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Autore: Oggetto: Jacques Anquetil, venti anni fa, oggi.

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 18/11/2007 alle 23:51
A causa di una malattia incurabile, se ne abndava venti anni fa, uno dei più grandi campioni della storia del ciclismo, Jacques Anquetil.
Un suo parziale ritratto....

JACQUES ANQUETIL
Nato a Mont Saint-Aignan (Francia) l’8 gennaio 1934, deceduto il 18 novembre 1987. Passista. Professionista dal 1954 al 1969 con 203 vittorie.



Definire Anquetil con un aggettivo non è facile, perché i superlativi in chiave positiva si sprecherebbero. Dovessi porlo in una graduatoria personale fra i più grandi ciclisti della storia, gli riconoscerei il terzo posto, dopo il duo Merckx-Coppi, ma davanti al connazionale Hinault. E se poi fossi chiamato a giudicarlo sul piano umano, per il suo essere anticonvenzionale e per nulla ipocrita, bèh direi che le consistenze del personaggio sono tali da definirlo, con un eufemismo: semplicemente interessante. Ed a me, chi dice di fronte a microfoni e taccuini quel che pensa, anche se fa male alla pubblica sete di ipocrisie, è solo da applaudire a prescindere. Poi magari si potrà dissentire, ma se la storia avesse avuto più gente simile, il suo corso sarebbe stato migliore e più facile da concepire come un patrimonio di esperienze ed insegnamenti. Lo dico da laico e da libero pensatore, affinché dal mio umile osservatorio, si levi una piccola voce contro i dogmi e lo schiacciamento intellettivo che la lettura più miope ed unidirezionale della sovradimensionale religione dell’uomo, consistente nel danaro, ha generato e, purtroppo, fra sangue e criminalità, continuerà a generare.
Jacques Anquetil, partendo dallo sport, è stato un genuino tracciatore di se stesso, senza scuse e peli sulla lingua, ha difeso le sue convinzioni e lo ha fatto senza stare a calcolare il gioco dei consensi. Da atleta, non s’è risparmiato la vita, perlomeno ciò che della vita voleva e, guardando la sua ellisse, anche il suo modo di vincere s’è mosso nello sfruttare le sue capacità senza umiliare, perché era nei suoi epigoni. In altre parole, ha sfruttato il cronometro, perché era nato per quel gesto tecnico, ma non mi toglie dalla testa nessuno, ed a confermarmelo sono stati taluni suoi avversari, che se avesse voluto, in serbo aveva la forza per umiliare o rendere più tangibili i suoi successi. Jacques, non si privava di nulla e quando contestò l’antidoping, indipendentemente dalla giustezza o meno delle sue convinzioni, lo fece con una chiarezza esemplare, senza mai cedere alla tentazione, universale nello sport e nella vita, del motto: “fatta la legge, trovato l’inganno”. Contestabile finché si vuole, per carità, ma un grande, con tanto di spina dorsale.



La storia di Anquetil, meriterebbe un romanzo, ed essendo egli figlio di Normandia, terra natale e di vita di un grandioso narratore come Guy de Maupassant, spero che qualcuno, prima o poi, provi a tradurre su carta un simile copione.
Jacques, era figlio di un coltivatore di fragole di Mont Saint-Aignan vicino a Rouen. Si appassionò alla bici pedalando dalla fattoria di famiglia, fino a Sotteville, il mercato agricolo dove di solito il padre proponeva i suoi prodotti. Iniziò a correre a diciassette anni, nel 1951, facendo subito vedere doti non comuni, tant’è che l’anno seguente, era già campione nazionale. Partecipò giovinetto alle Olimpiadi di Helsinki, vincendo il bronzo nella cronosquadre. Determinato e convinto sul fare delle corse in bicicletta un mestiere, decise di passare subito al professionismo, a soli 19 anni, attraverso l’obbligata categoria degli indipendenti.
Charles Pelissier e Gaston Benac, vedendo il suo fenomenale stile in bicicletta e la consistenza del suo passo, lo spinsero a partecipare al Gran Premio delle Nazioni, ovvero la principale corsa contro il tempo del calendario internazionale. Ed il giovane Jacques, sui massacranti 140 chilometri della prova sbaragliò il campo, vincendo con più di sei minuti di distacco sul secondo: nacque così la sua leggenda.
Il mondo del pedale si interessò da subito a questo giovane, capace di spingere i pedali con una compostezza unica, al punto di far dire a più d’uno, che uno come lui avrebbe potuto tenere in perfetto equilibrio, sulla schiena, una coppa di champagne! Il GP delle Nazioni, la gara a cronometro per eccellenza, colei che lo fece scoprire, finì poi per ben nove volte nel taschino personale di “Monsieur Chrono”. Nel 1954, a venti anni, Jacques, gridò al mondo che non era solo uno specialista della gara contro le lancette, finendo fra i grandi protagonisti del mondiale di Solingen, dove chiuse al quinto posto, davanti ad un certo Fausto Coppi. Attento a vivere come gli piaceva e a non anticipare troppo i tempi di crescita, debuttò al Tour de France nel 1957, non prima di aver posto come condizione il non inserimento di Luison Bobet, nella squadra nazionale francese, ovvero il connazionale maggiormente rappresentativo nelle corse a tappe. I dirigenti transalpini diedero fiducia al giovane tutto d’un pezzo e Jacques li ripagò vincendo il Tour con un quarto d’ora sul secondo. Dopo un 1958 amaro di soddisfazioni, soprattutto chiamate Charly Gaul, uno scalatore così bravo da infliggergli una delle rare sconfitte nella tappa a cronometro di Chateaulin, nel 1959, provò a vincere il Giro d’Italia, ma ancora una volta il lussemburghese lo anticipò. Al Tour di quell’anno, un altro scalatore, stavolta spagnolo, Federico Bahamontes, si frappose fra lui e il bis nella Grande Boucle.



