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Autore: Oggetto: Allenamento e cultura....

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 24/01/2005 alle 08:40
Come contributo ulteriore ai temi legati a doping e allenamento, vi riporto un’interlocuzione fra una insegnante di Educazione Fisica e il sottoscritto. Con costei ho collaborato, fino a scriverle le dispense scolastiche, spinto dalla sua originalità a volte persino estremistica, ma pur sempre una allenatrice che ha fatto del lavoro un credo….. Le righe che seguiranno sono di alcuni mesi fa, ma ancora limpide di attualità, anzi, potrei dire che hanno ancor maggior valore. Un forum come questo, per lo spessore dei suoi partecipanti (e per il peso enorme di chi viene a leggere....), sono sicuro le apprezzerà.

Morris, non è il doping che mi rende così diffidente nei confronti dello sport attuale, perché su quella pratica il giudizio è scontato. Vorrei andare oltre. Immaginiamo uno mondo sportivo completamente ripulito dalla piaga doping, dove a vincere sono le congenite capacità dell'atleta esaltate da metodi di allenamento scientifici, lo sport system non cambierebbe atteggiamento mentale verso i "suoi" ragazzi, ma con lo stesso cinismo li sottoporrebbe a "trattamenti" al limite dell'umano, allo scopo di ottenere le modificazioni fisiologiche atte a rendere eccezionali le loro prestazioni. Cosa ne pensi?

Non mi voglio sottrarre al tuo richiamo, anche perché, permettimi, da quando vivo su questo ambiente, un simile tema non era mai stato trattato o posto. La tua non è una provocazione, ma il segno di un dibattito che pure fa capolino nei convegni, ma, di solito, lo si evita, per non entrare su terreni pronti a mettere in discussione il palinsesto stesso della società.
Cercherò di essere il più stringato possibile, ma non posso liquidare una novità così consistente, in poco spazio.

Lo sport system è figlio di una società che fonda sul profitto e sul conseguente danaro tutta la propria filosofia, quindi è fin troppo ovvio che qualsiasi scoperta, anche pulita, finirà in una determinata direzione. In questa logica dobbiamo inquadrare i problemi che poni, tenendo ben chiara la considerazione che un cambio culturale, non si crea isolando i contesti, ma solo con una svolta totale che può essere dettata unicamente da chi nella sociale sviluppa gli input più completi e decisionali, quindi la politica. Gli sconvolgimenti di una società, sono avvenuti, storicamente, o per una cruenta rivoluzione, con la conseguenza di un'involuzione che, spesso, ha rattrappito le libertà ed il concetto ad essa legato; oppure attraverso nefasti avvenimenti, chiamati guerre, che hanno modificato gli assetti della cultura, in senso antropologico, a costi elevatissimi, innescando pure degli odi residui, che hanno sovente frenato la ricostruzione della società stessa.
Le modificazioni indolori, frutto dell'elaborazione umana, al fine di comprendere cosa significhi la qualità della vita ed il suo eventuale miglioramento, necessitano di tempi lunghi e della disponibilità, in ogni momento, di mettersi in discussione. Poi, lungo questo già lento cammino, si possono incontrare un intreccio di interessi, quasi sempre economici, che giocano una parte preponderante nell’antropologia che si sta consumando, fino a spingere tendenze non sempre corrette negli estremi, da un eguale “alter ego” del mondo intellettuale, in particolare da quella sua parte meno schierata e più autonoma. Ciò può determinare una più violenta corsa verso alcuni processi, magari meno densi di verità e di positività, in grado, addirittura, di stravolgere le linee iniziali, oppure un rallentamento della ricerca verso una equilibrata crescita della qualità della vita. In questo quadro, se da una parte, ci aiuta la razionale visione tanto chiara in Max Weber, dall'altra, sorgono altri indotti, magari catalizzatori di consenso, o spinte simpatetiche, che possono tradursi come dagli studi di Adam Smith e David Hume emerge, in un aggiunto filone culturale pronto a cancellare la critica e il non conformismo, verso una normalizzazione che renda inevitabile ciò che si va a costruire o intendere.
Nel complesso del mosaico sociale, difficilmente, si possono trovare tasselli in controtendenza, isole felici o particolarmente negative e se costoro si dovessero riscontrare, scopriremmo che sono microscopici frammenti, assolutamente non in grado di ergersi ad esempio.
Lo sport, come manifestazione d’arte, di comunicazione interiore, particolare, se vogliamo, proprio perché si muove su un’organizzazione più articolata rispetto alle altre forme artistiche, non evade da questo contesto. La presenza del suo tratto e della sua etica, si determina in maniera pressoché sincronica, al credo più generale della società, spesso con una filosofia che spiega i singoli passaggi, come una dimostrazione della indissolubilità del suo legame col parametro sociale. Lo sport legge e concepisce quello che c’è, non guasta e non rompe nulla, riflette solamente. Le eventuali differenziazioni, sempre limitate ed ininfluenti rispetto al quadro più complessivo, sono quasi sempre opera dei singoli che hanno il compito di organizzare questo tassello, sia in chiave positiva che negativa, ma ogni disastrosa o illuminata gestione non comporta lo sconquasso nella società più generale, gli epigoni tendenti ed opposti, finiscono per creare risultanze quasi esclusivamente sul proprio quadrante. Soprattutto oggi, in considerazione della precarietà e della poca capacità di richiamo che il mondo intellettuale esprime.
Lo sport system, è dunque un riflesso della nostra società. Poi, potremmo dire che Carraro e Petrucci, per fare due esempi, sono particolarmente negativi, ma sono dettagli che non trovano in chi conta tanto di più, in un Berlusconi ed un Rutelli ancora ad esempio, una controtendenza. Oserei dire che in questa fase della nostra storia, il livello di luminosità dei dirigenti dello sport system, così basso e sibillino, è prontissimo a confermare la “regola” sopra enunciata, attraverso una classe politica altrettanto bassa e sibillina, sicuramente la più scarsa che l’Italia abbia mai avuto, nella parte della sua storia a regime democratico.
Che si possa migliorare tratto ed etica nello sport, è verissimo e necessario, ma ancora una volta, è verissimo, che non è possibile farlo senza una specifica volontà della politica, ed in questo momento, i filoni di questa, tutti, fanno pena e sono un vero esempio di come si possa insegnare ad un bambino, quanto l’uomo possa essere, anche sotto quel 1/8 di cervello sviluppato che, tendenzialmente, si definisce come tale. Il resto, infatti, è zona oscura e totalmente sconosciuta.

