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Autore: Oggetto: Tenco, un artista immortale

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 28/12/2006 alle 14:33
Bèh…a volte può capitare di ricevere una mail particolare, che devia dagli auguri del periodo, o dal solito ormai immediatamente cancellato, non proprio simpatico o gradevole, che pare trovare anche in questo sito un nido di provenienza. Il testo, ripropone interamente un paio di pagine di un mio libro, senza nessuna presentazione, ma con la sola aggiunta finale di in un “Grazie” che, confesso, m’ha fatto enorme piacere. L’oggetto lo voglio riportare qui: risale al novembre del 1991 e lo trasmetto con l’unica correzione di una data, finita nel libro per la mia idiosincrasia verso la….lettura delle bozze.

da "Segnali di fumo".....


………Ascoltare la radio, mentre i chilometri d’autostrada si consumano, può bastare per risvegliare i ricordi. A volte arrivano così intensi da sentire il bisogno di trasportarli sulla tastiera. Specie se la navigazione della mente, incontra il veliero di un cantautore che ha raccolto come pochi il vento dell’arte e che si scopre ogni giorno, perché la sua epopea è immortale ……..

TENCO, UN ARTISTA IMMORTALE



Luigi Tenco era un figlio del suo tempo, di quegli anni che vivevo fanciullo, memorizzandoli, per capirli bene nel domani. Già, gli anni sessanta, quelli che qualcuno ha definito favolosi, soprattutto nella prima metà, trasmettevano effettivamente nella gente la sensazione del prossimo arrivo dell’agiatezza e il chimerico sogno della felicità. Una lettura che aiutava e spingeva a liberare pensieri, a fare progetti, a compassare tristezze come sempre avviene quando ci si trova ad attendere un positivo momento. Si sognava e si lavorava vivendo le emozioni di quei segmenti d’esistenza, con un cuore che ancora batteva vispo, nel bene e nel male. Lo scenario politico fatto di personaggi decisamente superiori a quelli che poi vedremo susseguirsi negli anni, si poggiava su una società con tante lacune, ma pure con solide certezze. Era l’Italia che aveva superato il tentativo di restaurazione oscurantista di Tambroni, che non aveva capito “una mazza” del caso Mattei, che si avviava al “centro sinistra” con la volontà di garantire e guidare i processi della seconda fase dell’industrializzazione del Paese. La guerra fredda, dopo la tensione su Cuba e l’infausto, nonché cretino intervento americano in Vietnam, si stava proiettando a piè morto sull’astronautica e la conquista della Luna, superando, spesso, per intensità di presa, le grandi morti di quel tempo (Papa Giovanni XXIII su tutte), ed anche di quelle che mai saranno spiegate come il suicidio (?) di Marylin Monroe e l’uccisione del suo ex amante John Kennedy, nel pieno del suo mandato presidenziale.
Si masticava e superava tutto senza eccessivi shock, perché il lento cammino dell’ogni giorno scorreva sulle piste della speranza e della crescente convinzione sulle facoltà dell’uomo. In realtà erano anni contraddittori, ma nessuno poteva vederli per quello che effettivamente erano. Chi dominava gli interni, era l’autoconvinzione che i sogni diventano realtà, ecco perché il termine favolosi, calza in maniera opportuna. Le angosce d’ogni io permeavano, ma non sempre si leggevano, spesso si manifestavano nella noia d’un appagamento infatuatosi dell’attesa d’una evidente luce. Non si capiva il proprio reale ruolo e la tremenda esigenza di rendere atto a se stessi che la vita è come una selva, dove il protagonista è solo l’io destinato ad accoppiarsi col prossimo e gli altri, per una necessità che a volte si ha il coraggio incosciente di chiamare amore. Proprio quando tutto è amore e nessuno può anticipare gli altri e rendersi esclusivo.
Luigi Tenco dunque viveva quelle quotidianità, a volte noiose fino all’insostenibile, e lo faceva dipingendosi sullo sfondo della musica. Era artista tale da raccontare senza essere capito e qui stava una sua prima grandezza. Era cantante che si interpretava, con le sue non certo eccelse doti vocali: potrei dire “un grande attore a cui sottopongono una canzone, sulla quale guarda solo il testo e lo recita con quello che le corde vocali gli donano”. Era capace di esprimere nel contenuto l’universo umano più comune: l’uomo di fronte al quotidiano, coi suoi timori, le sue angosce ed i pochi momenti di lucidità gioiosa, proiettati sulla sua incancellabile esigenza di sentirsi protetto. Qui sta la sua seconda grandezza, ed una frase come: “mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare”, rappresenta uno spaccato incancellabile di acutezza che andava studiata nell’ambito delle scienze sociali.