Nel 1960, al Giro d’Italia, si prese la rivincita su Gaul, vincendo così la sua seconda grande corsa a tappe, ma non partecipò al Tour. Ancora una sconfitta, stavolta ad opera del bertinorese Arnaldo Pambianco, gli precluse un altro successo al Giro del 1961, ma al Tour, che in suo omaggio partì da Rouen, sfruttando gli oltre cento chilometri contro il tempo, ottenne una facile vittoria. Nelle tre stagioni successive, la Grande Boucle presentò l’Anquetil storico, ovvero colui che dominava tutte le tappe contro il tempo e rintuzzava gli attacchi degli avversari in salita, Raymond Poulidor e Federico Bahamontes in particolare. Ma quei tre Tour vinti consecutivamente, furono diversi come difficoltà. Se nell'edizione del 1962, Jacques demolì i suoi concorrenti e nel ’63 controllò abbastanza bene la situazione, diverso fu il successo del ’64. Gli assalti continui di Poulidor, erano diventati ficcanti e Jacques si trovò fiaccato dai postumi di una festa con relativa notte brava, nel giorno di riposo in quel di Andorra, anche se a smentire il tutto scese in campo la moglie Janine…. Nella tappa Andorra-Toulouse, per farlo rinvenire dalla crisi, il suo diesse Raphael Geminiani, secondo leggenda, gli passò una borraccia di champagne…Vera o non vera quella circostanza, Jacques Anquetil stava perdendo quel Tour, che riguadagnò con una discesa del Port d'Envalira, davvero portentosa. A Parigi solo 55” divisero Jacquot da Poupou. Fu però un successo importante, perché “Monsieur Chrono” aveva vinto nell’anno anche il suo secondo Giro d’Italia, finendo per aggiungersi a Coppi nella doppietta Giro-Tour nello stesso anno.
In precedenza, nel 1963, aveva vinto anche la Vuelta di Spagna e, nel corso della primavera del 1964, era riuscito a mettere in cascina una classica del nord, come la Gand Wevelgem.
A dimostrazione di qualità sensazionali, nel 1965 (dove non partecipò né al Giro e né al Tour), vinse il Giro del Delfinato, una corsa da sempre durissima e, nemmeno 24 ore dopo, viaggiando in parte in macchina, si presentò, dall’altra parte della Francia, al via della Bordeaux-Parigi, la classica più massacrante, vincendola.
Nel 1966 dopo aver stravinto la Liegi Bastogne Liegi, grazie ad una lunga fuga solitaria, dove lasciò tutti i migliori a cinque minuti ed oltre, si presentò al Giro, ma si inchinò alla forza di Motta e alla regolarità di Zilioli. Al Tour, prima di ritirarsi nel corso della 19a tappa, non essendo in buone condizioni, pilotò il giovane compagno Aimar, verso il successo. Tornò al Giro d’Italia nel 1967 e l’avrebbe probabilmente rivinto se i tanti e forti italiani non avessero corso come una Nazionale a vantaggio di Gimondi, ma Anquetil, nonostante la sua vita che non si privava di nulla, c’era ancora.



Continuò a vincere qualcosa d’importante, fino a quando, nel 1969, di fronte all’arrivo di Eddy Merckx, l’unico corridore che ha sempre considerato di un altro pianeta, decise di smettere. Una volta sceso di bicicletta, si ritirò in campagna, dove divenne un grande coltivatore. Lavorò poi per l’Equipe e come commentatore TV. Fu anche CT della Francia. Nel 1987, gli fu scoperto un tumore e nonostante un intervento chirurgico, non riuscì ad evitare la morte.
Fra i tanti aspetti tralasciati nella carriera di Jacques per doveri di spazio, sono da segnalare i suoi tentativi sull’Ora. Fu lui a strappare il record a Coppi. Nel 1967, quando il primato era passato a Riviere, al Velodromo Vigorelli, lo riconquistò, ma il primato non fu omologato, perché si rifiutò di sottoporsi al controllo antidoping, di cui ha sempre vivacemente contestato nascita e procedure.



Le sue prestazioni al G.P. Tendicollo Universal e G.P. Terme di Castrocaro, la mia prima palestra di ciclismo dal vivo...
Jacques Anquetil, certo anche per l’ammirazione e il rispetto che ha sempre provato per Ercole Baldini, fece di Forlì una città riferimento. Non esagero se affermo che non vi fu città italiana, che l’abbia visto, Giro d’Italia a parte, più presente per una competizione. Aldilà delle bellissime sfide col “Treno di Forlì”, “Monsieur Chrono” ha segnato indelebilmente la manifestazione della Forti e Liberi, attraverso quello che non s’è visto, proprio per il suo modo di affrontare la corsa e di proporsi come campione raro.
Di tutto questo, riporterò più avanti un paio di pagine del libro “La storia di Ercole Baldini, il treno di Forlì e l’uomo” Edizioni Ciclofer, scritto da Rino Negri e dal sottoscritto, ove attraverso il racconto dello stesso Ercole, è possibile conoscere tanto di Anquetil, del rapporto fra i due campioni e di come il grande normanno viveva e si preparava al Tendicollo.
Jacques partecipò ad otto edizioni della corsa che ha contraddistinto ciclisticamente Forlì nel mondo. Ne vinse tre nel 1960, nel 1961 e nel 1965. Dei suoi epici duelli con Baldini su quegli asfalti e quelle medie su percorsi lunghi novanta chilometri, si potrebbe scrivere un libro di carattere tecnico, perlomeno quanto basta per far capire ai più giovani che i due non erano inferiori ai super menzionati passistoni di oggi, o del recente passato. Ma il successo che a mio giudizio diede più significativi riscontri sulla forza di “Monsieur Chrono” , fu quello del 1965. Nel riporto che leggerete, Ercole racconta di come Anquetil arrivò e di come scoprì che il percorso era cambiato con l’inserimento di una salita. Aveva una bicicletta coi rapportoni, non li cambiò e manco si preoccupò dell’indicazione di Baldini, circa la forza dei suoi avversari a quali si era aggiunto un giovane italiano rampante, di nome Felice e di cognome Gimondi. “Questa corsa – disse Jacques ad Ercole – adesso che tu non corri più, non può crearmi nessun problema. La bicicletta va benissimo così, anche se c’è salita”. Ed infatti, pur con rapporti da volatone, ed una preparazione consistente in una veloce sgambata mattutina dietro la Gilera di Bruno, fratello maggiore di Ercole, lasciò Gimondi a 2’38”. Quello era davvero “Monsieur Chrono”, tanto bello da vedere in bici, quanto redditizio come nessuno nell’uscire dalle curve. Fra i tanti ricordi che mi han lasciato le osservazioni su Jacques qui da noi e di cui ho tanto parlato su vari thread di Cicloweb, non potrò mai dimenticare la sua ultima partecipazione, nel 1968, quando era già 34enne. Non era più quello di un tempo, ma incuteva rispetto in tutti. Lo raggiunse Merckx, che era partito due minuti dopo di lui. Il grande belga che aveva appena vinto il suo primo Giro d’Italia, non lo lasciò sul posto, anzi, accompagnò per circa una tornata il vecchio campione, quasi volesse osservarlo o chiedergli scusa. Solo quando gli dissero che Jacques andava piano e che, stando con lui, lo svantaggio su Gimondi aveva raggiunto i due minuti, ritornò a pedalare da solo, ma pur recuperando una cinquantina di secondi, non evitò la sconfitta. Sapevo bene quanto quella fosse l’ultima occasione di vedere Jacques su una bicicletta da corsa, ed in corsa: lo guardai trasformando gli occhi in telecamere ed anche in quella caldissima giornata di giugno, rimasi stupefatto dalla sua sudorazione, dalla bellezza del suo passo, dalla sua signorilità atletica. Oggi, ripassando quei fotogrammi, mi giungono due lacrimoni. Com’era bello il ciclismo di quei tempi!