Sport e doping, non sono facilmente isolabili, sono una costante di questa forma artistica, già dalle Olimpiadi dell’antica Grecia. Le due entità, hanno convissuto come un unico “corpo”, ed anche se le “menti” erano apparentemente diverse, ci pensava l’ipocrisia a congiungerle. Si sono vissuti secoli e secoli, nelle varie manifestazioni di crescita di questa forma artistica, sul silenzio o sulla inconscia volontà di non rendere annuncio circa l’esistenza di un grigio rovescio rispetto all’esteriore. Poi solo dagli anni cinquanta, qualcuno ha cominciato a porsi il problema e si è arrivati alla decisione, più fittizia che reale nell’universo delle risultanze, di una divisione fra questi corpi siamesi. In realtà, nonostante la repressione, il doping, è sempre cresciuto fino a divenire un flagello prima di tutto per la salute degli sportivi, ma è pure stato, ed è, un affare in grado di muovere risorse vicine, se potessimo tangibilmente estrapolarle, a quelle dell’intero settore agricolo.
Ora le domande che mi fai, dobbiamo concepirle come un terreno metafisico, poiché ancora non sappiamo bene con certezza le entità dei confini di cosa sia doping e cosa non lo sia. Tanto più se pensiamo (anche se si corrono dei rischi che non ti immagini) che ci sono sostanze di larghissimo uso di massa, sicuramente più dopanti, nel lungo periodo, rispetto a quelle che sono inserite fra le proibite. Faccio alcuni esempi: carnitina, aminoacidi ramificati e creatina sono molto peggiori, per quello che possono determinare, di un’efedrina costantemente assunta prima di ogni manifestazione. Esafosfina e prefolix, semplici zuccheri, usati in maniera massiccia e costante, sviluppano indotti ben maggiori, ancora una volta, di quelle stenamine che tanto hanno segnato lo sport, dal dopoguerra fino agli anni settanta. Le “stupidaggini” degli integratori salini, che ogni persona con un minimo di conoscenza si può fare per proprio conto, evitando l’impatto di tutte quelle sostanze “gradevolizzanti” presenti fra quelli in commercio, hanno un potere, alla lunga (anche se è una bestemmia economica a dirlo, quasi a rischio di gambizzazione), di sconquassare le vie biliari, fino a determinare coliti ecc. Prova ne è, che un ragazzino di 13-14 anni, indotto dal padre o dalla madre, a prendere i sali per sostenere lo sforzo sportivo della manifestazione (trattasi di un accenno preciso alla cultura del doping), quasi sempre inferiore ai confini dell’esigenza di integrazione, risultano vittime (senza che certi soloni vi facciano caso), di ripetuti bisogni corporali, soprattutto di defecazione. Poi ci sono i nuovi confini, di recentissima scoperta, consistenti in medicinali normalissimi e non inseriti in nessuna tabella doping, che hanno poteri notevoli nell’aiuto della prestazione e, perché no, degli allenamenti.
Tutto questo rende il confine fra doping e non doping assai risicato, cambiando i connotati di qualsivoglia ragionamento sul tema.
Prima di tutto fa sorgere una domanda che non può essere ricondotta allo sport, ma alla stessa vita di ognuno, anche non sportivo praticante: quanto incide sulla nostra salute l’assunzione di un farmaco o di una sostanza, aldilà dell’esigenza e del bisogno di aggredire una malattia o un disturbo e curarli?
Gli effetti collaterali che spessissimo accompagnano i fogli illustrativi del farmaco, finiscono nel momento in cui il ciclo si chiude, o rimangono nel corpo fino ad incidere a distanza di tempo?
L’uomo, in origine, quando era ancora sapiens, sconfisse i neanderthaliani fino a farli sparire, certo per quella maggiore intelligenza che fece scaturire una miglior organizzazione di vita, attraverso il branco prima e la tribù poi, ma pure per la sua adattabilità all’ambiente, allo sviluppo della sua disponibilità ad essere onnivoro, alla sua grande capacità di sopportare quegli sforzi atletici nella caccia, che la sua intelligenza non riusciva sempre ad evitare. Correre per quasi un giorno, era nel suo DNA, quasi un riflesso costante di necessità. Bene, con uno spirito di adattamento originario così vasto, è ovvio che tanto sia rimasto in noi, nonostante gli inquinamenti che il sapiens “evoluto”, per primo, ha creato. Ma è altrettanto vero che abbiamo perso gran parte dei nostri istinti ed intuiti naturali (dovrei dire le nostre migliori facoltà), che ci aiutavano a curarci ed integrarci in maniera naturale e con impatti ben minori di quelli che la chimica ha poi creato. Quando si dice che oggi si vive di più e ci si limita a questa enunciazione, compiamo la più grossa stupidaggine mediatica e di imbecillità che si possa produrre, tra l’altro, disconoscendo la matematica. La vita allungata è calcolata sulla base della media e qui gioca un valore totale l’aver sviluppato la conoscenza della cura, prima di tutto nella fase di genesi e poi nell’adolescenza. Se muore un cinquantenne, sulla media, al fine della determinazione di questa, credo che anche una capra sappia che incide di meno di uno morto a zero o cinque anni. Altro dato vergognoso, la non ancora avvenuta mondializzazione e giusta “pubblicizzazione” delle conoscenze statistiche “indipendenti”, capaci di far capire a tutti come, dove, e, probabilmente, perché, si sono create le condizioni che hanno determinato i cento anni di “tizio” ed i novantacinque di “caio”. Solo un riferimento di questi studi, che mi sento di riportare qui, ci dice che i lungo-viventi, sono per la stragrande maggioranza persone che hanno vissuto in maniera il più naturale possibile, evitando la chimica, mangiando poco e di tutto, il più possibile lontano dagli stress mentali e non fisici, quasi sempre con un consistente arco del loro corso (soprattutto il primo mezzo secolo) passato in campagna, o, comunque, lontano da grosse concentrazioni abitative. Questo cosa significa?
Domande, certo, tante domande, solo apparentemente lontane dal tema, perché, nella realtà, dimostrano, come lo spirito di adattamento dell’uomo e la sua vicinanza alla naturalità dell’ambiente e degli echi istintivi, giochino un fattore notevole e positivo alla sua salute. E nella nostra lunga memoria “paloeontologica”, ci sta quel “sapiens” capace di correre un giorno, di camminare sempre a passo da definirsi spedito, di sottoporsi a stress fisici pazzeschi nel lavorare la roccia, nello spostarla verso i suoi fini, nel nuotare istintivamente per ore quando occorreva (senza seguire il crawl americano o australiano), magari con degli intermezzi non di riposo, ma di fatica per catturare pesci o prede, nel limbo e a ridosso dei fiumi, o costruire improvvisate protezioni. Era più piccolo, ma più resistente rispetto agli altri ominidi, era un tappo rispetto ai giganti di oggi, ma era formidabile. Una macchina atletica di dimensioni astronomiche, significativa anche al contesto delle disamine che seguiranno questo intervento.

Le lunghe premesse, aldilà di determinare variabili di complicazione sul tema, distribuiscono un serio, per me inevitabile monito al quesito: l’astrazione che ne è alla base.
Il primo motivo è di carattere sociologico, in quanto trasferisce sul fisico dell’atleta, la filosofia di una società che usa le sue conoscenze scientifiche, ai fini della sua etica e della stessa sua estetica.
Il secondo, ci viene dall’assoluta indeterminabilità di un concetto che è alla base della separazione del contesto da analizzare.
Il terzo, ed ultimo motivo, ci riporta su un orizzonte che non abbiamo mai voluto sondare con sufficienti metodologie: quanto pesano sulla salute le sopportazioni istintive e supine della razionalità e del bisogno moderno, sull’istinto originario che vedeva totale e cosmica la necessità di usare il fisico, quanto la mente, per continuare a consumare l’esistenza.
La sommatoria e l’intreccio di questi tre motivi, fanno del tema un terreno totalmente metafisico sul quale, le mie e le nostre convinzioni, o ricerche, o esperienze, rappresentano un microscopico segmento che può certo servire, ma non rende tangibilità all’analisi, se non l’esposizione di conoscenze sullo sfondo di un sogno. Un’esposizione teorica che può migliorare la conoscenza didattica e metodologica, ma non raggiunge un fine.
La cancellazione della metafisica, qui, credo non la vedrà mai nessuno....nemmeno i nostri pronipoti.

