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Autore: Oggetto: Mitologia: Pantani, insieme moderno di Apollo e Pan.

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 31/10/2006 alle 01:54
Un tempo, la mitologia era un motore degli studi classici, un riferimento per costruire nei giovani il volto vero delle metafore, ed a concepire il versante più profondo della retorica. La fantasia greca, che era stata sì capace di condensare quel pragmatismo che portò al dominio militare senza disperderne mai gli aspetti culturali, trovava nella mitologia, tanto la sovrastruttura della religione pagana, quanto il solco più evidente di un’antropologia che ha poi segnato l’intera storia umana. Quel tronco culturale che è passato sull’intera terra attraverso le trasmissioni delle conquiste, dei cambiamenti sociali, degli stessi confini fra popoli e stati, s’è inchinato anch’esso alle sempre crescenti barbarie dei difetti umani spinti all’ennesima potenza dal danaro, ma non è scomparso. Nella nostra ellisse, fra gli istmi e le autostrade più apparenti che reali del nostro cammino, quel filone culturale che potremmo ormai definire ancestrale, ogni tanto fa capolino e lo ritroviamo come un’oasi che ci può far sognare, fantasticare, ma anche insegnarci un’elevazione che i pragmatici bigliettoni, mai e poi mai potranno. Sì, la mitologia, che i vecchi come me han sempre tenuto come autoctona riserva per sorridere nell’interno, aldilà dell’apparenza esterna, continua a generare i suoi impianti e le similitudini nell’ogni incontro, fino ad intenerire ed alleggerire l’animo verso il prossimo. Della fantasia greca, prima ancora dei sontuosi ed illuminati ricettori romani, giungono richiami che si librano inimmaginabili anche in chi sembra moderno o troppo figlio dell’odierna “era della fretta”. E’ trascinante condensare quei flash fra passato lontanissimo ed immaginario sulle spalle di figure presenti, ma diverse dal solito, le stesse che avrebbero spinto quei fulcri ellenici, a sfornare mito su un campo d’azione particolare: un distinguo da seminare sulla terra per avvicinarla al cielo.

Quando incontrai i primi segni di Marco Pantani ne rimasi affascinato, ma il fascino era ancora troppo debole di fronte al pragmatismo del narratore intriso di cronaca, di quel giornalista mai consideratosi tale, ma ugualmente votato al ruolo. La conoscenza diretta aumentava l’interesse, iniziava a far da strada al sogno e alla fantasia su un ragazzo che già appariva troppo anomalo per non entrare nel territorio degli artisti. Lui si muoveva con l’istinto, con le sensazioni per provare compiutamente se stesso. Che mi piacesse sempre più era normale, troppo normale per rimanere sulla crosta di quello status e quando il tempo, gli incontri, ed i suoi voli iniziarono la continuità dell’essenza, mi ritrovai a scavare sulle mie autoctone pagine, là, in quegli angoli che davano anche a me, il piacere di volare. Negli anni mi feci l’idea che la mitologia in qualche modo avesse di Marco tracciato qualche stampo involontariamente imitato, un qualche emulo da togliere dal condensato per capire quel ragazzo che dipingeva ogni cosa che toccava, nella sofferenza e nei disagi, quanto nelle gioie. Mi colpiva un aspetto: i suoi allenamenti totalmente istintivi e densi dell’intuito di chi sa leggere se stesso come nessuno, senza sapere quali motivazioni, magari scientifiche, ne fossero alla base, erano un riferimento, nelle sue zone, per giovani pedalatori del mezzo bicicletta, per la gente che poteva essere lungo le strade a ricercare un’occasione per vederlo. “Ho incontrato Pantani” – mi disse un giorno un giovane juniores appena mi vide. “Ho pedalato senza staccare gli occhi da lui, dal suo stile, dalla sua leggerezza, tanto, ma tanto di più di quando lo vedo in televisione, dove pure mi incollo sul video. Ero ipnotizzato e non sentivo la fatica. Era troppo bello stargli a due passi, nel silenzio di una strada di montagna”- continuò come se il suo sguardo fosse un orizzonte. “Oggi sono stato fortunato, ho visto qualcosa che né la televisione né la tanta gente incontrata sulla bicicletta, mi avevano fatto vedere. Purtroppo sono stati pochi attimi, ma era tanto tempo che cercavo l’incontro con Marco, da sentirmi più che soddisfatto” – mi raccontò un vero cicloturista da quarant’anni sulle strade. “Se lo incontri su una carreggiata, ti nasce il bisogno di farlo sempre. E dire che non ero un suo tifoso” – mi disse un amatore di quelli che corrono inseguendo il sogno di essere qualcuno. Testimonianze a decine che m’han raggiunto negli anni fino a finire nella mia squadra, attraverso le parole di una che vedevo luminosa e che tolsi dall’abbandono della carriera. Una che poi, grazie anche alla mia ingovernabilità razionale, divenne grande fino ad entrare nel novero dei dieci leggendari delle doppiette che han segnato come nessuno la storia del pedale. Una che parlava poco, difficile alla partecipazione emotiva e al dipinto del sogno da esternare a qualcuno. Lei mi parlò con le lacrime agli occhi e dal suo racconto si formò compiutamente in me, quell’interno trasporto che univa, della mitologia, un fulcro dei suoi aloni con l’inimitabile Marco Pantani.

