Board logo

Il Forum di Cicloweb

Non hai fatto il login | Login Pagina principale > Dite la vostra sul ciclismo! > Willy Vannitsen
Nuovo Thread  Nuova risposta  Nuovo sondaggio
< Ultimo thread   Prossimo thread >  |  Versione stampabile
Autore: Oggetto: Willy Vannitsen

Moderatore




Posts: 3308
Registrato: Aug 2005

  postato il 29/05/2008 alle 01:58
Nel corso della cronaca della tappa di ieri ho sentito ad un certo punto che si stava parlando dei paragoni fatti per il giovane sprinter Mark Cavendish.Tra i vari nomi ne ho sentito uno di un atleta che forse ho sentito poco nominare e di cui al momento non ricordo se qui sopra sia stato mai scritto qualcosa.
Tra le altre cose si diceva sempre nella cronaca che questo belga avesse un notevole spunto negli ultimi metri,tanto che anche il grande Rik Van Looy lo temeva non poco quando se lo vedeva alla sua ruota.
Mi piacerebbe saperne di più quindi,anche alla luce del fatto che ora ci sarà proprio l'arrivo di tappa a Varese e,guardandone un pò il palmares,ho notato che Vannitsen vinse la prima tappa del Giro del 1958 che partiva da Milano e si concludeva proprio a Varese,vestendo quindi la prima maglia rosa.Inoltre questo belga nel 1961 si è aggiudicato anche la Tre Valli Varesine.

 
E-Mail User Edit Post Reply With Quote

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 29/05/2008 alle 09:30
Willy Vannitsen, il belga “italiano”.
Bèh Cavendish, ha molto di lui nelle volate, anche perché come il fiammingo è cresciuto su pista. Ma è pur vero che Willy sapeva vincere anche giungendo da solo o su piccoli drappelli.
Caro Vivien, quanto prima sarò conseguente al tuo invito.

 

____________________
"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
Edit Post Reply With Quote

Livello Marco Pantani




Posts: 1420
Registrato: Jun 2005

  postato il 30/05/2008 alle 10:21
Cavendish usa la sua accellerazione per agguantare la seconda vittoria al Giro d'Italia
Due giorni dopo il suo 23.mo compleanno, il portacolori del Team High Road 'Manx Express' Mark Cavendish ha ottenuto la seconda vittoria di tappa al Giro d'Italia, ancora una volta respingendo l’attacco del leader della classifica a punti Daniele Bennati, con arrivo a Cittadella. A differenza dei velocisti più anziani del gruppo, come l’australiano Robbie McEwen, Cavendish vuole continuare a combattere attraverso le difficili tappe di montagna che seguiranno, ma potrebbe cambiare idea stappando le bottiglie questa sera con la squadra.
"Penso che possiamo festeggiare un po’ questa sera," ha detto, con un sorriso, nella conferenza stampa del dopo tappa. "Abbiamo preso una bottiglia di champagne l’altro giorno ma volevo aprirla dopo una vittoria. Pensavo ieri, ma non è andata così. Volevo il successo per la squadra, lavorano molto."
Il Team High Road ha portato il suo più giovane atleta alla prima vittoria al Giro d'Italia a Pizzo Calabro, 10 giorni fa, e ci ha dannatamente riprovato ieri ma l’ultima curva ha fatto rinviare la festa di Cavendish. Comunque, con l’aiuto di corridori come Marco Pinotti, Adam Hanson, Bradley Wiggins, Tony Martin e André Greipel si è preso la miglior rivincita oggi in Italia.
"Ero veramente dispiaciuto ieri, ho dimostrato di essere il più veloce ma ho sbagliato l’ultima curva," ha detto a riguardo della tappa di Carpi dove ha dovuto cedere il passo a Bennati. "Oggi, ho fatto più attenzione e l’ho promesso alla squadra, ai direttori e ce l’ho fatta."
Bennati ha dalla sua il fatto di non aver chiuso a destra, per impedire il passaggio del rivale, come fanno spesso i velocisti. "Come avete potuto vedere, l’ho ringraziato quando sono passato a 100 metri dall’arrivo. Ho poi ancora detto, 'grazie'. E’ un grande uomo di sport e abbiamo fatto vedere chi sono i più veloci. E’ una grande cosa quello che ha fatto per me e sono sicuro che nella mia carriera riuscirò a ripagarlo."
Bennati si è tolto il cappello davanti a Cavendish ieri, dicendo: "Secondo me, è molto giovane e sta dimostrando di essere il più forte velocista del mondo."
Il corridore di Laxey, sull’Isola di Man, che risiede a Quarrata in Toscana durante la stagione delle corse, attribuisce la sua velocità superiore al tempo passato nei velodromi, forse il luogo in cui è cresciuto di più. "Il terreno ed il clima dell’isola vanno bene per un buon corridore di Classiche, come il Belgio," ha detto. "Non per me, io arrivo dalla pista, con il rapporto fisso, dove devi usare le pedivelle per raggiungere il massimo della velocità.
Da qui deriva la mia accellerazione negli ultimi 50/70 metri," Ha aggiunto. "Sono in grado di farlo alla mia età. Penso di essere il più veloce nell’accellerazione, ma sulla resistenza... dovete vedere come vanno bene Zabel e McEwen sulle salitelle. Ho bisogno della squadra. Sono vincente solo grazie alla mia accellerazione."
-www.cyclingnews.com-

