marx-Lenin-Mao. Significativamente, il regime
instaurato da Lenin e Stalin viene per anni salutato (con zelo tragicomico,
data la violenza, la fame e la miseria che lo flagellano) col termine di
«paradiso dei lavoratori».

Il culto della personalità, tanto deprecato come «degenerazione del sistema»
da quegli stessi comunisti che l'avevano devotamente praticato finché era in
vita il Tiranno-Profeta, appare in questa luce, al contrario, perfettamente
omogeneo al sistema perché, in quanto sette fanatiche e millenaristiche, i
partiti marxisti-leninisti hanno bisogno di un capo carismatico e
infallibile. Se tentano di farne a meno, perdono inevitabilmente la loro
carica messianica e si trasformano in chiese istituzionali, fossilizzate
nelle proprie gerarchie e nei propri rituali.

Il significato essenzialmente religioso del Culto del Capo emerge del resto
in modo evidente nei regimi comunisti. Così, per esempio, Stalin, artefice
di atroci carestie, sarà cantato perché «fa crescere le messi», l'immagine
di Mao, come quella della Madonna di Lourdes, miracolerà i moribondi e le
salme dei Capi defunti (come quelle dei santi e dei Faraoni) verranno
imbalsamate.


 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 17/04/2009 alle 08:33
Chiesa contro chiesa

Fedeli vogliono donare fondi festa, no del parroco
I cittadini di Piane d'Archi, frazione di Archi, piccolo centro del Chietino, avevano raccolto 10.000 euro per una festa religiosa in programma a Pasqua, poi annullata causa terremoto; hanno proposto al parroco di devolvere la somma agli sfollati, ma lui, don Michele, si è opposto. Quando il comitato organizzatore ha illustrato la proposta, il parroco ha detto che su quei soldi i cittadini non hanno più alcun diritto, anche perché la chiesa stessa ha già aiutato i terremotati. Il comitato invita la popolazione a "disertare tutte le funzioni e a dire basta a questa arroganza e cattiveria", invitando don Michele ad "andarsene via". "Sgarbata, falsa e disonesta" replica don Michele, spiegando che è contrario a dirottare i soldi raccolti perché già destinati alla festa del Cristo Salvatore.

fonte:
http://www.uaar.it/news/2009/04/16/piane-archi-ch-niente-soldi-della-festa-agli-sfollati/

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 19/04/2009 alle 10:19
Messianismo politico e religioso (quinta parte)



Si è fin qui cercato di sottolineare le differenze rilevabili tra i
fanatismi totalitari di stampo individualista e nazionalista e quelli di
stampo comunista.

Vorrei però ricordare che queste differenze sono state e sono, nella realtà,
molto meno forti di quanto i loro capi abbiano voluto dare a credere.

Le origini socialiste e socialrivoluzionarie di Mussolini e del fascismo
sono note.20
Il partito di Hitler, a sua volta, si chiamava
nazional-socialista e aveva un programma e un linguaggio fortemente
anticapitalisti e antiborghesi.

Con buona pace della nostra storiografia antifascista, inoltre, sia il
regime mussoliniano sia quello hitleriano trovarono forti appoggi anche tra
gli operai. (Che i movimenti fascisti abbiano avuto finanziamenti dai grandi
agrari e industriali non mi sembra dimostrare granché: è noto che un certo
padronato tende a «giocare su molti tavoli» e finanzia spesso anche i
partiti di sinistra.) Simmetricamente i partiti marxisti-leninisti non
furono né sono di certo immuni da tendenze nazionaliste e razziste.

Così sono noti, per esempio, sia gli orientamenti panrussi e i violenti
sussulti antisemiti che il regime sovietico ha avuto nel corso dei suoi
settant'anni di storia, sia il costante ricorso del Cremlmo ai temi
dell'orgoglio e del sacrificio patriottico per convincere la popolazione a
lavorare per i giganteschi piani economici e militari.

Dagli anni di Stalin in poi, inoltre, la propaganda dei partiti
marxisti-leninisti ha assunto accese tonalità nazionalistiche, soprattutto
nel Terzo Mondo ma anche in Europa, per facilitare la propria
penetrazione.21

Questa ibridazione tra marxismo e nazionalismo, anzi, è stata la formula
prediletta dei regimi comunisti che hanno voluto autonomizzarsi da Mosca
(via via dalla Jugoslavia all'Albania, dalla Romania alla stessa Cina) o
scaricare in attività militari esterne le loro tensioni interne (Cuba,
Vietnam del Nord, eccetera).

Comunque è soprattutto nei regimi terzomondisti - paesi arabi più
«militanti», dittature militari «progressiste» dell'America Latina,
dell'Africa e dell'Asia - che millenarismo socialista e nazionalista si
fondono e si confondono con maggiore disinvoltura, adottando apertamente il
linguaggio e i comportamenti del fascismo nel momento stesso in cui, a
parole, si proclamano fieramente antifascisti.

Nonostante le sue pretese di originalità e di antagonismo nei confronti
della cultura tradizionale, il femminismo appare solo, in un'otticà
psico-esistenziale, un'ennesima ripetizione dei vizi costituzionali di
quella cultura.

La deformazione paranoicale della realtà è più che mai presente. All'analisi
sacrosanta della demonizzazione della donna nelle religioni tradizionali
(una demonizzazione di cui si sono qui evidenziate le radici
psico-esistenziali) il femminismo non sa contrapporre altro che una
simmetrica demonizzazione dell'uomo. La donna (ma beninteso solo quella
militante nei ranghi della Vera Chiesa e della Vera Rivoluzione femminista)
è unica depositaria della Vera Giustizia e del Vero Millennio. La sessualità
è sinonimo di degradazione e va rifiutata, salvo nelle forme predicate dalla
Vera Chiesa (lesbiche e clitoridee per la Chiesa femminista, come già
coniugali e prolifiche, e debitamente vaginali, per le chiese maschiliste).
Con significativa convergenza con l'iconografia cristiana tradizionale, il
femminismo ha finito per tentare una ripetizione del modello ecclesiastico
d'una «sacra famiglia» in cui il padre viene emarginato e la diade
madre-bambino viene privilegiata. Qualche gruppo femminista 22
è giunto
perfino, nei primi anni '70, a immaginare un Mondo Nuovo, cioè un nuovo
Paradiso Terrestre, in cui i maschi saranno rinchiusi in apposite riserve o
parchi zoologici ove le donne «liberate» andranno a osservarli, a studiarli
e a gratificarli con qualche nocciolina.

Se il millenarismo totalitario ha vita precaria, per motivi che vedremo tra
poco, quello femminista l'ha avuta però anche più precaria perché la sua
predicazione e le sue promesse cozzavano addirittura contro i bisogni
psico-biologici essenziali delle masse femminili cui erano rivolte: appunto
quelli sessuali, che, con buona pace di certe leaders femministe, erano e
restano eterosessuali.

Già le mie analisi psicopolitiche di stampo culturalista 23
avevano
consentito di dimostrare che le profonde diversità ideologiche, economiche e
istituzionali dei vari sistemi totalitari erano e sono sostanzialmente
irrilevanti, ai fini dei comportamenti interni e internazionali di quei
regimi. Il vero fattore determinante, che spiega la loro straordinaria
somiglianza in termini di politica interna ed estera, è l'analogia della
struttura caratteriale e della dinamica psicologica di massa e di vertice.
Ora, l'approccio esistenziale alla psicopolitica consente di procedere a
un'ulteriore unificazione e chiarificazione. Il nucleo psicologico di tutte
le dittature del nostro secolo - cioè il fanatismo interno e/o
internazionale - non è altro, sostanzialmente, che la versione politicizzata
e secolarizzata di una forma di fanatismo religioso - il millenarismo
messianico - con cui vasti gruppi umani, a partire dall'epoca zoroastriana,
hanno tentato di reagire al «trauma primario» dell'homo sapiens: lo
shock esistenziale.

Per chi voglia vederla, del resto, la natura essenzialmente religiosa di
ogni totalitarismo emerge in modo lampante dall'alone chiaramente mistico
che soffonde una qualsiasi pagina di propaganda totalitaria. La retorica del
fascismo, che non a caso creò un'apposita Scuola di Mistica Fascista, del
nazismo e dello stalinismo è fin troppo nota. Può essere utile citare una
pagina di propaganda maoista, perché il maoismo fu un delirio millenaristico
che travolse i nostri intellettuali «impegnati» fino a poco meno di dieci
anni fa: insomma è un fenomeno che vieta di relegare nel passato remoto i
rischi di una nuova infatuazione totalitaria.

Si leggeva in un numero del febbraio '73 della rivista La Cina diffusa
dall'apparato propagandistico maoista in tutto il mondo:

Quando il Presidente Mao passò in rivista i delegati alla conferenza della
gioventù comunista, lacrime di gioia colarono sulle rosse gote di tutti i
presenti, il cui cuore era schiantato dalla felicità.

Oh amato, oh rispettato Presidente Mao! Ogni gloria Ti appartiene! Ogni
vittoria è il riverbero del Tuo illuminato pensiero! Attraverso lo studio e
l'applicazione creativa del Tuo pensiero, abbiamo un'energia che ci permette
di spostare le montagne e colmare i mari. Attraverso lo studio e
l'applicazione creativa del Tuo pensiero, siamo gli alfieri decisi a
cambiare cielo e terra! Oh, caro Presidente Mao! È il Tuo luminoso pensiero
che ci nutre, esso è il solo che ci permette di fare d'ogni nemico carne da
macello [sic!].

Alla vista del Presidente Mao che loro sorrideva affettuosamente, mille
parole affluivano alla bocca del loro delegato Van Sung Hai: «Oh, amato, oh
rispettato Presidente Mao! La potenza del Tuo pensiero è infinita! Con il
Tuo pensiero possiamo fondere i ghiacciai e trasformare i deserti».

Il Presidente Mao passò in rivista i delegati: «Oh amatissimo Presidente
Mao!» essi dicevano - «il Tuo pensiero è una bomba atomica Spirituale dal
potere incomparabile. Possederlo, ci permette di fabbricare bombe atomiche
sempre più numerose e potenti e di compiere ogni sorta di prodigi!»

Quando si concluse la cerimonia i delegati, piangenti di felicità e col
cuore tambureggiante d'emozione, si precipitarono al telegrafo e ai telefoni
per annunciare con i mezzi più rapidi a tutto l'esercito e a tutto il paese
la loro immensa gioia per la realizzazione del loro supremo desiderio:
l'onore unico di essere ricevuti dal Presidente Mao.

Ancora una volta, questa ulteriore sintesi critica in chiave esistenziale è
possibile perché l'approccio psicologico si focalizza su dinamiche, appunto, psicologiche, per loro natura più antiche, profonde e permanenti
delle varianti culturali (religiose, politiche, economiche o istituzionali)
cui esse dànno via via luogo e con cui interagiscono.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 20/04/2009 alle 15:47
Massimo Galimberti: sulle domande e sulla verità

http://www.youtube.com/watch?v=OzpYFbBKSWM&NR=1

 

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  postato il 21/04/2009 alle 08:28
Messianismo politico e religioso (sesta parte)

Questo approccio psicologico spiega forse anche la tendenza espansionistica
di ogni fanatismo religioso e politico (in quanto per definizione ogni nuovo
movimento millenarista nasce in una data regione e le popolazioni
circostanti, proprio perché «non convertite», sono viste come nemiche)
nonché l'acuirsi della tendenza espansionistica coll'aumento della densità
demografica: questa densità, infatti, porta ad accentuare l'ansia di
sopravvivenza, cioè l'angoscia di morte, che a sua volta tende a scaricarsi
in aggressività esterna. Del resto, è stato un grande e brillante teorico
della guerra come fenomeno demografico, Gaston Bouthoul, ad aprire la porta
alla psicologia quando ha scritto che «è illusione credere che la guerra
dipenda dalla volontà cosciente degli uomini, perché, al contrario, le
motivazioni coscienti sono solo razionalizzazioni ».

Questo approccio psicologico ci permetterà inoltre di capire il successo
particolare che i miti millenaristici incontrano tra i giovani. Il giovane
rimuove molto più radicalmente l'angoscia di morte: qualcuno ha scritto che
«la gioventù finisce quando si cessa di credersi immortali». (E qui sta,
anzi, la radice del rigido segregazionismo con cui i giovani escludono gli
anziani dai loro gruppi: l'anziano è temuta testimonianza del loro stesso
destino.) Ma proprio in quanto meno rassegnato dell'anziano alla propria
morte, il giovane è molto più vulnerabile ai miti e ai messaggi
millenaristici, sia religiosi sia politici. Aderendo a un movimento
millenarista, egli ha l'illusione di diventare uno degli Eletti cui spetta
di preparare l'avvento del Millennio combattendo e sgominando le forze del
male e poi di inaugurare la nuova era di universale felicità. Solo in questa
ottica possiamo capire il fatto, rilevato ma non spiegato da un «analista
della guerra» come Franco Fornari; che «i giovani accettano con maggiore
facilità degli altri l'idea di perdere la vita per un'idea».25
E parimenti potremo comprendere perché, tanto spesso, tra le vittime della
droga ci siano oggi tanti reduci dei movimenti rivoluzionari giovanili degli anni '70.
Crollati i paradisi politici, si tenta disperatamente d'arginare
l'angoscia esistenziale incalzante rifugiandosi nei nuovi paradisi chimici
della droga.


Quanto agli intellettuali, se il «tradimento dei chierici» denunciato da
Julien Benda fin dal 1927 appare deplorevole sul piano etico,26
esso risulta più che comprensibile sul piano psicologico: alle molte ragioni sociali di alienazione segnalate da vari autori,27 l'intellettuale moderno aggiunge una speciale vulnerabilità al collasso psichico, alla disperazione, al dogmatismo totalizzante in quanto la laicizzazione della cultura ha più precocemente e radicalmente demolito in lui le certezze religiose.

Soprattutto, questo approccio psicologico ci consente di capire non solo il
terribile parallelismo tra insorgenza e sviluppo della cultura, da un lato,
e, dall'altro, insorgenza e sviluppo della guerra, cioè della distruttività
interna alla specie umana (un fenomeno quasi sconosciuto tra le specie
animali), ma anche di cogliere la crisi epocale in cui persino la guerra -
elaborazione paranoicale dell'angoscia di morte - è giunta con la
prospettiva dell'olocausto nucleare, cioè con l'impossibilità di esportare
la morte nostra sugli altri, senza restare uccisi noi stessi. Ma su questo
problema torneremo più avanti.

Infine, mi sembra molto agevole inquadrare, in quest'ottica, anche il
terrorismo, cioè una delle manifestazioni più recenti e sconvolgenti del
fanatismo totalitario.

Vorrei anzitutto rilevare che forme di fanatismo particolarmente sanguinario
sono emerse, in tempi e luoghi diversissimi, nelle religioni e nei culti
salvazionisti: dalle persecuzioni cruente contro gli eretici nel mondo
cristiano alle stragi dei Thugs (seguaci fanatici della divinità Kali) e
degli «assassini», cioè dei giustizieri imbottiti di hashish che una setta
ismailita sguinzagliò dall'XI al XV secolo in tutto il Medio Oriente.

Se guardiamo al fanatismo politico di questo secolo come a una versione
secolarizzata del fanatismo religioso tradizionale non ci sorprende quindi
che esso abbia prodotto con i terroristi neri e rossi la sua brava setta di giustizieri sanguinari.

La continuità psicologica tra fanatismo religioso e fanatismo politico nel
nostro secolo è dimostrata, del resto, dalle origini spesso confessionali
dei «capi storici» del terrorismo.


L'analisi psico-esistenziale ci permette insomma di scoprire nella
declinazione paranoicale dell'angoscia di morte il denominatore comune
psicologico della millenaria catena di odio, atrocità e intolleranza cui è
legata la storia umana in ogni epoca e in ogni paese: dai 26.000 cuori
strappati sugli altari aztechi nel solo anno 1426, al «premio» d'essere
prima uccisi e poi bruciati concesso dai civilizzatori cristiani agli
indigeni caraibici che si convertivano alla «vera fede», alle migliaia di
schiavi o prigionieri sacrificati alle rispettive divinità da egizi,
cartaginesi, alle piramidi di teschi d'infedeli accatastate da Gengis Khan,
ai ... (*) di streghe ed eretici arsi dai cristiani, alle centinaia di
milioni di vittime delle varie guerre sante o rivoluzionarie.

(*) Nota del redattore : recenti ricerche storiche
fanno luce sul numero di streghe bruciate sui roghi in tutti i tempi, in
tutta Europa, più Salem (Massachussets), risultano "solo" circa 60.000

 

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  postato il 21/04/2009 alle 13:53
Storia degli antichi ebrei (undicesima parte)

Il 14° capitolo della Genesi ha interessato gli studiosi per la presenza di diversi personaggi che vengono presentati come protagonisti di un avvenimento storico, e interamente "mondano", nel senso che non se ne capisce l'importanza per l'esposizione di una dottrina religiosa.
Fra i vari personaggi ne emergono due: Chedorlaomer e Melchidesek.
In questo messaggio ci occupiamo del primo.

14. 1 Quando Amrafel era re di Sennaar, Arioch re di Ellasar, Chedorlaomer re di Elam e Tideal re dei popoli [di Manda], 2 costoro dichiararono guerra a Bera, re di Sodoma, a Birsa, re di Gomorra, a Sinab, re di Adma, a Semeber, re di Zeboim, e al re di Bela, cioè Zoar. 3 Questi si radunarono nella valle di Siddim, cioè il Mar Morto. 4 Per dodici anni erano stati sottomessi a Chedorlaomer, ma al tredicesimo anno si ribellarono. 5 Nell'anno quattordicesimo, Chedorlaomer e i re suoi alleati arrivarono e sbaragliarono i refaim ad Astarot dei due corni, gli zuzim a Am, gli emim a Save delle due città 6 e gli hurriti sulle loro montagne di Seir, fino a El-Paran, al confine con il deserto. 7 Poi tornarono indietro, andarono a En-Mispat, cioè Kades, e saccheggiarono l'intero territorio degli amaleciti e anche degli amorrei, che abitavano a Azazon-Tamar.

Fermiamoci un momento e vediamo qualche interpretazione giudaico-cristiana dei protagonisti e della collocazione storica di quanto viene narrato nel capitolo.

Bibbia di Gerusalemme:
"Questo capitolo non appartiene a nessuna delle tre grandi fonti della Genesi. Il suo valore è giudicato molto diversamente. Sembra che sia una composizione tardiva che rimaneggia l'antica: i nomi dei quattro re dell'Oriente hanno forme antiche, ma non sono identificabili a nessun personaggio noto, ed è storicamente impossibile che l'Elam abbia mai dominato sulle città a sud del mar Morto e sia stato alla testa di una coalizione che avrebbe riunito un re amorreo (Amrafel), un re hurrita (Arioch) e un re hittita (Tideal). Il racconto ha voluto unire Abramo alla grande storia e aggiungere alla sua figura un'aureola di gloria militare".

Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali: Genesi , note di Emanuele Testa.
"I critici sono tutti d'accordo nell'affermare che questo capitolo non appartiene a nessuna delle tradizioni classiche del Pentateuco.
Il Redattore, in un tempo più o meno tardivo, ha sapientemente sfruttato un vecchio documento, forse una epopea preisraelitica, forse una stele di vittoria, trasformandola in un midras. Abbiamo perciò un miscuglio di elementi antichissimi con altri molto recenti.
… Purtroppo questi nomi sono ancora ignoti , benché essi siano di formazione comune alla onomastica dei sec. XVII-XV a. C. Per parecchio tempo Amrafel fu identificato con Hammurabi; identificazione che oggi dalla maggior parte degli esegeti è stata abbandonata, anche se da qualcuno è difesa di nuovo (Fr. Cornelius). Prima di Hammurabi, l'Elam ebbe una certa egemonia sulla Mesopotamia.
… Il Redattore, che conosce la tragica fine di Sodoma e Gomorra, ricorre a due rebus ortografici per disprezzarne i re che chiama
Be-ra', "ingolfato nel male" e Be-resa', (ingolfato) "nella improbità" ".

Commento storico-letterario "laico".
I nomi, i luoghi, i tempi.

1) Amrafel, identificato come Hammurabi.
Hammurabi iniziò a regnare a Babilonia nel 1792 a. C. e, nel corso del suo regno, durato fino al 1750, estese il suo controllo sulla Mesopotamia, comprese la città di Mari e l'Assiria, e sull'Elam, la regione ad est della Mesopotamia nella cui capitale, Susa, è stata rinvenuta la stele con una copia del suo codice legislativo. Non risulta che abbia tentato di espandere il suo dominio ad ovest di Mari verso la Siria, il Libano o la Terra di Canaan. Nel racconto biblico il capo della spedizione militare è però Chedorlaomer, presentato come re dell'Elam: poiché è storicamente accertato che Hammurabi dominò sull'Elam e non viceversa, alcuni hanno proposto che l'episodio biblico sia avvenuto quando Hammurabi era un giovane principe babilonese sotto egemonia elamitica. Della verosimiglianza dell'ipotesi che un re elamita potesse condurre una spedizione di guerra fin quasi alle sponde del Mediterraneo parleremo fra poco. Per finirla con Hammurabi diremo che se Abramo lo combattè allora dovremmo accettare una cronologia dei Patriarchi di tipo "medio" per cui sarebbero vere le straordinarie lunghezze delle vite dei Patriarchi
2) Chedorlaomer, re dell'Elam.
Secondo il racconto biblico quattordici anni prima degli avvenimenti narrati aveva conquistato Sodoma, Gomorra, Adma, Zeboim e Zoar, situate nella regione del Mar Morto, e queste città, dopo quattordici anni di sudditanza, si sarebbero ribellate. In che modo abbiano attuato la rivolta non si capisce, perché non risulta alcuna loro iniziativa: fa tutto Chedorlaomer, re dell'Elam.

Ma guardiamo una carta geografica: fra l'Elam e il Mar Morto ci sono centinaia e centinaia di chilometri in linea d'aria, ed in mezzo ci sono, da est ad ovest, la Mesopotamia e il deserto dell'attuale Giordania. Possiamo essere certi che nessun re elamita sia stato così folle da andare a conquistare un territorio così lontano dal suo, senza avere il minimo controllo dei territori intermedi. E poi, per ottenere cosa? La regione del Mar Morto produceva bitume: l'Elam lo produceva in proprio e la bassa Mesopotamia ne sovrabbondava. Si può concludere che il coinvolgimento dell'Elam nella vicenda narrata nel capitolo 14 di Genesi è un assurdo storico ed economico-geografico.

Guardiamo adesso in un atlante storico una cartina del Medio Oriente relativa al secondo Millennio a. C.: potremmo trovare il nome "Kedar" per indicare la regione in cui adesso è la Giordania, ed un po' più giù il nome "Edom".

