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Autore: Oggetto: OT (ma non troppo) - Eclipse

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 08/04/2007 alle 00:01
.......Nella vita ci sono momenti, a volte brevissimi, quasi dei flash che non ti possono sfuggire e che mai dimenticherai, fino a portarli perennemente con te. Ero al mare dai miei zii, avevo quindici anni, portati normalmente sul fisico, mentre la mente in caleidoscopica formazione, mi dava spesso la sensazione di essere troppo legata alle emozioni e a quelle passioni, che permeavano in me, con un’intensità tale, da recare stupore in chi mi osservava. Nel tardo pomeriggio di quel giorno, mia zia Lidia, portò me e mamma, lungo un viale che costeggiava un canale abbastanza puzzolente e ideale dimora di fastidiose zanzare. In lontananza, giungeva un suono armonico, così strano, da coinvolgere e far dimenticare quegli odiosi insetti massacratori della nostra pelle. Non ce ne rendevamo conto, ma quella musica, pian piano, ci stava portando verso di lei, sotto le non certo moderne mura di una vecchia cascina agricola, solo parzialmente riattata.

Camminavamo e guardavamo noi stessi senza parlare, ma in me, faceva capolino la voglia di scoprire se anche quelle due donne, avviate all’età della pensione e con la lirica negli epigoni dell’interesse, fossero così legate a quella armonia musicale, o alla semplice curiosità che, spesso, accompagna una passeggiata. Non tardai a conoscere la realtà di quel trasporto emotivo, grazie alle improvvise parole di zia: “Ma guarda che strano posto è questo, senti che musica Giulia, ti trasporta, mi sento leggera e ringiovanita. Piace anche a te Maurizio?” Come poteva non piacermi e glielo dissi con un cenno di capo, proprio mentre vidi sul tetto del porticato di quel vecchio stabile un’insegna rudimentale, su cui v’era scritto: “La vecchia Fattoria”. Era davvero quella cascina, la fonte di quella musica sublime! Sul retro, c’era un giardino decisamente più curato rispetto a quei muri scalcinati che evidenziavano pietre fatte a mano, ed unite tra loro da quello che in origine era fango. Un enorme panca posta vicino al pozzo, ci consentì di ascoltare seduti, quel condensato di suoni sì nuovi per le nostre orecchie. Non rimanemmo molto lì, perché mia cugina, in bicicletta, ci venne ad avvisare che la cena era pronta. Mi staccai da quel luogo col dispiacere di perdere qualcosa che era già dentro di me e, mentre ci allontanavamo, sentivo sempre più forte il richiamo di quel suono che confluì nell’arpeggiare d’una chitarra. Ora era una canzoncina apparentemente insignificante, perché cantata in inglese, ed io non ci capivo nulla, ma l’armonia ancora una volta mi illuminava i passi. Quella musica era davvero entrata in me, dovevo conoscerla e capire chi era stato a comporla e chi erano quei musicisti che m’apparvero, da subito, artisti originali ed impagabili nel trasmettere emozioni.

Quando tornai a casa, scrissi subito a Frances, in italiano naturalmente, e le spiegai cosa avevo provato sotto l’incanto di quel suono. Le chiesi se conosceva un gruppo che poteva proporre una musicalità simile, perché sapevo quanto fosse più approfondita di me. Era stata lei a farmi conoscere Janis Joplin, Jimmi Hendrix, i Doors, ma erano tutti americani come il mio piccolo amore lontano un oceano, ed a me, sinceramente, quella musica più suonata che cantata, non mi pareva espressione degli Stati Uniti. Attesi quella settimana che la posta aerea impiegava fra il mio invio, la sua sempre rapida risposta, ed il viaggio da New York a me. Quando aprii la “solita” leggerissima busta azzurra che Francis m’aveva inviato, fremevo più del solito, tale era la mia speranza di sapere chi era, o chi erano quegli artisti, ma fui ben presto deluso, perché lei non era riuscita a farsene un’idea. Ma chi erano? Dovevo per forza ritornare alla “Vecchia Fattoria” per saperlo, ma non era facile per i tempi di allora e per le possibilità che la famiglia mi lasciava, nonostante la mia indole ribelle e la constatazione, già vecchia per i miei quindici anni, di essere il “coccolato”, perché nato da due genitori che potevano essermi nonni e con un fratello e una sorella tanto distanti da me, per età e..........per le generazioni che ci dividevano.