S’è detto di lui che era triste e che trasmetteva grigio pessimismo. In realtà era solo un poeta, un lucido poeta realista, fastidioso all’imbecillità o crudeltà dei burattinai, che viveva il suo corso d’esistenza insegnando col piano e la chitarra, quanta crescita serva per non avere timori a raccontarsi. La speranza e l’amore vissuto come cordone ombelicale col mondo che lo circondava e dove la donna recitava un passaggio tanto vago, quanto intenso, al punto di rendere drammatica la solitudine. Dirsi “ciao” come filo di lana di fronte alle possibili storture e vere e proprie forbici di vita, pessimismo di ragione e di chiarore, nell’arrivo del caos e dell’indifferenza.
Le voci che echeggiavano una sull’altra nella strada, filo conduttore di chi deve, vuole o involontariamente procede, all’esecuzione sfumata delle stanze di meditazione.
In Tenco le parole non sono mai state banali, anche se a volte sembravano eccessivamente semplici, in realtà rappresentavano una sociologia che si avviava a rendersi complessa, dimenticando il protagonista principale: l’uomo. Non era dunque quel cantautore politicizzato come tanti suoi successori. Ad onor del vero, lui era più politico di loro, proprio perché partiva dalla fonte della politica: il diritto dell’essere umano di capire se stesso e di vivere insieme agli altri, con quel decoro dato dalla sua non cancellazione.
Luigi Tenco, probabilmente non morì suicida ricercato, forse fu un tragico gioco sullo sfondo della sua vita ai limiti delle capacità di sopportazione del conformismo. In ogni caso l’unica certezza, non solo esteriore, ci viene dal fatto che la morte sia sopraggiunta a Sanremo, simbolo per molti in quegli anni e tutt’oggi, di un mondo che ha dimenticato l’arte per trasformarsi in business di settore. Lui odiava il Festival, vi andava per campare, come fanno tanti altri artisti per fame, prendendosi poi le critiche dei “poveracci veri”, i critici appunto.
Quanti pittori, scultori ecc. per vivere han dovuto fare quello che per libera scelta mai avrebbero voluto?
Sanremo, per Tenco, rappresentava il terreno ideale per il suicidio, o per un tragico ed immensamente masochistico gioco. Era luogo di gara in un campo soggettivo, quindi una falsità, esattamente come gli immondi concorsi di poesia ecc. Era proprio il luogo che Luigi odiava con tutte le sue forze. Tenco, sapeva in partenza di essere ucciso lì, in quel teatro dove già imperversava l’ipocrisia e dove la banalità della stupidaggine, trionfa su un suggestionato e sordo immaginario collettivo. La sua morte ne rappresentava l’epitaffio più significativo e lui lo sapeva, anche prima dell’attimo fatale. Qualunque fossero le sue decise ed immediate intenzioni, lui voleva dare un esempio non per farsi pubblicità, ma per svegliare menti intontite. Dopo oltre vent’anni ancor non s’è capito.
Resta il suo messaggio, la sua arte, la sua grandezza, il suo originale modo di raccontare il suo tempo, mentre ci osserva inebriato per l’interpretazione delle sue opere da parte di un’artista come Mina. Una divina che non ha mai creato, ma ha sempre elaborato, col medesimo talento di chi aveva creato.
Luigi Tenco non è morto, ha solo dato un esempio di come si possa essere inutili e falsi se non si sa leggere l’esistenza che scorre e di come siamo infatuati di nulla, quando ignoriamo da dove provengano i nostri perché.
Ciao Luigi, il tuo cordone oggi è una fune, perché ci siamo invecchiati con te ed abbiamo ancora la forza per piangere e per ridere. (06/11/1991)

Morris

 

[Modificato il 28/12/2006 alle 16:39 by Monsieur 40%]

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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Utente del mese Agosto 2009




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Registrato: Oct 2005

  postato il 28/12/2006 alle 16:38
Lo ricordo con una bellissima canzone: Festival di De Gregori (Bufalo Bill, 1976)

Nella la città dei fiori disse chi lo vide passare
che forse aveva bevuto troppo ma per lui era normale.
Qualcuno pensò fu problema di donne,
un altro disse proprio come Marylin Monroe.
Lo portarono via in duecento,
peccato fosse solo quando se ne andò.
La notte che presero il vino e ci lavarono la strada.
Chi ha ucciso quel giovane angelo che girava senza spada?