________________________________

Questo è quanto diceva l'inglese dopo l'arrivo di Cittadella. A suo onore va il fatto di aver voluto continuare sulle grandi salite, forse anche per migliorare un po' la sua resistenza in vista del successivo Tour de France. Secondo me sarà un grande protagonista delle volate di velocità pura, aiutato a dovere da una squadra ai suoi ordini. Sta nascendo un'altra Milram ?!?!?


 
E-Mail User Edit Post Reply With Quote

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 22/07/2008 alle 00:45
Okay, scanner non funzionante, nonostante la "pseudoriparazione"...
Magari domani mi riuscirà di postare almeno una puntata della storia di Willy Vannitsen...

Intanto tiriamo su questo thread che non ci sta male nella prima pagina....

 

____________________
"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
Edit Post Reply With Quote

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 31/07/2008 alle 00:38
Il lunghissimo ritratto che segue (proposto a puntate per problemi di scanner), è davvero particolare, per due motivi. Il primo, personale, lo scoprirete col tempo. Il secondo, perchè rappresenta una prima assoluta relativamente alla lingua italiana. Certi soliti, che mi vedono come il "bastone del pollaio", andranno a cercare su internet, ma troveranno l'ovvio e pure molto poco, rispetto allo spessore dell'atleta e alla straordinarietà del personaggio. Quindi, per me, divertimento doppio.
Per chi ama conoscere il ciclismo di tempi lontani, questa è un'occasione che mi è giunta grazie al mezzo secolo abbondante che mi ritrovo sulle spalle e alla conseguenti frequentazioni di corridori anziani, o che non ci sono più.

A Willy...
……Ho il volto dipinto di sembianze inverse
lo sguardo che s’incunea nel lontano
le gesta che si nascondono al voluto non mio
le gambe che spingono all’utile
ma c’è un gran chiasso.

Ho la fame e la sete di tutti
i sogni che si coprono di sonno
per rendersi lucenti e percettibili
al sorriso che nasce dall’alterazione
d’un percorso piatto e banale .

Ho l’umiltà d’osservare il riposo
che non divide i grandi dai deboli
i geniali dagli ignavi
gli sbruffoni dagli incoscienti
il seminato dall’immaginario.

Ho la fede dell’essere
in un mare di apparenze che pretendono
e mi volgo a quei richiami
troppo piccoli per essere riconosciuti
e troppo grandi per dimenticarli.

Ho la convinzione
di non rendere genesi alle illusioni
e mi sento amato da ciò che c’è
come quei dieci bastoncini
che adorano le intenzioni.

Ho i segni d’un cammino percorso
da me, per me e forse per gli altri
con il dono di un nome
che vibra nell’aria come un giavellotto
per farmi dire che ho vissuto…….


Willy Vannitsen: talento, sregolatezza e ozio…..

I suoi dati.
Nato a Sint-Truiden (Belgio) l’8 febbraio 1935, deceduto a Tienen (Belgio) il 19 agosto 2001. Professionista dal 1954 al 1966 con un centinaio di vittorie.