Da quanti anni vengono applicate le nuove metodologie di allenamento? Venti, o forse meno?

Le metodologie “scientifiche” dell’allenamento o lo studio sull’esaltazione delle capacità atletiche, hanno avuto origine nei paesi comunisti per i motivi che ben conosciamo, nell’immediato dopoguerra. Praticamente subito, si capì che il doping esaltava certe risposte e le nuove concezioni, fino ad esserne esso stesso propulsore involontario. Nel breve volgere di un lustro, tutti i paesi più o meno moderni, iniziarono questo corso, ma i livelli di conoscenza erano ben lungi da quelli che poi sono divenuti, ovvero un patrimonio determinante nel raggiungimento del risultato agonistico.
La ricerca continua ancora oggi e non è proprio detto che si sappia tutto, restano lati oscuri, come ad esempio la non conoscenza dei percorsi su alcuni aspetti, ad esempio sulla resistenza.
Il test di Cooper e dello stesso Conconi, ci rendono edotti sull’inizio e pure su una fortissima attendibilità finale, ma non sono chiare le essenze che uniscono il segmento. Una conoscenza di questo aspetto, potrebbe costituire la base per migliorare ancora la stessa metodologia di allenamento, soprattutto sugli aspetti legati alla soglia anaerobica. L’oceano anaerobico e le discordanze fra test e capacità diverse dei singoli sottoposti a lavorare in lattacido, potrebbero trovare delle risposte che oggi non ci sono e, come sempre, una risposta certa, determina ulteriore ricerca, ma pure una nuova tipologia di allenamento.
Tornando alla data sull’inizio delle moderne concezioni di allenamento, queste non possono certo considerarsi vicine all’immediato dopoguerra e nemmeno al periodo in cui diventò metodica, perlomeno per gli atleti più forti, il secondo allenamento quotidiano (prima metà degli anni cinquanta). Una buona base per determinare questo periodo di nascita, può essere l’ingresso, attraverso la diffusione dei “Test di resistenza” ad esempio, ma non solo, delle attenzioni su tutte le componenti della macchina umana, quindi non più solo l’azione sui muscoli, ma pure lavoro sincronico sugli aspetti cardiocircolatori, cardiovascolare ecc., fino alla mente, con l’ingresso della stessa psicologia, correlati all’uso di adeguate strumentazioni tecniche. La data? Diciamo, con minima approssimazione, nella seconda metà degli anni ottanta.

Sappiamo quali sono le conseguenze a lungo termine per la salute degli atleti? Non mi risulta, forse perchè è troppo presto, che siano state fatte indagini in tal senso: uno screening sugli acciacchi oltre i 40 anni.

Gli effetti sulla salute dell’atleta in virtù dell’allenamento scientifico e stressante, non si conoscono per una serie di motivi:
1) Non esiste un atleta che non si sia “integrato” e con questo termine si aprono due caselle. La prima contempla l’uso del doping classico, quello che viene definito tale dalle tabelle del CIO e poi da quelle sostanze che ancora non sono definite dopanti, ma che alla lunga determinano effetti simili a quelli della famiglia del doping. Le conseguenze sulla salute sono da ricondurre alle pratiche testé sopra e non sono isolabili dal contesto, a mio avviso inesistente, della sola azione dell’allenamento puro. Questo, ripeto, è un’astrazione. La seconda è l’uso delle sole sostanze “integrative” che hanno impatti lunghi, ma sufficienti nel quadro della domanda, per confermare la non esistenza di una tipologia di allenamenti stressanti a “pane ed acqua”.
2) Per fare uno screening servono studi analitici di anni ed anni, da proiettare su un universo che abbia valore statistico, quindi contemplando una larga fetta dell’esistente, stimabile su una percentuale non inferiore al 75%.
3) Anche con la volontà, come sta facendo Guariniello ad esempio, di arrivare a fare un vero sreening, ci scontreremmo sempre con le realtà di un ambiente che, tanto spesso, è vissuto sulla precarietà e non possiede sufficienti dati per poterli studiare e, soprattutto, sull’omertà gigantesca esistente. Inoltre, la legge sulla privacy, trattandosi di sondaggi che agiscono sulle persone nel loro privato diretto (ed il fisico, nonché le di questi patologie, lo è), rappresenta, per un paese come l’Italia ad esempio, dal diritto pieno di cavilli e balzelli, un ostacolo difficile da superare. Se si vuole fare un’analisi dal valore probatorio, infatti, non si può aspettare la disponibilità dei volontari, perché si restringerebbe enormemente l’universo sul quale si deve lavorare, fino ad annullare il valore della ricerca.
4) La stesso screening, considerandolo concluso bellamente, non potrebbe mai accertare al 100%, l’insorgenza di una patologia a causa dell’attività sportiva, in quanto agiscono sulla salute di una persona, tanti altri fattori. E’ chiaro, che una conclusione che vedesse lo sport come la causa trainante, avrebbe una percentuale di verità altissima, ma questa non potrebbe assumere quel valore giuridico, grazie al quale si possono imbastire campagne culturali per “correggere” i motivi scatenanti quelle patologie. Tornando all’Italia, solo per uccidere Marco Pantani, la giurisprudenza ha usato un metro degno del “codice di Hamurabi”, alterando le determinazioni delle conoscenze scientifiche. Negli altri casi, si ferma prima, perché le contestazioni della difesa e l’incapacità dei consulenti della magistratura, si elidono “nell’aria fritta” che non porta a nulla.
5) Il finale del punto precedente, richiamato non a caso, dimostra che la non certezza inconfutabile della scienza, viene usata dalla Magistratura e con lei dall’intera società, con metri diversi a seconda degli interessi. Pantani rappresentava il campione più straordinario dello sport italiano, ma aveva dietro le spalle l’invidia dell’intero mondo dello sport ed una Federazione più impotente per imbecillità che per possibilità. La decapitazione di quel ciclista, serviva per diversi interessi come quelli di stendere verginità agli altri, soprattutto a quel calcio che è il possessore, più di tutti, delle sporcizie sportive e serviva, a chi di questo è al servizio, per creare i presupposti per futuri vantaggi. Sentenza assurda, in cui la Magistratura oltre a mostrare pochezza, ha fatto trionfare aleatorietà ed insipienza, fino a creare un precedente che aprirà la strada a chi più di tutti vorrà sabotare la ricerca, seria ed equidistante, sugli effetti che certe pratiche possono creare sulla salute. In particolare saranno inattaccabili gli interessi e, qui, torniamo agli inizi e all’indissolubilità che lega sport e società.