Riesaminiamo adesso l'espressione "Chedorlaomer re dell'Elam".
Scrive Testa (1981, p. 176, n. 4) che il nome Chedorlaomer "è strutturato secondo la recente legge detta dai Rabbini "boset" (=con cui si copriva il colpevole di onte o di confusione), con lo scopo di umiliare il capo del paganesimo. Lo chiama Laomer, invece di Laamar (=nome di una dea)". Non ci interessa qui entrare nel merito del significato delle modifiche apportate dai redattori al nome del re, quanto rilevare che anche secondo i commentatori giudaico-cristiani il nome è stato alterato, e osservare quindi che il personaggio poteva essere legato ai due nomi notati nelle cartine storiche: Kedar ed Edom. Notiamo inoltre che nella "Traduzione interlineare della Genesi" il nome è trascritto "Kedarlaomer": Chedorlaomer è invece il nome presente nelle traduzioni greca e latina. Nella ricostruzione storica che proponiamo il nome originario poteva essere dunque "Kedarlaomer re di Edom", ovvero un re Mitanni, dato che Edom, cioè "Rosso", era uno dei nomi che indicavano i Mitanni nella Terra di Canaan e nei territori ad essa circostanti. Ma per i redattori biblici (che riassemblarono i racconti loro pervenuti a partire dal X secolo) l'espressione Kedarlaomer re di Edom era assurda, perché secondo i documenti che andavano rielaborando il nome "Edom" era sorto per la prima volta in riferimento ad Esaù (o almeno così loro capirono ed trascrissero nei racconti biblici che ci hanno tramandato), cioè molto tempo dopo gli avvenimenti riferiti nel cap. 14, e non poteva quindi esistere al tempo di Abramo. Viceversa l'Elam era familiare ai redattori biblici, specialmente a quelli che scrissero, trascrissero e rielaborarono tutto dopo l'esilio babilonese, perché l'Elam era a fianco di Babilonia. Né era per essi assurdo che un re elamita potesse condurre una spedizione di guerra verso il Mar Morto, perché Ciro, re di Persia, ed anche dell'Elam, e che loro conoscevano bene, aveva conquistato l'Asia fino alle sponde del Mediterraneo. I redattori biblici evidentemente non considerarono che le circostanze storiche e le situazioni logistiche erano completamente diverse: Ciro arrivava al Giordano dopo aver conquistato Babilonia, tutta la Mesopotamia e la Siria, "Chedorlaomer re dell'Elam" avrebbe invece dovuto attraversare, in armi, regni altrui su cui non aveva alcun dominio.

L'identificazione di "Chedorlaomer re dell'Elam" con "Kedarlaomer re di Edom", cioè con un re o principe mitanni, ci consente di inquadrare gli avvenimenti narrati nel capitolo biblico nel contesto storico in cui abbiamo visto dovevano svolgersi le vicende di Abramo, cioè il dominio egizio sul Retenu, e quindi sulla Terra di Canaan, al tempo di Thutmosis III.

Il Retenu era stato invaso da Thutmosis nel 1455 (vittoria di Megiddo; vedasi msg 72890) e negli anni successivi il re/dio d'Egitto aveva consolidato il suo potere, per poi indirizzare le sue mire espansionistiche alla Siria (1449-1446: conquista, perdita e riconquista di Ullaza, città portuale siriana), effettuare un'incursione nel regno Mitanni, attraversando l'Eufrate (VIIIa campagna, del 1445), per poi ritornare via terra facendosi precedere da Abramo e Lot, che sistemò nella Terra di Canaan nel modo che abbiamo visto: il primo a spasso e il secondo a Sodoma (o, meglio, Sedom).

Possiamo ragionevolmente supporre che il dominio egizio sul Retenu, come sempre avviene per tutti i domini stranieri, era accettato da una parte della popolazione ed osteggiato da un'altra parte; inoltre dobbiamo tenere presente che gli abitanti del Retenu non erano omogenei dal punto di vista etnico: c'erano abitanti di più antica data, che possiamo definire effettivamente Cananei, ed altri venuti successivamente (come Amorrei, Mitanni, Hurriti e Ittiti). Pertanto i primi quattro versetti del capitolo 14, che suonano strani se interpretati letteralmente (con ribelli che si rivoltano senza far niente e stando sulla difensiva), possono essere meglio interpretati nel modo seguente: un "re" mitanni, dopo dodici anni di sottomissione al re/dio d'Egitto, ritenne fosse giunto il momento di riacquistare il dominio sul Retenu scrollando il dominio egizio, e trovando l'alleanza di un "re" amorreo (ovvero siriano, Amrafel), di un "re" hurrita (Arioch) e di un "re" hittita (Tideal), esponenti di popoli che non disdegnavano certo di rendersi indipendenti dagli Egizi (per poi probabilmente lottare fra loro per la supremazia), e il diniego da parte dei "re" della Terra di Canaan (fra il Giordano e il Mediterraneo), che o giudicavano gli Egizi troppo forti o trovavano utile stare alle dipendenze egizie traendo vantaggio dall'essere il territorio di transito dei commerci fra la Siria e l'Egitto (ed inoltre esportavano in Egitto il bitume del Mar Morto). (Abbiamo messo il termine "re" fra virgolette perché si trattava di re di regni non proprio vasti: praticamente ogni cittadina era sede di un re).

La campagna militare di Kedarlaomer e dei suoi alleati non fu indirizzata immediatamente contro i re della Cisgiordania: essi infatti discesero lungo la pianura ad est del Giordano, conquistando o acquisendo alla loro causa le popolazioni transgiordaniche arrivando infine a sud del Mar Morto, cioè nel territorio di Edom, di cui Kedarlaomer era re titolare o effettivo, per poi volgersi verso occidente e il Mediterraneo, in altre parole puntare su Gaza. Se fossero riusciti nell'intento di conquistare Gaza le guarnigioni egizie della Cisgiordania sarebbero rimaste isolate dall'Egitto e sarebbero state vinte piuttosto facilmente e probabilmente i re della Cisgiordania, che erano finora stati a guardare e contro cui Kedarlaomer non aveva ancora mosso, si sarebbero convinti che la rivolta poteva avere successo e sarebbero potuti passare dalla parte di Kedarlaomer.
Ma avvenne qualcosa che indusse Kedarlaomer e i suoi, giunti a Kades-Barnea, nel deserto a sud della Cisgiordania, a ritirarsi piegando verso nord, e nello stesso tempo, come si desume da quanto è riportato nei versetti 8 e 9, convinse i re della Cisgiordania che era meglio per loro dimostrare la loro fedeltà al re/dio d'Egitto tentando di fermarli.
Cosa era successo? Per capirlo dobbiamo guardare la serie delle campagne mediorientali condotte da Thutmosis III. Calcolando una dozzina di anni dopo il 1450, anno in cui, consolidato il dominio sulla Terra di Canaan , il re/dio d'Egitto si era rivolto alla conquista della Siria, cadono sotto i nostri occhi le campagne XV, XVI e XVII: delle prime due non abbiamo resoconti sufficienti, ed è possibile che si sia trattato non di campagne condotte da Thutmosis, ma di scontri di limitata portata fra le guarnigioni egizie del Retenu ed i rivoltosi (in particolare la rivolta che al versetto quattro viene descritta "contro" Kedarlaomer).
Della diciottesima campagna abbiamo invece il resoconto, e possiamo essere certi che fu guidata da Thutmosis in persona. Il re/dio d'Egitto la condusse secondo il suo stile, con una mossa coraggiosa e strategicamente decisiva: sbarcò col suo esercito in Siria, deciso ad affrontare l'esercito del l'impero mitannico se questo si fosse mosso dall'alta Mesopotamia (ovvero dalla regione di Harran) attraversando l'Eufrate, oppure a prendere in trappola Kedarlaomer nella Valle del Giordano.

Riprendiamo adesso la lettura del capitolo 14:

8 Allora il re di Sodoma, il re di Gomorra, il re di Adma, il re di Zeboim e il re di Bela, cioè Zoar, uscirono e si schierarono in battaglia nella valle di Siddim contro di loro, 9 cioè contro Chedorlaomer, re di Elam, Tideal, re dei popoli, Amrafel re di Sennaar e Arioch, re di Ellasar: quattro re contro cinque.
10 Ora, la valle di Siddim era piena di pozzi di bitume. I re di Sodoma e di Gomorra si diedero alla fuga e vi caddero dentro, e quelli che scamparono fuggirono sui monti. 11 Così i vincitori saccheggiarono tutte le ricchezze di Sodoma e Gomorra e tutti i loro viveri e se ne andarono. 12 Andandosene presero anche Lot, nipote di Abram, con i suoi averi, poiché Lot abitava in Sodoma.

Commento: I re di Sodoma e Gomorra ed i loro alleati, dopo aver tentato, forse senza troppa convinzione, di fermare Kedarlaomer e i suoi, fuggirono e caddero nella cave di bitume: in questo passo viene così, di sfuggita, messa in evidenza l'importanza della valle del Mar Morto per l'economia egiziana (come abbiamo accennato più sopra). Era infatti la fonte principale del bitume utilizzato per impermeabilizzare le imbarcazioni e anche per i processi di imbalsamazione più diffusi fra gli Egizi comuni.
Kedarlaomer ed i suoi si disinteressarono dei re battuti e passarono per Sodoma, portando via Lot. Agli esegeti giudaico-cristiani il fatto che portassero via Lot dovrebbe sembrare strano: che utilità poteva dare il nipote ex-nomade di un pastore nomade, come essi considerano fosse Abramo? Un riscatto? E chi avrebbe potuto pagarlo? Secondo la nostra interpretazione invece la cattura di Lot era rilevante, perché Lot era un nipote di Shaushahtar, e quindi un principe di primaria importanza nel sistema di successione mitannico. E possiamo anche dubitare del fatto che Kedarlaomer ed i suoi lo avessero "rapito", ovvero che avessero agito contro la sua volontà: Lot non era andato assieme al re di Sodoma a combattere, era rimasto in città.

13 Uno degli scampati andò a riferire il fatto ad Abram, l'ebreo, che abitava presso le Querce di Mamre, l'amorreo fratello di Escol e di Aner, alleati di Abram.

Commento. Abram, l'ebreo: il termine "ebreo" compare qui per la prima volta nella storia dei "Patriarchi" e sia i commentatori giudaico-cristiani (a meno che non abbiano la mente obnubilata da troppa fede) sia quelli "laici" capiscono che la parola "ebreo" ha sostituito quella da cui quasi certamente è derivata: "hapiru" o "habiru".
Il termine "hapiru" non indicava un popolo, con una sua lingua ed una sua religione ma un modo di vivere, quello vagante (per cui essi erano "polverosi", secondo il significato che viene dato alla parola hapiru), senza residenza fissa: gli "habiru" potevano quindi appartenere ai vari popoli presenti nella Terra di Canaan. Abramo era un "habiru" mitannico, piuttosto ricco di animali ed altri beni: non era forse consueto che un mitanni vivesse da habiru, ma era possibile. Abramo, come abbiamo visto in precedenza, o l'aveva scelto dopo la brutta esperienza di residente a Gerar, o gli era stato consigliato di farlo dal potere egizio. Secondo diversi studiosi la maggior parte degli habiru era costituita da individui poveri o di cui ci si poteva fidare poco, e da ciò il termine acquistava il significato peggiorativo con cui veniva spesso usato, ma altri studiosi hanno messo in rilievo il fatto che gli habiru fossero esperti nell'uso delle armi.

14 Quando Abram seppe che il suo parente era stato fatto prigioniero, armò trecentodiciotto uomini tra i servi nati in casa sua e inseguì quei re fino a Dan.

Commento. Abramo aveva due buone ragioni per intervenire: dimostrare a Thutmosis che gli era fedele, combattendo per lui, e recuperare Lot impedendo che cadesse nelle mani del re/dio d'Egitto. Se si fosse verificata questa eventualità il re/dio avrebbe potuto valutare se Lot effettivamente si trovava con Kedarlaomer contro la sua volontà, e, nel caso fosse stata dimostrata la sua infedeltà, anche la fedeltà di Abramo avrebbe potuto essere messa in dubbio (ed in effetti fino ad allora Abramo era rimasto a guardare).
Abramo armò trecentodiciotto uomini: dal testo (in particolare dal versetto 24) si evince che non li fornì tutti lui. Essi furono forniti anche da Aran, Escol e Mamre, che erano principi amorrei. Che li guidasse Abramo poteva essere dovuto al fatto che egli era stato un capo militare mitanni, era il più esperto fra loro nel combattimento (si può dire che era un "hapiru" in tutti i sensi che abbiamo elencato sopra).
Il numero dei combattenti è riportato in modo preciso: trecentodiciotto. Tale numero può essere spiegato come il risultato di sei squadroni di cinquanta cavalieri, comandati da tre ufficiali ciascuno. Che fossero a cavallo non deve stupire, perché i Mitanni erano allevatori di cavalli, anche nella Terra di Canaan (successivamente tale tipo di allevamento decadde, e praticamente scomparve fra gli Ebrei dopo il ritorno da Babilonia. I redattori biblici finali non potevano nemmeno immaginare che Abramo potesse essere montato su un cavallo).

15 Di notte, piombò su di loro con le sue truppe, li sconfisse e li inseguì fino a Coba, a nord di Damasco. 16 Così ricuperò tutti i beni e riportò indietro anche Lot, suo parente, con i suoi beni, le donne e la gente.

Commento. Il testo biblico racconta una cosa inverosimile, diciamo "miracolosa": Abramo, con trecentodiciotto "servi" armati sconfisse un esercito di alcune migliaia di soldati. Vero è che si dice che li attaccò di sorpresa e di notte, ma è strano che quelli, non si siano riorganizzati e non l'abbiano inseguito.
Vediamo invece come potrebbero essersi svolti i fatti tenendo presente che l'esercito egizio era sbarcato in Siria e marciava verso sud contro il povero Kedarlaomer che tentava di raggiungere e superare l'Eufrate (nel qual caso sarebbe stata possibile una soluzione diplomatica del conflitto).

Abramo può benissimo aver colto di sorpresa l'esercito di Kedarlaomer, il quale, dopo aver vinto il re di Sedom e i suoi alleati, poteva ritenere che non vi fosse più nessuno che potesse attaccarlo alle spalle. Una volta subito l'attacco, Kedarlaomer aveva altro cui pensare che non inseguire Abramo e recuperare Lot: aveva di fronte l'esercito egizio. Che infatti gli diede il resto, con o senza un ulteriore contributo di Abramo (più probabilmente con, dato che nel racconto biblico si dice che Abramo li "inseguì fino a Coba").

Nel prossimo messaggio, dopo aver parlato di Melchisedek, riporteremo la bibliografia.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 22/04/2009 alle 07:46
L'illuminismo e la rinascita dell'ateismo filosofico
Carlo Tamagnone. L'illuminismo e la rinascita dell'ateismo filosofico. Firenze, Clinamen 2008, 2 voll., € 70,00. ISBN 8884101271

Carlo Tamagnone si è posto un obiettivo impegnativo: scrivere una storia dell'ateismo filosofico a carattere enciclopedico. Sforzo privo di precedenti, a parte l'opera di Fritz Mauthner (comunque ristretta all'Occidente). Rispetto al primo volume, Ateismo filosofico nel mondo antico, assistiamo a un salto temporale di un millennio e mezzo: «le epoche dell'ateismo impossibile», come le definisce l'autore, che sembra preannunciare un volume esclusivamente dedicato a questo periodo.

Il saggio parte da lontano, dai presupposti secenteschi e dalla ricostruzione del contesto politico, sociale, scientifico e culturale che hanno reso possibile un nuovo modo di pensare. Una premessa inevitabile, perché Illuminismo significa soprattutto Francia, e perché è dunque indispensabile comprendere le ragioni per cui i Lumi hanno attecchito Oltralpe. Illuminismo non significa però anche e necessariamente anche Rivoluzione francese: Tamagnone non solo mette in guardia da qualunque tentativo semplicistico di creare un collegamento tra i due eventi, ma fornisce diversi elementi che puntano invece nella direzione di una sorta di costruzione postrivoluzionaria delle "radici illuministiche" della presa della Bastiglia. La Rivoluzione fu soprattutto deista, nonché anticattolica (proprio in quanto deista), e il tentativo di costruzione di un mondo nuovo non fu mai alieno dall'utilizzo dei consueti arnesi del potere. L'osservazione non va ovviamente a detrimento dell'enorme importanza culturale dei philosophes: basti pensare che l'inizio del declino nella produzione libraria in latino è pressoché contestuale all'uscita del primo volume dell'Encyclopédie.

Come già Onfray, Tamagnone individua la nascita dell'ateismo moderno nella figura di Jean Meslier, il curato di Etrépigny il cui testamento, ben poco "spirituale", venne rinvenuto alla sua morte, nel 1729. Una circostanza che spinge ancora una volta a riflettere su quanto a lungo l'ateismo sia stato costretto a vivere sotterraneamente: quanti Meslier non hanno mai avuto il coraggio del coming out? Quanti Meslier hanno lasciato documenti di questa portata, andati irrimediabilmente persi? Quanti Meslier, incappando in riscritture fideistiche alla Voltaire, non hanno avuto l'opportunità di tramandare ai posteri il proprio inequivocabile pensiero incredulo? La grandezza del «primo ateo moderno» sta proprio in questo: non tanto nella qualità del suo lavoro, quanto nell'essere stato un antesignano d'un pensiero non religioso che, quanto ad assenza di compromessi, nemmeno gli stessi illuministi che vennero dopo di lui seppero mai eguagliare.

È un aspetto ben evidenziato da Tamagnone, che non esita a sottolineare sia i meriti del curato, sia le cautele di tutti gli altri. Scientificamente rigoroso nel non voler scavare nell'intimo, evitando quindi di attribuire convinzioni arbitrarie a chi ci ha lasciato documentazione che suggerisce altrimenti, l'approccio è lo stesso della sua precedente opera, La filosofia e la teologia filosofale. L'autore è implacabile nel denunciare non solo i "falsi" atei, ma anche quelli che, a suo dire, sono solo atei parziali, in quanto espressione di un pensiero ancora profondamente imbevuto di determinismo: «una super-fede più forte di ogni altra fede» che, peraltro, dovrà attendere Darwin per poter essere criticata come si deve. Ovvio che, così procedendo, sono ben pochi i filosofi che passano «l'esame»: non ci riescono La Mettrie, Helvétius, d'Holbach, e men che meno Sade, le cui disavventure scarsamente intellettuali sono rievocate senza alcuna pietà. Un po' sacrificato Condorcet, alla fine si salva il pensiero «profondo e problematico» di Diderot, «che interpreta al meglio il carattere sistematico e antisistemico del migliore Illuminismo».

Talvolta le tesi si presentano opinabili: a detta di chi scrive, ad esempio, Pierre Bayle nei Pensieri sulla cometa si riferiva proprio agli atei, e non a semplici non cristiani (come attesta la presenza di riferimenti ad autori greci, e nonostante l'incongrua inclusione di un panteista come Spinoza). E un po' troppo tranchant è il giudizio su David Hume, senz'altro tiepido teista nella Storia naturale, ma sospettato di ateismo già in vita e ancora oggi, a parere della maggioranza degli studiosi. È una concezione dell'ateismo un po' ristretta, quella di Tamagnone, come attesta la sua dichiarazione d'intenti: «Ci siamo qui posti il compito di ripercorrere la storia della filosofia del Settecento, che riteniamo scritta perlopiù da storiografi idealisti, per cercare di riportarla alla sua autenticità concettuale e liberarla dal ciarpame interpretativo metafisico». Pure, non si misconoscono affatto i meriti degli illuministi (e dei loro precursori del Seicento), perché è proprio grazie al loro contributo che si sono potuti aprire varchi per la secolarizzazione in generale, e la diffusione dell'incredulità in particolare.

Un libro di oltre mille pagine che costa 70 euro è, per definizione, un testo riservato a pochi, e lo stesso Tamagnone ne è conscio. Ciò non toglie che i due volumi abbiano indubbi meriti, e sia la passione dell'autore per la storia dell'incredulità e della filosofia, sia la sua capacità di analizzarle per rintracciare un pensiero ateo cristallino saranno senz'altro apprezzati dai cultori della materia. D'ora in poi, chi vorrà studiare questo periodo storico non potrà evitare di confrontarsi con il suo libro.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 22/04/2009 alle 10:09
Corrado Augias – Vito Mancuso

“Disputa su dio e dintorni” (Sintesi - prima puntata)

Premessa

Augias: “Non credo che siamo stati creati per volontà di un qualche dio, tanto ameno “a sua immagine e …”

Mancuso: “Credo che oltre alla polvere noi consistiamo di un’altra dimensione, l’anima spirituale”

Incipit

A.

Quando durante un funerale religioso ascolto le parole del celebrante “Tu oggi non sei morto, ma nato a nuova vita” tocco con mano quale poderosa consolazione la religione possa rappresentare e mi sono chiesto se tutte le credenze non siano nate proprio dall’esigenza di sfuggire al terrore della morte [nota mia, penso davvero che “il nocciolo” stia quasi tutto qui ]

M

Credo che la nostra vita possa accedere ad un’ulteriore dimensione, contrassegnata dalle diverse religioni per lo più come “vita eterna”. La parte di noi che ha saputo diventare spirito se ne andrà nella dimensione peculiare dello spirito.

Evoluzione, senso e origine della vita

A.

La spinta etica [qualunque cosa voglia dire ] deve essere il frutto dell’educazione civile, ci sono voluti secoli perché gli esseri umani venissero considerati individui capaci di agire, molto altro tempo servirà perché tale consapevolezza raggiunga una dimensione sodisfacente, ma questa, comunque, è la strada. La storia ha dimostrato che la paura di una punizione e dell’inferno non serve, mentre la consapevolezza del proprio “status” di cittadini è l’unica fonte di speranza.
Quanto al senso, il povero Darwin combatté tutta la vita contro le descrizioni finalistiche della natura e qui sta la terribile bellezza del darwinismo: nessuna consolazione, coscienza invece che siamo solo gli abitanti di un minuscolo detrito proveniente dall’esplosione cosmica.
Forse è meglio rifugiarsi nella famosa battuta di Woody :”Se risulta che Dio esiste, non credo si possa dire che è cattivo. Il peggio che si può dire di lui è che, fondamentalmente, ha avuto poco successo” .
M.

Ciò che lei ha scritto su Darwin corrisponde ad una determinata lettura, quella ortodossa, ma penso, contestabile. Nel 1874 un scienziato di nome Asa Gray scrisse che la visione della natura che risulta non è la negazione di un fine (telos) nella natura, ma è semmai il fatto che tale fine sia inscritto nella natura stessa, senza bisogno che le venga da fuori

… continua







 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/04/2009 alle 11:10
Scusa Carlo, ma, senza pretese di voler "azzerare" il discorso, che si è sviluppato molto bene (grazie a te e ad altri) su queste pagine, ho sempre creduto che Augias ponga il problema in maniera viziata, o meglio condizionata dalla o dalle religioni.

E' evidente nelle sue pagine il desiderio di confutare, in maniera scientifica, quanto abbiamo assorbito spesso acriticamente nella nostra educazione (dando al termine il valore più ampio possibile, che, un po' all'inglese, comprende anche gli studi formali ed informali che ciascuno di noi ha intrapreso nella sua vita).

Mi viene da dire che il perno centrale della sua posizione non sia tanto l'ateismo quanto una critica al concetto di "religiosità"...

Semplificando, quello che ho sempre trovato "debole" nella posizione atea è che, anche solo chiamando in causa il principio di causa/effetto, non si possa assolutamente escludere (ma nemmeno postulare, è ovvio) che ci sia stata una concatenazione di "eventi" che hanno portato in qualche modo all'esperienza vitale che stiamo sperimentando, che è l'unica cosa sicura (è sicura? ) da cui possiamo partire.

In ulteriore estrema semplificazione, qualsiasi sia la "causa" dell'esistenza in tutte le sua forme, a quella può essere dato il nome di "Dio", spogliandolo pure da tutte le implicazioni fideistiche, dottrinali e filosofiche...