Il Palmares più importante di Anquetil:

Cinque Tour de France: 1957, 1961, 1962, 1963 e 1964
Due Giri d'Italia: 1960 e 1964
Una Vuelta a Espana: 1963
Nove Gran Premio delle Nazioni: 1953, 1954, 1955, 1956, 1957, 1958, 1961, 1965, e 1966
Una Gand-Wevelgem 1964
Una Bordeaux-Parigi 1965
Una Liegi-Bastogne-Liegi: 1966
Cinque Parigi-Nizza: 1957, 1961, 1963, 1965 e 1966
Due Dauphiné Libéré: 1963, 1965
Un Giro di Catalogna: 1967
Due Quattro giorni di Dunkerque: 1958, 1959
Quattro Criterium National: 1961, 1963, 1965, 1967
Un Record dell'ora nel 1956 (46,159 km)
Quattro volte vincitore del Super Prestige Pernod : 1961 - 1963 - 1965 - 1966
Tre volte vincitore del Trofeo Gentil: 1953 - 1960 - 1963.

(fine prima parte)

 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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Registrato: Oct 2003

  postato il 19/11/2007 alle 00:24
(seconda parte)

Tratto dal libro “La storia di Ercole Baldini, il treno di Forlì e l’uomo” Edizioni Ciclofer, scritto da Rino Negri e dal sottoscritto…..


……Baldini ed Anquetil, una storia di rivalità ed amicizia che ha segnato un'epoca. Un rapporto sicuramente denso di episodi e particolari che molti non conoscono. Che ci puoi dire a riguardo?

"Ribadisco che Jacques, fin dal mio primo anno fra i professionisti, fu il collega straniero che più mi aiutava e consigliava. Era un gran personaggio, per la sua spontaneità e quel tocco di si¬gnorilità a cui accompagnava una incredibile sicurezza sui suoi mezzi atletici, a volte con sfu¬mata strafottenza. Quando fu organizzato il primo Trofeo Tendicollo Universal di Forlì, nel 1958, il nostro rapporto si intensificò moltissimo, anche perché quell’appuntamento aveva il si¬gnificato della nostra personale sfida. Ambedue amavamo il cronometro, ben aldilà del peso e dell'importanza che aveva nel contesto generale del ciclismo. Era la nostra gara, arrivavamo addirittura a pensare che la crono fosse del ciclismo, non solo l'aspetto più onesto, ma il ter¬reno sul quale usciva certamente il più forte, senza tattiche ed astuzie. Il "Tendicollo" come abbiamo sempre chiamato la cronometro della mia Forlì, fu anche la prima occasione di visita a casa mia di Jacques, ed avvenne nel modo più anomalo. Fu lui stesso ad invitarsi sostituendo la mia abitazione all'albergo. Per lui questo era naturale e lo sarebbe stato anche per me, se fos¬se stato solo il semplice amico che ti viene a trovare e non il principale avversario. Per anni ed anni, la trasferta di Anquetil e del suo massaggiatore per quella corsa, si consumò prima che in gara, presso l'albergo di casa Baldini. Questo fatto fece pensare in zona ad un nostro accordo, che lui fosse lì per una vacanza e che mi lasciasse vincere quella corsa perché lo ospitavo. Le cose non stavano di certo così, perché, nel giorno di gara, ce le davamo di santa ragione, basta guardare a quale distacco relegavamo il terzo arrivato! Fra noi c'era, ripeto, semplice amicizia. Un rapporto che proprio in quei giorni passati a casa mia, si rafforzò semplicemente anche coi pranzi e le cene che ambedue consumavamo senza badare a diete di nessun tipo. Ed un'amici¬zia che trovò modo di esaltarsi ulteriormente attraverso altri significativi particolari. Ad esem¬pio, a quei tempi, non era facile procurarsi i rifornimenti in corsa, allora non si potevano ricevere le borracce dalle auto ammiraglie e gli stessi gregari non sempre potevano essere così alati, da trovare acqua e portartela con facilità. Bisognava spesso organizzarsi con qualche parente o amico. Bene, Jacques, quando si correva in Italia, sapendo che mia moglie veniva spesso du¬rante il percorso di gara per darmi una borraccia di acqua fresca, stava sempre vicino a me, perché sapeva che così una borraccia l'avrebbe avuta anche lui. Tante volte, prima di partire, mi chiedeva se quel giorno Wanda sarebbe venuta, ed in quale punto della corsa mi avrebbe rifornito. In corsa poi, parlavamo spesso anche di fatti lontani dagli aspetti più tecnici. Ricordo un episodio che credo testimoni appieno l'intensità del nostro rapporto (favorito sicuramente dalla perfetta conoscenza del francese da parte di Baldini n.d.m). Era la fine del '60 ed era¬vamo in Belgio, nella regione del Limburgo, per partecipare ad un circuito. In quella zona, un italiano era come di casa, visti i tanti connazionali che vivevano là per ragioni di lavoro, in par¬ticolare presso le numerose miniere di carbone. Alcuni dirigenti di una di queste, anch'essi ita¬liani, mi invitarono a visitare la loro miniera, proprio in profondità, dove lavoravano gli operai. Vi andai assieme a Jacques, Bruni e l'austriaco Christian. Rimanemmo impressionati dalle con¬dizioni di lavoro e dalle presumibili fatiche a cui erano chiamati quei lavoratori. La sera, la pre¬vista gara si consumò sotto la pioggia, in un circuito tutto curve, pavé e rotaie del tram. La du¬rezza del tracciato e l'evidente pericolosità, mi spinsero ad iniziare la corsa nelle ultimissime posizioni del gruppo e Anquetil fece altrettanto. Il tanto pubblico presente, che ci vedeva co¬me importanti attrazioni, iniziò a mugugnare. Ad un certo punto, Jacques, che era dietro a me, mi affiancò e mi disse: "Ercole, la miniera è più dura!" Il messaggio era chiaro e ci mettemmo alle spalle la paura di cadere, rimontando le maglie del gruppo per dare spettacolo in testa. Non vincemmo nessuno dei due, ma almeno facemmo felici gli spettatori, fra i quali tanti minatori. La familiarità del nostro rapporto, continuò anche dopo la fine della mia carriera. Ricordo quan¬do tornò a Forlì, nel 1965, per partecipare alla prima edizione del G.P. di Castrocaro, una gara a cronometro che sorse sulle spoglie del nostro "Tendicollo" e che presentava un percorso con una impegnativa salita. Non avendoci fatto sapere nulla, pensai che Anquetil non si fosse ac¬cordato con gli organizzatori per l'ingaggio. Quando telefonai a casa sua, il giorno prima della gara - si tenga conto che allora non c'erano cellulari - mi dissero che era partito per partecipare alla cronometro di Forlì, ma non vedendolo arrivare, pensai avesse scelto, per la prima volta, l'albergo, anziché casa mia. Si fecero le dieci di sera, ma di Jacques, nessuna traccia. Allora te¬lefonai agli organizzatori della "Forti e Liberi", i quali mi diedero conferma della partecipazio¬ne di Anquetil, ma non mi seppero dire dove alloggiasse, ed io immediatamente capii che sa¬rebbe venuto a casa mia. Dissi a Wanda di preparare da mangiare perché prima o poi Jacques sarebbe arrivato. Lei mi rispose che io ero matto a pensare che Anquetil potesse venire a quell’ora e che se poi fosse veramente venuto, i matti erano due. Si fecero le undici e trequarti, ma di Jacques nessuna traccia, ed a quel punto Wanda mi disse che non voleva spartire altri minuti con la mia pazzia e se ne sarebbe andata a letto. Scocca la mezzanotte e dopo neanche un mi¬nuto, suona il campanello: era Anquetil, da solo, senza massaggiatore e con una bicicletta con rapporti di pura pianura, quando lo aspettava una gara con una bella salita. Wanda si rimise in cucina e ci preparò da mangiare come ai vecchi tempi. Parlammo e mangiammo fino alle tre e Jacques non ne voleva sapere della gara del giorno dopo, perché diceva che non avrebbe avu¬to storia, in quanto avrebbe vinto facilmente perché non c'ero più io. Gli dissi che c'erano Ador¬ni, Bracke, Motta ed un giovane di grande avvenire, tra l'altro specialista, come Gimondi. Ma lui non ne voleva sapere. Non riuscii nemmeno a dirgli che il percorso rispetto a quello del "Tendicollo" era cambiato e che quella bici aveva dei rapporti inadeguati al tracciato. L'unica cosa che mi chiese sulla corsa, prima di andarsi a coricare, fu di mettergli a disposizione, per le 11 di mattina, una motocicletta con relativo conducente, per fare un po' di riscaldamento die¬tro moto. Infatti, come promesso, mio fratello Bruno lo condusse in "Gilera" verso il percorso di gara e quando svoltò verso Castrocaro, Anquetil capì che il tracciato era cambiato, ma che non gli importava nulla. Il pomeriggio, corse e vinse con più di due minuti su Gimondi. Alla fi¬ne mi avvicinò e mi disse che quella corsa, senza di me, non era più la stessa. Ritornò nel 1968, ancora una volta alloggiando a casa mia, ma stavolta la musica era cambiata, Gimondi era di¬ventato un grande campione e alla gara partecipò anche il fenomeno Eddy Merckx, che aveva appena vinto il suo primo Giro. I due si classificarono nell'ordine, ed Anquetil chiuse al quinto posto. Il tempo era passato anche per Jacques. Quando diciotto 'anni dopo seppi della sua ma¬lattia, rimasi senza fiato, se ne stava andando una persona che mi era davvero familiare".