Circa gli acciacchi che si determinano attraverso i pesanti carichi di allenamento e di attività su un atleta, non possiamo fare nessuna statistica ufficiale dunque, sia perché uno screening non esiste e sia perché nessuno, ripeto, nessuno, ha interesse a farlo. Per testimoniare un’opinione, è necessario richiamare le esperienze personali e gli echi raccolti da quelle degli altri.
Porto qui, quello che ho visto e sentito in tanti anni di carriera e posso dire che andando indietro nel tempo, i segni-acciacco della pratica sportiva, sono meno evidenti. Ho conosciuto tantissimi atleti oggi sessantenni o settantenni, coi quali mi sono trovato nelle conferenze ed ho stretto con loro rapporti, fino a poter dire che ho visto gente arzilla, intelligente, certo in taluni casi molto appesantita (ma quanti sono così a quella età?), ma attenta.
Ho visto gente che ha macinato chilometri su chilometri, che s’è sottoposta a stress d’attività, anche inversi alla giusta metodologia, assolutamente normale. Ma c’è un particolare: questi erano atleti che consumavano, essi stessi, un doping che ho imparato a definire “bazzecola” rispetto a quello di oggi. Un doping fatto di stimolanti che alzano la soglia del dolore, quindi, se fosse stato così deleterio avrebbe potuto lasciare segni evidenti. La verità è che sugli stimolanti i soloni dell’antidoping, fanno la voce grossa, perché è l’unico doping che riescono a riscontrare con grande facilità, ma DEVONO DIRE UNA VOLTA PER TUTTE, ANZICHE’ FARE I PINOCCHIO, che è una STUPIDAGGINE RISPETTO AL RESTO!
Di converso, ho visto atleti giovani o relativamente giovani, dal recentissimo passato agonistico, con dei segni preoccupanti e delle patologie evidenti allo sguardo. Ho notato particolari più vicini allo studio della psicologia che a quello della medicina. So che ce ne sono tanti in dialisi, ma quegli effetti chi li ha dati? L’allenamento scientifico o il doping scientifico. Non ci metto un secondo a dire che è stato il secondo! Anche perché sono fenomeni comuni a troppe discipline, anche differenti fra loro, in quanto a sfruttamento e sollecitazione muscolare. Inoltre gli aspetti mentali, non dipendono certamente dallo stress dell’allenamento e dell’attività agonistica. Questo è solo il doping di oggi, signori, convinciamoci! Tanto più, dopo le recenti scoperte sull’uso sempre più massiccio di psicofarmaci nello sport, calcio, come sempre, in primis.

Se sono validi i miei sospetti, che differenza c'è fra il doping e un programma "pulito"?
In entrambe i casi il sacrificio della salute sembra un accettabile, lieve effetto collaterale rispetto al risultato in campo e il benessere della persona-atleta non è mai in primo piano, alla faccia dell'aura educativa che da sempre ammanta lo sport.


Su quello che tu dici in maniera forzata, perché il tuo scopo, chiaramente, non è questo, non concordo. Soprattutto su quello che uno potrebbe percepire dalle due righe finali. Il sacrificio, nella pratica sportiva è funzionale al risultato, né più e né meno rispetto ad altri campi della vita. Lo stress fisico accumulato, può essere un rischio, ma non è dimostrato scientificamente. Sicuramente il rischio è totale quando ci si inietta certa chimica nel corpo. Come agli inizi di questo intervento ho spiegato, è la società che tollera questi aspetti, perché sono funzionali quasi sempre al proprio status quo.
Quando si lavora, mettendo in discussione la propria salute, in altri campi della vita, non si fanno screening. Sembra che solo il fumo faccia morire, ma quante altre cose ci sono che fanno altrettanto?
Ancora una volta, dunque, ben si capisce che è qualcosa di più complessivo a determinare quello che avviene nei singoli tasselli.
Il benessere della persona-atleta, equivale al benessere di tutti, ma non mi pare che la salute della gente, sia al centro dell’attenzione della nostra società, altrimenti la politica di tutela dell’ambiente sarebbe in testa e non in coda, negli intendimenti di chi governa i paesi più evoluti (o criminali) della terra.
Lo sport, è realmente denso di valori educatovi enormi, ma è la cultura che li trasforma nella direzione di fini diversi. Essere praticanti, significa aumentare la propria salute, perché l’uomo non è nato per essere sedentario, anzi del movimento ne ha fatto un distinguo peculiare e funzionale al trionfo della sua specie.
Un bambino deve fare sport e movimento, perché scioglie o attenua quello che eredita da altri indotti della società e negli echi delle trasmissioni genetiche. Facendo sport, impara tante cose e corregge i frequenti paramorfismi e dismorfismi esistenti.
Se la scuola fosse capace di tradurre i valori dello sport, in un insegnamento efficace, avremmo gente più sportiva, non solo per pratica, ma anche nella comprensione dell’etica. Se in Italia, tutto questo è pressoché inesistente, la colpa non è dello “sport system”, ma della classe politica che non ha mai avuto la capacità di tradurre il messaggio sportivo, in un fattore essenziale alla crescita dei giovani.
L’agonismo sportivo, che potrebbe creare presupposti negativi alla salute, rimane, o dovrebbe rimanere, una piccola entità, nel contesto di chi pratica. Anche perché solo pochi possono essere in grado di arrivare a certi livelli.
Sport e scuola dovrebbero camminare di pari passo, invece, risultano due cose distinte e, spesso, in alternativa fra loro.
Chi doveva lanciare questo messaggio non lo ha fatto guardando ai giovani, ma ha seguito solo interessi di cassetta e di voti. Ecco perché i governi che si sono succeduti, hanno pensato solo a favorire gli amatori degli Enti di Promozione Sportiva, carrozzoni feticcio dei partiti che li ispirano e, soprattutto, propugnatori di quello che è lo scandalo sotterraneo più consistente dello sport, ovvero il doping fra quelle migliaia
di imbecilli che, per una coppa di latta o per un prosciutto, si iniettano la domenica e durante la settimana, la chimica farmaceutica che nemmeno un professionista con coperture, si sognerebbe. Il tutto, col sostegno consenziente di una ridicola Magistratura (le dichiarazioni del PM Soprani all’indomani della proposta di legge sul doping a proposito della non punibilità degli amatori, furono allucinanti!) e di quella Guardia di Finanza, la quale anziché rompere i cosiddetti a quei grandi (perché lo sono veramente!) che cercano di far fare sport ai bambini, dovrebbe inseguire quei signori, magari ragionieri di banca, che fungono da anello, di uno dei mercati neri più consistenti e criminali in assoluto. Chiunque corra una gran fondo ciclistica, o le podistiche fino ai campionati amatoriali di calcio, ha potuto vedere la facilità con cui ci si procura la chimica, sempre ed esclusivamente non fatturata. Il Parlamento ha fatto la Legge, ma chi la deve applicare senza guardare in faccia nessuno, è il primo che si mette il prosciutto davanti agli occhi, o si comporta, anch’esso, come uno spacciatore.
No, il messaggio sportivo è intatto, sta a noi tutti fare in modo di dare dei calci negli stinchi a chi non lo fa vivere, cominciando a porre qualche feroce ed arrabbiata domanda, a quei personaggi della politica che ci vengono a chiedere voti.
Tu, stai facendo nel tuo ruolo, sì importante per la fase educativa, un grosso ed originale lavoro, continua con immutata passione e vedrai che almeno…… con la tua coscienza ti sentirai bene. Di questi tempi, non è poco.

Morris

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 25/01/2005 alle 20:33
come si fa a non apprezzarle grande morris, con questi scritti ricchi di illuminanti considerazioni; e'vero il problema del doping e'una piaga assolutamente inarrestabile, almeno dacche'lo sport e'diventato fondamentale traino mediatico ed economico della societa'di oggi, ed ha posto modelli sbagliati che hanno portato ad una cultura catastrofica in cui anche senza uno scopo economico, ma per semplice senso di rivalsa, si vedono le piu'insospettabili persone fornirsi di queste sostanze in modo smisurato e spesso incosciente!
che dire, di certo finche'coloro che dovrebbero insegnare una profondamente diversa cultura al mondo che li osserva, li ammira, ma si limitano a curare i loro interessi con ritorsioni personali e mostrando solo in evidente apparenza di voler risolvere il poblema di certo la piu'grande piaga del dopoguerra nn e'destinata a finire....e lo dice uno che pur nn praticando nessuno sport particolare vede trafficare quantita'industriali di questi prodotti nelle piu'comuni palestre in teoria a fine (dis)educativo!