 

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"...Ogni volta che vedo un adulto in bicicletta, penso che per la razza umana ci sia ancora speranza..." (H.G. Wells)

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 22/04/2009 alle 13:51
Originariamente inviato da Bitossi

In ulteriore estrema semplificazione, qualsiasi sia la "causa" dell'esistenza in tutte le sua forme, a quella può essere dato il nome di "Dio", spogliandolo pure da tutte le implicazioni fideistiche, dottrinali e filosofiche...


Su questo non posso che risponderti che, come quasi sempre quando scrivi, hai ragione, però a me piace di più dargli il nome di *caso*

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 23/04/2009 alle 10:21
Dal libro di Augias - Mancuso



Seconda puntata



A.

Sono molto contento nel vederla schierata con Darwin, ma la distinzione che lei fa cade, però, su un punto fondamentale: non c’è dubbio che il Grande Naturalista escludesse ogni tipo di teleologia.

L’adattamento non è un perfezionamento progettuale verso forme ideali e ottimali, ma una condizione sempre incompleta e relativa alle contingenze di un ambiente mutevole.

Sulla dimensione peculiare dello spirito, dove lei mette in luce la potenza delle esperienze non solo religiose, condivido e credo che Shakespeare, Tolstoj, Dostoevskij, Bethoven, Schubert ed altri affrontino i dilemmi etici con molta maggiore efficacia di tanti libri considerati sacri, che sono, in realtà, raccolte di miti orientali, ormai logorati dal tempo.

Del resto anche il grande B. Spinoza scriveva nell’introduzione all’Etica che la Bibbia è letteratura, non dogma.

Chiudo con un’altra postilla su Darwin. La reazione della chiesa di fronte all’evoluzionismo ci dimostra con estrema chiarezza l’abilità manipolatrice della sua dottrina: si è cominciato con il mettere all’indice “L’origine della specie”, perché contrastava con la fiaba del giardino dell’Eden, poi, quando le prove sono state sempre più evidenti, si sono spostati sul “Disegno intelligente”. Contro una tattica siffatta il pensiero razionale è destinato a perdere sempre, perché ci spostano sempre il bersaglio .



M.

Né io né lei siamo scienziati, ma la posta in gioco è tale che dobbiamo avventurarci in campi non nostri. E le chiedo: appurato che Darwin esclude una direzione nell’evoluzione, siamo proprio sicuri che dalla natura sia esclusa una direzione e quindi un progresso? E come possiamo rispondere a questa domanda, se non siamo ancora riusciti a spiegare l’origine della vita?

La realtà, a mio avviso, è che con ogni probabilità la vita non è il prodotto di eventi casuali, ma il risultato di leggi naturali ed è noto che il termine legge ha la stessa radice di “logos” e di logica.








 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 24/04/2009 alle 08:31
Corrado Augias – Vito Mancuso

“Disputa su dio e dintorni”

Terza puntata

A.

Lei sposta la discussione su un livello filosofico e mi fa domande alle quali davvero non so rispondere. Se lo sapessi avrei guadagnato un premio Nobel, ma quanti interrogativi la scienza ha risolto prima di questo? Le ipotesi sulla nascita della vita si sono susseguite nel corso dei secoli, fino ad oggi però nessuna risposta certa (dal punto di vista della scienza) è arrivata. La verità è che non siamo sicuri di quasi niente, però, come disse P-Simon de Laplace a Napoleone, non abbiamo bisogno di ipotesi metafisiche, né di angeli che spingano i pianeti nelle loro orbite , come avevano deciso gli scolastici, né di un disegno intelligente per l’evoluzione. A meno che non si voglia ipotizzare che le leggi della natura siano state pensate fin dall’inizio da un dio-architetto. Nel qual caso la scienza non avrebbe nulla da dire, perché la domanda su chi ha “pensato” le leggi della natura trascende ogni limite del suo metodo.
A me colpisce, comunque, il fatto che se un asteroide non avesse colpito la terra 65 milioni di anni fa, nessuno di noi oggi sarebbe qui ed allora viene a proposito la domanda formulata dal fisico e matematico S. Hawking: “Che succedeva prima dell’inizio del mondo? Che faceva Dio prima di crearlo?” Si è risposto da solo: ”Preparava l’inferno per chi pone simili domande” .
In sintesi posso affermare che solo una cosa sappiamo di sicuro: che bisogna continuare a cercare, interrogarsi, dubitare, lanciare ipotesi; perché se ci accontentiamo della comoda idea di un Dio che soffia il suo alito creatore qua e là, siamo intellettualmente finiti! E’ l’eterno mito di Ulisse: la ricerca, il rischio, la dannazione, ma anche “virtute e conoscenza”.

M.

Per me i credenti aderiscono alla verità non per obbedire, ma per amore della stessa e del bene nel mondo. Forse è già finita l’epoca dei teologi e dei cristiani sotto tutela, anche se di uomini che hanno bisogno della tutela ce ne saranno sempre. Ma si tratta di un retaggio del passato, così come i “papa boys” (ma ci sono ancora?). A proposito dei loro raduni, essi dimostrano. 1) l’insostenibilità della dottrina cattolica ufficiale sulla contraccezione; 2) la maggiore saggezza pratica di questi giovani rispetto ai moniti dei prelati; 3) che dietro tante manifestazioni religiose di massa, così care al Vaticano, c’è spesso ben poca spiritualità, la quale, com’è noto, rifugge per definizione da spettacoli di ogni tipo. Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità.


 

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e i barbieri il lunedì

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 26/04/2009 alle 11:15
Corrado Augias – Vito Mancuso

“Disputa su dio e dintorni”

Quarta puntata

M.
A me non desta nessuna meraviglia che nel nome della verità, così intesa, la Chiesa (che oggi lotta per salvare gli embrioni) sia arrivata nel passato ad uccidere uomini e donne in carne ed ossa, come nel caso di Giordano Bruno e di altre miglia di vittime. Così come altre “chiese” che si chiamano partiti, una volta giunti al potere hanno avute le loro inquisizioni, non meno violente.

A.

Queste cose che dovrei sostenere io, non lei: la Chiesa si comporta come un qualsiasi organismo politico, ossia corteggia il potere, anzi cerca di gestirlo in proprio quando le circostanze storiche glielo permettono!
Per altro verso pretende che la sua “morale” diventi verità indiscutibile (principi non negoziabili), ergo la Chiesa reclama per sé tutti i vantaggi dell’azione mondana, ma anche tutti i privilegi di una pretesa ispirazione divina. La fusione di questi due aspetti comporta In Italia (perché in altri stati non glielo permettono) la pretesa di imporre la sua verità ad ogni cittadino. La democrazia invece si basa su altro (ma tant’è, perché in effetti la chiesa è una monarchia assoluta, nota mia).
L’idea di possedere la verità è una prerogativa dello Stato etico, tipico di certi regimi del novecento (altra nota mia per Elisa, ogni riferimento al nazismo è …)

M.
Io amo definire la mia: teologia laica, nel senso che il mio interlocutore privilegiato nel pensare a Dio, è il mondo e la sua verità della vita, non la Chiesa con la sua dottrina.
Io non intendo contestare la struttura politica della Chiesa, dico però cha a questo livello politico-economico (come ogni altra struttura) è perfettamente criticabile e l’anima del credente commette un errore spirituale quando scambia la sua fede con l’adesione incondizionata alla dimensione politico-istituzionale della Chiesa.
Ciò che fa della Chiesa un mistero divino, al quale aderisco con gioia, è l’essere guidata dalla Spirito Santo il cui frutto è amore, gioia, pace, benevolenza, dominio di sé etc. ma soprattutto la suprema libertà dell’uomo spirituale ed è questo, solo questo, ciò che fa di un uomo un vero cristiano.



 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 27/04/2009 alle 09:10
Messianesimo politico e religioso (settima parte)

Resta ora da vedere perché il totalitarismo politico, nelle forme ugualmente
ripugnanti del nazismo e del comunismo (nonché dei relativi terrorismi), sia
emerso e si sia affermato così estesamente proprio nel nostro secolo, e da
domandarsi quali prospettive di sopravvivenza esso abbia nel medio e nel
lungo periodo.

La risposta al primo quesito è già implicita nell'ascendenza
millenaristico-religiosa che vari autori (da Karl Mannheim a Mircea Eliade a
Bronislaw Baczko) attribuiscono alle moderne utopie rivoluzionarie.28

Credo tuttavia che, nell'esplosione e diffusione repentina delle dittature
totalitarie, durante l'ultimo mezzo secolo, abbiano giocato alcuni fattori
più specifici e soprattutto tre:

1. Il colpo mortale inflitto alle vecchie credenze religiose dalla scienza
contemporanea.

2. L'esplosione di angoscia esistenziale che il crollo delle vecchie
credenze religiose riapriva nella psiche dei gruppi egemoni e di vaste
moltitudini, soprattutto urbane, e quindi la disponibilità di queste ultime
ad abbracciare nuovi miti millenaristici di natura politica.

3. La possibilità, creata dai moderni mezzi di comunicazione di massa, di
diffondere e imporre tali miti su scala senza precedenti.

Per una certa pubblicistica liberaleggiante o demagogica è stato troppo
facile presentare le moderne dittature come governi di pochi tiranni su
popolazioni anelanti alla libertà ma soggiogate con la forza. In realtà,
chiunque sappia guardare i documenti fotografici e cinematografici dei vari
totalitarismi, può agevolmente vedere sia la trance messianica dei Capi, sia
la devozione fanatica delle loro folle sterminate. E, non a caso, solo i
termini di carattere religioso («messianico», «fanatico», «mistico»,
«adorante». «estatico») risultano utilizzabili per descrivere il clima di
quell'entusiasmo delirante, proprio perché si tratta di miti e riti
religiosi.

Solo la speranza millenaristica di una nuova vita di felicità e armonia,
solo la fede in un affrancamento totale dalle sofferenze possono far
scattare quella dedizione assoluta al Capo/Profeta che ha spinto milioni di
russi e tedeschi a morire per i loro tiranni nel gelo della steppa o
migliaia di iracheni e iraniani a scannarsi nei deserti delle loro
frontiere. Solo un'emozione che trascenda la paura della morte può spiegare
Stalingrado e le Ardenne o semplicemente farci capire perché, ad esempio, quasi
settanta persone morirono, ai funerali di Stalin, nella lotta per arrivare a
toccare la bara del carnefice di venti milioni di loro concittadini.





Se per le masse la pura e semplice traslazione del fanatismo millenaristico
sui capi e per questi ultimi la pura e semplice assunzione del ruolo
messianico bastano a spiegare l'enorme successo dei movimenti e regimi
totalitari nel nostro secolo, per gli intellettuali il processo è stato ed è
spesso più articolato e mediato, anche se la spinta psicologica resta
sempre la stessa: la difesa dall'angoscia esistenziale.

E noto che nell'intellettuale il bisogno di razionalizzazione delle proprie
spinte e scelte emozionali è particolarmente acuto. Ebbene, a questa
razionalizzazione della scelta totalitaria e fanatica diede un contributo
rilevante il successo, anzi l'egemonia esercitata dallo storicismo, nella
sua duplice versione idealista e marxista, a cavallo fra il XIX e il XX
secolo, cioè proprio nell'epoca in cui si formò il modello dell'ideologia
totalitaria.

Sulla scia di G.E. Lessing 29 e di J.H.. Herder,30 che avevano indicato nella
Storia il terreno concreto della rivelazione divina e della realizzazione
umana secondo un disegno provvidenziale, lo storicismo idealista di Hegel
aveva fatto della Storia l'espressione diretta della realizzazione dello
Spirito assoluto («I rapporti di pace e guerra tra glt Stati» - scrisse
Hegel - «danno luogo alla Storia universale, che è anche un Giudizio
Universale, perché dà di volta in volta la vittoria a quello Stato che
esprime e realizza lo Spirito del mondo»).31

Le ripercussioni di questa concezione a livello politico furono immense.
Mentre i dogmi religiosi crollavano sotto i colpi del pensiero razionale e
scientifico, la Storia diventava il nuovo grande tribunale delle azioni
umane e i sogni e le lotte millenaristiche potevano trovare nella Storia e
nei suoi disegni, finalmente svelati dagli interpreti e profeti storicisti,
la loro nuova credibilità e legittimazione.

Così, Fichte poteva vedere e predicare nell'ascesa della Nazione tedesca
l'avanzata dell'Io assoluto e Hegel poteva farsi paladino dello Stato
prussiano come espressione più alta dello Spirito assoluto nel suo divenire
storico.32

Lottare per l'indipendenza e la potenza nazionali divenne, per molti
intellettuali influenzati dallo storicismo idealista, operare per
l'attuazione del disegno millenaristico voluto dalla Storia. E di questa
trepidazione mistica c'è traccia evidente nei discorsi infiammati dei
patrioti e dei letterati nazionalisti.

A sua volta il marxismo, pur avendo messo Hegel «a testa in giù» (come amava
dire Marx), cioè pur avendo rifiutato a livello razionale lo spiritualismo
misticizzante di Hegel per sostituirlo con un materialismo dichiaratamente
ateo, accettò integralmente la visione hegeliana della Storia come progresso
verso un Millennio di perfetta armonia (e quindi, implicitamente, come
provvida regolatrice dei destini umani) mentre, al pari dell'idealismo
hegeliano, si considerò interprete e alleato dei sapienti disegni della
Storia . 33

Con Mussolini e Hitler, da una parte, e Lenin, Stalin e Mao dall'altra,
questo processo di identificazione tra ideologia e destino storico fu
ulteriormente esasperato proprio perché trovava concreta attuazione nella
figura del capo profeta e nel suo potere «carismatico».

Come aderire al vangelo millenaristico significava per il neofita unirsi
alle schiere degli Eletti e collaborare all'attuazione della Volontà Divina
e del suo Regno, così allearsi e allinearsi al partito della Vera
Rivoluzione (nazionalista o comunista a seconda dei casi) per
l'intellettuale di formazione storicista significava capire e accettare le
leggi della Storia e impegnarsi per la realizzazione dei suoi disegni
provvidenziali.

Opporsi a quel partito e al suo Capo illuminato, viceversa, significava
opporsi alle leggi e al tribunale della Storia, ostacolarne il cammino verso
il Millennio comunista o nazista e comunque pretendere (con un gesto
comicamente, oltraggiosamente o pateticamente presuntuoso) di sabotarne i
disegni, forse ritardabili ma non certo modificabili.





In questa ottica psicologica si possono finalmente comprendere le
motivazioni profonde dell'incredibile passività o, peggio, dell'odioso
servilismo con cui tanti intellettuali e tanti esponenti delle classi
dirigenti si sottomisero nel secolo scorso e nell'attuale ai regimi e ai
movimenti autoritari - lo Stato prussiano, le monarchie belliciste e
colonialiste, i partiti e i governi totalitari di destra e di sinistra - che
le rispettive culture storiciste indicavano via via come interpreti e
artefici della Storia.

Beninteso, nessuno storicista «serio» sarebbe disposto ad ammettere che
l'equazione tra Verità e Storia, formulata da Giovan Battista Vico e
sviluppata poi dallo storicismo sia idealista sia marxista, intendesse
comportare un giudizio di valore, ma è un fatto evidente che per molti
intellettuali il Tribunale della Storia

finì per diventare l'equivalente del medioevale Giudizio di Dio, sicché il
successo di un capo o di un sistema divennero il parametro del loro valore:
lo storicismo, insomma, portò a quel «giustificazionismo storico» (come lo
chiamò tardivamente Pietro Nenni) al cui riparo si consumarono innumerevoli
viltà della cultura contemporanea e contro il quale protestò coraggiosamente
fin dagli anni '50 il filosofo dissidente polacco Leszek Kolakowski col suo
splendido saggio Responsabilità e Storia, dedicato appunto a una solenne
riaffermazione della responsabilità di ciascun individuo di fronte alle sue
scelte, quali che siano i presunti o reali processi della storia.34

Anche la guerra fu invocata e appoggiata con zelo. Non aveva scritto Hegel
con parole rivelatrici, spesso citate da fascisti e marxisti, che «la guerra
è strumento del destino incaricato di portare a compimento i misteriosi
disegni della Storia»? Esattamente come, in epoca di egemonia incontrastata
della religione, appoggiare la «guerra santa» o la colonizzazione
evangelizzatrice significava assecondare i disegni della Provvidenza, così
ora appoggiare la guerra nazionalista o rivoluzionaria o l'espansione

del dogmalismo significava assecondare i disegni della Storia e farsene
benemeriti interpreti o, come dirà Marx, «ostetrici». E, come per molti
chirurghi, così anche per i fanatici dello storicismo millenarista,
moltiplicare i tagli cesarei e i parti pilotati diverrà motivo di orgoglio,
anche se spesso alla perfetta riuscita dell'operazione imperialista o
rivoluzionaria seguirà la morte sia della paziente (la società esistente)
sia del neonato (la società nuova).

Per chi ne sappia vedere il significato psicologico profondo, certe «scelte
di vita» - come le chiamerà Giorgio Amendola, e certe «libere scelte» - come
le chiamerà Jean-Paul Sartre, a favore dell'impegno rivoluzionario appaiono
piuttosto semplici riflessi condizionati, dettati dal bisogno di trovare una
nuova promessa millenaristica garantita dalla nuova divinità: la Storia,
dopo il crollo delle vecchie promesse e divinità religiose.

A questo punto, le tragicomiche testimonianze di tanti «acuti intellettuali»
sui paesi fascisti e comunisti diventano comprensibili. Il giornalista
francese, che, alla vigilia della guerra mondiale, nega tassativamente ogni
intenzione aggressiva del regime nazista dopo un paio di colloqui con
Hitler, non è più ridicolo di Bernard Shaw che, nel 1932 (anno dell'atroce
carestia staliniana), entrando col treno nell'Unione Sovietica butta dal
finestrino ogni cibaria, convinto di entrare nel regno dell'abbondanza 35 o
di Harold Laski («massimo teorico» del partito laburista inglese) che nel
1936 assiste ai mostruosi processi staliniani di Mosca e ne attesta la
totale veridicità e correttezza: ciascuno vedeva quello che il suo bisogno
mistico-millenaristico gli imponeva di vedere 36. A questo punto, inoltre,
anche i salti acrobatici di un Mussolini dall'anarchismo al fascismo o di un
Malraux dal comunismo al gollismo o di un Malaparte dal nazionalismo al
maoismo non appariranno più solo manovre opportuniste di personalità
ambiziose, ma affannosi inseguimenti di movimenti millenaristici idonei a
placare la propria rimossa angoscia esistenziale. Poco importa il contenuto
concettuale dei vari miti (anarchia rigeneratrice o violenza purificatrice
di Sorel, la guerra vista come «catarsi o igiene dei popoli», l'italica
stirpe, la France Eternelle, la dittatura del proletariato, l'uomo nuovo
sovietico o la rivoluzione culturale cinese); ciò che conta èche essi siano
tolalizzanti e salvazionisti: che essi implichino, cioè, la partecipazione
totale a un programma salvifico.





Lo storicismo, del resto, costituisce ancora oggi una barriera persino alla
chiarificazione del grande problema qui esaminato: il problema delle cause
profonde della degenerazione fanatica dell'uomo.

Tutto concentrato nello sforzo di radicare ogni fenomeno nella realtà
concreta e diversificata dei vari momenti storici, esso tendenzialmente
rifiuta di vedere le costanti psicologiche (e quindi metastoriche) che
governano i comportamenti individuali o di gruppo in modo sostanzialmente
ripetitivo, pur nel variare delle influenze e delle espressioni ideologiche,
economiche, istituzionali.

Così, per esempio, lo stesso Bronislaw Baczko, cui pure si deve uno studio
acuto delle strutture formali dell'utopia nelle varie epoche e culture, 37
dinanzi al rischio che le analogie osservabili nei vari tipi di utopia
rivoluzionaria possano indurre a concludere che tutte le utopie di tutti i
tempi sono riducibili a un unico sogno millenaristico, è preso quasi dal
panico e scrive:



I sistemi totalitari non sono la moderna incarnazione dell'Utopia, una ed
eterna, se non altro perché questa non esiste [...] Le utopie non sono
intercambiabili, come non lo sono le ideologie dei due sistemi totalitari
presi in esame [il nazista e il comunista] [...] Non è l'utopia che spiega
il funzionamento di un sistema totalitario, ma sono viceversa il sistema, il
suo dispositivo di rappresentazioni simboliche, i suoi meccanismi di potere
che definiscono, nei singoli casi, la «formula utopica». 38



E' sbalorditivo il grado di confusione critica che la mancanza di un
approccio psicologico può produrre anche in autori intellettualmente
brillanti. E' ovvio che le utopie e le ideologie totalitarie non sono {{{
immediatamente n.d.r.}}} intercambiabili (anche se, come si è visto, sono
molto ibridabili e anche se capi e masse sono spesso passati dalle une alle
altre).

Ma l'approccio psicopolitico non ha mai preteso di sostenere che ci sia
un'unica utopia. Esso sostiene solo che c'è un unico atteggiamento e
processo psicologico, appunto quello millenarista, che ha prodotto
attraverso i secoli innumerevoli fanatismi religiosi e produce oggi
innumerevoli fanatismi politici totalitari.

In questo senso, e solo in questo senso, le utopie non sono intercambiabili:
nel senso, cioè, che alcuni tipi di utopie (i millenarismi religiosi di tipo
tradizionale) possono risultare obsoleti nella loro formulazione e
inconciliabili con il bagaglio culturale e scientifico di una data epoca e
popolazione. Ma il bisogno psicologico che esse tentano di sodisfare è
sempre lo stesso: è un bisogno di significato, di rassicurazione, di
felicità e di salvezza che è coevo al panico scatenato nell'uomo dallo shock
esistenziale e che, purtroppo, da Zarathustra a oggi, ha trovato la
soddisfazione più facile e più inebriante nel fanatismo apocalittico e
millenarista.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 27/04/2009 alle 14:44
Notizie Radicali
lunedì 27 aprile 2009

"L'illusione di Dio": uno spettacolo che poteva migliorare il confronto con
la cultura laica


di Lucio De Angelis
"L'illusione di Dio", scritto e diretto da Adriana Martino, é uno spettacolo
che ha l'ambizione di occuparsi di un tema che oggi è al centro di un
interesse crescente: il tema della fede e della religione, delle motivazioni
degli atei e dei credenti e quindi del rapporto con la cultura laica.

Il tema è talmente vasto e complesso che si è dovuto inevitabilmente fare
una scelta di campo e cioè focalizzare l'attenzione su quegli esponenti,
filosofi e scrittori, che si richiamano a quella linea di pensiero che fa
capo alla cultura illuministica. Lo spettacolo della Martino tratta il tema
focalizzando l'attenzione su quegli esponenti, filosofi e scrittori, che si
richiamano a quella linea di pensiero che fa capo alla cultura
illuministica.

La regista, autrice anche del testo, si addentra nelle sfaccettature di un
argomento decisamente vasto e complesso. Si parte da quel pilastro che è
Baruch Spinoza che con il suo "Trattato teologico-politico" ha scosso
profondamente l'ortodossia teologica giudaica-cristiana.