Guardando gli scontri fra voi due però, emergono dati che a mio avviso testimonia¬no appieno le vostre diversità tecniche, lui più forte sui percorsi nervosi, tu, in quel¬li più lineari e piatti. Mi sbaglio?

"Non ti sbagli. Sono sempre stati pochissimi però, quei giornalisti che han fatto questi parago¬ni. Vedendo vincere nella maggior parte dei casi Anquetil, pensavano a lui come il più forte spe¬cialista. C'erano invece dei particolari tecnici che meritavano maggior attenzione e dei neces¬sari distinguo. Mi ricordo che a quell'epoca, in Romagna, oltre alle gare ciclistiche furoreggia¬vano anche quelle motociclistiche, spesso organizzate su percorsi cittadini. E mi ricordo pure quante volte ho avuto occasione di sentire appassionati dire che su quel circuito denso di cur¬ve, sarebbero andate più forte le "250" anziché le "500", perché pur avendo meno cavalli, erano più maneggevoli e si guidavano meglio. Il paragone per tanti aspetti poteva andare bene anche a me ed Anquetil.
Jacques è sempre stato un atleta stupendo soprattutto per il cronometro, sa¬peva guidare il mezzo bicicletta senza paura e con una grande capacità di riprendere velocità dopo curve severe, tra l'altro percorse da lui a forte andatura. Io ero più macchinoso, anche perché mi portavo appresso circa dieci chili in più. Ero decisamente più lento nelle variabili di gara e se il percorso era molto nervoso, con molte curve o con molti strappi, come sovente suc¬cedeva a quei tempi nelle gare a cronometro in Francia, o a Ginevra e Lugano, sapevo che sa¬rei uscito battuto. Sapevo però altrettanto bene, che se il tracciato fosse stato pianeggiante, ed avesse contenuto molti rettilinei e curve ampie, le mie percentuali di vittoria erano superiori alle sue. Questo ragionamento nessuno lo faceva e nessuno, tra l'altro, prendeva come esem¬pio il mio veloce ed improvvisato tentativo di record dell'ora dove avevo superato Anquetil. Un giorno del 1957, tornando a casa in auto da Ginevra, dove avevo corso quella classica crono¬metro giungendo secondo dietro a Jacques, ne parlai con un caro amico che era con me: Afro Gavelli. Costui, che era un dirigente di primo piano della "Forti e Liberi" di Forti, mi chiese se Anquetil era imbattibile. Gli risposi che lo era su percorsi come quello di quel giorno, fatto di tante curve e diversi strappi, ma su un percorso pianeggiante, con molti rettilinei e non molte curve, ero sicuro di batterlo. Afro fece finta di niente e continuammo la strada fino a Forlì, par¬lando d'altro.
Con Gavelli ci si vedeva spesso, ma di quell'argomento non si parlò più. Diversi mesi dopo, imparai che la "Forti e Liberi" aveva messo in calendario una corsa a cronometro, da svolgersi qualche giorno prima della partenza del Giro d'Italia. Era nato il Trofeo Tendicol¬lo Universal di Forlì, ed il percorso scelto era fatto sul modello di quello che avevo detto ad Afro quel giorno, in automobile. Pensai che il buon Gavelli, zitto zitto, mi volesse mettere alla prova. Ed il giorno del primo "Tendicollo" vinsi con 4'09" su Rolf Graf e 4'55" su Anquetil, ma era il 1958, il mio anno forte. L'anno dopo, sul medesimo percorso, con uno stato di forma non proprio ottimale, rivinsi ad oltre 46 di media, dando ad Anquetil un minuto e quasi tre minuti a Riviere. Nelle edizioni del '60 e del '61 persi da Jacques rispettivamente per 14 secondi ed oltre quattro minuti, ma avevo delle visibilissime e inconfutabili attenuanti. Nel '60 venivo da una ro¬vinosa caduta al Giro, ed avevo una mano rotta, tanto è che, ancora ingessato, corsi le prime die¬ci tappe del Tour. Nel 1961, invece, corsi con 38 di febbre, solo perché non potevo mancare dal¬la corsa di casa. Nel 1962, ritornai a star bene e rivinsi ad oltre 46 di media, dando più di tre mi¬nuti ad Anquetil e nel '63, l'ho ribattuto distanziandolo di 2'27". Nel 1964, la corsa non si di¬sputò. Afro Gavelli, mi confermò più volte che le mie considerazioni, quel giorno, tornando da Ginevra, erano giuste. Col passare degli anni però, mi è cresciuto il rammarico nel vedere come troppi ed importanti giornalisti scrivendo su di me ed Anquetil, non abbiano mai fatto quei confronti tecnici e quei distinguo".