 

[Modificato il 06/06/2006 alle 03:18 by Pirata x sempre]

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Giuseppe Matranga

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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 05/06/2005 alle 14:43
Ho riportato alla luce questo vecchio thread per i suoi significati, per i riferimenti che i puristi (???!!!) dell’antidoping legano al solo ciclismo e per l’assurdità delle condotte di chi deve far valere le ragioni della Legge 176/2000. Non lo mando certo a dire, mi riferisco alla Magistratura, alla GdF, alla Polizia (Postale in particolare). Di fronte a migliaia di amatori che si iniettano veleno per la loro testa tarlata, l’azione ridicola dei “Controllori” marca il passo, quasi a voler dire che ne hanno poca voglia….. L’unica presenza della loro mansione si vede verso i ciclisti agonisti, o meglio, i professionisti.
La società è inquinata, non ha più valori, qui giustamente è stato richiamato Pasolini, ma ciò che è più grave è l’indifferenza della politica legata a quel business che, nella fattispecie dei suoi scranni, oltre al danaro gioca voti, quindi perché dare spago affinché il flagello doping venga sonoramente schiaffeggiato? In fondo muove soldi, delinquenza funzionale allo status quo e tante masse imbecilli pronte a non muovere nulla che possa dar fastidio a lor signori. Ecco dunque gli amatori, non tutti ci mancherebbe, ma una fetta in grado di portare all’ennesima potenza i numeri degli agonisti, calcio escluso. Ecco le palestre, i santoni dell’allenamento tutti votati all’alchimia chimica e non alla conoscenza. Ecco gli acquirenti di un mercato sommerso… neanche tanto. E quando non possono le farmacie, le indicazioni degli esperti untori, trovano soddisfazione sul vasto mondo del web.
Certi magistrati che fanno la morale, e che in Italia su questo tema non sono assolutamente credibili, si guardino il link che sto per postare e scopriranno, se non si son fatti la solita enorme sniffata di ipocrisia, un mercato di porcherie, acquistabili tranquillamente da casa, su semplice indicazione dei santoni….
www.eurochemlabs.com

Eccolo qua, dunque, un sito dei tanti, e come l’ho scoperto io, grazie ad un amico giornalista, potrebbero vederlo anche lor signori, o quei loro colleghi di studi (se si chiudesse la facoltà di giurisprudenza per in po’ d’anni e si cancellassero il 30-35% delle leggi ferma-vita, un alone d’aria pura scorrerebbe sul nostro Paese) che si scandalizzano per un monumento ad uno morto per overdose, forse perché non hanno occhi per vedere gli stanzoni parlamentari e tanti vip di quel potere che se ne sbatte altamente delle loro divise.
Si tratta di un fornitore, o distributore di “benzina”, o “farmacia tascabile”, che dovrebbe essere leggibile e capibile anche a quelli con baffi sulle giacche, o con toghe, o quelli che ci vengono a chiedere i voti….
Il doping non si combatte sui ciclisti agonisti-professionisti (infima minoranza dell’universo sportivo), il doping è sotto gli occhi di tutti e alla conoscenza di tutti, come diceva colui che è stato eletto dalla vergogna più grande di questa Italietta della “libera volpe nel libero pollaio”, come agnello sacrificale sul cui sangue costruire la verginità degli ipocriti. Il doping si combatte orizzontalmente su tutto lo sport in maniera uguale e con le medesime regole, soprattutto si toglie la possibilità di farlo proliferare, costruendo una società molto diversa dalla schifezza insulsa e deficiente di oggi.
Il doping non lo scoprono i tribunali, semmai questi lo rendono con l’operato dei loro lavoranti cottimisti con sindrome di una grandezza che non hanno, una dimostrazione di quanto sia malata una società che destina a quelle stanze d’ultimo intervento, la via per riappacificare le coscienze. Il tutto nella droga dell’ipocrisia e dell’ignavia: due neoplasie più incurabili di qualsiasi cancro.

Non sono dunque gli ANTIPANTANI che fanno pulizia: questi son solo il frutto di una società basata su un potere che, per continuare a germogliare la propria tela infernale, sceglie di usare la propaganda di chi non ha armi per pensare, capire e correggere, oppure di chi, per qualche biglietto di schifezza in più, venderebbe la propria madre al primo mercato utile.

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 06/06/2006 alle 02:59
Ciò che in questi giorni sta avvenendo, può considerarsi un ulteriore tarlo per l’etica dello sport. Calcio marcio e doping, sono espressioni delle naturali predisposizioni umane verso la devianza a scopo tornacontista, purtroppo oggi esaltate a dismisura dalla nostra malata società.
In questo spazio, si succedono continuamente thread che trattano più o meno con tangibilità queste direzioni, pur partendo dai tasselli più vari. Non ho lo spirito, il tempo e, soprattutto, la voglia di intervenire, inseguire o rispondere. Perciò prima di accomiatarmi, riporto alla luce un intervento, piuttosto lontano, dove però mi rivedo completamente. Ho quindi modo di dire, senza ricercare gli stimoli che non mi sono più compagni. Certo, si tratta di una palla, come le tante altre che ho seminato qua e che qualcuno mi ha fatto notare, ma c’è sempre il “telecomando” del mouse.....

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 06/06/2006 alle 03:24
L'ho aperto, richiuso dopo un attimo... in mezzo un istante in cui ho rabbrividito, seppur ben cosciente che non sarà neanche l'unico!

Continuiamo a voler sconfiggere l'apparenza, che alla sostanza, anzi alle sostanze, ci pensano gli altri.....

 

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Giuseppe Matranga

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 07/06/2006 alle 11:55
Caro Giuseppe, una società malata interessa al potere, perché gli è funzionale. Per far germogliare le malattie tutto fa brodo….ma niente, in Italia, è meglio del calcio. L’etica dello sport, è un baluardo che infastidisce, perché se da questo tassello dovesse nascere concretezza, gli echi potrebbero scatenare spinte propulsive verso altri tasselli del mosaico sociale. In altre parole un riflesso della società come lo sport, da satellite, potrebbe divenire pianeta.
Ciò che avviene in questi giorni, nella sua gravità, è stupendo per quei pochi onesti studiosi della sociologia e della psicologia sociale, ma a questo mazzetto di “non conformisti” giunge il guano di un oceano di ignoranza collettiva costruita ad hoc, per un obiettivo: non far pensare.

Ciao!

 

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Livello Miguel Indurain




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  postato il 07/06/2006 alle 12:00
Anch' io ho dato uno sguardo....mamma mia !

A mettersi quella roba in corpo, si deve avere una visione come quella dei cavallini da calesse...

ORRORE.

 

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Tutto dipende...!


 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 07/06/2006 alle 21:42
Originariamente inviato da itammb

Anch' io ho dato uno sguardo....mamma mia !

A mettersi quella roba in corpo, si deve avere una visione come quella dei cavallini da calesse...

ORRORE.


Anche il doping ha la sua età....

Ci sono versioni nuove, in questi giorni testate in maniera "over" in una maqnifestazione che si tiene in Germania.