Molte volte ci si chiede dove sia finito Dio, soprattutto nelle tragedie,
quando non si ha più la percezione di un Dio che ama e protegge.
Naturalmente l'ombra di Dostojevski incombe quando si trattano argomenti del
genere: nel romanzo " I Karamazov " l'autore si arrovella sul tema dell'esistenza
di Dio con l'angoscia che prelude al nichilismo nietszchiano del " Dio è
morto".

Sono Stati messi poi a confronto filosofi come Paolo Flores D'Arcais con
Gianni Vattimo e Michel Onfray che, pur provenendo da formazioni diverse si
chiedono, in un appassionato dibattito, le ragioni di questo prepotente
ritorno al bisogno di sacro, che spesso sfocia in fondamentalismi religiosi
inquietanti. Viene immaginato anche un incontro in una biblioteca fra
il filosofo Spinoza e Piergiorgio Odifreddi, che si affrontano in un
dialogo serrato e provocatorio. Nel finale il tema della " gratuità del
male" dopo Auschwitz, in un appassionato monologo di Scalfari che si
interroga con toni lucidi e tormentati sulle ragioni della sue convinzioni
profondamente laiche.

Lo spettacolo vede in scena Pietro Bontempo, Nicola D'Eramo, Bruno Viola,
Fabrizio Raggi e Maurizio Repetto. I brani scelti dalla Martino trattano,
come suaccennato, il tema dell'esistenza di Dio e vengono messi in scena,
affidandosi solo ai testi originali: ne vien fuori una mise en espace per
filosofi, sacerdoti, addetti ai lavori, comunque, che non riesce a suscitare
neanche l'attenzione del giovane più ben disposto, abituato com'è dai media
alla massificazione del linguaggio e dello scibile.


L'illusione di Dio
drammaturgia di Adriana Martino
su testi di
Baruch Spinoza, Friedrich Nietzsche, Fedor Dostojevski, Paolo Flores D'Arcais,
Gianni Vattimo, Michel Onfray, Piergiorgio Odifreddi ed Eugenio Scalfari
con
Pietro Bontempo, Nicola D'Eramo, Bruno Viola, Fabrizio Raggi, Maurizio
Repetto
Scene e Costumi di Anna Aglietto
Musiche a cura di Benedetto Ghiglia
Regia di Adriana Martino


 

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  postato il 28/04/2009 alle 19:21
Corrado Augias – Vito Mancuso

“Disputa su dio e dintorni”

Quinta puntata

A.

Se è lo Spirito Santo a guidare la Chiesa, mi lasci dire che deve essere alquanto strano, perché talvolta la guida, ed in altri casi permette spaventosi sbandamenti. Le ricordo un paio di episodi che certamente conoscerà. Nel luglio 2007, l’avvocato Libero Corso Bovio, nel suo studio, ha preso un revolver e si è sparato. I suoi funerali sono stati solennemente celebrati in cattedrale. Alcuni mesi prima per Piero Welby le porte della chiesa sono rimaste chiuse. Ha commentato la vedova “Non capisco la “mia” Chiesa che manda quattro cardinali a benedire la salma di Pinochet e nega il funerale di mio marito, che è morto perché non voleva più soffrire”.
(Nota mia: io invece non mi stupisco, basti vedere ad es. la politica di papa Giovanni Paolo II verso Pinochet ed in generale verso i dittatori di destra e quella di Madre Teresa nei confronti della sofferenza) !
Azzardo un’ipotesi: la verità dipende dalle circostanze, puro relativismo!

M.
Con me, lei ha sbagliato persona, perché queste cose le avevo già pensate anch’io. L’ò anche scritto nei miei libri che c’è un’idolatria della struttura ecclesiastica, scambiate per fede in Dio. Ma la Chiesa non è tutta qui, anzi, la Chiesa quella vera è quell’immensa fabbrica di bene che sono le semplici parrocchie, le comunità di accoglienza, i monasteri contemplativi, i missionari che si battono contro le malattie e gli altri mali che affliggono l’umanità meno fortunata.
Le ricordo Giordano Bruno, se veramente c’è Dio e la vita eterna, allora Giordano Bruno, che ha dato la vita per amore della verità, che non ha rinnegato i risultati cui era giunto con il suo potente lavoro intellettuale, ne fa sicuramente parte. Quelli che lo hanno ucciso, fra cui papa Clemente VIII e il cardinale Bellarmino non lo so, anche se quest’ultimo (il carnefice n.m.) è stato dichiarato santo.
A proposito, riprendo la logica (non mia) del cardinale Barragàn, che ha chiamato “assassino” Beppino Englaro in base al quinto comandamento (ragionamento non polemico, ma logico, sostiene costui).
Allora perché alla rigorosa logica del cardinale sfugge sia Bellarmino che Clemente VIII e tutti i papi che fecero uso dell’inquisizione?
Invece non sono d’accordo con lei quando auspica una netta separazione fra istituzione e spiritualità. Per me nulla si dà nella storia senza radicamento istituzionale, il che vale per la religione e per ogni altro ambito della vita umana. Le chiese sorte dalla riforma protestante nel nome della libertà del cristiano non hanno tardato ad avere anch’esse la loro gerarchia, la loro dogmatica e persino i roghi. Kierkegaard giunse a scrivere :”La cristianità ha abolito Cristo”, però non lasciò mai la Chiesa istituzionale, perché?




 

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  postato il 29/04/2009 alle 11:12
Interessante polemica tutta teologica fra Enzo Bianchi, in questo caso allineato alle gerarchie, e il sempre più eretico Mancuso , apprezzabile per il coraggio di rivendicare una maggiore libertà di coscienza , non passivamente obbediente.

28/04/2009
Cosa vuol dire la salvezza al di fuori della Chiesa
di Vito Mancuso,
LA REPUBBLICA, 28.4.09

Proprio quando arriva in libreria una raccolta di saggi di Benedetto XVI dal titolo L'Elogio della coscienza, è interessante chiedersi quale sia oggi la situazione della coscienza cattolica. Lo spunto mi è dato dall'accusa mossami da Enzo Bianchi di essere gnostico, un'accusa teologicamente infondata che scambia per eresia gnostica l'esercizio della libertà di coscienza a livello teologico. Dietro l' accusa di gnosi verso la mia teologia basata sul primato della coscienza, c'è lo statuto attuale della verità dottrinale cattolica basata sulla tradizione e l'autorità. Ovvero: è così perché è stato stabilito che è così, e chi l'ha stabilito è più importante di te e tu devi obbedire. Insegnava Ignazio di Loyola al termine degli Esercizi spirituali: «Dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica». Ancora oggi la forma della verità cattolica continua a essere basata sul passato (la tradizione) e sulla forza (l'autorità) e per questo motivo si accusa di gnosi chi al primo posto nel suo rapporto con la verità non pone l'autorità ma la coscienza personale, e in fedeltà alla coscienza dichiara bianco ciò che vede bianco. Un anno fa fu Bruno Forte sull'Osservatore Romano a definire il mio pensiero "una gnosi di ritorno". Ora Enzo Bianchi su Famiglia cristiana scrive: "Quanto a Mancuso, teologo che ama definirsi eterodosso, occorre riconoscere che le domande che pone nei suoi scritti sono urgenti e necessitano di una risposta da parte della teologia cattolica e della Chiesa, ma, a mio giudizio, le risoluzioni che propone Mancuso si collocano nello spazio della gnosi, in cui la storia è di per sé storia di salvezza e in cui non c'è da parte di Dio, né rivelazione, né grazia". Bianchi continua dicendo che nel mio ultimo libro (Disputa su Dio e dintorni, insieme a Corrado Augias) vi sono affermazioni che "correggono la gnosi presente nel precedente" (L'anima e il suo destino) che però "restano deboli". E conclude: "Il regno dei cieli non è l'equivalente del regno delle idee di Platone o del regno dei fini di Kant, come afferma il nostro teologo". Quanto al fatto che amerei definirmi eterodosso, dico semplicemente che ciò che amo è la trasparenza, e siccome so che certi miei pensieri non sono allineati alla dottrina ufficiale, lo dichiaro io per primo, per onestà ai lettori. Tutto qui.

Vorrei però precisare che se talora metto in discussione la dottrina ufficiale è per amore della coerenza e della logica, perché condivido la prospettiva secondo cui nel cristianesimo il posto d'onore spetta all'affermazione "in principio era il logos", e laddove non vedo rispettato il primato del logos, esercito la mia coscienza perché lo sia. Quanto all' accusa di gnosi, ripeto a Bianchi ciò che replicai a Forte, cioè che non ha fondamento. Lo gnosticismo infatti si basa su tre principi fondamentali: 1) è la conoscenza che salva; 2) questa conoscenza è rivelata a pochi da un inviato divino rivelatore e redentore; 3) il contenuto della conoscenza è la distanza del mondo da Dio all'insegna della più acuta contrapposizione materia-spirito. Al contrario io sostengo che: 1) è la giustizia che salva; 2) la giustizia può essere attuata da ogni uomo, dentro o fuori la Chiesa, essendo legata alla logica della creazione; 3) la creazione è il cardine teologico decisivo e tra materia e spirito non c'è alcuna contrapposizione. Mentre la gnosi è una dottrina segreta riservata a pochi dalla cui conoscenza dipende la salvezza, io all'opposto lego la salvezza alla pratica della giustizia, come sostiene Gesù in Matteo 25 e in numerosi altri passi. Mentre la gnosi consiste in una totale svalutazione della natura, attribuita a un Dio minore e malvagio, io all'opposto faccio della creazione il trattato teologico decisivo e dell'adesione alla sua logica il principio salvifico. Bianchi però dice che sono gnostico. Perché un tale abbaglio? Perché scambia per gnosi l'esercizio della libertà di coscienza a livello teologico. Ma nel richiamo di Bianchi alla "storia della salvezza" è in gioco soprattutto lo statuto della salvezza. Per secoli si è creduto che solo il cattolicesimo offrisse la salvezza agli uomini e che tutti i non cattolici ne sarebbero stati esclusi all'insegna dell'assioma "extra ecclesiam nulla salus" (fuori della Chiesa non c'è salvezza). So bene che Bianchi non condivide questa angusta prospettiva, lui che iniziò il suo impegno sul fronte dell'ecumenismo quando io ancora giocavo all' oratorio, e del resto quasi nessuno nella Chiesa di oggi la condivide. Mi permetto però di ricordargli questo passo di Simone Weil: "La credenza che un uomo possa essere salvato fuori della Chiesa visibile esige che tutti gli elementi della fede siano ripensati daccapo, pena l'incoerenza completa. Perché l'intero edificio è costruito attorno all'affermazione contraria, che oggi quasi nessuno oserebbe sostenere. Eppure non si vuole ancora riconoscere la necessità di una simile revisione. Ci si sottrae ad essa con miserabili artifizi. Si mascherano le sconnessioni con saldature fittizie, con salti logici clamorosi". Bianchi non me ne voglia, ma non posso fare a meno di inserire tra i salti logici clamorosi anche l'attribuzione di gnosticismo a un pensiero come il mio che ne è il più convinto avversario. Il punto è esattamente il nesso salvezza-storia. Per la visione cristiana tradizionale (derivante da san Paolo e difesa da Bianchi) la salvezza è legata all'evento storico di duemila anni, è storia della salvezza, ed è quindi inevitabile che tutti coloro che a quel singolo evento storico non partecipano (cioè la gran parte dell'umanità visto che la specie Homo sapiens ha origine 160.000 anni fa) ne vengano esclusi. Da qui extra ecclesiam nulla salus. Non erano cattivi i padri della Chiesa, gli scolastici, i papi e i monaci che per secoli sostenevano questo assioma. Erano semplicemente coerenti con l'impostazione che lega la salvezza a una storia particolare. Se infatti la salvezza viene da una storia particolare, o si partecipa a quella storia (partecipazione garantita dalla Chiesa e dai suoi sacramenti) o non si è salvi. La salvezza pensata in dipendenza da un evento storico produce necessariamente la teologia dell'extra ecclesiam nulla salus. Oggi si rifiuta questa teologia angusta e si ritiene che la salvezza non sia riservata ai soli cattolici. Perfetto. Ma allora come continuare a sostenere la dipendenza della salvezza da una storia particolare? Lo si può fare solo a prezzo di "miserabili artifizi", "saldature fittizie", "salti logici clamorosi". In realtà, se si vuole parlare con fondamento della salvezza (cioè della partecipazione all'eternità divina), occorre superare la superstizione della cronologia e comprendere l'insegnamento di Gesù: "Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità" (Giovanni 4,24). Vale a dire: ogni essere umano che nella sua coscienza e nel suo cuore, vive nello spirito della verità (la cui esperienza più alta si chiama pratica del bene e della giustizia) entra nella dimensione peculiare del divino e quindi è salvo, si tratti di un uomo dell'età della pietra, di un antico egizio, di un ebreo o di un indù di oggi. In questa prospettiva, contrariamente alla gnosi e al cristianesimo paolino che sostengono la necessità per la salvezza di una rivelazione particolare, io sostengo (come Bianchi rileva esattamente, ma sbagliando nel dire che si tratta di gnosi perché ne è l'esatto contrario) che ogni momento della storia è capace di salvezza. E quindi, a differenza di chi lega la salvezza a una storia particolare, io posso rifiutare in perfetta coerenza la teologia dell'extra ecclesiam nulla salus in quanto nemica degli uomini e incapace di comprendere la paternità universale di Dio. Ringrazio infine Enzo Bianchi (illustre collega all'Università San Raffaele nonché amico da lunga data) per aver riconosciuto che sollevo domande "urgenti che necessitano di una risposta da parte della teologia cattolica e della Chiesa", ma sarebbe interessante capire come fa lui a tenere insieme una salvezza universale con una storia particolare. Perché una cosa deve essere chiara: dire che "il regno dei cieli non è l'equivalente del regno delle idee di Platone o del regno dei fini di Kant" significa riproporre in versione aggiornata la medesima pretesa ecclesiastica dell' extra ecclesiam nulla salus.



 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 04/05/2009 alle 09:03
Corrado Augias – Vito Mancuso



“Disputa su dio e dintorni”





Sesta puntata



A.

Chi non ha lasciato la Chiesa è perché pensa serva a qualcosa. Lei mette giustamente Dante fra questi “cattolici laici”, io aggiungo che il poeta copre di vituperio, molto prima che ne fosse scoperta la falsità, la c.d. “donazione di Costantino” che concedeva alla Chiesa il potere temporale su Roma, l’Italia e il mondo! Quel documento, costruito dalla cancelleria vaticana, è uno dei falsi più vergognosi nella storia dell’Occidente insieme ai “Protocolli dei Savi Anziani di Sion” fabbricati dalla polizia segreta dello Zar.

Restando a Costantino, condivido l’opinione di tanti illustri storici del cristianesimo, secondo la quale, a seguito della vittoria di ponte Milvio, non fu l’imperatore romano a convertirsi ma, al contrario, fu il cristianesimo a trasformarsi in una religione imperiale, il che spiega (almeno in parte) anche la lunga sopravvivenza della Chiesa.

In ogni modo mi sembra che i “cattolici laici” siano sempre più rari e figure come Danilo Dolci che osavano sfidare le mafie o l’oltraggiosa prepotenza dei più ricchi sono diventate più uniche che rare. La Chiesa non ha mai condannato ufficialmente la mafia, mentre, ritorno alla questione Welby, ha ben saputo farlo con costui. Mi sembra uno degli episodi più crudeli degli ultimi anni!

Ruini temeva quel possibile segno di cedimento perché è in corso una battaglia con lo stato sul controllo della morte la quale, la Chiesa dice: “Deve essere naturale”

Ora io chiedo se non sia addirittura blasfemo l’idea di Dio che si rimette alla tecnologia sanitaria e sposta i termini della morte secondo i macchinari inventati dagli uomini? Dov’era dio diciamo mezzo secolo fa, quando non potevano sopravvivere chi aveva certe malattie? Allora che vuol dire naturale?

La risposta è politica; non perdere competenza e autorità e (soprattutto) ricavi sui momenti fondamentali dell’esistenza: la nascita, il matrimonio, la generazione e la morte.

La sua difesa della chiesa-istituzione è efficace, ma la questione è irrisolvibile. Facendosi di-Stato, il cristianesimo ha preteso di incarnare la sola morale ammessa e il solo diritto al quale tutti devono uniformarsi.



M.



Io ritengo che l’appartenenza alla Chiesa dipenda non da atti esteriori, ma dalla tensione interiore verso il bene e la giustizia, da ciò che nel linguaggio religioso si chiama “santità”. E quindi se la Chiesa istituzionale è fedele a se stessa, deve riconoscersi nella Chiesa celeste, altrimenti …

Perciò affermo che vi sono uomini che fanno parte della Chiesa anche se neppure si sognano di chiedere il battesimo e ve ne sono altri che non ne fanno parte, anche se magari indossano ricchi paramenti ecclesiastici. L’à affermato Gesù, non io. (Mt 7,21-23)


 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 06/05/2009 alle 10:59
Corrado Augias – Vito Mancuso

“Disputa su dio e dintorni”

Settima puntata

A.

Come lei sa molto meglio di me, l’argomento se la vera fede sia più nell’osservanza dei precetti o nella purezza dell’animo risale addirittura alla polemica di Gesù contro il formalismo dei farisei, ma per venire a tempi più recenti, fu un argomento centrale nella Riforma promossa da Lutero. A mio parere non è un caso che in Italia abbia prevalso l’osservanza dei riti, una religiosità guidata dai preti, il che scarica il singolo di buona parte della sua responsabilità e dà al vaticano un buon controllo sulle coscienze. E sa perché lei, come teologo “diverso” non corre il rischio di tenaglie arroventate e tratti di corda? Secondo me, è grazie ai “droits de l’homme et du citoyen” che ognuno di noi a conquistato grazie ai Lumi accesi nel XVIII secolo. Se vorranno farle qualcosa, dovranno farlo di nascosto, “come ladri nella notte”. Ed infatti la Chiesa vede nell’illuminismo il peggiore dei suoi nemici!
Quando parliamo di illuminismo, però bisogna intendersi: le idee di base non sono tutte originali: molte risalgono addirittura all’età classica. Pregio storico di quei pensatori fu di combinare questi elementi, dando loro una pratica possibilità di attuazione, derivandone un nuovo umanesimo: niente più dogmi, né cariche, funzioni, istituzioni sottratte per principio alla critica, ivi comprese, o forse cominciando proprio, dalle scritture dette “sacre”.
Già I. Kant aveva attribuito alla ragione il compito di guidare l’intelletto umano.
Per concludere, penso che invece le istituzioni umane (tutte) siano gremite di ladri e di assassini, di barattieri e di fornicatori: Tutte uguali, tutte e troppo umane, comprese quelle come la Chiesa che si attribuiscono una qualità superiore, certificata e garantita.

M.

Come si fa a non riconoscere la libertà che tutti dobbiamo all’illuminismo? Ma il fatto è che, grazie ad esso, la Chiesa ha modificato la sua dottrina sociale, accettando valori prima duramente condannati, quali le libertà democratiche, di stampa e religiosa. H. Kung sostiene proprio che il cattolicesimo si divide al proprio interno sulla base del paradigma illuminista: cattolici democratici vs conservatori/reazionari.
Però forse non è un caso che l’illuminismo si sia sviluppato proprio nell’Europa cristiana. Forse l’esaltazione dell’individuo fatta da Gesù con il dire che il sabato è per l’uomo (e non il contrario) ha avuto un ruolo non secondario.
E con queste parole si può vedere meglio anche il tema bioetico della morte c.d. naturale.
Nel marzo 2007 ricevetti una lettera da una dottoressa, la quale mi parlava di una sua paziente da molti anni alle prese con una malattia debilitante, causa di dolori sempre più … e che ormai pensava alla possibilità di …
Alla lettera risposi così:” Lei sa che si tratta di un tema su cui non ci sono risposte chiare e valide per tutti. Nel passato (ed ancora oggi, ad es. M. Teresa) si vedeva nel dolore un mezzo necessario per la salvezza. Io rifiuto questa impostazione, come del resto ancor più quella, quasi blasfema, del dolore *colpevole*, cioè come castigo inflitto da Dio. Ma questo non significa ritenere che il dolore sia inutile, senza senso. L’evoluzione del mondo è possibile solo a prezzo della sofferenza, così come il lavoro è possibile solo a prezzo della fatica. E’ la legge intrinseca delle cose, che la maturità spirituale porta ad accettare. Ma smettere di soffrire fisicamente significa cessare di soffrire anche a livello psichico e spirituale? Purtroppo sappiamo che non è così, ma fino a quando si può, penso che non bisogna fuggire dal posto in cui la vita ci ha messo.
A tutt’oggi la signora continua la sua vita, lottando ogni giorno per strappare un po’ di senso e di serenità ed ecco, sig. Augias, il mio pensiero non nasce dalla volontà di obbedire a documenti firmati dai papi.
Quanto alla morte naturale, che cosa significa? Io presumo che dietro la dottrina ufficiale, ci sia il modo di vedere che sia Dio che decide la morte. Bene, anzi male , perché qui si apre una voragine. C’è chi muore travolta da un Tir per un colpo di sonno dell’autista: morte naturale voluta dal cielo? Sono innumerevoli i casi di come si muoia assurdamente a causa della natura, come per ogni malattia molto naturale come la peste ed il colera! Che cosa pensano i paladini di questa morte? Che i ricercatori che cercano di sconfiggere le malattie stanno agendo contro la volontà di Dio? Ma ci si rende conto di che cosa comporta dire che Dio è padrone della vita e della morte terrena?
Per quanto riguarda l’inizio della vita, si sa che il settanta per cento degli ovuli fecondati (persone secondo la Chiesa) non si impianta in utero e muore. Se Dio fosse responsabile diretto della nascita, si avrebbe un’ecatombe così mostruosa che Hitler e Stalin (in ordine alfabetico) al confronto potrebbero concorrere per il Nobel della pace.
Se Dio fosse veramente il responsabile della vita e della morte degli esseri umani, io sarei ateo.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 07/05/2009 alle 11:17
Messianismo politico e religioso (ottava parte)


La versione secolarizzata più radicale e spettacolare della soluzione
millenaristica. cioè il totalitarismo politico del XX secolo, è entrata
tuttavia in crisi, a sua volta, per motivi e con conseguenze che è ora tempo
di esaminare.

L'estesa disponibilità delle masse e dei gruppi dirigenti ad adottare nuovi
miti millenaristici secolarizzati era facilmente comprensibile, sia perché i
vecchi miti religiosi (salvo in certe sacche di sottosviluppo come l'Iran
khomeinista) avevano perso credibilità, sia perché l'angoscia esistenziale e
il bisogno di salvazione sotteso ai vecchi miti religiosi erano sempre acuti
e anzi erano stati accentuati dal crollo di quei miti.

Ma questo successo iniziale dei miti politici totalitari non poteva durare a
lungo per due fondamentali ragioni.

La prima è che, per quanto si affannino a magnificare con i loro apparati
propagandistici le realizzazioni e le promesse dei loro Paradisi Terrestri,
i dittatori odierni non possono promettere l'immortalità e quindi non
possono soddisfare il bisogno primario e centrale da cui è nato il sogno
millenaristico.