Quando nei miei viaggi lungo la storia del ciclismo, incontro il nome di Willy Vannitsen, immediatamente penso ad una maglia bianca coi bordi giallorossi e le scritte nere della Ghigi. Era una squadra romagnola, riminese per la precisione, da considerarsi un riferimento per i bambini della mia generazione, ben aldilà della rilevanza agonistica della formazione. Ricordo i più grandicelli di me, così attenti nel raccogliere il corredo possibile di quella società: dalle borracce ai berrettini, qualcuno, non si sa come, forse sostenuto dagli adulti di famiglia, riuscì pure nell’impresa di portarsi a casa quella maglia che non valeva quella dell’Emi (che io avevo, sic!), ma era pur sempre molto bella. Quando poi si gareggiava a “quarcì”, i “ghigini” le buscavano dal piccolino sottoscritto che, oltre all’abilità nel far schizzare quei tappetti, conosceva, contrariamente a loro, tutti i corridori della Ghigi, fin da quando ancora non poteva capire certe cose, il 1958. Si trattava dunque, di una forma di “moda”, che si basava solo in parte sulla conoscenza, il resto, in netta maggioranza, era dato dagli indotti e da quei “tam tam” che venivano, appunto, dalla popolarità. Ed allora il ciclismo, stava ben davanti al calcio….
I miei ricordi s’aprono ai primissimi anni sessanta quando univo all’attenzione, i primi rudimenti di scrittura, allenati e migliorati prima ancora della prima elementare, grazie a mia sorella maestra, nel modellare i dischetti di carta dei “quarcì”, ove ai colori delle squadre, dovevo aggiungere in stampatello i cognomi dei corridori, ed il nome del gruppo sportivo.
La presenza della Ghigi nel ciclismo era davvero totale, in quanto, ad una formazione dilettantistica di pregio, aggiungeva, appunto, quella internazionale dei professionisti, attraverso un organico nato fin da subito su componenti italiane e belghe e, poi, pure spagnole. Anche quel tocco straniero, aveva contribuito ad incrementarne, in Romagna, la popolarità, l’interesse ed il prestigio. Purtroppo, dopo un lustro di impegno e di riscontri, l’azienda, il Pastificio per intenderci, in seguito a quelli che poi scoprii sconvolgimenti al suo interno aziendale, chiuse la sua parentesi ciclistica e per le nostre zone fu un colpo al cuore. Per anni, il mio vivere da sempre sulla via Emilia, mi donò il passaggio di tanti ciclisti indossanti quella maglia, mentre la presenza dei berrettini sul capo di chi si poneva ai margini delle corse, arrivò fino alla metà degli anni settanta. Ghigi, significava ciclismo di vertice, nei più piccoli anche un sogno, ed i corridori che avevano vestito anche per un solo anno quella divisa, venivano adottati come dei “ghigini perenni”.
Willy Vannitsen, era stato della Ghigi un alfiere di grande evidenza nel 1958 e ’59. Gli aloni dei suoi successi anche con le altre maglie, non offuscavano gli sfondi bianco-giallorossi: era rimasto un belga romagnolo per tanti, come del resto lo furono i connazionali, Van Geneugden, Hoevenaers, Molenaers, Vlayen, Luyten ecc. Ancora oggi, incontrando in queste zone appassionati con qualche primavera in più di me, al solo menzionar corridori fiamminghi, ci si ritrova in poco tempo sui belgi della Ghigi. Per non parlare poi, dei relativi racconti di quando si allenavano su queste strade, dei dialoghi con loro a gesti, o attraverso l’italiano più rudimentale. Uno di questi rimembranti la nostalgia per quei tempi, l’ho in casa: mio fratello, allora dilettante. Il suo incontro con Vannitsen e Van Geneugden sull’erta di Rocca delle Camminate, assieme a Baldini, Pambianco, Nino ed Alberto Assirelli nel giugno del ’59, potrei definirlo un penate di famiglia. Echi di Ghigi, che poi si spostano al castigliano di Soler, Suarez e Galdeano, quando i tre scalatori iberici in forza al sodalizio bianco-giallorosso, prepararono su queste strade il Giro d’Italia del 1962: l’ultimo glorioso anno della società riminese.
Aloni dunque, tanto lontani quanto ancora sentiti, di un ciclismo che stava giocando gli ultimi fuochi della sua leadership sugli sport, prima della voluta, sponsorizzata e genuflessa sudditanza a quel calcio che, con gli anni, diverrà il rollerball di un Italia votata a rimanere, anche per questo, si potrebbe dire, perennemente Italietta e falso “Bel Paese”.
Di quel gruppo che semina nostalgia, Willy Vannitsen era la ruota più veloce, il temuto sprinter che annichiliva i traguardi, con un crescendo al fulmicotone negli ultimi sessanta-settanta metri. Era stato scoperto da Fausto Coppi, campionissimo sulla bicicletta, ma altrettanto come scopritore, perlomeno per quel poco tempo che la vita gli concesse. L’Airone, che sponsorizzava la Ghigi con le sue biciclette, lo portò in Italia nel 1958, esattamente il 16 marzo, in occasione del Giro di Toscana. Willy, suggellò immediatamente, e da par suo, l’opportunità concessagli, andando a vincere la corsa, allora prestigiosa anticamera della Sanremo, con un regale sprint su Carlesi, Albani e Bruni. Fausto gli strizzò l’occhio e Vannitsen, con la sua faccia d’apparente ragazzino tutto libri e marmellata, rispose con un sorridente “mercì”. Per il “grazie” ci sarebbe stato tempo.