Quella atleta m’aveva aspettato pazientemente frenando la sua immanente voglia di raccontare per condividere. L’aveva fatto a margine dalla tavola dove le compagne parlavano di argomenti che in quel tardo pomeriggio vedeva tanto secondari alla luce che l’aveva illuminata. Non voleva graffiare quel chiarore che l’aveva avvolta fino a portarla a vedere in me, uno scrigno su cui depositare quel tesoro trovato per caso. Quando mi vide mi rapì per portarmi là dove nessuna collega poteva sentirci. Era decisa, come non l’avevo mai vista. I suoi occhi neri brillavano come fossero rinfrescati da quella sottile patina che solo le lacrime di gioia sanno creare. Aveva incontrato Marco e me lo voleva dire. Sì, proprio lei, che era la compagna di uno dei gregari più importanti del suo principale avversario, era rimasta folgorata da quell’incontro. “Mi ha come preso per mano – esordì – mettendomi a mio agio col racconto di quel giorno sulle montagne dell’altura colombiana, dicendomi dei colloqui in corsa fra lui e chi sai, della sua impossibilità di scattare come voleva per la pioggia che aveva reso scivoloso un asfalto molto strano. Della consapevolezza che di questa sua impossibilità aveva un avversario che considerava leale e che stimava, ricambiato. Dovevano correre per il mondiale, erano i più forti, ma furono beffati da un campione normale. M’ha raccontato del suo amore verso la bicicletta e di quanto sia importante viverlo, sempre, come il primo giorno. Mi ha incoraggiata, dicendomi che sono brava e di quanto sia bello il mio stile tanto simile a quello del suo avversario. Secondo lui, prima o poi, diventerò una figura importante. S’è poi interessato alla mia storia e al nostro mondo, dicendomi che è necessario farci sentire, perché il ciclismo, sport di fatica e di valori, non può continuare a vivere con queste sproporzioni fra uomini e donne. Ad un certo punto, s’è ricordato che doveva raggiungere i compagni e, dopo essersi scusato, l’ho visto allontanarsi fino a sparire all’orizzonte con una velocità mai vista. Lui è immenso, non ha solamente il fascino dei campioni, ma qualcosa di molto più grande. Non mi chiedere cosa sia però, perché non sarei capace di spiegarlo nemmeno nella mia lingua”. L’avevo lasciata parlare di getto senza accennare il benché minimo frammezzo. Non l’ho mai più vista così, nemmeno quando conquistò eccelsi traguardi. Alla sua ultima frase, le lacrime, che le erano cresciute mentre il suo racconto scorreva, avevano raggiunto l’intensità ed il suono del pianto. Era l’emozione di una gioia.
Dopo poco più di un mese da quella sera, il 5 giugno 1999, l’omino perfetto su una bicicletta, colui che dipingeva tutto ciò che toccava fino a creare in chi poteva, l’intima volontà di incontrarlo sulle strade montane, fu sfregiato e colpito. Per un normale, magari intriso d’ipocrisia, opportunismo e cattiverie tipicamente umane, il colpo sarebbe stato assorbito, per un artista supremo no! Se non fosse stato così, non l’avremmo mai raccontato e gli sguardi non avrebbero mai accompagnato l’intensità di quel coacervo di emozioni che stanno fra gli occhi e il cuore. E come tutte le storie che si vogliono perfide, al colpo che straziava l’artista che si condensava nel mito, fece seguito la tortura più becera: quella che congiunge sinergica la bocca mefitica dei media, con l’inconsapevole incapacità di riconoscere il boia che può giacere in una toga.