È vero che vari atti e slogan di quei regimi svelano questa segreta speranza
dei capi e dei seguaci. Come già per gli antichi faraoni, per i santi e per
altri dignitari di varie culture millenariste, anche le culture totalitarie
conservano e producono rituali finalizzati ad assicurare almeno
simbolicamente l'immortalità dei capi; Così, per esempio, l'opera di Stalin
e Hitler o il pensiero di Mao Tse-Tung furono sistematicamente definiti
immortali; i seguaci rinnovavano a ogni compleanno al capo l'augurio di
«mille e mille anni di vita»; infine, tutti i capi comunisti, come i faraoni
egizi, sono stati imbalsamati (ed è noto che l'imbalsamazione aveva, nelle
religioni antiche, proprio lo scopo di fermare la morte e di consentire al
dignitario una vita felice oltre la morte).

Ma, soprattutto in un clima come quello moderno ormai egemonizzato dalla
scienza materialista e dal suo radicale scetticismo verso l'ultraterreno,
questi timidi e inconsci tentativi di esorcizzare la morte non possono certo
diventare espliciti e tanto meno risultare credibili. Pertanto, al mito
millenaristico politico viene a mancare la massima attrattiva del mito
religioso: la promessa e la certezza dell'immortalità. Il totalitarismo
politico si trova insomma attanagliato e minato da una prima basilare
contraddizione: da un lato fonda il suo successo sull'adozione delle
modalità del mito religioso millenaristico, dall'altro non può (proprio in
quanto radicato nell'era scientifica e nella dimensione terrena) avanzare la
promessa più essenziale e travolgente del millenarismo religioso: la
promessa dell'immortalità.

La seconda, basilare contraddizione del millenarismo politico sta nel fatto
che, se da un lato esso può concedersi di riprendere e lanciare l'altra
basilare promessa del millenarismo religioso, cioè la promessa di felicità e
armonia universale, dall'altro questa stessa promessa può essere screditata
e smentita a breve scadenza dalla possibilità di verificarla.

Fino a quando il millenarismo religioso prometteva un'era di beatitudine
universale inserita in un futuro più o meno prossimo, ma, comunque, ancora
tutto da iniziare, lo zelo e l'attenzione dei seguaci potevano essere
mantenuti.

Ma non appena lo stesso millenarismo religioso tentò di realizzare «qui e
subito» il suo Millennio si pensi alla Città di Dio dei Taboriti del XVI
secolo o alla Nuova Gerusalemme di Thomas Munzer o alla repubblica
teocratica di Calvino a Ginevra o alla Firenze del Savonarola - ben presto
gli entusiasmi e lo zelo (e perfino le certezze dei capi) si appannarono e
si mutarono in odio e rivolta, nell'urto con la realtà e con le sue amare
disillusioni.

Nei regimi totalitari questa delusione può essere a lungo rinviata dalla
propaganda capillare e massificata e la rivolta può essere ancora più a
lungo frenata dai potentissimi apparati di repressione poliziesca e di
discriminazione amministrativa ma, prima o poi, essa si diffonde e
serpeggia, trasformando rapidamente il clima eroico e speranzoso del momento
rivoluzionario nella rassegnazione piatta dell'ordinaria amministrazione.

Anche le gerarchie si trovano presto a mal partito. Ecco per esempio quanto
scrive acutamente Bronislaw Bacz:ko nel suo citato saggio
sull'utopia.39

Il Potere sovietico, resta in qualche modo prigioniero dell'utopia [.] Il
conclamato fine della società sovietica rimane, invariabilmente, la
costruzione del comunismo, con tutto ciò che essa implica: ossia
l'estinzione dello Stato, l'attuazione del principio «A ciascuno secondo i
suoi bisogni» ecc. Tuttavia, col passare del tempo, le
contraddizioni tra queste promesse e la realtà della società totalitaria
divengono sempre più flagranti, donde questa situazione paradossale: il
potere è obbligato sia «a giocare all'utopia» sia a «barare al gioco».


Così, la società sovietica viene tenacemente spacciata per socialista e
l'avvento del comunismo viene annunciato come imminente, ma, al tempo
stesso, viene continuamente rinviato. Ecco dunque Lenin che in Stato e
Rivoluzione, alla vigilia delta Rivoluzione d'Ottobre, dimostra
l'inevitabilità dell'estinzione dello Stato e del suo apparato repressivo
all'indomani stesso della conquista del potere da parte dei comunisti. Ma,
pochi mesi dopo aver scritto queste pagine millenaristiche, lo stesso Lenin
inizia la costruzione di un nuovo, sanguinano apparato burocratico e
repressivo che i suoi continuatori instancabilmente svilupperanno.

La truffa ideologica è però solo cominciata. Annunciando la conclusione
del «comunismo di guerra» (con cui erano state giustificate le violenze
contro tutti i dissenzienti e gli oppositori) e l'introduzione della NEP
(la politica economica di rilancio dell'iniziativa privata con cui il regime
tentava di rimediare ai primi disastri prodotti dalla sua distruzione
dell'economia di mercato), Lenin utilizza immagini tratte addirittura
dall'Utopia di T. More e assicura che il ripristino del mercato è solo
momentaneo perché, con l'avvento del comunismo …
A sua volta, all'indomani delle spaventose violenze anticontadine e
antioperaie che accompagnarono l'imposizione del primo Piano Quinquennale e
nel bel mezzo delle deportazioni di massa nei gulag, Stalin vara la
Costituzione Sovietica del 1936, ove assicura a tutti e subito «libertà,
dignità e felicità».

Nel 1952, mentre l'URSS è inchiodata ancora alla fame e al terrore di massa,
egli disquisisce sull'imminente avvento dell'era comunista, destinata a
garantire pane gratuito a tutti e, naturalmente, la scomparsa dello Stato.
L'ora della felicità e della libertà universali è fissata per il 1982.

Khruscev sfuma i tempi dell'estinzione dello Stato, ma anticipa al 1980
quelli del benessere universale, tragicomicamente ridotto, però, a un
paradiso gastronomico in cui «i sovietici avranno una razione di carne,
burro e uova maggiore degli americani».

Breznev e Andropov, infine, archiviano le promesse immediate e ripiegano su
una visione del Millennio comunista che ha tutta l'indeterminatezza del
Millennio religioso, ma non sfugge alla verificabilità (anzi
falsificabilità, per usare la terminologia di Popper) già nel presente,
proprio perché nello squallido presente del «socialismo avanzato» avrebbe le
sue premesse e radici. La credibilità del Millennio religioso, infatti, era
affidata all'apocalisse rivoluzionaria che doveva precederlo: e non a caso
il mito del Millennio comunista continua ad avere corso nei paesi ove il
comunismo non ha conquistato ancora il potere e la «rivoluzione» è di là da
venire.



 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 17/05/2009 alle 14:14
Messianismo politico e religioso (nona ed ultima parte)


[... il mito del Millennio comunista continua ad avere corso nei paesi ove
il comunismo non ha conquistato ancora il potere e la «rivoluzione» è di là
da venire.]


Da quell'apocalisse si può attendere la realizzazione della caratteristica
essenziale di ogni millenarismo religioso e politico: cioè, «il
rovesciamento di tutti i valori», come lo defini Nietzsche. All'ingiustizia
subentrerà la giustizia; al dolore la felicità; alla miseria l'abbondanza;
all'odio l'amore; alla solitudine la solidarietà; all'intolleranza la
tolleranza; al conflitto l'armonia, e così via.

Ma un Millennio che si presenti solo come continuazione di un oggi squallido
e ottuso non può avere seguito né fascino. In altre parole, la stabilità e
la perpetuazione di sé che i regimi totalitari perseguono è in
contraddizione intrinseca con i miti millenaristici terreni in nome dei
quali hanno conquistato il potere.

Ciò spiega da un lato il crescente discredito in cui sono cadute le speranze
millenaristiche nei regimi comunisti più stabili e, dall'altro, la maggiore
vitalità che esse mostrano di avere nel Terzo Mondo, ove i continui
complotti, pronunciamenti e golpe rinnovano frequentemente il momento magico
rivoluzionario, consentendo l'effimero rinverdire del sogno millenaristico.



Alla luce di. questa analisi, è chiaro che le massime possibilità di
sopravvivenza le hanno, in Occidente, i miti millenaristici di tipo
fascista, perché in essi Dio non è negato e l'immortalità è in qualche modo
promessa agli eroi e, in Oriente, i movimenti islamici come quello
khomeinista, ove la gestione del mito millenarista resta nelle mani dei capi
religiosi e il Millennio, quindi, resta una promessa celeste, mentre la sua
parte politica si riduce essenzialmente alla moltiplicazione del sacrificio
e del martirio, intesi come «passaporto per il Paradiso».


Al di là di alcune meno effimere sopravvivenze, comunque, la versione
totalitaria e politica del mito millenaristico non sembra avere un futuro.

Al panico esistenziale prodotto dall'improvvisa irruzione della morte nella
coscienza, come ineluttabile destino proprio o come perdita irreparabile del
compagno o della compagna o dei piccoli amati, la scimmia umana aveva
reagito con la negazione totale della morte mediante fantasie di
sopravvivenza, che costituirono le forme primordiali della cultura umana, e
poi con più strutturate e articolate difese in termini di miti e riti che
assicuravano l'immortalità ai fedeli di ciascuna religione.

Queste difese sono però entrate in una crisi forse irreversibile in
Occidente, prima per le loro contraddizioni intrinseche (cioè percbé hanno
finito per produrre angosce di dannazione almeno altrettanto tremende delle
angosce di morte che tentavano di arginare) e poi, soprattutto nel XIX e XX
secolo, per il dilagare sempre più incontrastato del pensiero laico -
scientifico.

Al crollo delle difese religiose, la psiche umana ha reagito col solito
meccanismo: tentando cioè di produrre un nuovo mito miilenaristico e
paradisiaco dall'apparenza più realistica e «scientifica», sotto forma di
utopie e azioni rivoluzionarie.

Ma questi miti sostitutivi non potevano reggere a lungo, perché sono molto
meno consolanti e molto più smentibiti dei miti religiosi. Oggi qualcuno
tenta perciò il ritorno a questi ultimi: ma non sembra capire che il mito
politico rivoluzionario era nato proprio dallo sfaldamento graduale e
irreversibile del mito religioso in seguito all'evoluzione etica e
intellettiva dell'uomo. Perfino la versione terroristica del mito
millenarista, se da una parte, con la sua esplosione degli anni '60 e '70,
ha segnalato drammaticamente le tendenze e gli esiti spesso mostruosi della
declinazione paranoicale dell'angoscia di morte, tipica di ogni millenarismo
religioso o politico, col suo attuale declino, sta a indicare la precarietà
dei surrogati politici totalitari con cui il nostro secolo ha tentato di
rimpiazzare i millenarismi religiosi.


Perfino i pochi autori che riescono a cogliere il nucleo psicologico
dell'odierna crisi dei miti rivoluzionari non sembrano comprendere che si
tratta non di un 'altra qualsiasi vicenda storica ma della crisi terminale
della modalità reattivo-difensiva in cui la cultura umana si è sviluppata
fin dai suoi primordi e ha continuato a concretarsi fino a oggi.

Così, per esempio, in un recente scritto Francesco Alberoni mette bene a
fuoco la gravità del collasso psicologico che minaccia molti marxisti
italiani (e non solo italiani) in seguito al crescente discredito in cui è
caduta la loro dottrina. E commentando la fioritura di critiche sempre più
drastiche del marxismo apparsa sulle pubblicazioni della sinistra italiana
in occasione del centenario della morte di Marx, scrive tra l'altro:


I marxisti Italiani non si limitano a lasciare un punto di vista,
un'ipotesi stimolante: abbandonano una fede, una sponda sicura, una casa,
una fratellanza che travalica i paesi, una speranza [...] Io non credo che
quest'abbandono sarà indolore perché molti di loro hanno soprattutto un
bisogno di fede che il relativismo scettico della cultura contemporanea è
destinato a frustrare [...] In questo momento di svolta del!a cultura
marxista in Italia sono perciò portato a domandarmi a che cosa condurrà la
perdita di un rifugio sicuro e considerato inviolabile [...] Una delle
ipotesi che si possono fare è che molti marxisti finiranno nei movimenti
religiosi.

Ciò che sembra sfuggire ad Alberoni in quest'analisi, che pure coglie bene
la natura essenzialmente religiosa del marxismo e le implicazioni
psicologiche del suo collasso, è il processo storico globale che sta dietro
all'odierna crisi. Se invece inquadriamo la crisi in una prospettiva storica
più ampia, ci rendiamo conto che la componente politica del millenarismo è
andata dilatandosi, da Thomas Munzer a Carlo Marx, fino ad assorbire
totalmente la componente religiosa e fino ad assumere, almeno a livello
conscio, connotazioni apertamente antireligiose, proprio perché le difese
religiose contro l'angoscia esistenziale e le relativé promesse di
giustizia, felicità e immortalità ultraterrena erano state scalzate dallo
stesso sviluppo etico, cognitivo e intellettivo della mente umana: un
ritorno a queste difese e promesse appare quindi; oggi, infinitamente piu'
difficile e precario che in passato.
Alla crisi dei miti rivoluzionari molti marxisti tentano di reagire
rifugiandosi nel radicalismo ecologico. A questo proposito mi sembra
significativo un recente scritto41 con cui Marco Boato, esponente marxista
ultrà negli anni '70, risponde al citato articolo di Francesco Alberoni,
cogliendone benissimo (dato il suo passato di militante rivoluzionario) la
validità critica e l'intonazione angosciata. Ebbene, Boato cerca di spiegare
pazientemente ad Alberoni che i grandi movimenti rivoluzionari degli anni
'60 e '70 stanno trasformandosi in movimenti «verdi» per la difesa
dell'ambiente.

Come vedremo nelle pagine su La difesa filosofica ciò era perfettamente
prevedibile in un'ottica psico-esistenziale, perché il mito naturalista è,
insieme a quello rivoluzionario, l'altro grande mito millenarista con cui il
pensiero moderno ha cercato di rimpiazzare i millenarismi religiosi. Ma,
come pure vedremo più avanti, questo mito è destinato ad avere vita anche
più precaria del mito rivoluzionario. Per incrinarlo e distruggerlo non
occorrono neppure le verifiche della Storia, cui finiscono per soccombere i
miti rivoluzionari. Basta l'osservazione quotidiana degli orrori del mors
tua vita mea, il principio su cui si regge tutta la vita naturale, o
l'esperienza personale della malattia o della morte d'una persona cara, cui
nessun ecologista può a lungo sottrarsi.

Luigi DE MARCHI (fine del III capitolo di "Scimmietta ti amo)

 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 21/05/2009 alle 09:53
Corrado Augias – Vito Mancuso

“Disputa su dio e dintorni”

Ottava puntata

A.

Da uno come lei, certi ragionamenti sorprendono e portano a concludere che è possibile essere cattolici e tuttavia conservare sentimenti profondi di umanità, anche se quasi mai gli interventi delle gerarchie portano a dire altrettanto.
Sono asserzioni di tale efficacia che mi chiedo come faccia lei a restare in una compagnia così difforme, così lontana dai princìpi che sostiene. Mi chiedo anche, che cosa aspettino loro a cacciarla. La sola risposta ragionevole che trovo è che una sua esclusione sarebbe un motivo di scandalo controproducente.
Ritorno sulla morte naturale, perché mi sembra troppo importante e quindi rievoco i fatti legati alla sorte di Eluana Englaro, ridotta, per testimonianza DIRETTA da me raccolta, a un povero scheletro anchilosato. Per diciassette anni, questa giovane donna è stata un cadavere, sempre più lontana dalle immagini giovanili sorridenti e vitali che abbiamo avuto sotto gli occhi, per opera della TV asservita al potere.
Suo padre, che io considero un eroe civile, è stato sommerso da insulti e vituperi non solo da parte di alcuni scalmanati, ma anche e soprattutto da uomini di chiesa, professore, uomini della sua Chiesa! Cito ad es. il commento dell’Osservatore Romano sulla sentenza della Cassazione. Si afferma che la decisione è stata frutto di un “relativismo dei valori” e che bisognava considerarla inaccettabile, perché questi [valori] riguardano la conservazione o no della vita. (nota mia: Loro avevo scritto o meno, ma è un errore di grammatica e di logica, perché una vita non si può conservare meno, e quindi ho corretto).
Capisce, perché mi chiedo che cosa possa tenere insieme un teologo come lei e una S.S. come quella? Ci vuole davvero un profondo materialismo per considerare vita umana la semplice animazione cellulare di un organismo altrimenti morto!
Per converso, vede come possono concordare il pensiero illuministico laico e una teologia misericordiosa (da non confondere con le suore misericordine), che prescinde cioè dalle considerazioni di potere che così spesso avvelenano il messaggio della chiesa ufficiale?
Perché i vescovi tedeschi e spagnoli si sono dimostrati più aperti? L’unica ipotesi per me è che gli italiani sono più vicini alla centrale del potere, tenuti ad un’obbedienza più rigida dal momento che qualcuno ha scelto di fare della povera Italia la propria terra di conquista in un momento di grande difficoltà per loro.
Ma è meglio tornare all’illuminismo: a me pare che l’aspetto essenziale di questo movimento sia nella possibilità garantita ad ogni individuo di scegliere e di decidere in autonomia. Non è il caos, ovviamente, però non esistono più dogmi, bensì diritti e doveri devono essere motivati sulla base della loro utilità sociale.
Per Kant il fatto che l’uomo sia libero è un requisito necessario per la morale. C’era forse un eccesso di ottimismo, ma c’era anche quella fiammella che avrebbe acceso il tumultuoso processo di libertà al punto da farla diventare (in parte) segno distintivo degli ultimi secoli.
La chiesa del potere ha tutte le ragioni di indicare nell’illuminismo il suo avversario e l’origine del suo declino, perché ha fatto uscire la religione dalla dimensione pubblica. Non è più Stato e i delitti interessano e feriscono la collettività, i peccati riguardano solo chi li ha commessi e il suo prete.
I diritti così conquistati “le droits de l’homme” sono propri di individui liberi e uguali, comprese le donne, perché “homme” significa essere umano ed anche qui c’è un bel salto rispetto ad una concezione teocratica, nella quale le donne sono state sempre tenute a bada e guardate con sospetto.
La prima autonomia che questo movimento, forse l’unico veramente rivoluzionario, consente di guadagnare è quella della conoscenza razionale, al di fuori dei miti, compresi quelli biblici, della magia e della superstizione.







 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 25/05/2009 alle 10:53
Corrado Augias – Vito Mancuso

“Disputa su dio e dintorni”

Nona puntata

M.
Nei suoi interventi c’è sempre la Chiesa gerarchica e la sua presenza nella società italiana. Secondo lei sarebbe meglio che la Chiesa non ci fosse per nulla? Proprio questo, a mio avviso, è stato il principale errore dell’illuminismo. La religione, compresa la sua espressione sociale e istituzionale, ha sempre fatto parte del cammino dell’umanità e ciò, evidentemente, si spiega con la sua capacità di rispondere a bisogni effettivi degli esseri umani. Dicendo questo, ho in mente l’episcopato del cardinale Carlo Maria Martini a Milano. I suoi discorsi di Sant’Ambrogio, tanto per fare un esempio, erano altamente politici, senza mai essere partitici. Parlavano a tutta la polis, non ad una parte. Per me, che non avevo compiuto diciotto anni, quando arrivò a Milano, egli era la Chiesa gerarchica “tout court”.
Lei mi dirà che di Martini ce ne sono ben pochi e purtroppo è vero, ma di profeti ne bastano pochi per trascinare tutti gli altri. Basta guardare come papa Giovanni XXIII ha fatto progredire la Chiesa e, con essa, la società. Si poteva e si potrebbe andare più velocemente? Forse sì, ma più importante della velocità è la massa di gente che si riesce a coinvolgere. E per questo fine la Chiesa cattolica, lo si voglia o no, rimane un interlocutore indispensabile.
Ma voglio aggiungere se, come ho detto, ritengo doverosa l’elaborazione culturale della Chiesa sui temi riguardanti la società e la vita morale, la ritengo non più lecita quando si trasforma in pressione sui politici, con giochi più o meno scoperti. Il problema italiano è tuttavia un altro: mi riferisco all’insufficienza etica e culturale della nostra attuale classe politica, soprattutto, e mi spiace dirlo, di quelli che a parole si dicono cattolici. De Gasperi disse no a Pio XII il quale nel 1952, gli voleva proporre un’alleanza elettorale con il MSI per il comune di Roma in funzione anticomunista e il senatore Andreotti dichiarò pubblicamente che il decreto governativo (caso Englaro) era un atto improprio, criticando così in maniera diretta tanto il governo, quanto il Vaticano e la Cei (entusiasti).
C’è un’altra ragione del cattivo rapporto fra Chiesa e cultura illuministica, data da un equivoco. Non si è capci di estendere alla natura il medesimo principio di laicità applicato dal Vaticano II nel punto 7 della dichiarazione “dignitatis humanae” :”Nella società va rispettata la norma, secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile”. E’ evidente che una sana teologia non può non estendere tale principio alla deliberazione degli uomini sulla propria vita naturale, mediante il principio di *autodeterminazione*.

A.
Mi chiede di spiegarle perché torno spesso sulla presenza della Chiesa nella società italiana, allora la prego di leggere quanto segue.
Ottobre 2000, il Norlevo (la c.d. pillola del giorno dopo) viene distribuito nelle farmacie. La pontificia accademia per la vita chiama farmacisti e medici all’obiezione di coscienza.
Giugno 2003, la C.p.D.d.F. (ex Sant’Uffizio) stabilisce che i parlamentari cattolici devono votare contro ogni iniziativa legislativa favorevole al riconoscimento delle unioni omosessuali.
Giugno 2005, l’accesissima campagna per l’astensione promossa dai vescovi sul referendum per abrogare la legge 40. Si continuarono ad esortare i fedeli a non votare persino alle messe della domenica del voto in aperta e doppia violazione della legge.
Luglio 2005, la Santa Sede nel suo “instrumentum laboris” proclama di considerare peccato per un fedele votare un candidato favorevole alla legge sull’aborto.
Gennaio 2008, il papa riceve gli amministratori romani (comune e regione) e li rimprovera aspramente per il degrado gravissimo della capitale. Non ha fatto altrettanto con i successivi (di centrodestra, nonostante il degrado non sia migliorato, anzi …
Il fatto è che la Chiesa tenta d’imporre in Italia (altrove non le è consentito) una religione civile simile a quella delle teocrazie islamiche. La Chiesa gerarchica è diventata un vero e potente partito politico, avido soprattutto di denaro. Questa Chiesa ha fatto sparire l’altra, quella del cardinale Martini, che sta a cuore a lei, ma anche a me non credente.