La storia di Willy Vannitsen



Nato a Sint-Truiden nel Limburgo fiammingo, l’8 febbraio 1935, in una famiglia che non stava male. Oddio non era nemmeno ricca, ma poteva permettersi buona parte delle condotte tipiche di quella piccola borghesia che, dai frutti della terra, aveva trovato la forza di inserirsi nel commercio. Poi, anche agli occhi ben vispi del piccolo Willy, giunsero i graffi di quei nazi-tedeschi lontani due passi, ma già pronti ad insanguinare il Belgio e l’intero mondo. Il prezzo dell’invasione segnò, anche per la famiglia Vannitsen, una svolta. Il saccheggio costante dell’occupante, radiò ogni residuo dell’agiatezza d’origine, ed il nucleo famigliare del futuro campione, un po’ per le cause di insopportabili quotidianità, ed un po’ nella speranza di trovare nella minor oppressione, i sentieri per riprendersi, si spostò dal Limburgo, al Brabante. Con la fine del conflitto, i Vannitsen ripartirono dalla bottega, sperando di ritrovare pian piano le condizioni di un lustro prima. Intanto Willy, già capace di alternare vivacità e pigrizia, come fossero due caratteristiche similari e confinanti, della scuola non ne voleva sapere.
Bravissimo e svogliatissimo, presente sui banchi col contagocce per lasciare il tempo alla pesca, o a sane dormite nei posti più impensabili, si mostrava ogni giorno un ribelle col sorriso, ed una straordinaria capacità di recuperare ogni insegnamento solo con lo sguardo, tanto con la maestra, quanto col padre, in quei lavori di bottega che era costretto a svolgere, come punizione per le sue poco lineari condotte quotidiane. Fu in quel periodo che si videro nel piccolo Willy, i primi stigmi della sua velocità: la gran fretta con la quale esauriva ciò che gli veniva imposto, dai compiti normali a quelli suppletivi di recupero, lasciavano a bocca aperta ogni osservatore. Ma erano un modo per far prima, a tornare nell’ozio….

Finite le scuole normali belghe, (un misto fra elementari e medie nel confronto con quelle italiane) e con la possibilità di frequentare ogni corso superiore viste le sue indubbie capacità, il sempre più svogliato Vannitsen, approdò in un istituto che avrebbe dovuto consegnargli in poco tempo un mestiere, ma era ugualmente troppo impegnativo per i suoi intendimenti ed i suoi ritmi. Nel frattempo, mentre strizzava l’occhio alle moto e persino alle auto, aveva scoperto nella bicicletta, un modo per mantenere la sua condotta di vita così poco nordica, senza far saltare i nervi al padre. Troppo giovane per correre, ma già abile e furbo a sufficienza per fare di quel mezzo, uno strumento utile a raccogliere gli spiccioli sufficienti per non rendersi un peso sulla famiglia. E così, con qualche ora settimanale in bottega e qualche sfida su bici raccattate qua e là, ed al cospetto quasi sempre di ragazzi ben più grandi se non addirittura dilettanti, l’incredibile Willy si guadagnava la tolleranza del pragmatico genitore e la convivenza coi suoi “vizietti”, non ultimo quello di bere birra come fosse acqua.
All’alba degli anni cinquanta, era già riconoscibile nell’intorno ciclistico, anche se ancora non aveva corso una gara vera. Le sue sfide, brevi, ma redditizie per la saccoccia, esaltavano quel già presente guizzo, che poi diverrà il suo grande distinguo di carriera. La famiglia Vannitsen, tutta, compresi il fratello e la sorella maggiori, viste le qualità del ragazzino, decise così di trasformare una rudimentale bici donata al padre, nel primo strumento da corsa di Willy: stava arrivando il 1951, ed il ribelle con la faccia da innocente precisino, pronto a comprare con uno sguardo, poteva finalmente dedicarsi con ufficialità al ciclismo.