C'è poi la rivoluzione che non lascia tracce....che parte dal DNA....Il famoso doping genetico. Per ora esclusiva di pochissimi, ma in un lustro diverrà patrimonio dello sport di vertice....
A tal proposito.... dalla Pensylvania con furore, come ha dimostrato qualcuno....

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 08/06/2006 alle 08:29
Finalmente l'ho letto (a tratti un po' di corsa) ... molto interessante, e più che appropriato il riferimento alle migliaia di amatori vs. i pochi professionisti.
 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 08/06/2006 alle 08:40
Ricordo una volta, quando mio fratello era Juniores, (e non ha mai vinto una corsa) - ma nemmeno arrivata tra i primi 20 - che il suo allenatore prima di una gara ha dato una pasticca ai più forti. (l'allenatore lavorava in una farmacia, perciò sapeva cosa era lecito e cosa no! E soprattutto sapeva cosa era pericoloso e cosa no!)
Quei due che era già bravi di per sè, hanno stravinto.
I genitori che assistevano alla gara erano impazziti di gioia, ma mi sono sempre domandata se avessero mai saputo niente.

 

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Michela
"Stiamo Insieme, Vinciamo Insieme - Ivan Basso"


Vita in te ci credo le nebbie si diradano e oramai ti vedo non è stato facile uscire da un passato che mi ha lavato l'anima fino quasi a renderla un po' sdrucita. Anche gli angeli capita a volte sai si sporcano ma la sofferenza tocca il limite e cosi cancella tutto e rinasce un fiore sopra un fatto brutto



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Livello Fausto Coppi




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  postato il 09/06/2006 alle 08:52
IL CASO - Riprende domani il processo contro Coni, Fci e Lega aperto dall'ex prof Marchetti
Roma - giovedì 8 giugno 2006 - Riprenderà domani mattina davanti al giudice Eugenio Curatola della seconda sezione civile del tribunale di Roma il processo contro il Coni, la Federazione ciclistica italiana e la Lega ciclismo professionistico chiamati in causa dall'ex ciclista professionista Maurizio Marchetti, di Sezze Romano (Frosinone), che nel lontano 1997 abbandonò il ciclismo.
La causa civile attivata da Marchetti punta a stabilire, per la prima volta in Italia, se pratiche di doping su atleti che hanno falsato le gare cui partecipava lo stesso Marchetti possano avere pregiudicato la carriera agonistica e sportiva di un concorrente, Marchetti in questo caso, non dopato.
Marchetti ed i suoi legali, gli avvocati Roberto Mantovano e Adriano Casellato, citano come prove d'accusa la sentenza del processo doping di Ferrara, che ha prescritto il reato di frode sportiva per Francesco Conconi, e la motivazione del processo di Bologna, in cui il giudice Maurizio Passerini aveva condannato il medico sportivo Michele Ferrari, ex braccio destro di Conconi (nel frattempo, in appello Ferrari è stato prescritto dalla frode sportiva e assolto dalla somministrazione illegale di farmaci).
Le richieste di Marchetti di danni materiali ed esistenziali per perdita di chance vengono del tutto rigettate da Coni, Federazione ciclistica e Lega.

Siamo tutti uguali davanti alla legge

 

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  postato il 27/07/2006 alle 12:41
Riporto su questo thread, quantomai d'attualità...

 

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Mario Casaldi - Cicloweb.it

CICLISTI
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 27/07/2006 alle 13:50
Potrebbe la Federazione italiana intentare causa all'UCI, in caso l'indagine spagnola non portasse prove reali di responsabilità di Basso, per l'estromissione dalla competizione francese di un suo atleta favorito e possibile vincitore, adducendo il sospetto che sia stato allontanato senza valido motivo di illecito sportivo, essendo, la Federazione, organismo regolato dallo Stato e quindi non influenzato dalle regole autonome delle squadre professionistiche?

Potrebbe essere la tattica efficace per evitare successivi suicidi ciclistici del Tour. Gli italiani hanno già pagato fin troppo ai francesi permalosetti, con Cipollini e Pantani, è ora che la Federazione mostri un po' le biglie.

 

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Michela
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 18/03/2008 alle 11:56
...Mi attacco a questo thread sepolto, che trovo sempre attuale, per non disturbare un paio di thread “vivi”, con le poche righe che seguono, molto personali. Aggiungo per questo un quote, presente nel thread sul doping....

Originariamente inviato da omar ….

Riguardo il tuo giudizio su quella persona, non replico perchè mi è stato proibito, pena il ban, mi basta dire che sono in completo disaccordo e non sono di certo il solo, e i motivi gli ho elencati varie volte.


Mi ripeterò, ma non ho alternative.

Da due anni circa, ogni mia presenza con continuità qui, è stata accompagnata dal ricevimento di mail ignote (tre con virus allegato), con ogni tipo di insulto, talvolta anche ben scritto. In questo lasso, i miei allontanamenti a mo’ di prova, hanno confermato quanto il problema stia qui, nella mia presenza e nei conseguenti rapporti.

Sono stato accusato di aver cacciato gente, di essere asfissiante, di aver reso noioso questo luogo. Può anche essere, ma l’importante, mi si permetta, è che mi sento a posto con la mia coscienza. Soprattutto, quando penso a tutte le polemiche possibili che ho evitato, per timore di trascendere o di recare qualche danno al luogo.

Ho sempre cercato, commettendo anche degli errori, chi, in qualche modo mi, voleva lontano e se il problema ero io, o qualcosa che si legava ad un sito in grande crescita, come Cicloweb. Chi mi definiva presuntuoso, può dormire tranquillo, mi sono curato: ho capito che il tarlo è il sottoscritto.

Ma se questo è l’oscuro del dietro le quinte, il chiaro, è stato, se vogliamo, ben peggiore.
Grazie all’utente Omar, sono divenuto qualcosa che rasenta la schifezza. Tutto quel che ho fatto o che so, dai successi in tante discipline, agli attestati, alle conferenze non solo in Italia, che qualcuno conosce, o ha avuto modi di constatare dalla mia voce, s’è andato a far benedire dal dio degli zambottini. Come dire: Morris è un impostore, un cogli.one esibizionista, perché non porta le fonti, o perché non è un copia incolla.

Ma non è finita: grazie ad Omar, sono pure uno che scrive storie da quattro soldi, un nostalgico, un ciarlatano e condisce il tutto con l’ultima frase quotata.
Okay, se altri mi giudicano in sincronia con ciò che lui sostiene, si facciano vivi, in maniera riconoscibile e non con mail fittizie, magari con virus allegati. Lo facciano in pvt, non qui. Abbiano il coraggio delle proprie azioni.

Infine, colgo occasione per ricordare a certi giovani, che non hanno e, probabilmente non avranno mai, lo spessore per fare i giornalisti o i divulgatori, che non sono io a determinare le scelte del sito, ma l’intelligenza e la conoscenza di chi lo dirige. E dovrebbero pure sapere, che ci sono tanti altri giovani, qui, a cui ho lasciato qualcosa.

Saluti.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 18/03/2008 alle 12:21
Originariamente inviato da Morris

...Mi attacco a questo thread sepolto, che trovo sempre attuale, per non disturbare un paio di thread “vivi”, con le poche righe che seguono, molto personali. Aggiungo per questo un quote, presente nel thread sul doping....

Originariamente inviato da omar ….

Riguardo il tuo giudizio su quella persona, non replico perchè mi è stato proibito, pena il ban, mi basta dire che sono in completo disaccordo e non sono di certo il solo, e i motivi gli ho elencati varie volte.