 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 07/06/2009 alle 13:35
Intervista a Massimo Fagioli su politica e religione

http://www.radioradicale.it/scheda/280886/intervista-a-massimo-fagioli

 

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  postato il 08/06/2009 alle 13:35
Luigi Lombardi Vallauri (I puntata)

http://www.radioradicale.it/scheda/275264/stato-chiese-separazione-spoliazione

 

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  postato il 08/06/2009 alle 13:36
http://www.radioradicale.it/scheda/262590/prospettive-etiche-della-modernita-culture-laiche-a-confronto

Luigi Lombardi Vallauri (II puntata)

 

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  postato il 10/06/2009 alle 13:38
Luigi Lombardi Vallauri III puntata

http://www.radioradicale.it/scheda/244166/incontro-con-luigi-lombardi-vallauri-sul-tema-la-liberta-in-una-spiritualita-laica

 

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  postato il 12/06/2009 alle 08:05
Recensioni. G. Nuzzi: Vaticano S.p.A.
Scritto da Massimo Teodori
lunedì 08 giugno 2009
Che la banca del Vaticano, l’Istituto Opere di Religione (IOR), non fosse un ente finanziario dedito solo a “opere di bene”, era noto. Ciò che documenta con rigore Gianluigi Nuzzi in Vaticano S.p.A. sono le sue “opere del male” sulla base dell’archivio di monsignor Renato Dardozzi, per trent’anni al vertice della banca. Il malaffare che emerge dai 4000 documenti consultati sembra non avere fondo: riciclaggio per conto della criminalità organizzata, maxitangenti politiche, speculazioni finanziarie di colletti bianchi e maneggi di cardinali e vescovi dediti a mammona.
Chi ha letto le carte delle inchieste parlamentari Sindona e P2 conosceva l’ampiezza delle losche vicende della banca vaticana guidata da Paul Marcinkus dal 1971 agli anni ‘80. Il connubio tra l’IOR e Michele Sindona divenne strettissimo quando, nella primavera del 1969, Paolo VI incaricò il banchiere siciliano di trasferire il “patrimonio di Pietro” sui mercati internazionali per evadere la tassazione italiana. E’ così che quel complesso sistema finanziario divenne nei paradisi offshore il canale privilegiato in cui si mescolavano i tesori vaticani con quelli di Cosa Nostra e dei vip italiani che, al momento del crack del 1974, si salvarono con la famosa la “lista dei 500” sottratta al curatore fallimentare Giorgio Ambrosoli. Il capitolo successivo della stessa storia fu scritto dal sodalizio tra Marcinkus e Roberto Calvi che finì anch’esso con il fallimento dell’Ambrosiano (1982) da cui risultò che il Vaticano era debitore di 1200 miliardi, recuperati solo in parte dal ministro Beniamino Andreatta.
Le vicende che collegano l’IOR a Sindona, Calvi e agli emuli potrebbero essere considerate solo una pagina della finanza nera internazionale se non fossero intrecciate con la storia della nostra Repubblica. La banca vaticana, sia con la presidenza Marcinkus indagato dal Parlamento (1969-1982), sia nella successiva stagione di monsignor Donato de Bonis documentata in Vaticano S.p.A. (anni ’80 e ’90), ha potuto fare da cerniera tra due grumi del malaffare finanziario e politico, grazie al singolare statuto dell’IOR, l’unica banca facilmente accessibile al centro di Roma ma impenetrabile ai controlli sul riciclaggio e agli interventi giudiziari. La singolare potenza dell’IOR è dunque consistita nel fatto che da una parte della cerniera c’è il Vaticano, non come autorità religiosa, ma come potenza finanziaria in grado di rendere servizi discreti, occulti ed efficaci ai politici corrotti, alla criminalità internazionale e agli affaristi italiani; e dall’altra si muove quel sottobosco della politica italiana che si serve di professionisti dell’intermediazione illegale come Licio Gelli.
Il manovratore di questa cerniera, per avvicinare o separare le due parti, è sempre stato Giulio Andreotti. Nella conclusione della mia relazione all’inchiesta parlamentare, dopo avere analizzato le tante vicende che si sono compiute all’ombra della loggia, si legge “…perciò la P2 merita Andreotti come capo”. Volendo con ciò significare che si è fatto folclore nel rappresentare il leader democristiano abbracciato a Licio Gelli o a Totò Reina, mentre si è sottovalutato la realtà “strutturale” dei suoi rapporti con le galassie facenti capo all’IOR. Andreotti ha saputo con maestria gestire lo snodo tra il potere mondano delle segrete stanze del Vaticano e il potere incistato nei sotterranei della politica italiana. Una documentazione del libro di Nuzzi riguarda appunto il “Fondo cardinal Spellman” dell’IOR a disposizione di Andreotti, attraverso cui per anni sono state gestite le più indecifrabili operazioni per migliaia di miliardi di lire.
Non sappiamo se oggi sia ancora attivo il lato malavitoso dell’IOR dove sono transitati, tra l’altro, i tesori della mafia (secondo Massimo Ciancimino), la maxitangente Enimont gestita da Carlo Sama, Sergio Cusani e Luigi Bisignani, e innumerevoli altre operazioni finanziarie per conto di fantomatiche fondazioni. Ma sarebbe arrivato il momento che il mostro finanziario IOR, legibus solutus, venga ricondotto al rispetto delle regole di controllo nazionali e internazionali, possibilmente con l’abrogazione del Concordato in base al quale possono essere commessi impunemente tanti misfatti.

Gianluigi Nuzzi, Vaticano S.p.A. Da un archivio segreto la verità sugli scandali finanziari e politici della Chiesa, Chiarelettere, Milano, 2009, pp. 280

il Sole 24Ore, 7 giu 2009

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 14/06/2009 alle 12:37
Ricevo ed inoltro

*Il 27 Giugno la Chiesa Cattolica festeggia Cirillo d'Alessandria (370-444
E.V.), Santo, Dottore e Padre della Chiesa. In realtà, come immagino Lei
sappia, niente più che un criminale fanatico e violento. Non parlo solo
dello sterminio dei Pagani e degli eretici nestoriani di Alessandria, non mi
riferisco solo all'istigazione dei monaci cenobiti ad assaltare il
Serapeion, abbatterne le statue, massacrarne i difensori, bruciarne i libri.
Quello che più mi suscita ribrezzo misto a cocente indignazione, è l'orrendo
e brutale assassinio di Ipazia.* Presumo sia superfluo esporLe la vicenda in
questa sede, giacchè suppongo Lei la conosca meglio di me.

Ciò che mi sta a cuore sottolineare è che a mio avviso osservare la diffusa
ignoranza intorno all'atroce supplizio della bellissima filosofa di
Alessandria è un vero e proprio "infandum renovare dolorem"
*[rinnovare un dolore indicibile, frase detta da Enea a Didone a proposito
della richiesta da parte della regina di Cartagine fatta ad Enea di narrare
della caduta della citta' di provenienza di Enea nota di MP]*
per ogni laico che sia al corrente di quei misfatti, e lo stesso può dirsi
relativamente
alle migliaia di altri comportamenti cruenti nella Storia della Chiesa di
cui solo gli specialisti hanno cognizione. *Nelle lezioni di storia delle
scuole medie e superiori si spendono molte parole intorno ai martiri
cristiani, ma si accenna forse mai a quelli pagani (secondo me ben più
numerosi)?* E a quelli della scienza? Qualche rogo, qualche persecuzione di
eresie, qualche abiura: sì Galileo, le "streghe", Giordano Bruno sono
episodi abbastanza noti presso la popolazione mediamente colta, ma io mi
sento profondamente indignato dal fatto che *il IV e il V secolo E.V. non
siano mai presentati nella tragica crucialità che de facto li
contraddistingue.* *Se tutti avessimo letto di come il cristianesimo divenne
religione preminente in Europa rabbrividiremmo e saremmo invasi da infinito
sconcerto innanzi alle proposte di citare le radici cristiane del Vecchio
Continente nella Costituzione Europea:*
quali radici cristiane?
*Le vere radici sono pagane, e non si atrofizzarono naturalmente, ma furono
crudelmente estirpate* dal potere temporale della Chiesa.

Sembra si tratti di eventi remoti che poco hanno a che spartire con
l'attualità, ma io sono fermamente convinto che la lotta per la laicità sia
da combattere non soltanto sul piano politico-legale ma anche (e forse
soprattutto) sul terreno della cultura:* solo legislatori istruiti in scuole
genuinamente laiche e quindi dotati di nozioni ampie, varie e non
tendenziosamente preselezionate potranno promulgare leggi obbiettivamente
laiche, solo giudici i cui orizzonti mentali non siano impastoiati da
un'educazione parziale possono applicare quelle stesse leggi serenamente e
con decisione.*

La verità è che le conoscenze mancano perchè il sistema scolastico e
culturale in senso lato non si è ancora aperto sufficientemente al nuovo,
imbrigliato com'è in una stretta e rigida rete di pregiudizi tenuta ben
ferma e tesa da quelle persone che riuniscono in sè arroganza, ignoranza,
ottusità, timore del mutamento, brama di potere, e, talvolta, crudeltà,
elementi che si possono rintracciare in diverse misure e varie combinazioni
a seconda dell'individuo specifico ma sempre comunque tipici delle menti
reazionarie.

La mia opinione è che l'UAAR potrebbe organizzare una campagna informativa
la quale mostrasse a tutti che* il sangue come sorgente del cristianesimo
non
è solo quello dei martiri cristiani, come voleva Tertulliano, ma anche e
soprattutto quello dei martiri pagani e laici.* E' smuovere le coscienze che
risulta più che mai necessario oggi. Che piacevole utopia immaginare un Papa
che si scusi, un giorno, in maniera ancora più esplicita di quanto non abbia
fatto Giovanni Paolo II, e che riconosca tutte le colpe della Chiesa
elencandole una per una di fronte ad una Piazza San Pietro gremita, e per
ognuna di esse si batta il petto sussurrando un sinceramente contrito mea
culpa! Si tratterebbe di una dimostrazione pratica di quel principio di
Umiltà di cui vanno tanto ciarlando i Cattolici.

E perchè no, è gradevole fantasticare che forse un futuro Pontefice
eliminerà dal canone dei santi tutti i criminali e i violenti, e allora
Cirillo d'Alessandria cadrebbe nell'oblio (meglio ancora sarebbe una vera e
propria damnatio memoriae) che si merita, e forse Ipazia otterrà la fama e
l'ammirazione che si è guadagnate con una vita, e una morte, dedicate alla
Scienza, alla Filosofia e alla Tolleranza.

Ovviamente il mio è solo uno spunto, un'idea, un'iniziativa dettata dal
bisogno, quasi fisico, di fare qualcosa.

Non posso viaggiare a ritroso nel tempo catapultandomi nel bel mezzo del
Serapeion di Alessandria nel 391 E.V. per offrire il mio contributo alla sua
difesa, ma posso tentare un'azione oggi per proteggere quello che l'antico
Tempio Pagano della Cultura rappresentava: uno studio del Mondo
appassionato, multiforme e svincolato da qualsivoglia preconcetto. Allo
stesso modo non mi è certo data occasione di salvare Ipazia dalla morte cui
andò incontro *mille* cinquecentonovantaquattro anni fa, ma posso impiegare
le mie
misurate forze nel tentativo di riportarla in vita oggi, nelle coscienze
delle persone.

*Il nome di Cirillo, emblema di odio cieco e violento verso il diverso, è
stampato sui nostri calendari, quello di Ipazia, simbolo di Cultura e
Tolleranza, è conosciuto solo da pochi.*

Michael Gelmi

 

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  postato il 15/06/2009 alle 10:00
IV puntata. Sempre massima chiarezza, ma questa conferenza è più strettamente filosofica e quindi più complicata

http://www.radioradicale.it/scheda/240288/incontro-con-luigi-lombardi-vallauri-eugenio-lecaldano-giulio-giorello-e-ubaldo-nicola

 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 18/06/2009 alle 10:22
*Alfonso Piscitelli*

*PERCHE' NON POSSIAMO NON DIRCI PAGANI*



Noi europei non abbiamo alcun bisogno di tornare al paganesimo: non lo
abbiamo mai abbandonato nel profondo dell'anima. La struttura psichica dei
"gentili" è naturalmente pagana, sarebbe una grave perversione se cessasse
di essere tale. Il cristianesimo diffondendosi nelle quattro aree
dell'Europa antica (la greca, la romana, la celtica, la germanica) ha
annacquato la sua originaria radice monoteistica. Il cattolicesimo
mediterraneo era nella realtà un politeismo lunare incentrato sul culto di
tre grandi Dei distinti: Dio Padre (*Deus Pater*= *Zeus*), Dio Figlio
(generalmente descritto con tratti dionisiaci) e una grande Dea Madre (la
Madonna = la Signora). Il cristianesimo europeo ha trasgredito il divieto
ebraico di venerare le immagini (un divieto ancora oggi rigorosamente
osservato dagli islamici). Da questa trasgressione nasce la grande arte
cristiana. A partire dal romanticismo, i poeti germanici hanno cancellato la
maledizione biblica che gravava sulla Natura. La psicologia contemporanea ha
riscoperto gli Dei sotto forma di archetipi psicologici. L'attitudine
moderna allo sport, il diffondersi di palestre hanno recuperato sia pur in
forma materializzata l'aspirazione classica al corpo sano.

*Sbagliano pertanto coloro che vogliono incatenare l'anima dell'Europa ad un
destino abramitico. La nostra anima nel profondo non ha mai smesso di dirsi
pagana; basta solo ascoltarla con attenzione per capirlo. Il "nuovo
paganesimo" non è affatto un concetto stravagante o qualcosa di
intellettuale costruito a tavolino; è semplicemente un atto di
auto-consapevolezza: una presa di coscienza della nostra natura e di ciò che
è estraneo (e dannoso) ad essa.*

E' vero che il cristianesimo è stato grecizzato nella sua teologia,
romanizzato nella sua struttura gerarchica, celtizzato nelle sue sfumature
esoteriche (il Graal), germanizzato nelle sue attitudini crociate e
cavalleresche; ma è anche vero che sotto tutti questi vestimenti europei il
cristianesimo rimane una forma messianica di giudaismo. Tutti i cristiani
venerano come divinità il rabbì Jeshua, della tribù di Giuda. Il rabbì
Jeshua si proclamò messia, esattamente come avrebbe fatto Sabbatai Zevi 1600
anni dopo. Ogni secolo dal popolo ebraico sorgono messia, regolarmente
avversati dal clero regolare: la tensione tra sacerdoti e messia, tra
sacerdoti e profeti ("Ahi Israele che perseguiti i tuoi profeti!") è una
costante della storia israelitica. Il rabbi Jeshua si scelse dei
collaboratori: tutti ebrei. Shimon conosciuto sotto il nome di Pietro, Saul
conosciuto sotto il nome di Paolo. E' grazie a questi infaticabili
collaboratori che cinquanta generazioni di giovani europei hanno imparato a
riconoscere in Israele il "popolo eletto", a sentirsi figli di Abramo, di
Isacco e di Giacobbe; a venerare il "leone di Giuda" (il rabbino Jeshua).
Non v'è cosa più illogica di un "antisemita cattolico".

*Perché il cattolicesimo, più in generale il cristianesimo, è il giudaismo
messianico divulgato ai popoli. Cosa leggono i cristiani come libro sacro?
La Bibbia, ovvero la Torah più altri scritti giudaici. Nella Bibbia la
collettività dei cristiani è orgogliosamente definita come "l'Israele di
Dio". La Bibbia si conclude con una esecrazione di Roma "la Grande
Meretrice" e con la profezia dell'avvento del paradiso: la "Gerusalemme
celeste"! Quanti patologici antisemiti vedono la mano ebraica su ogni male
del mondo e poi con assoluta indifferenza professano il cristianesimo,
ovvero la versione messianica del giudaismo.*

*Al cospetto di Hitler un papa molto caro ai tradizionalisti (Pio XII) ebbe
l'orgoglio di dire: "Noi siamo spiritualmente semiti". C'è molto coraggio in
questo orgoglio espresso a quei tempi. Si può ammirare quel coraggio; e
tuttavia anche noi Europei dobbiamo avere coraggio ed esprimere l'orgoglio
della nostra "gentilezza". Guardate sulla testa dei vescovi ai quali i
cristiani baciano le mani: cosa portano? Che cos'è quel curioso dischetto?
Ovvio, è la kippah ebraica: con ciò i successori degli apostoli si
qualificano come rabbini.*

*E del resto tutti i fedeli ogni Domenica ripetono in coro Alleluia(hve),
esclamazione ebraica che suona: sia glorificato Jahve. Arriviamo così al
nodo di quella fissazione patologica che è l'antisemitismo (ovvero la
credenza maniacale che dietro ogni male del mondo vi siano gli ebrei):
l'antisemitismo è espressione della lacerazione dell'anima europea, che da
una parte accetta il cristianesimo e lo stravolge secondo le proprie
tendenze, dall'altra parte avverte che in fondo al cristianesimo vi è
qualcosa di irriducibile e di inassimilabile: la radice semita.*

Vi sono cose che non si possono imporre. Tu non puoi imporre al rabbino capo
di venerare la Dea Afrodite, non puoi cambiare nome a Gerusalemme (come
fecero i Flavi che la trasformarono in Helia Capitolina!). Allo stesso modo
non si può pretendere che un Europeo d.o.c. si semitizzi. Per porre fine
alla triste lacerazione dell'anima europea e per combattere la patologia
dell'antisemitismo noi proponiamo uno schietto "non semitismo": vale a dire
il riconoscimento del fatto che allo spirito europeo non si addice una
religione di origine giudaico-messianica esattamente come non si addice al
rabbino capo di Gerusalemme ricercare le radici della propria fede in Omero,
nel concetto romano del *Pantheon*, nel Libro Egizio dei Morti.

* La verità è che il cristianesimo dei nostri tempi da un lato sta
riscoprendo la sua autentica radice ebraica e si sta liberando di ogni
sovrastruttura greco-romana, dall'altro sta spostando il suo baricentro
fuori dall'Europa. In Europa non si fanno più preti. E senza preti
chiaramente una religione non può sopravvivere. Non a caso le Chiese stanno
patrocinando il progetto di spostare in Europa milioni e milioni di
africani, amerindi, asiatici. Per avere un prete in più in seminario, ma
anche per modificare lo psichismo della civiltà europea con l'afflusso di
popoli più docili alle carezze dei monsignori.*

Contemporaneamente altri popoli dalla brulicante demografia si spostano
verso Nord e per esplicita ammissione dei loro imam si propongono di
sottomettere l'Europa ad Allah grazie al ventre delle loro donne. Di fronte
a questo movimento di popoli è naturale, per un ovvio principio di azione e
reazione, che si ingeneri un movimento di ripaganizzazione dei popoli
europei. Ciò che era inconscio deve ritornare ad essere cosciente. La grande
cultura europea ci aiuta in questa riscoperta: non fu solo il Rinascimento a
riscoprire gli antichi, anche i Monaci della Schola Palatina di Carlo Magno
non appena riscoprirono i testi classici se ne innamorarono; compiendo così
due peccati in uno: 1) si innamorarono, 2). di qualcosa di non cristiano. Il
senso di fedeltà al *mos maiorum *ancor più della mera cultura erudita ci
induce a spolverare il nostro atavico paganesimo. Si sa, il rabbino Joshua
era una persona amabile ma sicuramente peccava di equilibrio. Ai suoi fedeli
disse: "fatevi eunuchi (=castrati!) per entrare nel regno dei cieli"! Disse:
"se il tuo occhio ti dà scandalo, taglialo via. E' meglio essere orbi che
bruciare nel fuoco dell'inferno". Queste massime così illuminate
difficilmente potrebbero avere una effettiva applicazione oggi. Fuori che da
una ristretta cerchia di fanatici neppure nei secoli precedenti sono state
effettivamente adottate. Nelle buone famiglie europee per duemila anni si
sono educati i bambini con una saggia miscela di stoicismo e di epicureismo.
Lo stoicismo: la convinzione che bisogna affrontare con virilità, con
dignità i momenti difficili che ogni vita inevitabilmente comporta.
L'epicureismo: la convinzione che anche la vita più seria debba essere
condita e addolcita da una giusta dose di piacere. I riti pagani si sono
interrotti in Europa, ma lo spirito pagano sotto molti aspetti è continuato.
Ininterrottamente.

 

____________________
Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
...
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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 18/06/2009 alle 10:22
Conferenza pronunciata il 15 maggio 1997 in occasione del terzo colloquio del Gruppo d’Orval a Herbeumont dal direttore della rivista Antaios Chistopher Gerard.


*Anima naturaliter pagana :::*

:::: Trovare un cielo sulla terra ::::