Correre coi coetanei, o quelli di uno o due anni in più, significava per Vannitsen minor fatica, anche se la lunghezza delle gare ufficiali, per lui che saliva sul mezzo solo per correre, qualche problema potevano sortirlo. Poche corse, tutte vinte stando a ruota e poi quel guizzo in prossimità della fettuccia che gli portò in dote, da subito, il massimo dei titoli possibili. Certo, perché nel primo anno solare da ciclista, vinse il Campionato belga degli allievi, e quello dei debuttanti, come nelle Fiandre ed in Vallonia, chiamavano i ciclisti dilettanti al primo anno. Due maglie, tanta gloria, premi che poteva in qualche modo monetizzare per tranquillizzare il padre e la consapevolezza di non essersi privato di nulla per raggiungerli. Oddio, salvo il tempo impiegato nelle corse, ovviamente. Anche lo spessore del battuto, Frans Schoubben (uno che poi da prof seppe vincere una miriade di corse, fra le quali una Doyenne ed una Parigi Bruxelles), di quattordici mesi più anziano (novembre 1933), urlava il talento di Willy, ma l’ancora ragazzino, non ne voleva sapere di dedicare alla bicicletta qualcosa di più della….. partecipazione alle gare. Continuò così il suo trend, ma nel 1952, frenato da un paio di malattie infantili, come parotite e morbillo (che parvero a lui come un toccasana per espandere al massimo la sua volontà di stare a letto…), pensò di lasciare da parte la strada per approfondire la sua conoscenza della pista, ovvero una parte di quelle puntate non ufficiali che, fino a due anni prima, gli erano servite per … “mantenersi”. Qui però, aldilà delle vittorie in gare minori, incontrò la dura legge di chi diverrà la sua vera ed unica bestia nera di carriera, Josef De Bakker.
Costui, di un anno più anziano, ed a Willy somigliante nel fisico, era nato sui velodromi. A differenza di Vannitsen, si dedicava alla velocità come unico scopo di carriera. Singolare la sua storia: dominatore della specialità in Belgio per tre lustri, con 13 titoli nazionali (5 da dilettante e 8 da prof), ed uno dei migliori a livello internazionale, non riuscì mai a correre una finalissima iridata, pur giungendo spesso ai quarti e diverse volte in semifinale. I quattro bronzi iridati fra i professionisti, non esprimono compiutamente il suo valore, la gran classe velocistica e quella regalità che portava sulle piste. Gran tattico, nonché dotato di una spunto veloce assai prolungato, finì la carriera come “sparring patner” di Antonio Maspes (alla disperata ricerca dell’ottavo titolo iridato) nell’Ignis del Commendator Borghi. Difettava nello scatto, un po’ come l’italiano Ogna, ma correggeva con la progressione il suo punto debole.

Willy Vannitsen, si scontrò con De Bakker nei quarti di finale dei campionati nazionali dilettanti di velocità e, già in quel primo scontro, si vissero gran parte di quelli che poi diverranno i fili conduttori delle loro sfide. Jos, capì presto la necessità di contenere il guizzo di Willy, ed impostò verso il rivale volate lunghissime, cercando ogni volta di non prestargli immediatamente la ruota, azionando un anticipo arricchito nello scatto non al fulmicotone, dalla spinta delle pendenze della pista e quei zig-zag che costringevano Vannitsen a scattare e progredire per trovare la scia di Jos, a resistere a velocità impensabili su strada e poi a stendere il suo già conosciuto guizzo. Quest’ultimo però, in considerazione dello sforzo precedente, usciva appannato di quel tanto che consentiva a De Bakker di passare la linea con qualche centimetro di vantaggio. Nel ’52 come dieci anni dopo, quello fu il filone, ed anche quando a Jos non riusciva qualcosa e perdeva una volata, c’era sempre il conforto della bella: in sostanza, la sua obbligata tattica, doveva funzionare al 67%... Il motivo non cambiava anche quando gli scontri avvenivano a tre, con la presenza di un terzo incomodo: erano sempre loro a giocarsi la fettuccia sui centimetri. La tattica di De Bakker, come si vedrà più avanti, fece scuola ed anche altri, per battere Vannitsen negli sprint sui velodromi, cercarono di imitarla, a volte con successo.

Sconfitte con Jos a parte, Willy mostrò il suo talento anche al cospetto dei tondini, anzi fu proprio la tribolata stagione ’52, a cementare in lui l’amore verso la pista, dove, nonostante tutto, poteva fare anche meno fatica…. E sta proprio qui, uno dei motivi che rendono la storia di questo autentico personaggio, un insieme di occasioni gettate consapevolmente alle ortiche. Certo, perché pur trovando in De Bakker un avversario di gran pregio e, come lui, giovanissimo prodigio, Vannitsen aveva tutto per batterlo, ed aprire una grande carriera anche sui velodromi, ma per farlo doveva allenarsi almeno a quei livelli minimi che erano troppo per lui. Lo sapeva bene, ma non voleva cambiarsi. Incredibilmente, modificò moderatamente questo suo trend, anche quando arrivò ad una attività più impegnativa, fatta di quelle gare su strada di straordinaria lunghezza….