Mi ripeterò, ma non ho alternative.

Da due anni circa, ogni mia presenza con continuità qui, è stata accompagnata dal ricevimento di mail ignote (tre con virus allegato), con ogni tipo di insulto, talvolta anche ben scritto. In questo lasso, i miei allontanamenti a mo’ di prova, hanno confermato quanto il problema stia qui, nella mia presenza e nei conseguenti rapporti.

Sono stato accusato di aver cacciato gente, di essere asfissiante, di aver reso noioso questo luogo. Può anche essere, ma l’importante, mi si permetta, è che mi sento a posto con la mia coscienza. Soprattutto, quando penso a tutte le polemiche possibili che ho evitato, per timore di trascendere o di recare qualche danno al luogo.

Ho sempre cercato, commettendo anche degli errori, chi, in qualche modo mi, voleva lontano e se il problema ero io, o qualcosa che si legava ad un sito in grande crescita, come Cicloweb. Chi mi definiva presuntuoso, può dormire tranquillo, mi sono curato: ho capito che il tarlo è il sottoscritto.

Ma se questo è l’oscuro del dietro le quinte, il chiaro, è stato, se vogliamo, ben peggiore.
Grazie all’utente Omar, sono divenuto qualcosa che rasenta la schifezza. Tutto quel che ho fatto o che so, dai successi in tante discipline, agli attestati, alle conferenze non solo in Italia, che qualcuno conosce, o ha avuto modi di constatare dalla mia voce, s’è andato a far benedire dal dio degli zambottini. Come dire: Morris è un impostore, un cogli.one esibizionista, perché non porta le fonti, o perché non è un copia incolla.

Ma non è finita: grazie ad Omar, sono pure uno che scrive storie da quattro soldi, un nostalgico, un ciarlatano e condisce il tutto con l’ultima frase quotata.
Okay, se altri mi giudicano in sincronia con ciò che lui sostiene, si facciano vivi, in maniera riconoscibile e non con mail fittizie, magari con virus allegati. Lo facciano in pvt, non qui. Abbiano il coraggio delle proprie azioni.

Infine, colgo occasione per ricordare a certi giovani, che non hanno e, probabilmente non avranno mai, lo spessore per fare i giornalisti o i divulgatori, che non sono io a determinare le scelte del sito, ma l’intelligenza e la conoscenza di chi lo dirige. E dovrebbero pure sapere, che ci sono tanti altri giovani, qui, a cui ho lasciato qualcosa.

Saluti.


Ti rispondo , non usando nessuna polemica , ma solo per chiarire, anche se con te è difficile, in modo amichevole.
Innanzitutto ti assicuro che io con virus, minaccie e altro non centro assolutamente nulla, quindi non capisco se volevi farlo implicitamente, ma per favore non accusare me di tali nefandezze, oltretutto io ti ho sempre detto tutto in faccia.
Io non conosco il tuo passato , e a dire il vero non credo che sia poi molto importante, ma leggo quello che scrivi qui, e , se noto qualcosa che riconosco essere sbagliato, faccio domande e faccio notare ciò.
Pensa un po a come spesso tu rispondi chi ti contesta, pensa a quella discussione in cui consigliasti ad un utente di spararsi perchè educatamente ti contraddiceva, pensa alla teoria sulla potenza di Hamilton e di Cancellara, pensa a quando mi definisti idiota perchè avevo postato l'articolo di un medico che esponeva risultati scientifici che erano contrari alle tue idee.... Perchè adesso fai la vittima?
Ti ho definito nostalgico mica perchè volevo insultarti in modo originale, ma perchè se in ogni tuo post fai sottintendere che prima si che erano campioni, ora solo esseri cresciuti ad ormoni... Anche la periodizzazione sarebbe solo un qualcosa per dopati, ignori che forse la scienza dell'allenamento è un qualcosa di serio, e che forse il mondo può essere migliore di quando tu eri giovane.
Ciao

 

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"Venderesti entrambi gli occhi per un milione di dollari... o le gambe... o le mani... o gli orecchi? Fai la somma di quello che hai e scoprirai che non lo venderesti per tutto l'oro del mondo. Le cose migliori della vita sono le tue, se riesci ad apprezzarle".
Dale Carnegie

"Non lamentatevi di quello che non avete. Usate quello che avete. Fare meno del vostro meglio è un peccato. Tutti noi abbiamo il potenziale per eccellere perché l'eccellenza é determinata dalla dedizione, a noi e agli altri".
Oprah Winfrey

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 15/06/2008 alle 09:25
L'argomento che posto ora non è doping, non è ciclismo, ma parla di altri tempi, allenamento e cultura dello sport. Direi che qui è perfetto...