Anquetil e la famiglia: le rivelazioni della figlia Sophie.


Jacques e la moglie Janine

Quando scrivevo il libro su Baldini, sua moglie Wanda, me lo aveva accennato, ma non aveva volutamente mai approfondito il discorso, per non ferire la privacy della famiglia Anquetil. I contenuti non mi erano comunque sconosciuti: troppe interlocuzioni in Francia e qualche lettura un po’ strana, mi avevano fatto capire quanto l’anomalia del nido famigliare d’Anquetil, non fosse leggenda aggiunta al leggendario percorso del campione. Alla convinzione ci fosse del vero, s’è poi aperta e sommata, come prova, la voce, virtuosa e fuori dagli schemi, della figlia maggiore di Jacques, Sophie.
Costei, nata nel 1972, nel 2004, ha dato alle stampe un libro, “Pour l’amour de Jacques”, che è da considerarsi la storia, per la gran parte inedita, della sua famiglia. I contenuti dell’opera, vissuti in Francia col “modus normal” di un paese non soffocato dal “bacchettonismo iperipocrita” tanto tipico dell’Italietta, ci riportano un Anquetil fascinoso a 360 gradi, anche sul piano delle intimità, insomma un personaggio totale.
Già le sue origini, che ebbero genesi dalla relazione mozzata dagli eventi, di una nonna, Augustine Melanie Anquetil, con un ufficiale prussiano, paiono come un fatto propedeutico che Sophie, nella sua narrazione, riesce ad intingere su orizzonti sociologici ed antropologici, e poi lui, il campione che mai s’è cosparso di banale, ha spinto il resto...
“Sono stata una bambina con due madri, una di loro era figlia dell'altra, e per 15 anni le mie due mamme hanno vissuto sotto lo stesso tetto e papà su due letti” – racconta Sophie, parlando della sua origine, con l’incanto dell’amore verso il padre, non con l’odio o il risentimento che si potrebbe considerare legittimo o plausibile, nell’evidenza che poi saprà narrare.
“Papà Jacques – prosegue – era un uomo capace di ammaliare come nessuno, aveva un fascino magnetico che circoscriveva il cuore delle donne, era una fortuna averlo conquistato”.
Già, proprio come s’evince dal titolo del libro…..
La storia riassunta è questa. Il giovane Anquetil, giunto agli altari dello sport appena diciottenne, conobbe Janine, la moglie del suo medico e se ne innamorò. Una relazione impossibile? Non per Jacques, che gettò sui sentimenti tutti i virtuosismi e le imprese che poteva compiere il suo talento, fino a conquistarla e, sei anni dopo, a farla divorziare e sposarla. L’anno era il 1958, uno dei più feroci, in Italia, per la storia simile di Coppi e la sua Dama Bianca.
Janine, bellissima giunse al “Sì” a 30 anni, sei in più di Jacques e con la consapevolezza di aver subito un’operazione che il marito aveva reso irreversibile, non si sa quanto volutamente o per linea di destino: ella sapeva che non poteva avere più figli. Due però li aveva avuti col medico, Alain e Annie e se li portò con sé a casa di Jacques, in quella che diverrà dimora da fiabe per bellezza architettonica e per appellativo: la Villa degli Elfi, in Normandia, a due chilometri da La Neuville-Chant-d'Oisel ed a 17 da Rouen.



Fra Jacques e Janine tutto filò liscio, in armonia, fino a quando, dopo la fine della carriera, Jacques sentì il bisogno di quel figlio che la moglie non poteva dargli e lei, per amore verso il marito che pareva aver fermato il tempo, "regalò" ad Anquetil la figlia Annie. Ne nacque un rapporto a tre, con Janine consenziente alle fughe di letto famigliare, per quell’evento che tutti attendevano e che, nel 1972, si concretizzò con la nascita di Sophie: una femmina, dunque, che non avrebbe mai potuto portare l’agnomen Anquetil. All’esterno, la piccola era la figlia di Janine, mentre all’interno della villa, il triangolo strano, continuò negli anni e si prolungò fino ai primi anni ottanta, quando Annie, la figliastra mamma della figlia del campione, non accettando più quella situazione così particolare, minacciò di andarsene. Jacques, per non perderla, la elesse a favorita-regina della Villa degli Elfi, e ciò provocò la furiosa reazione di Janine, che chiamò a raccolta, nella dimora normanna, anche gli altri di famiglia a conoscenza del triangolo, ovvero il figlio Alain con la moglie Dominique e il piccolo nipote Steve. Lo scopo: far godere a tutti i beni dell’ormai non più giovanissimo Anquetil, senza far uscire nulla all’esterno. Ma il campione, già più che cinquantenne, consapevole di tutto e di tutti, il vizietto non lo perse e la sua reazione non tardò. Col solito magnetismo sedusse e fece innamorare anche la bella e giovane Dominique, provocando così, nell’inorridito fino ad un certo punto, la fuga di Janine, dei figli Annie ed Alain (che divorziò da Dominique) e della nipotina Sophie. La nuova coppia, assieme al piccolo Steve, visse un breve periodo nella Villa degli Elfi, ed ebbe anche il tanto ricercato figlio maschio, Christopher, nato nel 1986, un anno prima della veloce malattia allo stomaco, che si portò via Anquetil.
“Mia nonna Nanou (Janine), mia madre Annie, mio padre Jacques, io li amo tutti da sempre - scrive Sophie nel suo libro - e questo amore continuerà. Non ho niente, davvero niente da rimproverare loro. Non gliene voglio. Mi hanno dato la forza di essere quello che sono nella mia vita, con passione e amore. Io li amo tutti, da sempre”.
A quanto pare, nemmeno gli altri di quella strana famiglia. Qualcuno penserà ai soldi come collante, altri ad una versione dell’amore, ma tanto è, perlomeno a quanto ci è dato sapere dal racconto e dal dichiarato.