Col 1953, ed il sopraggiungere dei diciotto anni, Willy riprese l’attività di stradista. Ciò che aveva mostrato all’esordio si confermò: tanto veloce e fulmineo in prossimità del traguardo, quanto votato a star coperto nel resto della corsa. La sua fama di sprinter raro se non unico, aveva toccato ogni punto del Belgio, eppure l’originalissimo Vannitsen,continuava a gareggiare poco e ad allenarsi ancor meno. Nel corso dell’anno vinse i campionati del Brabante, approfittò di una trasferta promozionale che la sua nazionale svolse in Svezia, per “divertirsi”, sfrecciando primo nelle due uniche occasioni di corsa a Uppsala e Vasteras, mentre in patria vinse due tappe del Giro del Belgio e perse il Giro delle Regioni Fiamminghe, solo perché l’esperto Victor Wartel (di quattro anni più anziano di Willy e poi buon professionista), pensò bene di trovare il modo di giungere al traguardo in solitudine. Insomma, il motivo che girava fra le maglie dei dilettanti era questo: “se vuoi sperare di vincere, devi fare in modo di lasciare Vannitsen nel gruppo o gruppetto che ti insegue”. Intanto, la “nostra freccia”, nel corso di quell’anno progredì anche su pista, giungendo in finale nei campionati nazionali della velocità, dove però fu battuto dal solito Jos De Bakker.

Con l’arrivo del 1954, a soli diciannove anni, iniziò nella testa di Willy, a farsi largo la volontà di passare professionista alla prima occasione utile. Il miglior modo di giungere al salto, secondo lui doveva essere quello di stare al centro degli interessi a suon di vittorie e, possibilmente, non farsi mai battere in uno sprint. E così cominciò ad essere conseguente: vinse dapprima il Campionato Provinciale del Brabante, indi, nel Giro del Limburgo, colse due tappe su quattro possibili, a cui aggiunse il quinto posto nella Generale finale; al Giro del Belgio fece di meglio, andando a vincere in quattro delle sei frazioni. Insomma, sette vittorie e, soprattutto, l’imbattibilità allo sprint, spinsero la francese Peugeot, ai primi di agosto, ad offrirgli un contratto professionistico: Willy aveva 19 anni e sei mesi. L’entrata nella massima categoria, non lo scombussolò, infatti continuò a mettere la sua ruota davanti agli altri, senza per questo cambiare il suo atteggiamento verso il ciclismo. La traduzione agonistica di Vannitsen, nei soli tre mesi che restavano della stagione ’54, fu notevole: vinse i Gran Premi di Zele, Hoegaarden e di Heist-op-den-Berg, tre corse vere, tutte superiori ai duecento chilometri, nonché uno dei Criterium più prestigiosi, quello di Momalle. Considerevole il numero dei piazzamenti, tutti colti nella massima posizione possibile per chi arrivava col suo tempo. In pratica non perse uno sprint: 2° nel Critérium di Keerbergen, 3° nel Circuito delle Tre Città Sorelle, 3° nel G.P di Beringen e nel G.P. di Tienen (Tirlemont in lingua francese) e il 5° nella Freccia di Hesbignonne.

In Peugeot, si seguivano i successi e le performance di Vannitsen, con stupore ed una certa forma di scetticismo. In fondo, questo giovane era capace di venire a capo di corse mai inferiori alle 5 ore e si allenava, o passeggiava, al massimo per un paio. Il direttore sportivo Yves Mazan (Petit Breton), figlio del grande Lucien, consapevole di quanto in Belgio altre marche fossero interessate a quel ragazzo così vincente, decise di mettere alla prova il comunque simpatico e prodigo di pubblicità Willy, schierandolo alla Parigi Tours, la “classica del Castelli della Loira”. Sull’esito di quella grande corsa, sarebbe dipesa la possibilità di conferma per il 1955. Il comportamento di Vannitsen nella classica fu disarmante, secondo l’ottica di una squadra ambiziosa come la Peugeot: il ragazzo passò tutta la gara a boccheggiare nel gruppo e la chiuse 87°, ultimo del gruppo e di gara. In realtà, il giovane aveva preso sottogamba la grande corsa. Forte del contratto che gli era stato offerto da una importante squadra belga, creata dal grande Cyrille Van Hauwaert, il primo “Leone delle Fiandre”, ed avente sull’ammiraglia il già divenuto mago-nocchiero Guillaume Driessens, Willy, passò la notte precedente la “Tours”, a spendersi in birra e pietanze, nonché qualcosa a quei tempi tanto comune, per chi si trovava in una città come Parigi…. Spossato più del solito, si perse appunto in una gara incolore che onorò finendola e la Peugeot, non fece una contro-offerta. Le due parti si lasciarono, ma, nonostante tutto, in buoni rapporti, come poi la stessa carriera di Vannitsen dimostrerà.