ROMA - “Eravamo dei reietti, quarant’anni dopo siamo diventati eroi”. Per Tommie Smith il tempo sembra essersi fermato. E’ alto, massiccio ed imponente come ai tempi del suo favoloso record: 19”83 sui 200 ai Giochi di Messico 1968. Le sue gambe, leve di impressionante lunghezza, tradiscono ancora l’agilità e il tono di quando dominava la scena mondiale e non solo per motivi agonistici. Ha lo stesso sguardo duro di quando sul podio olimpico alzò al cielo il pugno guantato di nero, assieme al compagno e collega John Carlos in difesa dei neri discriminati di tutto il mondo. Fu un pugno storico che ha segnato, per i due, anni di vicissitudini anche non felici e di battaglie. Così come il record di Mennea (19”72) in quelle ormai lontane Universiadi di Messico 1979 è diventato il simbolo di uno sport che avrebbe potuto cambiare e che ora - amaramente - semplicemente non esiste più. Oltre che il titolo dell’ultima fatica letteraria dell’ex campione pugliese. Campioni e uomini contro: Tommie Smith, Lee Evans e Pietro Mennea. Assieme per presentare il libro della Delta 3 (204 pagine, 20 euro). Una vita contro. Per questo tanto fisicamente disuguali eppure tanto simili. Gli uni per la parità dei diritti umani, l’altro per uno sport che avrebbe potuto e dovuto diventare scuola di vita e che, invece, si è trasformato in terreno di caccia per dirigenti rampanti, senza scrupoli e per il business più sfrenato. Uno sport dove la logica del rispetto dell’uomo e dell’atleta prevalesse su quella della legge dei “furbetti” e del carrierismo dei dirigenti. “Quel record del mondo non ci sarebbe stato - racconta Mennea - perché alla vigilia della partenza per le Universiadi la Federazione atletica e il suo presidente Nebiolo volevano farmi partecipare alla Coppa del Mondo di Montreal. La mia presenza serviva per le assecondare le sue mire elettorali. Gli atleti vengono spesso usati per questo. Ma questo avrebbe fatto saltare tutti i programmi di preparazione sportiva. E nello sport gli obbiettivi importanti non possono essere tanti e in fila l’uno con l’altro. Bisogna scegliere ed io avevo scelto il Messico”. Quel gesto Mennea lo pagherà caro per tutta la sua carriera, costellata di difficoltà, di incomprensioni, di cattiva stampa (spesso asservita alla dirigenza sportiva), perfino di squalifiche. Il sistema, oggi è chiaro, non ammette teste “pensanti” e capacità critiche. Messo lì, vicino a Tommie Smith, splendido sessantaquattrenne, alla presentazione del libro, stenti a capire come il piccolo Davide barlettano possa aver spodestato il Golia texano dal trono della velocità. Accadde quasi trent’anni fa, in un afoso pomeriggio di settembre del 1979. Quel 19”72, tuttora primato europeo e italiano, è durato diciassette anni, fino all’avvento del fenomeno Michael Johnson (19”32 nel 1996 alle Olimpiadi di Atlanta) ed è oggi il titolo dell’ultimo libro di Pietro Mennea. “Il record di un altro tempo”, recita il frontespizio. Ed è il simbolo di come tecnicamente in “altri tempi”, quando lo sport non era ancora del tutto l’assoluto regno del business, del profitto e degli approfittatori, fosse possibile costruire attorno alle qualità e alla incredibile disponibilità al sacrificio e alla dura vita di certosino di un atleta con tutte le motivazioni di uno che veniva dal profondo sud, risultati, record e perfino una scuola. “Avevamo capito l’importanza dell’allenamento organizzato - spiega Mennea - della periodizzazione, della costruzione teorica verificata quotidianamente sul campo”. Mennea parla sempre al plurale, alludendo a Carlo Vittori, il tecnico che in quegli anni lo allenava. Tecnico cui è grato, anche se le loro strade ad un certo punto si sono divise. Dietro a quel record undici anni di lavoro certosino, 3.950 giorni di allenamento (“compresa Pasqua, Natale e tutte le feste”), ottomila ore di lavoro, almeno 5 al giorno, oltre alle gare: 528 di cui 419 individuali e 109 staffette. Un messaggio chiaro e forte: “Lo sport insegna che per la vittoria non basta il talento ci vuole il lavoro e il sacrificio quotidiano. Nello sport come nella vita”. Un messaggio che i giovani di oggi quasi ignorano nei suoi significati più profondi. In quegli anni nacque una vera e propria “scuola italiana” dello sprint. E qui, di fronte al grande exploit dell’uomo di Barletta (12 record nell’arco di quell’epica settimana alle Universiadi) si innesta l’immagine di un misero fallimento. Quello di una società che non sa riconoscere il proprio patrimonio. Che non sa seminare e sfruttare l’esperienza e per questo è già vecchia senza essere mai stata giovane. Mennea fa un lungo elenco di ex atleti che avrebbero potuto essere capitale importante per lo sport e che fanno altro nella vita. “Preatoni è in pensione; Vincenzo Guerini è ex dirigente di banca in pensione; Luigi Benedetti è insegnante di educazione fisica; Luciano Caravani è pensionato; Gianfranco Lazzer è agente di Polizia stradale, Giovanni Grazioli e professore di educazione fisica; Stefano Tilli è titolare di uno studio fisioterapico e allena stranieri; Pier Francesco Pavoni è imprenditore nel settore delle macchine medicali; Roberto Tossi è dirigente della Banca d’Italia”. Per non parlare dello stesso Mennea, quadrilaureato (oltre ad una lunga esperienza politica in Europa), oggi dottore commercialista specializzato nello studio del diritto con particolare attenzione ai risvolti sportivi. “Se lo sport ha respinto tutte queste persone qualcuno dovrà pure chiedersi perché. Se c’è qualcosa che non funziona...”. osserva maro. E la famosa scuola atletica di Formia che aveva spodestato il regno americano dallo sprint? Tommie Smith sorride: “Per me Mennea rappresenta la Nemesi. Ma anche noi ci allenavamo duramente”. Una scuola finita nel nulla: “Oggi non c’è più niente, tant’è che dai miei tempi nella velocità non c’è più stato un finalista alle Olimpiadi”. Le responsabilità? Tante e quasi tutte di certa dirigenza sportiva ottusa e ignorante, tesa solo all’occupazione della poltrona; alla gestione del potere per il potere. Dirigenti discussi e discutibili. E spesso corruttibili. Anche questo c’è nel libro di Mennea. Una storia che parte da lontano. Mennea racconta del primo incontro con Horst Dassler il patron dell’Adidas, autentico “Tycoon” dello sport mondiale all’epoca, in grado, secondo lui, di far nominare dirigenti del Cio e persino di fare assegnare la prestigiosa sede dei Giochi: “Me lo presentò Nebiolo. Mi disse che se avessi avuto bisogno avrei potuto rivolgermi a lui. Ingenuamente gli chiesi due paia di scarpe chiodate per gareggiare...”. Quanta acqua (e quanti soldi) da allora sono passati sotto i ponti dello sport mondiale

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  postato il 15/06/2008 alle 15:18
Originariamente inviato da miky70

L'argomento che posto ora non è doping, non è ciclismo, ma parla di altri tempi, allenamento e cultura dello sport. Direi che qui è perfetto...

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Prima di tutto una culturale tirata d’orecchie al signore che ha scritto questo articolo (Capodacqua, immagino…): Tommie Smith non è mai stato massiccio, semmai lo è oggi, per le leggi del tempo, di 40 anni in più. Era un velocista col fisico da ottocentista (come dimostrano le foto che allego più avanti perché l’Eugenio se le guardi e se le studi), quasi da fenicottero, una perfetta macchina di talento e valori atletici, come forse mai nessun velocista ha potuto esibire. Le spalle larghe erano un dono di natura, ma non erano scolpite con quei muscoli che, proprio il professor Vittori, a lungo padre sportivo di Mennea, stabilì impossibili, col solo lavoro “pulito” sull’intero corpo, nelle entità superiori ai tre chili e mezzo…. Lo stesso John Carlos, di Tommie più muscoloso, era un fuscello rispetto ai colleghi di oggi, mentre Lee Evans, di cui l’articolista non parla, era invece un quattrocentista anomalo: basso e tozzo, naturalmente più pronosticabile per i duecento.





Sul resto dell’intervento, stupisce che alle condivisibili speranze e volontà di Mennea, l’estensore non aggiunga un suo mea culpa, visto il suo continuo assecondare quel palazzo del governo dello sport, esattamente il CONI, dove il Pietro ebbe, ed ha, modo di incontrare tanti dirigenti “non all’altezza”. Si chieda, il Capodacqua, o chi per lui, cosa sia l’autonomia dello sport, come avvengano le selezioni dei quadri dirigenziali e come si dipani il sistema elettivo; oppure come ci si ponga di fronte al problema di una mai avvenuta (per l’Italia) legge quadro sullo sport, o come la fandonia della legge 133/99 e la defunta 398/91, non siano altro che una trasmissione partitica, attraverso quegli enti di promozione sportiva, da sempre fondenti il solo mondo degli amatori (ovvero il trapassato remoto dello sport olimpico). Oppure si chieda come sport e scuola potrebbero integrarsi, oltre che per l’arricchimento culturale dei giovani, anche al fine di selezionare chi ha da trasmettere, scartando i bla bla bla protetti dall’impero sociologico fondato sulle massime, tipicamente italiane, del “di che ti mando io” e “del fatti i caz.zi tuoi”. Si domandi, dove potrebbero essere collocati, almeno 850 inutili e spesso incapaci dipendenti, dei circa 900 del Coni e quanta gioventù, non sempre con passato agonistico di nota, ma con bravure tangibili, possa trasferirsi verso una piena valorizzazione sociale e culturale dello sport, senza far intervenire quelle quattro lettere di sigla, immonde o dannose, a seconda delle sensibilità dell’osservatorio attento. Di materiale ne avrebbe a iosa per capire, ragionare e scrivere, anche nei riguardi di quel doping che pare essere l’unico campo ove ha qualcosa da dire. Forse capirebbe che tante alchimie sono partite, proprio da lì. Ma è chiedere troppo.

 

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