L'uomo moderno cerca di fondare la propria ricchezza su quanto il mondo gli
dispensa fra alti e bassi. Superficialità, senza dubbio, e pertanto
criticabile, ma quanto preferibile alla falsa profondità dell'apparente
comprensione globale fornita da una credenza zoppicante. Giacché essere
Pagano oggi è, a mio avviso, voler superare sia il dualismo delle religioni
monoteiste rivelate - che chiamerò per comodità religioni abramiche
(Giudaismo, Cristianesimo Islam) - sia il nichilismo, tipico di una
modernità singolarmente distruttiva. Non intendo in nessun modo
rappresentare la totalità della corrente neo-pagana contemporanea. Del
resto, sono profondamente convinto che esistano tanti approcci al paganesimo
quanti sono i Pagani. E questo non è forse nella natura delle cose, dal
momento che il tratto caratteristico dei differenti Paganesimi, vecchi o
nuovi, europei o no, consiste precisamente in quest'esaltazione
dell'infinita pluralità del reale?
Ma vediamo che cos'è in realtà quello che viene chiamato Paganesimo.
Il termine si può prestare a confusioni e malintesi, tanto più che esso è
stato forgiato dai suoi avversari. Sono infatti i Cristiani che, nel corso
del III e del IV secolo, hanno fatto della parola latina paganus (contadino)
una sorta d'insulto.
I Pagani erano allora presentati come degli zoticoni, degli antiquati che
rifiutavano - sfrontati! - di convertirsi alla vera fede, quella del Cristo.
Ancora ai nostri giorni, il termine "Pagano" è talvolta inteso come sinonimo
di "barbaro", di "rozzo", e addirittura, presso certuni, di "ateo". Ora,
esso non è niente di tutto questo.
Il Paganesimo che io difendo è agli antipodi della discutibile esaltazione
di chissà quale barbarie o quale culto della forza bruta. Lo scrittore
ortodosso russo Vladimir Volkoff parla, in uno dei suoi romanzi, di
"nietzcheismo da boy-scout vizioso", espressione che mi sembra assai
calzante. Se i Pagani hanno sempre reso omaggi alle forze presenti
nell'universo, non si tratta per noi Politeisti, né di un culto della
violenza e tantomeno d'idolatria.
Quanto alla presunta rozzezza dei Pagani, mi limiterò a ricordare che da
millenni questi ultimi hanno sviluppato metafisiche estremamente raffinate
(si pensi ai Presocratici greci alle Upanishad dell'India, alle scuole
platoniche, pitagoriche o ermetiche...) e mitologie sontuose di cui
l'antropologia strutturale e il comparatismo di un Dumézil hanno mostrato
l'infinita ricchezza. Infine, l'ateismo - non dimentichiamolo - è pressoché
sconosciuto nelle società tradizionali. Non parlo qui dell'ateismo di massa,
che prolifera nelle nostre società postcristiane. Per questo rimando al
libro di Marcel Gauchet sul Cristianesimo come agente del disincanto del
mondo.
Se dovessi definire rapidamente il Paganesimo in quanto coerente visione del
mondo, direi che esso è fedeltà alla stirpe - considerata nel quadro di una
memoria millenari (quella che ci "re-ligat" [ religio, religione, è appunto
l'atto del religare, collegare ], che ci unisce ai nostri antenati lontani)
- radicamento in un territorio (termine da prendere lato sensu) e apertura
all'infinito. Potrei ugualmente parlare di partecipazione attiva al mondo,
d'equilibrio ricercato fra microcosmo e macro cosmo.
È religione naturale, la religione della natura e dei suoi cicli, la più
antica del mondo perché "nata" - ammesso e non concesso che il mondo sia mai
nato - con lui. Lungi dall'essere una fissazione di qualche tipo un po'
bislacco o una nostalgia da letterati fermi a qualche mitica Età dell'Oro,
oso affermare che il Paganesimo sta per diventare di nuovo la prima
religione del mondo. Infatti, se si considerano gli Induisti, gli
Scintoisti, i Taoisti, gli animisti e gli adepti - sempre più numerosi - dei
culti precristiani d'Europa o delle Americhe (si pensi alla spettacolare
rifioritura dello sciamanesimo nell'ex-URSS), dei culti preislamici
(Zoroastriani delle regioni turcofone) e persino pregiudaici (penso in
particolare ad un gruppo di Ebrei americani che desidera ritornare ai culti
politeisti degli Ebrei), si rischia davvero di arrivare a un totale
approssimativo di millecinquecento milioni di persone. Il che ne fa, o ne
farà presto, il primo gruppo religioso del pianeta. Due potenze nucleari,
l'India e la Cina, sono politeiste - una sotto orpelli modernisti, l'altra
sotto orpelli marxisti. In piena Pechino si costruiscono templi taoisti, e
l'Induismo è divenuto offensivo, dal momento che missioni indù s'installano
ai quattro angoli del mondo.
Per concludere questa breve illustrazione della reale importanza e del
carattere non aneddotico del Paganesimo moderno, ricordiamo che il
Paganesimo è religione ufficiale dell'Islanda dal 1973, che esso è in parte
riconosciuto in Gran Bretagna (ospedali, prigioni eccetera) e negli Stati
baltici. In Russia, correnti pagane si sviluppano a velocità vertiginosa,
nel bene e nel male, visto e considerato il disastro sociale di questo
Paese. Interessarsi al Paganesimo mi sembra dunque pertinente.
Quello che più spesso si rimprovera ai Pagani, antichi e moderni, è il
passatismo. E lo stesso rimprovero che veniva mosso dai marxisti a quei
poveri pazzi che non consideravano Marx e Lenin come gli orizzonti
insuperabili del pensiero. Questo rimprovero - di non essere "nel senso
della storia - è del tutto insensato, dal momento che il Paganesimo non ha
una visione lineare del tempo, un tempo visto come avanzata costante verso
il Progresso (la Parusìa) a partire da un momento ben definito (la nascita
del Cristo etc.). Questa concezione segmentata e lineare del tempo c'è
estranea.
Noi Pagani concepiamo il tempo come ciclico, proprio come i cicli cosmici
(quello solare, per esempio, con equinozi e solstizi). In realtà il
Paganesimo è una religione dell'anno, e dunque della verità. Il tempo dei
Pagani è quello dell'Eterno Ritorno, simile alla grande Ruota che gira e
gira senza posa.
Noi non crediamo né alla creazione né alla fine del mondo. Per noi, non ci
sarà apocalisse, bensì innumerevoli fini di cicli, eternamente ricominciati.
Una successione senza inizio né fine di nascite, crescite e declini, di
crepuscoli seguiti da rinnovamenti, di cataclismi seguiti da rinascite, in
seno a un Ordine (in greco: kosmos) intemporale, in cui uomini e Dei,
mortali e Immortali, hanno il loro posto e la loro funzione.
Il mito del Progresso non ci appartiene. Noi non crediamo al senso della
storia (concetto totalitario, a mio avviso), alla "fine" del Paganesimo,
alla "morte" degli Dèi. Di conseguenza, il rimprovero di adorare divinità
morte ci lascia indifferenti.
I nostri Dei, le nostre Dee non sono morti, per la semplice ragione che non
sono mai nati. Apollo e Dioniso, Cernunno ed Epona, Mithra e Perkunas sono
eternamente presenti al nostro fianco. Citiamo Eraclito (framm. 30): "Il
mondo di fronte a noi - il medesimo per tutti - non lo fece nessuno degli
Dèi né degli uomini, ma fu sempre, ed è, e sarà, fuoco vivente, che divampa
secondo misure e si estingue secondo misure". Questo breve frammento vecchio
di venticinque secoli traduce le linee di fondo del pensiero pagano:
eternità del mondo, ciclicità del tempo, comunità dei mortali e degli
Immortali...
Se il tempo è lineare, come vorrebbero le teologie giudeo-cristiana e
razionalista, il Paganesimo è impensabile, perché "morto", e scandaloso,
perché si muove in direzione contraria al sacrosanto senso della storia.
Ma se, come tutti noi avvertiamo, il tempo è ciclico, la prospettiva muta
radicalmente. Il Paganesimo non è mai potuto morire: perché, a immagine e
somiglianza delle innumerevoli divinità che popolano i suoi innumerevoli
pantheon, esso non è mai nato. Se le sue forme antiche (liturgie, templi...)
hanno ceduto il passo ad altre che pure vi si sono largamente ispirate,
tuttavia restano gli archetipi, che sono essi stessi eterni. Un bell'esempio
è quello del Cattolicesimo medioevale, rimasto molto pagano: è quello che
personalmente chiamerei il Pagano-Cristianesimo (fuochi di san Giovanni, e
tutta la mitologia cristiana).
Per meglio comprendere questa visione pagana del mondo, è indispensabile
superare i blocchi mentali - i famosi "ostacoli epistemologici" di Bachelard
- indotti dal modo di pensare giudeo-cristiano. Marcel Détienne (uno dei
maggiori ellenisti contemporanei), puntualizza nella sua illuminante
prefazione al bel libro del professor W.F. Otto dedicato agli Dei della
Grecia: "Dietro il falso sapere dell'intellettuale e dell'universitario,
spunta il grande avversario (...): il cristianesimo, che fa da schermo fra
gli Dei greci e noi, e che ci ha imposto in maniera insidiosa un certo modo
di pensare la religione. Dapprima inoculandoci il virus dell'interiorità: in
base al quale la religione è inseparabile da una relazione personale col
Dio, che l'unico contatto possibile con la divinità deve avvenire attraverso
un soggetto individuale - un Io che apprenderebbe il sacro grazie a una
sorta di protesi dell'anima, l'anima inquieta e pavida delle civiltà malate.
Altro male, non meno virulento: che il sentimento religioso nascerebbe da un
bisogno di salvezza che va di pari passo con la trascendenza: che la
finalità degli Dèi consiste nel liberare gli uomini da questo mondo, nel
farli salire accanto a sé, nello strapparli a una natura dalla quale sono
essi stessi totalmente disgiunti. Con la sua angoscia di salvezza, Le sue
gioie segrete di anima peccatrice, il cristianesimo è soprattutto un
ostacolo epistemologico: una malattia, uno stato di languore al quale
bisogna strapparsi e dal quale bisogna guarire se si vuole riscoprire la
figura autentica degli Dei della Grecia".
La citazione è lunga, ma notevole come perfetto esempio di teologia negativa
del Paganesimo. Marcel Detienne ha colto benissimo le differenze
fondamentali tra Paganesimo e rivelazioni abramiche. Qualcuno potrebbe
obiettare che, nell'Antichità, esisterono delle correnti, minoritarie ma
privilegiate dalla ricerca moderna, come l'Orfismo o i Misteri, che
conoscono questa ricerca di salvezza personale. Semplicemente, noi non ci
abbeveriamo a questa fonte, alla quale preferiamo la religione civile
arcaica.
Un altro ellenista, Jean-Pierre Vernant, professore al Collegio di Francia,
si è già posto la questione di sapere in quale modo noi potremmo vedere la
Luna, Selene, con gli occhi di un Greco, cioè di un Pagano: "Ho potuto
provarci in gioventù, durante il mio primo viaggio in Grecia. Navigavo di
notte, d'isola in isola; sdraiato sul ponte guardavo, sopra di me, il cielo
in cui brillava la luna, luminoso volto notturno, che diffondeva il suo
riverbero chiaro, immobile o danzante, sulla cupa distesa del mare. Ero
ammirato, affascinato da quel chiarore dolce e strano che bagnava le onde
addormentate; ero commosso come davanti ad una presenza femminile,
vicinissima e remota ad un tempo, familiare e tuttavia inaccessibile, il cui
splendore fosse venuto a visitare l'oscurità della notte. Ecco Selene, mi
dicevo, notturna, misteriosa e brillante - è Selene che io vedo".
Il professor Vernant ha ragione, in questa poetica rievocazione della sua
gioventù, a parlare di "visione". Il Paganesimo è soprattutto una
conversione dello sguardo, quello che si rivolge su di un universo del quale
noi siamo, insieme alle Dee e agli Dèi, una parte integrante. Per meglio
assimilare questa visione pagana, questo sguardo pagano, dobbiamo liberarci
dal modello del "credente" delle religioni abramiche. Questo termine è
realmente privo di senso per un Pagano: egli non crede, aderisce. Allo
stesso modo, egli non si converte ad un'altra religione, che sarebbe l'unica
vera (e che negherebbe ipso facto tutte le altre perché false, barbare o
rozze). Semplicemente, il Pagano ridiviene quello che è sempre stato, perché
l'anima è naturalmente pagana. Anima naturaliter pagana.
Liberarsi, dicevo, dal modello del credente. Uno che crede di potersi
assicurare la salvezza individuale ed eterna quaggiù e nell'aldilà, in seno
ad una Chiesa che, di fronte agli "infedeli" e ad altri eretici, deterrebbe
essa sola il monopolio del Vero e del Bene, e che sarebbe l'unica abilitata
a conferire al credente i sacramenti che fanno di lui un "fedele" in
opposizione agli infedeli", gli altri.
La nostra visione non è dualista, e noi respingiamo come prive di senso le
opposizioni artificiali fra Dio creatore e creature, cielo e terra, anima e
corpo, credenti e non credenti, ortodossi ed eretici etc. Il Paganesimo è
olistico, non dualista, e il nostro cammino è soprattutto ricerca di legami
più che di rotture. Ancora una volta, noi non neghiamo l'esistenza, nel
Paganesimo antico, di correnti dualiste, alle quali però non facciamo
riferimento.
Gli Dei e le Dee del Paganesimo non sono né unici né onniscienti. Essi non
hanno creato questo mondo, ma sono nati in esso e attraverso esso. A mano a
mano che l'universo, ciclo dopo ciclo, si organizzava a partire da entità
primordiali (Urano e Gaia, per esempio), essi sono scaturiti per generazioni
successive. I nostri Dei non sono persone, con le quali stabilire relazioni
personali, ma Potenze. Essi incarnano la pienezza dei valori positivi:
bellezza, splendore, forza, giovinezza...
Nel Paganesimo, esiste una comunità d'uomini e Dei, di mortali e Immortali.
Nel Simposio Platone parla appunto di "comunanza reciproca d'uomini e Dei".
Nel Gorgia, egli precisa: "i dotti affermano che il cielo e la terra, gli
Dei e gli uomini sono legati insieme dall'amicizia, il rispetto dell'ordine,
la moderazione e la giustizia, e per questa ragione essi chiamano mondo
l'insieme delle cose e non disordine e sregolatezza". Molti secoli più
tardi, Heidegger dirà: "La terra e il cielo, gli esseri divini e quelli
mortali formano un tutto unico".
Gli Dèi non sono dunque creatori del mondo ex nihilo: come creare qualcosa a
partire dal nulla? Essi sono emanazioni del mondo, nel quale si manifestano.
Questo concetto di manifestazione è fondamentale nella nostra religione
naturale, e si oppone a quello di rivelazione, che per definizione è
soprannaturale. Allo stesso modo, noi ignoriamo dogmi e profeti, papi e
curati, ortodossi ed eretici, sette e guru.
Il Pagano è nel mondo, che si sforza, in tutta umiltà, di decifrare per
meglio cogliere le innumerevoli manifestazioni del divino. E' Schiller, mi
pare ne "Gli Dei della Grecia", che diceva: "agli sguardi iniziati, ogni
cosa indica la traccia di un. Dio" - ancora questa idea dello sguardo!
Il Paganesimo non lascia mai che l'uomo si ripieghi su se stesso, sotto il
peso del peccato originale. Al contrario, essere pagano consiste
precisamente nell'aprirsi all'esperienza del mondo. Vorrei soffermarmi per
un momento sull'importanza dello sguardo, che i Greci chiamavano theorìa,
osservazione delle manifestazioni del divino. Essa ci riporta all'antica
concezione dell'èn tò pàn, che si ritrova sia presso i Presocratici che
nelle Upanishad: la dottrina non dualista dell'unità. In questa visione, il
mondo non è visto come intimamente malvagio ("Il quaggiù", termine quasi
peggiorativo in francese), incline al peccato, valle di lacrime da
attraversare in tutta fretta prima di potere accedere ad un qualche
ipotetico "retromondo". Non bisogna fuggire il mondo, ma affrontarlo, senza
Illusioni né speranze di salvezza.
C'è dunque una reale accettazione del mondo, con tutte le sue infinite
imperfezioni, ma considerato pur sempre come manifestazione del genio
divino. La sua contemplazione attiva non può che rafforzare il nostro
sentimento d'identità col grande Tutto. Queste concezioni intimamente pagane
sono sopravvissute in seno alla cristianità europea. Le si ritrova,
soffocate, in Scoto Eriugena, Meister Eckhart, Nicola Cusano... Il dogma
cristiano del Dio creatore esterno al mondo, sua creazione, è sempre stato
contestato. E la famosa tentazione panteista, tanto vilipesa dai teologi
ufficiali, gelosi custodi del Vero.
Già Cicerone, nel De divinatione, precisa: "tutto è pieno di spirito divino
e di senso eterno, di conseguenza le anime degli uomini sono mosse dalla
loro comunità d'essenza con le anime degli Dei". Ricordate la citazione di
Platone, poco più sopra? Ippocrate diceva, secoli prima di Cicerone: "pànta
thèia kàt anthròpina" [ le cose sono divine e umane al tempo stesso -
N.d.T.]. C'è del divino nel mondano e del mondano nel divino...
Ho citato prima W.F. Otto, professore all'Università di Tubinga, oppositore
del nazionalsocialismo e seguace di Zeus Olimpio. Nel suo notevole saggio
sugli Dei della Grecia, dice: "Non è a partire da un aldilà che la divinità
opera nel foro interiore dell'uomo, o nella sua anima, misteriosamente unita
ad essa. Essa è tutt'uno col mondo. Essa si para dinanzi all'uomo a partire
dalle cose del mondo, quando egli è in cammino e partecipa al fermento
vitale del mondo. L'uomo fa l'esperienza del divino non attraverso un
ripiegamento su di sé, bensì attraverso un movimento verso l'esterno".
Il Paganesimo ignora dogmi e catechismi. Nessun libro sacro ci prescrive in
modo autoritario quello che dovremmo "credere". La nostra libertà di
pensiero resta intatta. Soltanto, il nostro compito consiste nell'onorare
Dei e Dee per mezzo di riti, giacché il Paganesimo è una religione d'opere
più che di fede. Si tratta, è vero, di una religione vissuta nei gesti: il
saluto al Sole e alla Luna, i solstizi e gli equinozi, l'offerta di un grano
d'incenso o di qualche fiore...
Si pensi con attenzione quanto ci sia di degenerativo nelle accezioni
moderne di: "fato", "fatale" e "fatalismo". Anteponiamo quindi l'antica
concezione di tali parole: il "fato" è la «legge dello sviluppo del mondo»,
una legge «piena di senso e come procedente da una volontà intelligente,
soprattutto da quella delle potenze olimpiche» (e non cieca, irrazionale e
automatica come nel senso moderno). Il fatum romano rimanda al rta
indoeuropeo, alla concezione del mondo come cosmos e ordine, e a quella
della storia come sviluppo di cause ed eventi, i quali riflettono
significati superiori. Proprio a tutto ciò si rivolgeva il significato di
fatum. L'espressione deriva dal verbo fari (da cui discende anche fas, il
diritto come legge divina), ed allude pertanto alla «parola». La parola
«rivelata», quella della divinità olimpica che fa conoscere la giusta norma
- fas - e allo stesso tempo annuncia ciò che sta per avvenire. L'idea di
fatum non annullava per questo la libertà umana: il pagano si cura pertanto
di formare la sua azione e la sua vita in modo che esse continuassero
l'ordine generale, ne fossero in un certo senso il prolungamento ed uno
sviluppo ulteriore. Egli pertanto cercava, e cerca di presentire la
direzione delle forze divine nella storia, così da potervi connettere in
modo opportuno l'azione, da armonizzarla con essa, rendendola massimamente
efficace e carica di significato. Ciò consegna alla magia del rito
un'importanza molto rilevante: le peggiori sciagure per il pagano nascono
dall'aver trascurato gli auspici, dall'aver agito disordinatamente e
arbitrariamente, rompendo i contatti con il mondo superiore, il mondo
dell'invisibile.
Gli Dèi sono Potenze, mai particolari in sé - si tratta sempre dell'Essere
del mondo tutto intero, nella manifestazione che gli è propria. Noi Pagani
non ci attendiamo alcun soccorso, alcuna salvezza dai nostri Dèi. La loro
sola esistenza, la sola presenza di queste entità inaccessibili e tuttavia
familiari basta a riempirci di gioia, a consolarci dei soprusi
dell'esistenza. Se noi non ci aspettiamo nulla dai nostri Dèi, anch'essi dal
canto loro sono indifferenti alla nostra sorte, ed è giusto così. La morale
della retribuzione ci è dunque estranea. Venticinque secoli fa - ieri -
Euripide ha espresso perfettamente questo modo di sentire nella sua tragedia
Ippolito. Ecco il dialogo che si svolge fra Artemide e il protagonista al
momento della sua morte:
" - Artemide: Addio, non mi è permesso di vedere i morti, né di lasciare che
il mio sguardo sta offuscato dall'ultimo respiro di un moribondo. E già ti
vedo vicino a questo passo doloroso.
- Ippolito - Vai pure. E addio dunque, te felice! Possa tu rompere senza
soffrire una lunga amicizia".Superbo esempio di superiorità e di distanza,
agli antipodi d'ogni sentimentalismo. E qui, indubbiamente, il grande merito
di questa filosofia, di questo atteggiamento: mai esitare a dire le cose
come stanno, senza abbellirle né lamentarsi, senza lusingarsi, senza
nascondere nulla e senza cercare la minima illusione consolatrice."
Ed eccoci ad un elemento centrale nella concezione pagana del mondo: il
Senso del Tragico. Gli Dei non sono onnipotenti, per quanto siano simboli di
pienezza. Essi non possono tutto, perché la loro potenza è limitata dal
Destino - Virgilio lo chiamava "inexorabile Fatum". Esiste dunque un limite
impossibile da superare. Presso i Greci sono le Moire, presso i Romani le
Parche, presso gli Scandinavi, le Nome - che filano il destino proprio a
ciascuno. Queste potenze impersonali e inflessibili sono l'Ordine
inviolabile del mondo. Esse sono al di sopra degli Dei, come ricorda Omero:
"nemmeno gli Dei, dice Atena, possono allontanare la morte dall'uomo che
prediligono quando la fatale Moira colpisce".
Il senso del Tragico consiste appunto nell'accettazione del Destino: amor
Fati. Esso è, del pari, coscienza acuta dei propri limiti e lucido rifiuto
di ogni consolazione, considerata cosa indegna di un uomo libero. Un
bell'esempio di personaggio tragico è presentato da Jacqueline de Romily nel
suo ultimo libro dedicato all'eroe omerico Ettore.
Gli Dei del Politeismo contemporaneo non concedono alcuna ricompensa. E la
nostra etica dell'onore che ci comanda di trasmettere un nome senza macchia,
di essere fedeli alla parola data e di rispettare i contratti. Il Mithra
degli Indo-Iraniani è proprio il Dio amico, quello del contratto. Il
Paganesimo è una religione non del peccato, ma dell'errore. L'errore supremo
è quello che i Greci, nostri maestri, chiamavano hybris: la mancanza di
moderazione, dettata dall'orgoglio, che spinge l'uomo accecato a scagliarsi
contro l'ordine cosmico. Il più terribile esempio di hybris contemporanea è
dato dai totalitarismi moderni, i quali, a furia di voler "cambiare l'uomo"
in realtà lo avviliscono.
Il Paganesimo non postula alcun riscatto. Si tratta, è vero, di una
religiosità di questo mondo, una religiosità dell'immanenza: il mondo è
sacralizzato. La cosa sembrerà strana per quanti continuano a credere che la
sola vera religione sia quella dell'aldilà. Ma essere Pagano oggi vuol dire
anche liberarsi da questo genere di cascami. Il Paganesimo non è una
religione del terrore, del disprezzo di sé, bensì della piena salute, fisica
e psichica: mens sana in corpore sano, diceva Giovenale ( Satire, X, 356).
Inoltre il Paganesimo si caratterizza, idealmente parlando, per il suo gusto
dell'equilibrio. Sono ancora una volta i Greci a tracciare per noi la via da
seguire, col concetto delfìco di Méden Agan, (nulla di troppo), illustrato
dall'eccezionale senso delle proporzioni dell'arte ellenica.
Il Paganesimo non è una religione di salvezza (anche se certi culti
misterici che assicurano la salvezza agli adepti vi trovano un posto): si
tratta invece di una religione terrena, mirante ad assicurare la pienezza
ottimale in questo mondo, hic et nunc. Vi si cercherà invano la minima
ossessione dell'aldilà. La morte non vi è considerata come elemento centrale
(col corollario di un moralismo soffocante, e l'ipocrisia che ne
scaturisce). La morte è una tappa nel processo eterno di trasmissione: come
diceva Nietzsche - il filosofo col martello - "la Ruota gira" e la danza
degli elementi continua, senza inizio né fine. Alla domanda angosciosa "che
c'è dopo la morte?", noi aggiungeremo l'altra - "e prima della nascita?".
Per noi, i cicli sono cominciati ben prima della nostra nascita e
continueranno ancora per molto dopo la nostra scomparsa, a maggior gloria
degli Dei. Taliesin, poeta gallese del Medio Evo, ha ben illustrato
quest'intuizione:


Sono stato rivestito di un'altra forma
Sono stato salmone azzurro
Sono stato cane. Sono stato cervo
Sono stato daino sulla montagna
Sono stato palo. Sono stato vanga
Sono stato scure salda in mano
Sono stato gallo variopinto
Signore di galline schiamazzanti
Sono stato stallone nella scuderia
Sono stato toro nella fattoria
Sono stato setaccio del mugnaio
Aia del coltivatore
Sono stato seme nel solco
Sono cresciuto sulla collina
Chi mi aveva seminato mi ha raccolto