E l'uomo della televisione disse:
"Nessuna lacrima vada sprecata, in fin dei conti cosa
c'è di più bello della vita, la primavera è quasi cominciata".
Qualcuno ricordò che aveva dei debiti,
mormorò sottobanco che quello era il motivo.
Era pieno di tranquillanti, ma non era un ragazzo cattivo.
La notte che presero le sue mani
e le usarono per un applauso più forte.
Chi ha ucciso il piccolo principe che non credeva nella morte?

E lontano lontano si può dire di tutto,
non che il silenzio non sia stato osservato.
L'inviato della pagina musicale scrisse:
"Tutto è stato pagato".
Si ritrovarono dietro il palco,
con gli occhi sudati e le mani in tasca,
tutti dicevano "Io sono stato suo padre!",
purchè lo spettacolo non finisca.
La notte che tutti andarono a cena
e canticchiarono "La vie en rose".
Chi ha ucciso il figlio della portiera,
che aveva fretta e che non si fermò?

E così fù la fine del gioco,
con gli amici venuti da lontano,
a deporre una rosa sulla cronaca nera,
a chiudere un occhio, a stringere una mano.
Alcuni lo ricordano ancora mentre accende una sigaretta,
altri ne hanno fatto un monumento
per dimenticare un pò più in fretta.
La notte che presero il vino e ci lavarono la strada.
Chi ha ucciso quel giovane angelo che girava senza spada?

 

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Vorrei morire in bici, in un giorno di sole, dopo aver scalato una di quelle montagne che sembrano protendersi verso il cielo, mi adagerei sull'erba fresca senza rimpianti, attendendo con serenità il compiersi del mio tempo. Non importa se sarà ...oggi o tra cent'anni, avrò in ogni caso trovato il mio giorno perfetto.

 
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Livello Fausto Coppi




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Registrato: May 2005

  postato il 28/12/2006 alle 20:30
Avevo già letto il ritratto di Tenco sul libro Segnali di Fumo... ma rileggerlo fa sempre piacere.
Ed è di sconvolgente bellezza e verità questa frase...

Luigi Tenco non è morto, ha solo dato un esempio di come si possa essere inutili e falsi se non si sa leggere l’esistenza che scorre e di come siamo infatuati di nulla, quando ignoriamo da dove provengano i nostri perché.

... da brivido, non c'è che dire.

 

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Lo stupido sa molto, l'intelligente sa poco, il saggio non sa nulla... MA EL MONA EL SA TUTO!!! (copyright sconosciuto)

ADOTTA ANCHE TU UNA AMY WINEHOUSE!!! Mangia poco, non sporca... e aspira tutta la polvere che hai in casa!

 
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Livello Fausto Coppi




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Registrato: Jun 2005

  postato il 28/12/2006 alle 22:01
Ringrazio Morris per l'intenso ritratto di Luigi Tenco, una figura che ancora oggi suscita interesse, sebbene siano passati quasi quarant'anni dalla sua scomparsa.

Sull'artista si è detto molto. E'opinione diffusa che fosse ottimo musicista, ottimo autore e discreto cantante.
Non tutte le sue canzoni sono riuscite al cento per cento , ma almeno alcune le ascolto volentieri ancora oggi.
Sul'uomo si è detto - se possibile- ancora di più
Affascinante e contraddittorio al tempo stesso. Sofferto e intrigante.
Era uomo di campagna, ma non amava essere considerato tale.
Era antimilitarista, ma coltivava una forte passione per le armi.
Non era un cantante "commerciale", eppure soffriva se un suo disco non vendeva.
Non amava i Festival, ma a quel Sanremo pensava di vincere.
Bruno Lauzi( che gli fu amico) ne ha fornito un ritratto che può apparire impietoso: narcisista depresso, lo ha definito. Non so se corrisponda alla realtà.
Io penso che Luigi fosse un ragazzo fragile, tormentato, complesso, in una costante crisi d'identità. Per questo è tuttora affascinante

Poi la sua fine. Un vero e proprio giallo. Neppure la recente riapertura del caso (fu suicidio, è stata la conclusione) ha contribuito a fare realmente chiarezza su quel che accadde in quella camera dell'albergo Savoy.
Sandro Ciotti, che era vicino di stanza, non sentì alcun colpo di pistola.
Lucio Dalla non ha mai voluto rilasciare dichiarazioni.
Nella bella biografia di Aldo Fegatelli Colonna vengono analizzate e proposte diverse soluzioni tra le quali quella di una "roulette russa", un gioco con Dalida finito in tragedia.

Restano le sue canzoni, oltre le mode e le contigenze.

Io sono uno
che parla troppo poco
questo e vero,
ma nel mondo c'è già tanta gente
che parla ,parla, parla sempre,
che pretende di farsi sentire
e non ha niente da dire


 
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