Non mi spetta e non voglio giudicare le scelte e la vita famigliare di Anquetil, mi limito a dire che se una storia simile fosse stata consumata da un campione o un “vip” italiano, sarebbe successo il finimondo, ma a noi italici piace l’ipocrisia, anche per ragioni papaline. E così, grazie a questo retroterra penoso, la Sacra Rota ....può annullare come non consumato il matrimonio con due figli di un mio amico grande tecnico.... Sì, un’altra chiave delle tragedie dell’Italietta, di Prodi, Berlusconi e delle tante banane.....



Le rivalità…
Se sviluppassi modus e pathos delle rivalità vissute da Jacques, allora questo thread diverrebbe un libro e non mi va di scriverlo....
In attesa di narrare un poco quella con Roger Riviere (il cui ritratto che potrò postare senza problemi a quel che non mi va di dire, seguirà nei prossimi giorni), voglio liquidare con poche battute la più importante e lunga: quella con Raymond Poulidor. I francesi, in gran maggioranza parteggiavano per “Poupou”, per la loro facilità a scegliere l’amore e il tifo verso il più debole. Già, perché se Raymond non era inferiore a Jacques in salita (perlomeno per quel che Anquetil ha dato vedere), gli era troppo inferiore a cronometro, nonostante le sue indubbie valenze contro le lancette.
Erano diversissimi i due: Poulidor, concreto e attento alla vita del corridore Poulidor; anticonvenzionale ed amante della vita, soprattutto a tavola, il normanno. Jacques, si faceva cambiare il sangue in Svizzera ad ogni fine anno, perché inquinato dalle amfetamine? E’ vero, ma era metodica di tutti, questa, mentre la quotidianità fra champagne, ostriche, lumache, arrosti e pane, era elezione di chi aveva qualcosa in più, ed in ciò, Anquetil, era stereotipo.
E resta il fatto, inconfutabile dato, che il preciso ed onesto “Poupou”, doveva soccombere di fronte al normanno dai tanti freni autoctoni.
Si tratta di una legge suprema dello sport, nonché variabile che va gustata senza sfregiare nessuno, ma il talento abbondante, sta sempre o quasi, dalla parte di chi non ha bisogno di programmarsi oltre ogni dove, per vincere.



Magari, gente del genere, s’ammazza prima, o non giunge sull’olimpo, ma l’insieme di quello scherzo di natura che forma il convenzionale talento, rappresenta per chi scrive, lo stimolo maggiore per amare lo sport come forma artistica: sì proprio da poeta maledetto.
Ed è stato lo stesso Anquetil a darne un estremo segno, due giorni prima di spirare, quando l’onesto e pur grandissimo Poulidor, lo raggiunse al capezzale per salutarlo. Jacques, come vide Raymond, gli disse: “Eh caro Poupou, anche stavolta sei arrivato secondo!”.


Cosa han detto di Anquetil i suoi avversari…
Anche qui l’elenco sarebbe lungo. Mi limiterò, dopo il tanto riportato di Baldini, a qualche battuta di un paio di corridori che ho conosciuto e conosco bene: Charly Gaul e Arnaldo Pambianco, me ne parlarono insieme, in una di quelle cene, dove i sapori donano a storie e ricordi, humus ed ore piccole, davvero particolari.

Charly Gaul.
"Quando battevi Jacques, sapevi di aver fatto un’impresa e quando non ci riuscivi, ti rimaneva sempre la convinzione di essere stato forte, fortissimo. Non aveva il fascino in corsa di un Coppi, perché all’italiano spettava una leggenda, magari favorita, aldilà degli eccelsi meriti, dal calore che avete voi in Italia. Anquetil però, non gli era molto distante, nonostante i tempi che stavano rendendo tutto più meccanico e quando te lo trovavi a fianco, sapevi che accanto a te c’era un monumento. Jacques mi temeva, ed io ne ero orgoglioso, era un avversario leale contrariamente a Bobet. Proprio le considerazioni del francese erano un vanto che esibivo a Bahamontes, che lo poteva staccare solo in salita, mentre io lo impegnavo allo spasimo anche a cronometro".

Arnaldo Pambianco.
“E’ vero quello che dice Charly, Anquetil lo temeva come nessuno, e fu per me un onore aldilà della grandezza di conquistare un Giro d’Italia, averli battuti entrambi nel 1961. Jacques temeva lui convinto di controllare me, invece, gli feci uno scherzetto. In corsa era un faro, ed anche coi suoi gregari era signorile, ma aveva una tempra molto forte che diveniva evidente e persino strafottente, quando sapeva di stare benissimo, al punto di permettersi qualche piatto in più anche durante un Giro, o un Tour. Nonostante quel che ha vinto, sono sicuro che Jacques poteva vincere di più, soprattutto le classiche, se si fosse risparmiato un poco quando non era in bici e se avesse considerato gli altri traguardi del ciclismo, al medesimo livello delle grandi corse a tappe. Ha vissuto spesso di rendita dietro le cronometro, ma ne aveva anche per fare delle imprese.

Charly Gaul.
“Certo, e le fece pure. Ricordo la Gent Wevelgem nel ’64. Ero fermo per quella maledetta operazione di appendicite e lo vidi in TV, quando, da superiore, si lasciò alle spalle tutti i belgi, compresa la guardia rossa di Van Looy. Anche la vittoria nella Bordeaux Parigi è stata devastante. La ricordo perché partecipai al Delfinato ’65, che fu anche una delle mie ultime corse, dove mi ritirai all’ultima tappa. Lì, Anquetil, volava. Quando mi disse che sarebbe andato a Bordeaux, gli dissi che era una pazzia arrivare in tempo…. Invece, la corse e la dominò. Anche la Liegi-Bastogne-Liegi del ’66, che non vidi perché avevo chiuso col ciclismo in tutto e per tutto, me l’hanno dipinta come una grande impresa.

Arnaldo Pambianco.
“Già, fece di quella classica una cronometro, e seppellì tutti di minuti”.