Nei miei voli interni e totalmente autoctoni, fu l’incontro di quella mia atleta con Marco, a definire la cornice del riferimento mitologico per quel ragazzo così unico sulla bicicletta, che tutti volevano vedere da vicino, sulle medesime strade e traiettorie, per poter dire: “L’ho visto dal vivo, senza il confronto con gli altri e me lo sono impresso nel cuore”. Già, quello che scorreva, finalmente s’era congiunto e si imponeva: “Marco era una figura che sublimava Pan e Apollo!” Un po’ l’uno, ed un po’ l’altro.

Della divinità arcadica Pan, addirittura iniziale del suo agnomen, raccoglieva l’imprevedibilità (sia nel tratto agonistico di gara, che di allenamento), l’amore per le forme artistiche (per Pane, come era altresì conosciuto quel dio, la musica e la danza; per Pantani la pittura, la musica, la stessa danza, ed una sottile vocazione poetica che superava le difficoltà sintattiche). Il dio proteggeva i cacciatori ed i pescatori, a cui era legato perché li vedeva come forme estreme, o acute, di quella natura contenitore esaustivo del bisogno primario dell’uomo: sfamarsi. Per cacciare e pescare servivano pure doti di furbizia, intelligenza, resistenza ed istinto. Marco difendeva (inascoltato o usato) la sua categoria, ovvero quei ciclisti che sono spesso cacciatori e pescatori in un mare di resistenza, dove per emergere, non basta essere lì, ma servono tutte le facoltà di nascita. Di loro era sindacalista prima ancora che per ruolo, per il bisogno di difendere l’essenza della natura dello sport, ovvero, proprio l’atleta. Pan, quando era spinto dall’amore verso la naiade Siringa e lei per respingerlo si trasformò in una canna con un aculeo (di lì il termine “siringa”), seppe far diventare quell’arnese un flauto dal suono melodioso e trasportante. Pantani, nell’immedesimarsi sul sentito dipinto del ciclismo, modificò senza cancellare l’umana sofferenza, la fatica e la cattiveria delle asperità, in un inno alla bellezza di quella prova, fino a donare in chi lo guardava, l’ebbrezza e la leggerezza d’un gioioso sogno. Pan, era il dio delle selve che erano i luoghi in cui si confondeva; Marco, nei suoi dipinti, portava quei boschi che erano per lui un riferimento e che avrebbe sicuramente vissuto con intensità più estesa, se non fosse nato in quest’era metallica, intrisa dei connotati dello stress e del superficiale. La divinità arcadica era protettore dei greggi o pastori e ne presiedeva il sonno sul mezzogiorno, ma concedeva loro pure il sogno rivelatore del futuro, a volte denso di terrore (di lì il termine “timor panico”). Pantani, alle genti moderne, nelle ore di libertà, donava un gesto sublime da viversi come la costruzione, mattone su mattone, di un’illusione, ma spezzava quegli incantesimi nelle altre ore del giorno, attraverso frasi rivelatrici (spesso inascoltate), quasi sempre avveratesi, alcune così pesanti per le crude verità contenute, da spingere i carnefici alla sua possibile soppressione: in fondo era un uomo, quindi vulnerabile. Pan, non simboleggiava valore sociale o morale, ma l’istinto. Marco, i valori li voleva simboleggiare nelle interpretazioni delle gesta, non voleva ergersi esempio per confondersi prete in un mondo che i preti non li possiede manco quando ne portano vestigia, mentre dell’istinto era supremo siamese. La divinità arcadica, per il suo naturalismo, ed i significati del suo nome tradotti alla lettera dal greco (Pan, significa “il tutto”), spinse la filosofia a definire “panteisti”, coloro che affermavano che "tutto è Dio", oppure che "tutto è divino", identificando la natura come somma divinità. Panteisti furono, tra gli altri, Johannes Eckhart, Giordano Bruno, Friedrich Schelling e Wilhelm Hegel. Marco Pantani, ha avuto tutto per fare di lui l’ispiratore di una corrente che vuole leggere le gesta sportive, dall’interno del talento. Del genio e dell’istinto portato sulle strade da allenamenti pettinati e da una vita che concedeva ai centri nervosi l’importanza di non sottrarsi alla vita stessa, nel giusto dosaggio che le proprie facoltà istintivamente consentivano. Non l’uomo che diventa campione attraverso programmazioni da monaca di clausura, ma atleta che si priva fisicamente e mentalmente il limite minimo possibile, per raggiungere, nel proprio acuto dipinto, l’espressività più vera, profonda e intensa. Dell’atleta che insegna agli allenatori, quanto sia, proprio il talento, la prima ed insostituibile pagina da mettere nel cuore e nel cervello, affinché lo sport divenga realmente una testimonianza del sublime dono della vita. Un’ellisse che non va mortificata con fili, macchinari, impulsi e quadranti di quell’orrida e criminale matematica che vuole dare esattezza e risposte, a ciò che è più grande di noi, perché l’ignoto l’ha impresso, senza leggi, all’interno dell’insieme d’un copro e di una mente.