 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 18/06/2009 alle 11:28
La fede e la morale cristiane si fondano esplicitamente sul primato della coscienza, "c'èst à dire" che l'unica istanza che può davvero giudicare se un atto sia commendevole o riprovevole è la coscienza stessa di colui che lo compie: in linea di principio, perfino un assassinio può essere compiuto con innocenza e naturalmente anche ogni atto di "amore" può ...
Su di un piano strettamente morale a Dio ed alla chiesa non interessa tanto che gli uomini compiano il bene, quanto piuttosto che desiderino compierlo. Non contano gli atti, ma la coscienza.
Su un piano generale nella "mente di Dio" il bene e il male sono distinti, però lo sono in un modo che noi non possiamo immaginare, pertanto non sapremo mai se stiamo operando a favore del bene o del male. Infatti la stessa cosa (azione) può essere moralmente buona per me e non tale per un altro, perché le nostre coscienze ci "parlano" diversamente. E' probabile che in questo caso uno dei due si sbagli nel giudicare un caso in maniera diversa da come è prevista nella "mente di Dio", ma per il soggetto (che non conosce) le cose non cambiano e lui può tranquillamente sentirsi (giustamente ) nel giusto.
Le radici della preminenza della coscienza si possono ben trovare nel Vangelo (si pensi ai frequenti appelli di Gesù alla capacità di credere ed alla coscienza morale degli apostoli, della Maddalena etc.
Si possono leggere anche nei padri della Chiesa e d'altra parte, se Dio avesse rivelato in maniera chiara ed inequivocabile che cosa si debba intendere per vero e falso, l'uomo sarebbe un mero esecutore, invece il compito che ci assegna è davvero degno dell'animo umano: interpretare la realtà e la vita, nella loro essenza, per decidere liberamente del vero e del falso, del bene e del male.
Dunque il primato della coscienza, implica la responsabilità di attrezzare la propria coscienza il meglio possibile, in altre parole di non rifiutare nessun elemento che può aumentare la nostra comprensione delle cose. Certe amiche mie (ad es. Anna e Gianna) che si rifiutano di studiare la storia e le contraddizioni della chiesa e del Cristianesimo, a rigore, non potrebbero definirsi cattoliche, a maggior ragione non può far parte del cattolicesimo uno che si dichiara "omosessuale" dovendo "ope legis" mantenere il rispetto per la gerarchia che dichiara (invece) "apertis verbis" che tale situazione rappresenta un disordine morale e va ...
Ciò detto, il ruolo che la chiesa cattolica si è costruito nei secoli risulta, ad essere "buoni", piuttosto ambiguo. Essa annuncia a tutti gli uomini "di buona volontà" cosa è vero e quanto è falso. . Se si limitasse ad alcune indicazioni generali, questo non andrebbe a collidere troppo con il primato della coscienza, ma purtroppo, in preda ad un'ossessione definitoria, ama scendere nei particolari ed allora scopriamo che la vera fede significa credenza nel Dio sia al contempo "uno e trino", che tutti siamo nati con una cosa che si chiama "peccato originale" e che se non ce la leviamo, andiamo in una realtà che si chiama "inferno". Apprendiamo poi ("errata corrige" ad opera di Pio IX) che una certa Anna ha concepito invece una figlia senza peccato originale e che sarà destinata a partorire vergine.
Veniamo a sapere altresì che Dio non vuole che ci masturbiamo, ma che se ci pentiamo tutto torna a posto, però è meglio se interviene ad assolverci qualcuno a cui "ex ante" sia stato somministrato il sacramento dell'ordine sacerdotale (attenzione un prete, una suora non va bene ).
E così via, il tutto raccolto in miglia di punti nell'ultimo Catechismo pubblicato nel 1992 in forma completa e nel 2005, con grande successo di vendite, in forma ridotta.
Probabilmente anche i catechisti si renderanno conto che l'idea di Gesù stesso: il primato della coscienza, sia diventato solo e soltanto vana retorica, buona tutt'al più per ottenere popolarità, per farsi belli e rendersi simpatici in un'epoca in cui le idee sul primato dell'individuo sono ben accette.
Naturalmente non ci sarebbe simile aporia, se la chiesa presentasse il catechismo come una serie di posizioni discutibili, invece: "sono materie non negoziabili"

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 21/06/2009 alle 10:03
Giovanni XXIII lo aveva denunciato per circonvenzione d'incapaci.
Ratzinger a tutti i preti: imitate Padre Pio
Questa mattina Benedetto XVI arriva nel paesino garganico divenuto meta di
pellegrinaggi da tutto il mondo e per prima cosa, pochi minuti dopo il suo
arrivo, pregherà davanti alle spoglie di san Pio da Pietrelcina, esposte
dall'anno scorso alla venerazione dei fedeli. C'è attesa per ciò che Papa
Ratzinger, dotto teologo, dirà su questo santo contadino così amato dalla
gente, simbolo di una religiosità semplice e popolare, spesso guardato con
sospetto da certa intellighenzia ecclesiale. Nell'omelia, apprende il
Giornale, il Papa farà un parallelo tra Padre Pio e il santo curato d'Ars,
Giovanni Vianney, proponendo il frate stimmatizzato del Gargano come modello
per i preti di tutto il mondo nell'anno sacerdotale appena inaugurato. In
particolare, Benedetto XVI farà notare come la vita di entrambi, Padre Pio e
il curato d'Ars, abbia ruotato attorno a questi due poli: il sacramento
della misericordia (entrambi trascorrevano buona parte della giornata in
confessionale) e quello dell'eucaristia. Per entrambi il rapporto con l'eucaristia
era «il segreto» della loro santificazione e della loro vita sacerdotale.
Papa Ratzinger aveva già parlato di Padre Pio nel settembre 2005, e già
allora aveva additato il santo cappuccino come esempio di sacerdote che
celebrava così bene la messa e «riviveva con tale fervore il mistero del
Calvario da edificare la fede e la devozione di tutti». Benedetto XVI è il
secondo Papa a visitare San Giovanni Rotondo, dopo il viaggio di Giovanni
Paolo II nel maggio 1987. Papa Ratzinger celebrerà la messa davanti al nuovo
santuario realizzato da Renzo Piano, poi nel pomeriggio visiterà i malati
dell'ospedale Casa Sollievo della Sofferenza e infine, prima di ripartire
per Roma, incontrerà religiosi e giovani. Nonostante l'esposizione del corpo
di Padre Pio, quest'anno, a causa della crisi, le presenze dei fedeli -
circa sei milioni e mezzo - non sono aumentate rispetto all'anno precedente.
Ci sono state infatti molte disdette. Ed è cambiata in parte anche la
tipologia delle preghiere che vengono lasciate sulla tomba del santo: mentre
prima erano quasi esclusivamente richieste di guarigione, ora sono in netto
aumento le richieste di aiuto per trovare un lavoro e per superare le
difficoltà della crisi economica.

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=360529

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 22/06/2009 alle 15:21
http://www.radioradicale.it/scheda/257423/laicita-e-religione-nello-stato-di-diritto

Luigi Lombardi Vallauri quinta puntata

 

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  postato il 22/06/2009 alle 16:09
Religione e bambini
di Luigi Lombardi Vallauri, Firenze
Inizierò con alcune considerazioni per grandes personnes (Saint-Exupéry), poi ne trarrò alcune conseguenze per petits princes (ancora Saint-Exupéry).

Le religioni e il corpo-mente moderno adulto
Nel loro tempo fondativo (in illo tempore, Eliade) le religioni sono state delle cose che oggi non possono essere più. Sono state spiegazioni causali del mondo, riserve di senso, dispensatrici di terrori e speranze ultraterreni, fonti e sanzionatrici di norme etiche e giuridiche, suggeritrici inesauribili d’arte e poesia, modellatrici di vita quotidiana, di cicli settimanali stagionali annuali, di città e paesaggi. Hanno riempito di sé il cielo e la terra; plasmato l’ambiente materiale e immaginale dell’uomo; permeato capillarmente tutto l’organismo della cultura.

Oggi la scienza-tecnica ha svuotato le religioni tradizionali d’ogni capacità esplicativo-teorica e taumaturgico-pratica circa le cose del mondo. D’altra parte è facile dimostrare, con argomenti logici e storici, che in etica Dio è irrilevante, sia se un’etica vera/universale esiste, sia se non esiste1. E la “religione civile dei diritti dell’uomo” 2 ha ormai assunto lo status di etica pubblica: almeno in Occidente c’è consenso sul punto che nessuna delle religioni tradizionali può più, mantenendo la propria legittimazione etica, sancire sul piano teorico, o attuare sul piano pratico, violazioni dei diritti umani fondamentali.

Ancora: le religioni, pur avendo generato un percento considerevole dell’arte umana di tutti i tempi, non sono di per sé garanzia di valore estetico: esistono anche innumerevoli brutture e mièvreries di matrice religiosa, tra l’altro in continuo esponenziale aumento. E infine, ammesso che il sentimento del sacro (o del mistico) abbia una sua autonomia categoriale e una sua plausibilità, non è detto che esso trovi sempre ed esclusivamente nelle religioni nutrimento ed espressione adeguati. C’è del religioso non sacro (o non mistico) e c’è del sacro (o del mistico) umano-naturale, e in questo senso “laico”3.

Il superamento scientifico-tecnico, etico e civile, la relativizzazione estetica e perfino spirituale e mistica, tutto questo ha comportato un impressionante processo di secolarizzazione4 che ha investito, e sta investendo, tutte le culture antiche insieme con la modernizzazione. È vero che si è venuto delineando, negli ultimi forse 10 anni, un contro-processo che si potrebbe chiamare di restaurazione neo-fondamentalista. Ma pagando un prezzo: le religioni diventano sempre meno ontologiche e sempre più identitarie, voglio dire sempre meno ricerche sulla realtà (indipendente, non-proiettiva) dell’Oltre e sempre più autoasserzioni patriottiche di “noi” collettivi. C’è fides sempre meno quaerens intellectum, ossia sempre meno fede e sempre più credenza5, sempre meno pensiero e sempre più appartenenza. L’effetto caverna platonica (in termini più attuali, l’effetto Truman Show) è rafforzato da altri sistemi di passività (promozione commerciale a tempo quasi pieno, propaganda politica di nano-profilo, televisionizzazione del tempo domestico, gioco del calcio, riti vari di stoltezza e frastuono) che competono, e al tempo stesso cospirano, per la colonizzazione dell’animo umano.

Il reperto, per quanto riguarda le vecchie religioni, è insomma ancipite: secolarizzazione e neofondamentalismi identitari. Quanto ai nuovi culti, con le doverose eccezioni, il reperto può sintetizzarsi nella formula “supermercato del sacro”.

Le religioni e il corpo-mente bambino
I pensieri che precedono rendono, mi sembra, non manifestamente infondata la tesi che ora cercherò di argomentare: la religione andrebbe - come un tempo il sesso - vietata ai minori di 18 anni. Procederò chiedendomi anzitutto cos’è giusto desiderare per i bambini, cioè per gli esseri umani nell’età del primo sviluppo fisico e mentale, e chiedendomi, poi, se un’educazione religiosa favorisce questo desiderabile sviluppo.

Cosa desiderare per i bambini
Non volendo ricorrere a tomi di pedagogia o a sondaggi statistici del tipo eurobarometri, sono costretto a rispondere alla domanda in modo autobiografico e largamente soggettivo. Quanto segue riassume in pochi - troppo pochi - punti la mia idea di sviluppo desiderabile, formatasi, e tuttora in via di formazione, lungo la mia esperienza con me stesso, con i miei figli e ora con i miei nipotini (compresi, questi ultimi, tra i 12 anni e i 2 mesi).

Personalmente io desidero che i loro corpi (bisogna cominciare dal corpo) fioriscano nella buona salute e in tutte le abilità autoespressive, e non solo in ambiente urbano, ma sempre meglio immersi, con amore rispettoso e competenza, nei sistemi vivi della natura, nella variegatura degli elementi, dei regni e delle stagioni. Desidero che incontrino altri corpi, della loro e di altre età, della loro e di altre razze, della loro e di altre specie, e ne traggano conoscenza, confronto, emulazione, piacere visivo e tattile, compagnia.

Desidero che le loro menti si aprano a tutte le ramificazioni protese di tutte le culture umane, arcaiche, antiche, moderne, nuove, europee, extraeuropee, a tutte le variegature storiche della bellezza e del sapere. Desidero che i loro sensi e il loro intelletto, questi misteri della carne matura, si educhino al discernimento del reale e dell’irreale, del vero e del falso, dell’autentico e del fasullo, di ciò che s’impone all’uomo per esistenza propria indipendente e di ciò che nasce da proiezioni umane. Desidero che i loro cuori conoscano turbamento e appagamento sensuale e affettivo, e slancio e fiducia, e pietà e giustizia, non-ingiusta pietà e non-impietosa giustizia. Desidero per loro gioco, avventura, creazione. E contemplazione. E (non incompatibile con la mente infantile, che è mente nativamente seria) un’entusiasta austera sapienza di fronte al mistero di splendore e di impermanenza dell’essere.

Cosa c’entrano con questo le religioni?
Terrò presente quasi solo la religione cattolica, quella in cui sono cresciuto e che conosco veramente; molto di quello che vale del cattolicesimo può essere comunque esteso anche alle altre religioni che asseriscano l’esistenza di mondi soprannaturali. Riprenderò punto per punto i desiderata del paragrafo precedente. La buona salute non è in alcun modo favorita dalla credenza religiosa. I tempi della fede sono stati anche i tempi della peste; mai come allora si è pregato perché Maria, santa Rosalia, Dio Padre da loro impietosito debellassero il flagello. Mai come allora il flagello ha servito. Non appena scoperto e trattato il bacillo Pasteurella pestis sono cessate le preghiere di impetrazione ed è cessata la peste.

Il papa polacco ha fatto circa 2000 santi, più di tutti gli altri papi messi insieme (con un piccolo arrotondamento viene 5,48 nuovi santi ogni giorno dell’anno). Per i santi di prima fascia (“canonizzati”), come san Padre Pio o san Monsignor Escrivà de Balaguer fondatore dell’Opus Dei, occorrono due miracoli; per i santi di seconda fascia (“beatificati”), come Pio Nono l’antimoderno e l’autoinfallibile, basta un miracolo; i miracoli sono spesso guarigioni. Ammettendo che i 2000 santi abbiano dato un gettito di 3000 guarigioni, ognuno vede quanto poco si possa fare affidamento sulla religione per i problemi sanitari mondiali o per la mortalità infantile. La cosa migliore che san Padre Pio ha fatto per la salute è la fondazione di un moderno ospedale (non altrettanto si può dire a lode di santa Madre Teresa, terribile oscurantista in campo medico).

Non è certo la religione che invita i bambini, i corpi dei bambini, a fiorire in tutte le loro abilità autoespressive. I giochi, gli sport, la rispettosa intima frequentazione degli ecosistemi nulla hanno di religioso, temo che siano naturalismo. È vero che le parrocchie e le associazioni cattoliche fanno anche giocare i bambini e che gli scout cattolici li iniziano alla natura; ma a parte, in molti casi, lo scarso buon gusto dei sollazzi parrocchiali e associativi, resta che spesso i giochi (non quelli scout) sono carità pelosa, servono a tenere i bambini e i ragazzi nel recinto della credenza cattolica, a rendere in qualche modo palatable il surrettizio, devozionale catechismo.

Il curiosare (visivamente, tattilmente) altri corpi, il trarne piacere, esperienza, compagnia, non è certo favorito negli oratori o nelle scuole tenute da religiosi o religiose. Anzi assume un’aura violacea di segreto e di peccato. La teologia morale cattolica è di una sessuofobia impressionante6.

Sul piano culturale è fuori discussione che le religioni hanno generato un percento molto considerevole dell’arte e del pensiero umani. Il bambino, e anche l’adulto, che voglia appropriarsi del retaggio delle culture antiche non può ignorarne i presupposti religiosi. Ma riviverli con empatia non implica aderire ai contenuti dogmatici, anzi esige un’apertura universale che le religioni, tutte, hanno finora o selvaggiamente o subdolamente ostacolato. In particolare, il cattolicesimo romano ha esercitato nei confronti dei dissidenti interni, degli eretici, degli ebrei, dei musulmani, dei popoli pagani colonizzati, tutta la violenza ideale e materiale possibile, un’estrema intolleranza.

In nessun modo la religione educa i sensi e l’intelletto dei bambini al realismo. Il realismo è un organo cognitivo complesso. Consta di spirito scientifico, esperienza di vita, senso dell’humour, vastità di orizzonti, acutezza di osservazione, forza logica, sensualità, equilibrio affettivo… Ci vorrebbe un lavoro filosofico sul tema. La religione è forse l’avversario numero uno del realismo, è la veneranda caverna platonica in cui vengono proiettati al bambino personaggi soprannaturali, mondi soprannaturali, sacramenti a effetti soprannaturali - e proiettati non come si proiettano le favole, ma come se fossero le realtà essenziali, quelle da cui dipende il significato della vita e il destino dell’uomo. Il soprannaturale si sostituisce al naturale. Il senso e l’intelletto uniti sono i nemici naturali della religione; perché l’accettino, bisogna che vengano letteralmente snaturati. Ciò - si badi! - non toglie nulla al fascino della religione: l’uomo preferisce molto i sistemi di simboli ai sistemi di cose, i sistemi di significati ai sistemi di fatti. Proprio questo fascino la rende pericolosa.

L’affettività dei bambini viene, dalla religione, incanalata verso custodi angelici, mamme celesti, ambienti luminosi dove li aspettano i nonni, santini con volti di frati e monache dagli occhi arrovesciati in su e crocifissi o rosari in mano, odorini e ombre di confessionale e di sacrestia, ostie fatte di una specie di carta che si fonde in bocca e che non va masticata perché è Gesù, vecchi maschi chiamati il papa e per i quali bisogna pregare perché sono Gesù, fioretti senza petali da fare per i miseri e per i cattivi, corone da recitare, venerdì nei quali sospendere per un giorno l’alimentazione carnivora-mammifera del resto della settimana e adottare la piscivora, slanci verso le missioni che convertono gli indigeni e i mandarini cinesi alla vera fede, terrori di inferni dai quali però la Chiesa (lei sola) ci può salvare… e presepi con Gesù bambino sulla paglia e la Madonna che lo guarda e l’asino e il bue che soffiano e san Giuseppe che guarda, putativo, da un’altra parte… queste e tutto questo genere di cose. Lontanissimi i problemi di giustizia sociale e internazionale, di pietà/giustizia interspecifica (gli animali sono amici deliziosi, piccoli o grossi eroi affascinanti, la carne è un’altra cosa, è una sostanza che si forma al supermercato e che va assolutamente mangiata per diventare come i grandi; anche il papa e i preti e tutti i santi e beati la mangiano, eccetto i venerdì e la vigilia di Natale).

Infine, è certo che le religioni hanno alimentato la spiritualità, la vita contemplativa: oggi (nella società a mass-media, a mass-shopping, a mass-business, a mass-traffic) tanto carente quanto anelata senza saperlo. Ma mi sembra che una spiritualità dogmatica-soprannaturalista-sacramentalista come quella cattolica sia di cattiva lega, perché a base di retro- o pseudo-mondi; quindi non risvegliante, direi piuttosto distogliente da, un’entusiasmata austera contemplazione dello splendore e dell’impermanenza dell’essere. Non gli altri mondi, ma «che il mondo è, è il mistico» (Wittgenstein). Forse l’uomo ha bisogno di mistica come del pane; ma sorgente pura della mistica non è una credenza, è il risveglio all’essere, è l’ontologia.

In verità, la cosa di più fascino che hanno le religioni non è la credenza, non è forse neppure la spiritualità fondata sulla credenza, è la vocazione: la richiesta di tutta la vita. «Allora Gesù fissò su di lui lo sguardo e l’amò. E gli disse: “Una cosa sola ti manca: vai, vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”» (Marco 10,21). «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Poiché chi vorrà salvare l’anima sua, la perderà, ma chi perderà l’anima sua per causa mia, la salverà» (Luca 9, 23-24). «Ed essi, tratte le barche a terra, lasciando tutto, lo seguirono» (Luca 5,119).

Io non so esattamente cosa passa nell’animo del bambino o dell’adolescente birmano che si fa monaco; meno ancora so cosa sente l’eroe militare o il kamikaze che immola se stesso per il suo popolo e la sua religione; ma so cosa succede al bambino, all’adolescente, cattolico che incontra quei passi del Vangelo. «Insieme con queste immense, aliene figurazioni il bambino, il ragazzo, anche sente, e in presa diretta, il nervo della propria esistenza, il marceliano “ma vie”: azzardo tra nascita e morte, riuscita e fallimento, significato e mancanza di significato; e dunque luogo di chiamata, di vocazione. Ora, in una mente resa religiosa caverna platonica l’esistenziale umano vocazione facilmente, se non necessariamente, assume le sembianze di una vocazione al sacerdozio, alla vita consacrata, in ogni caso al dono totale, alla missione, alla santità»7. «Ho detto “vocatio genera fides”, non viceversa. È infatti la vocazione che trasforma la credenza in fede, perché è lo scommetterci-su la vita che trasforma le figurazioni mitico-soprannaturali in cruciali realtà. È la credenza che plasma l’esistenziale umano vocazione in vocazione religiosa, ma è la vocazione religiosa che trasforma le figurazioni proiettive della credenza in esistenziali realtà».

Conclusioni
Mi sembra di aver sufficientemente argomentato la mia tesi: doversi la religione, come un tempo il sesso, vietare ai minori di 18 anni. L’imposizione degli engrammi della credenza soprannaturale sul cervello-mente bambino rischia di rimanere indelebile quando si abbina al sentimento del dovere di dono totale, al sentimento di vocazione. Bisogna prima irrobustire - attraverso l’esercizio pieno, mondano, dei sensi e dell’intelletto - gli affetti e le emozioni naturali, e quell’organo cognitivo complesso che ho chiamato realismo; sarà, così, a un vero adulto modernamente evoluto che si potranno proporre a credere oggetti quali la Provvidenza divina, il paradiso, l’inferno, la Trinità, la cristologia, la mariologia, l’ecclesiologia pontificia, i sacramenti, i santi, gli angeli e tutto il soprannaturale, come scenario entro cui ambientare l’esistenziale umano della vocazione. Imprimere acriticamente il soprannaturale eroico sul bambino significa per me una violentazione che può compromettere il suo sviluppo intellettuale e umano per sempre.

Note
Cfr. L. L. Vallauri. Nera luce. Saggio su cattolicesimo e apofatismo. Le Lettere, Firenze 2001, pp. 224-233.
Cfr. «La portata filosofica della religione civile dei diritti dell’uomo», in AA.VV. Ontologia e fenomenologia del giuridico, Giappichelli, Torino 1995, pp. 195-211; «Diritti dell’uomo e diritto pleromatico», in Ragion pratica 18/2002, pp. 155-167.
Cfr. Nera luce, cit., pp. 301-312, e ora il sito www.radio.rai.it (Meditare in Occidente. Corso di mistica laica, gennaio 2004).
Cfr. Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno. Giuffrè, Milano 1981.
L. L. Vallauri. «Il luogo della fede» in Terre. Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell’Oltre. Vita e Pensiero, Milano 1989, pp. 489-515. Vedi anche Nera luce, cit., pp. 17-22 e 280-282 (sulla differenza tra i concetti di fede in modelli del tipo cattolico-romano e del tipo buddista asciutto).
Cfr. «Modelli speculari di sessualità: libertinismo sadico, cattolicesimo», in Nera luce, cit., pp. 81-94; «Sessuofobia greca?», ibid., pp. 185-187.
Questo passo e il seguente vengono da: «Dronero», in Nera luce, cit., p. 19.
L’AUTORE
Luigi Lombardi Vallauri (Roma 1936), è professore ordinario di Filosofia del Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Firenze. È stato direttore dell’Istituto per la Documentazione Giuridica del CNR e presidente della Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica. Le sue ricerche più recenti coprono molti campi tematici: filosofia politica; bioetica e biodiritto; criteri ragionevoli della tutela giuridica; filosofia della mente e riduzionismo; filosofia della religione; la questione dell’apriori nelle discipline protologiche e cosmologiche e nelle scienze umane; le filosofie del diritto asiatiche; i concetti escatologici di giustizia, con particolare riguardo al cattolicesimo. È autore di numerose pubblicazioni.

 

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Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
...
e i barbieri il lunedì

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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