Dovevo aspettare il momento in cui babbo, la “luce” che stavo scoprendo ogni giorno come intensissima, fosse libero da un lavoro che lo soffocava. Intanto, nella mia frazione tagliata in due dall’importante via Emilia, c’era poco da informarsi. I giovani che potevano aiutarmi, pur studiando lontano e, quindi, possibili di conoscenze impossibili a quel villaggio, in cui oltre al walzer e alle mazurke di Casadei proprio non s’andava, erano tutti in un campeggio organizzato dalla parrocchia. Senza volerlo, stavo scoprendo un tassello sociologico di quei tempi e l’incomunicabilità dovuta alla disinformazione e i preconcetti. Non mi potevano aiutare i compagni di scuola, perché eravamo in vacanza, ed a quei tempi non era facile per noi, poco più che adolescenti, arrivare allo scambio dei telefoni, anche perché, quell’aggeggio oggi presente fino alle narici, allora era ancora abbastanza raro, perlomeno nei miei luoghi. Poi babbo, come sempre, capì il mio intimo stato di ricerca, all’apparenza così leggero da confondersi con la normalità, ma lui era davvero una luce che riusciva con uno sguardo a percepire, anche quando, tutto sporco di morchia, si dipanava fra cacciaviti, martelli, o doveva lavorare il ferro uscito dalla fucina rosso infuocato, battendolo sull’incudine.
“Giarganen sa jel cun va?” – mi disse col suo dialetto inconfondibile che spesso non capivo, accompagnato dal solito mio nomignolo dialettale. Quando gli dissi che ero stato affascinato e coinvolto da una musica così armonica che alimentava il mio scrivere ed i miei sogni, i suoi occhi brillarono e non tardò ad assecondarmi con una delle sue frasi tanto brevi e rare, ma sempre più significative di quei comizi che già conoscevo e frequentavo con lui: “Giarganen i sogn je la benzina d’la vita! Sabat dop mezdé andasén a clà faturì!”

Quando arrivammo alla “Vecchia Fattoria”, quella musica aveva lasciato posto al vociare della spiaggia vicina, che si confondeva col rumore malinconico e ritmato delle onde del mare mentre incocciavano la riva. Uscì un ragazzo coi capelli lunghissimi, dall’apparente età di venticinque anni che mi guardò un po’ sorpreso, fino a sorridere quando gli spiegai il motivo della mia visita. I suoi occhi si intenerirono ulteriormente, quando vide la “Topolino B”, con la quale mio padre mi aveva portato lì e mi disse che ero il ragazzino più originale che avesse mai incontrato. A quel punto lo stupore venne a me, perché mi chiedevo come avessi potuto dare, in quei pochi attimi, una simile impressione. Il ragazzo aggiunse subito che la mia passione avrebbe trovato soddisfazione e mi disse di aspettare un poco, senza riferirmi chi fossero gli autori di quella musica. Non più di un minuto dopo tornò, porgendomi una cassettina: “Tieni questa, è la copia che abbiamo fatto noi di Atom hearth mother, l’ultimo album dei Pink Floyd. Non la fare vedere troppo in giro, ed ascoltala nel tuo mangianastri, perché immagino non avrai lo stereo che abbiamo qui, ma basta ed avanza per alimentare i tuoi sogni. Okay?” Ero così preso, che la mia faccia, evidentemente, parlava da sola e lui aggiunse: “Non mi devi nulla, è l’omaggio che diamo ad un giovane che saprà fare di questo musica, la sua colonna sonora!”

Le sue parole furono profetiche: quel gruppo e quella musica divennero una parte evidente di me, ed una costante della mia vita.
In tutti i giorni, dei trentadue anni, circa, da quel tardo pomeriggio di scoperta, ho vissuto almeno un pezzetto di quel suono inconfondibile, come un penate entrato in me, o come le scarpe che mi devo mettere la mattina.......