Nota finale.
Un resoconto breve, nonostante la webbistica lunghezza, ma Jacques Anquetil meriterebbe tanto di più. Più volte ho rimarcato la mia idiosincrasia a formulare graduatorie di tutti i tempi, ma il normanno, da qualsiasi parte si guardi il ciclismo, un posto nella top five d’ogni tempo, lo merita. Nello specifico dei grandi giri, dopo Merckx e Coppi, il terzo posto, per me, è suo. Non l’ho mai tifato, eppure…..


Morris

 

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Livello Rik Van Looy




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  postato il 19/11/2007 alle 02:10
Grandissimo ritratto!
 
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  postato il 19/11/2007 alle 03:00
Avevo letto un breve articolo sulla ricorrenza della scomparsa di un grande come Jacques Anquetil ma naturalmente leggerlo in un ritratto come questo,anche dalle parole dei suoi avversari,ha tutto un altro valore.

Avrei voluto porre un quesito poichè leggendo il ritratto in quei brevi passaggi dove è stato nominato ho pensato alla sventura che segnò per sempre Roger Rivière e quale scenario poteva configurarsi se Anquetil si fosse trovato a fronteggiare negli anni successivi il giovane talento francese ma ho visto che prossimamente se ne dovrebbe parlare,quindi attendo.

 
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Livello Gino Bartali




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  postato il 19/11/2007 alle 11:32
Originariamente inviato da Morris


... ma a noi italici piace l’ipocrisia, anche per ragioni papaline. E così, grazie a questo retroterra penoso, la Sacra Rota ....può annullare come non consumato il matrimonio con due figli di un mio amico grande tecnico....



Come tutti i tuoi racconti, un capolavoro, complimenti, a parte la parte quotata, un po' banalotta, ne so qualcosa di sacra Rota e ti assicuro che i processi per nullità sono serissimi e non dipendono da tangenti o roba del genere.

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 20/11/2007 alle 11:23
Originariamente inviato da Abruzzese
Avrei voluto porre un quesito poichè leggendo il ritratto in quei brevi passaggi dove è stato nominato ho pensato alla sventura che segnò per sempre Roger Rivière e quale scenario poteva configurarsi se Anquetil si fosse trovato a fronteggiare negli anni successivi il giovane talento francese ma ho visto che prossimamente se ne dovrebbe parlare,quindi attendo.


Se ne parlerà, magari da stamattina, ma non attraverso un thread che ne percorra appieno i sentieri.
Non posso pubblicarlo come vorrei: sarà mozzato, perché, come m’è stato detto da qualcuno, per due gatti che leggono e sono interessati, faccio un favore a chi può copia-incollarlo su altri siti orientati al tema e non dono alla carta che devo produrre per il vento delle mie illusioni, il significato che merita. In altre parole, è meglio scrivere di corridori del primo novecento, o non scrivere nulla......
Il ritratto su Riviere, sarà dunque una delusione e se riporto il moncherino che vedrai, è solo perché l’ho promesso a suo tempo a Claudio Dancelli. Mi spiace per te, che sei un giovane così voglioso di conoscere la storia del ciclismo e già così bravo.

Ciao!

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 20/11/2007 alle 11:27
Originariamente inviato da Greg Lemond

Originariamente inviato da Morris


... ma a noi italici piace l’ipocrisia, anche per ragioni papaline. E così, grazie a questo retroterra penoso, la Sacra Rota ....può annullare come non consumato il matrimonio con due figli di un mio amico grande tecnico....



Come tutti i tuoi racconti, un capolavoro, complimenti, a parte la parte quotata, un po' banalotta, ne so qualcosa di sacra Rota e ti assicuro che i processi per nullità sono serissimi e non dipendono da tangenti o roba del genere.


Vedi, sono vecchio, ed ho potuto vedere e sentire il chiacchiericcio, ed a volte lo scherno, che accompagnava, negli anni sessanta e perfino settanta, gli atleti italiani, o taluni personaggi della cultura, di fronte alle loro unioni di fatto, o fughe matrimoniali, o alla loro omosessualità, ecc.. Non ricordo solo Coppi: d’acchito, relativamente allo sport, mi viene di citare Gigi Meroni. Ora, che in Italia la presenza del Papa, abbia fatto vivere la religione in modo più impregnante, spesso meno critico e più genuflesso all’apparenza, è un dato di fatto. Ciononostante, l’evasione di fronte al dettato ufficiale ed i relativi “peccati”, non è stata inferiore ad altri paesi europei, anzi, ma per nasconderla è sorta una montagna di ipocrisie ulteriori che, sinceramente, han fatto del nostro, un paese ben poco modello: sia per i laici che per i cattolici. E’ un’evidenza che, per spirito di non so quale nazionalismo, o autoctono orgoglio, cerchiamo sempre di nascondere, magari armandoci di risentimento verso chi ha l’onestà di farcelo notare. Solo contemplando questi aspetti, come parte della nostra antropologia, possiamo spiegare i nostri ritardi su taluni diritti civili, ed è solo per questo che il nostro giungere al divorzio, ben oltre la media dei paesi cosiddetti civili, si può spiegare. Tra l’altro, si giunse a sancire e ratificarlo, attraverso un referendum non indolore, col paese spaccato: noi stessi studenti, arrivammo a rompere amicizie, trascinati dall’onda a mo’ di crociata, di un Gabrio Lombardi e di un Luigi Gedda.
Io sono ateo, figlio di mamma cattolicissima che riuscì ad accettare, nel ’49, l’allontanamento dalla chiesa perché in confessione fu costretta ad affermare che votava per il PCI e, quando poté tornare alle sue ufficiali preghiere e agli atti di devozione nella Casa del Signore, seppe perdonare, mi permetto, la mondezza che le era piovuta addosso. Non so se la mia perenne amicizia coi cattolici, sia dovuta al fatto che ho avuto una mamma così, o, più propriamente, perché con loro mi sono sempre rapportato francamente, presentando me stesso e non un feticcio atto al compromesso prima ancora del germoglio di un pensiero, come fa il Veltroni (uno che riuscirei a non votare, anche con l’elettrocefalogramma piatto) A volte me lo chiedo, ma tanto è.

Ora, altrettanto francamente, credo che se i vertici del mondo cattolico, il Papa ovviamente per primo, fossero più vicini a ciò che si deve alla storia, all’uomo, al suo futuro, evitando autogol pazzeschi, su cui potremmo aprire chilometrici dibattiti, ma non è il caso, visto l’imperante OT a cui sto contribuendo, probabilmente i fedeli sarebbero di più in numero, o, perlomeno, sarebbero tanti e tanti di più realmente, al netto delle ipocrisie, delle falsità, delle convenienze di un’ostia presa per fare come il gatto con la popò o la pipì. Il peggior nemico alla funzione pastorale della chiesa è la chiesa stessa. E dire che basterebbe poco, per fare dei cattolici, i principali fautori di quel socialismo di cui l’uomo ha un bisogno infinito per la salvezza del suo genere e di cui, torto-collo non per me, ma per i cattolici figli del potere temporale, Gesù di Nazareth è stato il primo filosofo o tracciatore storico.