Cyrille Van Hauwaert, dopo la grande carriera di inizio secolo, era divenuto un costruttore di bici, un riferimento per quello che era a tutti gli effetti (e lo è ancora oggi, nonostante tutto), lo sport nazionale belga. Allestire squadre di pregio, non era solo un modo per rimanere vicino a quel mezzo che aveva caratterizzato la sua vita, ma un preciso intendimento pubblicitario. La squadra, lo assorbiva ben aldilà dell’investimento in danaro: lui ne faceva parte a tutti gli effetti, iniziando dal ruolo in ammiraglia. Nel 1955, a 72 anni, l’omino indistruttibile delle Fiandre, ormai con pochissimi capelli, ed i baffetti anch’essi impercettibili per il lindo colore, diede una spinta a ciò che riteneva inevitabile: lasciare la guida del team per appoggiarsi a qualcuno in ascesa, magari con ambizioni primarie. Cyrille, che era rimasto vispo come quando correva, azionò il suo fiuto, ed ingaggiò nel ruolo di direttore sportivo, Guillaume Driessens, colui che, per chi scrive, era e resterà a lungo ancora, come il più grande tecnico della storia del ciclismo. Costui, dopo una carriera ciclistica mozzata da una chiamata militare che, in un paio d’anni, aveva trasmesso al suo corpo una quantità di chili tali da scoraggiare un ritorno al pedale con ambizioni, aveva fatto fruttare il suo diploma di massaggiatore e terapista.
Coi massaggi s’era di nuovo saldato alle bici e l’aver conosciuto ed aiutato Fausto Coppi, in un ruolo che andava ben aldilà di qualche massaggio, gli aveva aperto le porte dell’ammiraglia. Dopo sette anni come nocchiero della franco-belga “Garin”, dove aveva guidato e/o lanciato corridori come Theo Middelkamp, Wout Wagtmans, Stan Ockers, Raymond Impanis, Driessens, aveva passato la stagione ’54 in seno all’italiana Touring-Pirelli, con lo scopo di forgiare il talento e le qualità della sua grande scommessa: Henry “Rik” Van Looy.
L’operazione che aveva in testa Van Hauwaert, per quella che sarebbe stata, probabilmente, la sua ultima formazione, si poteva concretizzare in uno squadrone, perché assumendo Guillaume, di cui conosceva la grande bravura e pure il carattere determinato e poco propenso ad accettare l’evasione che la notorietà del ciclismo poteva donare ad un corridore, avrebbe portato nella sua già ottima equipe, anche il già famoso Van Looy, a cui poteva aggiungere il suo personale “pallino”, appunto quel Willy Vannitsen che, con Driessens, avrebbe trovato il “pilota” in grado di farne un atleta degno dello straordinario talento.