Da questo ricordo, scritto a spontanea velocità, trascinato sulla tastiera da quel condensato di emozioni che l’ascolto del sound pinkfloydiano, mi dona con immutata intensità da quel giorno, voglio agganciarmi al non certo dolce presente, usando il medesimo contesto di quei musicisti.
Qui, su questi spazi, come altrove nella vita reale, viviamo giornate di forte disagio, dove mettere in discussione i valori per i quali abbiamo lavorato, sembra sovente un’esigenza le cui motivazioni ci sfuggono. Non sempre abbiamo di fronte a noi un paesaggio che ci può ritemprare e farci capire da una diversa angolatura, la bellezza della vita e di quei fiori che si sacrificano ogni giorno su diverse forme, a volte anche senza uno sfondo colorato. C’è in noi la spinta che vuole cancellare la tristezza e la preoccupazione di un mondo che ci appare pietra rotolante verso un orizzonte di timori, se non vere e proprie paure, dettate dalla scarsa percezione dei confini. Ed è proprio lì che ci leghiamo, con solare infatuazione ad una musica dal suono senza pari alla nostra comprensione. Poi scopriamo il titolo e notiamo che in una parola raccoglie sinteticamente il momento che stiamo vivendo: Eclisse.
Ho finito di sognare, in parte ad occhi aperti, ed in altra parte con l’ipnosi del meccanico ticchettio di una tastiera. Quel sound spaziale che ancor mi lascia la pelle d'oca e mi intenerisce il cuore, è ancora una volta quello dei Pink Floyd, da "The dark side of the moon", disco di cui, qualche giorno fa, è stato festeggiato il trentennale.
Un capolavoro che, per l’occasione, è stato ripresentato e corretto nel suono, già sublime, curato a suo tempo da Alan Parsons e David Gilmour. Ne è uscito un CD che ha davvero dell'incredibile.
Eclipse, rappresenta il pezzo finale, un brano inizialmente composto senza soverchie ambizioni musicali, puntualmente smentite dal genio naturale dei Pink e con le parole, o meglio la poesia di Roger Waters. Le tastiere di Richard Wright, la chitarra di Dave Gilmour e le sottili percussioni di Nick Mason, dipingono la riflessione di Waters, lasciando a noi l'esigenza di superare gli ostacoli e di vivere i nostri tormenti, senza perdere noi stessi nel comunque breve volgere di un'eclisse.
"The dark side of the moon", è un autentico capolavoro e la chiusura con questo pezzo, di cui riporto oltre alla versione inglese, anche la traduzione italiana, ne è una degna firma finale.
A noi, dopo le parole che ci sfuggono o testimoniano disagio, non resta che proseguire...... facendo nostri i significati della poesia di Roger Waters........


ECLIPSE

All that you touch
all that you see
all that you taste
all you feel
all that you see
all that you love
all you distrust
all that you save
all that you deal
all that you buy
beg, borrow or steal
all you create
all you destroy
all that you do
all that you say
all that you eat
everyone you meet
all that you slight
everyone you fight
all that is now
all that is gone
all that's you see
all that to come
all that you see
and everything under the sun is in tune
but the sun is eclipsed by the moon.


ECLISSE

Tutto ciò che tocchi
tutto ciò che vedi
tutto ciò che assaggi
tutto ciò che senti
tutto ciò che ami
tutto ciò che odi
tutto ciò di cui diffidi
tutto ciò che salvi
tutto ciò che dai
tutto ciò che vendi
tutto ciò che compri
implori, prendi in prestito o rubi
tutto ciò che crei
tutto ciò che distruggi
tutto ciò che fai
tutto ciò che dici
tutto ciò che mangi
tutti quelli che incontri
tutti quelli che non rispetti
tutti quelli che combatti
tutto ciò che è presente
tutto ciò che è passato
tutto ciò che è futuro
è tutto sotto il sole, è in sincronia
ma il sole è eclissato dalla luna.


Per ricondurre questo spezzone tratto dai miei cari “Segnali di fumo”, ai temi di questi giorni, tanto discussi qui su Cicloweb, basta solo sostituire l’ultima parola del testo-poesia di Roger Waters. Al posto di “luna”, inserire “uomo”: il disturbo-satellite del sole. Quell’essere che non vuole ammettere l’errore e che non si fa ragione della sua infinitesimale piccolezza. Come un cuore bandito su uno sfondo di ghiaccio, ignaro delle religioni e di quell’etica anche laica, stavolta sì, opportunamente menzionabile.
L’uomo che attende un giorno che può essere come gli altri, dimenticando i perché di una parte, ma raccogliendo il chiasma di chi, in quella parte, evita gli stessi perché, per elevarsi all’ipotetico punto di partenza. E’ un uomo, un semplice uomo, che si storna da ciò che di lui ha tracciato la divinità o le semplici casualità, per non essere e rendere ancor più utopistico, o semplicemente banale, quel “super” sognato da Nietzsche. Ogni cosa, o aspetto che sia, si confronta, senza mai distogliersi da quella mano che lancia agli altri le colpe che son di tutti. Già, fino a rendere Gesù di Nazareth, Max Weber e Karl Marx, dei cantastorie senza capo né coda.

……e tutto sotto il sole, è in sincronia
ma il sole è eclissato dall’uomo.

Con l’amarezza che si tinge di sconforto, si deve trovare la forza, o la non ancor definita prassi, per augurare: Buona Pasqua!


 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 3270
Registrato: Jul 2005

  postato il 08/04/2007 alle 00:08
Grazie per queste parole Morris auguri di buona Pasqua a te e a tutto il forum!

 

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Il procuratore aggiunto di Catania Renato Papa: Nel 2003 è stato abrogato un comma della legge che permetteva l'arresto dei diffidati recidivi, e di chi non si presentava alla firma. E questo è stato un grave gesto di debolezza.
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Baci riddler/Massimo

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 08/04/2007 alle 16:52


 
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