Le contraddizioni dei cattolici, dunque, sono state, e sono, tutt’oggi, un freno, in Italia particolarmente. Non sai quanto dispiace ad un bolscevico come me. Non è una battuta, credimi.
A questo punto, nel mio banalotto modus, vengo alla Sacra Rota. Sarà vero quello che dici tu, ed a tal proposito io non ho citato sentenze a mo’ di “tangenti o roba del genere” (e non le considero un tuo lapsus freudiano), ma ad una esperienza reale. Vedi, per quel poco di razionale che mi è rimasto, mi è difficile spiegare la ragione dell’annullamento di un matrimonio come “non consumato”, quando questo ha prodotto due figli (sempre più uguali come gocce d’acqua al padre, ed hanno oltre 30 anni), senza giungere al disconoscimento della paternità e, quindi, al contestuale adulterio della madre. Mi sembra un esercizio genetico sulla carta e quando mi si spiegherà come è possibile, vedrò la Sacra Romana Rota come una corte sempre credibile, nonostante sia uno che di fronte alle corti e alle toghe che sanno di tribunale, usa palparsi le palle e riempirsi di cornetti e cuoricini. Stupidamente s’intende, ma tanto è.

Ciao!

 

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Livello Gino Bartali




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  postato il 20/11/2007 alle 22:12
Ciao , so che sono fuori Ot, riguardo al mio non lapsus freudiano ti dico che parlavo di tangenti non perchè tu ne avessi scritto, ma perchè è una delle perplessità che più spesso sento davanti a matrimoni annullati, per quanto riguarda la non consumazione di un matrimonio con prole sappi che la cosa non è impossiblile (ad. un noto tennista ebbe un figlio senza avere atto che fosse consumativo... non entro nei particolari)
 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 20/11/2007 alle 22:39
Anquetil: avesse fatto la vita del corridore, avrebbe surclassato come vittorie sia Coppi che Merckx.
Lo lessi tanti anni da qualche parte, ma non ricordo dove nè chi scrisse questa frase.

 

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"L'uomo da battere è Gianni Bugno, e quasi certamente non riusciremo a batterlo" (Greg Lemond, Stoccarda, 24 agosto 1991)

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 20/11/2007 alle 23:32
Originariamente inviato da Greg Lemond

Ciao , so che sono fuori Ot, riguardo al mio non lapsus freudiano ti dico che parlavo di tangenti non perchè tu ne avessi scritto, ma perchè è una delle perplessità che più spesso sento davanti a matrimoni annullati, per quanto riguarda la non consumazione di un matrimonio con prole sappi che la cosa non è impossiblile (ad. un noto tennista ebbe un figlio senza avere atto che fosse consumativo... non entro nei particolari)


Conosco bene la storia della paternità non voluta di Boris Becker causa particolari che sono comunque possibili. Vi scrissi pure un articolo. Non è comunque il caso della persona che conosco.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 21/11/2007 alle 19:26
Gran bel ritratto di uno straordinario campione.

"Sulla strada la sofferenza; a casa lo chic", dichiarò un giorno Anquetil . ma avrebbe potuto anche dire "Confesso che ho vissuto"
Coppi lo avrebbe voluto come suo allievo, ma Jacques si spaventò dei metodi di Cavanna e ritornò di corsa in Francia.
Fece inorridire Apo lazarides mangiando a colazione frutti di mare innaffiati da un buon bianco.Il vecchio campione gli pronosticò una carrirera brevissima, ma fu smentito.

Hai proprio ragione, caro Morris: com'era bello il ciclismo di quei tempi!
Ed il mio primo ricordo ciclistico è legato proprio ad Anquetil .
Lo vidi a San Michele di Pagana , nella tappa che si concludeva a Santa Margherita Ligure, al Giro del 64.
Era biondo, e la maglia rosa gli donava molto.


 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 21/11/2007 alle 20:35
Complimenti per il ritratto Morris

 

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io sono un saavvvoonnnéééésse

Un uomo solo al comando... la sua divisa è bianco-celeste... il suo nome è Fausto Coppi
CAMPIONE DEL MONDO FANTACICLISMO CICLOWEB 2008 vincitore del Giro del Piemonte, MEDAGLIA DI BRONZO alla crono mondiale

FANTACICLISMO CICLOWEB 2009
DOPPIETTA AMSTEL GOLD RACE - FRECCIA VALLONE
VINCITORE CLASSICA DI AMBURGO,VINCITORE MEMORIAL CIMURRI, innumerevoli piazzamenti

FANTACICLISMO CICLOWEB 2010
BRONZO CRONO MONDIALE, ARGENTO MONDIALE IN LINEA
VICITORE GIRO DI LOMBARDIA

ORGANIZZATORE CKC '09

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 21/11/2007 alle 22:24
grazte maestro
non riapro le discussioni sul tema tasso versus jacquesperchè già fu affrontata con il contributo del grande ilic

ciao sommo

mesty

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 22/11/2007 alle 00:57
Originariamente inviato da cancel58

Gran bel ritratto di uno straordinario campione.

"Sulla strada la sofferenza; a casa lo chic", dichiarò un giorno Anquetil . ma avrebbe potuto anche dire "Confesso che ho vissuto"
Coppi lo avrebbe voluto come suo allievo, ma Jacques si spaventò dei metodi di Cavanna e ritornò di corsa in Francia.
Fece inorridire Apo lazarides mangiando a colazione frutti di mare innaffiati da un buon bianco.Il vecchio campione gli pronosticò una carrirera brevissima, ma fu smentito.

Hai proprio ragione, caro Morris: com'era bello il ciclismo di quei tempi!
Ed il mio primo ricordo ciclistico è legato proprio ad Anquetil .
Lo vidi a San Michele di Pagana , nella tappa che si concludeva a Santa Margherita Ligure, al Giro del 64.
Era biondo, e la maglia rosa gli donava molto.



E' vero! Il vecchio Apo, prese una stecca colossale.
Se Jacques si fosse risparmato un solo bicchiere colmo al giorno, ed un pasto over la settimana, lo avremmo probabilmente visto come l'avversario più forte del giovane Merckx.

La tua frase, "confesso che ho vissuto",è da incorniciare.

A proposito di "prima" visione di Jacques, vista la sua sudorazione (non ne ho più vista una così), chiesi a mio padre: "Ma babbo, quello piscia dalla faccia". Attorno a me risero tutti. Era il 14 giugno 1959.

Ciao Mario!

 

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