Con questi presupposti, la “Van Hauwaert-Maes”, poneva il suo sigillo alla stagione di mezzo degli anni cinquanta. Insisteva un problema però: la convivenza fra due ruote velocissime come Van Looy e Vannitsen.
I due, divisi da una quindicina di mesi e da due anni all’anagrafe (1933 per “Rik” e 1935 per Willy), si erano scontrati una sola volta, nel 1954, a Genk, ma non per un piazzamento di nota e, per quello che poteva contare, era stato il più giovane a prevalere. Fra di loro non intercorrevano cattivi rapporti, anzi. D’altronde l’antipatia che viene da sempre, verso chi possiede uno sprint semifatale, nel caso di Willy, si addolciva assai per le sue condotte così particolari, per la sua simpatia e nell’essere poco ambizioso. Il contrario esatto di Van Looy. Anche i loro talenti erano molto differenti: maestoso nel ragazzo nato Sint Truiden, marcatamente meno appariscente nella genesi, ma in grandiosa crescita sulla spinta dell’ambizione e della abnegazione, nel giovane di Herentals. In altre parole mentre Henry appariva a tutti un predestinato, Vannitsen faceva arrabbiare non solo i puristi, ed in tanti auspicavano per lui un repentino cambio d’atteggiamento.
Guillaume Driessens, capì presto che con una formazione così cospicua in numeri e qualità, poteva permettersi di dividere sovente le strade dei due rampanti, proprio per vedere di togliere il meglio da entrambi, senza giungere a delle scelte. Su questo motivo, si consumò la prima stagione intera fra i professionisti di Willy.
Senza cambiare il suo rapporto con lo sport divenuto mestiere, nonostante il grande nocchiero dell’equipe, Vannitsen riuscì a vincere ogni qualvolta ve ne fosse occasione. Il suo palmares si arricchì di una decina di centri complessivi, alcune semiclassiche, che potevano essere di più, se solo avesse cercato di divenire un poco quello che Driessens e Van Hauwaert sapevano possibile. Vinse la Anversa-Liegi-Anversa, il Circuito delle Tre Città Sorelle (il nome non deve ingannare, era una semiclassica…), una Tappa del Giro del Belgio (chiuso poi al quarto posto), il G.P. Brussegem, il G.P. Drieslinter, il Criterium di Goyer, il G. P. Geel, il G.P. Tessenderloo, il Criterium di Itegeem ed il G.P. Heusden, dove sconfisse con uno sprint irriverente, proprio Rik Van Looy. Notevole il numero di piazzamenti di buon pregio, come ad esempio le piazze d’onore nel GP di Malines e nel
Criterium de Londerzeel, i terzi posti nella Freccia Hesbignonne e nel GP Houthalen, ed il quarto posto nel Circuito delle Regioni Fiamminghe. Esordì pure nella Parigi-Roubaix, comportandosi bene: finì 31°, nettamente primo fra i più giovani.
Anche su pista lasciò il segno, vincendo diverse prove infrasettimanali e, soprattutto, giungendo terzo nel torneo della velocità, ai campionati nazionali. In assenza di De Bakker, ancora dilettante, ad anticiparlo furono due anziani, ma autentici marpioni, come Emiel Gosselin (classe 1921) e Rik Van Steenbergen (classe 1924). Vi riuscirono grazie ad una buona dose di trucchi e più che probabili accordi fra di loro. Nella medesima stagione, Vannitsen, conobbe poi la non facile convivenza con quelle “Sei giorni” che facevano a pugni, per ritmi ed orari, col suo “bisogno di vivere”. Infatti, nella prestigiosa prova di Bruxelles, dove era accoppiato a Marcel Hendrikx, si ritirò. E dire che prima di ingigantire gli effetti di una caduta, aveva dato spettacolo. Le “Sei giorni”, sembravano cucite al suo talento di ciclista, ma non a quello della sua particolarità. Infatti, come si vedrà in futuro, proprio per l’impegnativa morfologia della prova, Willy alternò grandi prestazioni, a partecipazioni incolori, magari firmate con abbandoni che urlavano, ulteriormente, la sua unicità.

Morris

(fine della prima puntata)

 

____________________
"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
Edit Post Reply With Quote

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 31/07/2008 alle 02:53
Non scriverò un'altra puntata, almeno su questo forum.

 

____________________
"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
Edit Post Reply With Quote

Moderatore




Posts: 3308
Registrato: Aug 2005

  postato il 31/07/2008 alle 04:00
Beh innanzitutto i ringraziamenti per aver soddisfatto,almeno fino a questo punto,la mia richiesta di saperne di più su questo corridore mi sembrano doverosi.Soprattutto dopo le ultime settimane in cui su questo forum sono stati ben altri i thread che sono andati per la maggiore leggerne di nuovo uno come questo è un vero piacere.Anche perchè il personaggio di Vannitsen che ne è venuto fuori finora ha quella bellezza particolare unito se vogliamo al rammarico che in certi casi suscita la figura dello "scolaro intelligentissimo ma che non si applica a dovere",tanto per dirne una che possa rendere l'idea.Spero tanto di poter vedere il seguito di questa storia,io come tutti coloro a cui questa storia suscita l'interesse.

 

____________________
Vivian Ghianni

"...L'importante non è quello che trovi alla fine di una corsa.L'importante è ciò che provi mentre corri." (Giorgio Faletti in "Notte prima degli esami")

 
E-Mail User Edit Post Reply With Quote
Nuovo Thread  Nuova risposta   Nuovo sondaggio
 
Powered by Lux sulla base di XMB
Lux Forum vers. 1.6
1.1201501