Apollo, che nella mitologia possiede diverse sovrapposizioni d’epigone col meno noto Pan, era il dio della luce, delle arti e della bellezza. Un dio che era arrivato, pur nelle immediate dimostrazioni di divinità, alla considerazione piena del ruolo, con grandi difficoltà indipendenti da lui. Di questa figura mitologica, Marco, ha rivissuto il tratto più completo e convinto. La luce di Phoebos (il brillante greco, altro nome d’Apollo), viveva in Pantani quando lo incontravi sui segni della sua gestualità sulla bicicletta. Era il trasporto narrato da chi lo incontrava in allenamento, prima ancora di ciò che si vedeva quando partiva nei suoi voli d’impresa agonistica. Era il fascino che trasmetteva e che assumeva, sempre, la luminosità nelle trasposizioni figurate Che fosse un artista nel suo modo di concepirsi ignaro del resto, ma solo vivendo le voci ed i richiami del suo interno, non è un pallino delle mie convinzioni, ma una lettura per chi gli stava vicino e non lo viveva con la perfidia dell’interesse e del tornaconto. A parlare per Marco ci sono i raffronti, le tracce indelebili, riassumibili nell’intensità di altre forme del suo tratto: i dipinti innanzi tutto. Nessuno può negare quanta musicalità vi fosse nella sua pedalata e poesia nel suo modo di scrivere, aldilà degli errori in italiano. La scelta istintiva degli aggettivi, alcuni da pensare sconosciuti per uno di siffatta scolarità, eppure presenti fino al grido, come una disperata ricerca di far capire la necessità di una riflessione pronta all’inversione o alla constatazione, sono tutti aspetti peculiari della poesia. Indi, la bellezza vissuta sullo stile perfetto che diventava ancor più evidente, quando la fatica confondeva l’umana sofferenza, ed ogni singolo tassello del gesto, assumeva la verità dell’essenza. La scalata di Oropa, incredibile a dirsi, ha trovato nell’impresa agonista eccelsa, un fatto secondario rispetto alla perfezione stilistica che portava sul mezzo, la trasmissione più fedele possibile delle sue qualità fisico mentali. Mai ho visto una tale congruenza nell’intero sport. E dire che tutto ciò che si poneva fra Marco e la bici, era il frutto del suo seminato istintivo. Infine, per completare il confronto col mitologico Apollo, i suoi incidenti di percorso, prima della definitiva consacrazione. Già, se per la divinità erano gli altri dei, ed in particolare Zeus, ovvero suo padre, nonché sommo d’Olimpo, a creargli difficoltà di percorso, sottoponendolo a penitenze e conseguenti purificazioni, anche per Pantani, ad un certo punto, sembrò farsi insuperabile l’avversità del fato. Per questi motivi perse tappe importanti del suo segmento umano, ma seppe sempre rialzarsi fino a divenire invincibile fra i propri compagni d’essere. Non si rifece solo di fronte all’agguato che era stato scelto per lui, al fine di definirlo, appunto, un uomo. Lì fu ucciso, ma nonostante lo scopo raggiunto dai carnefici a livello terreno, non fu ammazzato il suo mito. Sì, proprio quel mito che urla ogni notte nelle rarefatte coscienze di quei boia, per trafiggere con l’arco d’Apollo, il loro umano senso di panico.

Il mio viaggio fra mitologia e Marco, che mi rende onore nel sentirmi giudicare pazzo da chi vorrei sempre avere come acerrimo nemico, ha rappresentato, sabato scorso, il finale del mio intervento all’apertura dello “Spazio Pantani”. In quel luogo che mi dona incipiente emozione e che rende la mia voce strozzata, ho completato ciò che avevo iniziato il 18 maggio, in occasione dell’inaugurazione. Che sull’odissea dell’inimitabile Pirata, si possan trovare spazi per voli di questo genere, rappresenta per me un dovere. I motivi li ho spiegati ancora e non voglio ripetermi, mentre sullo splendido sabato passato in Cesenatico ritornerò, proprio partendo dai punti fondamentali che animano chi gli ha veramente voluto bene e che altrove ho riassunto così:

1) Tutela, in ogni occasione divulgativa e sui vari consessi possibili, del talento di Marco.

2) Ricercare ogni forma utile, arricchita da studi e coinvolgimenti d’indagine, affinché il quadro eletto a schermo, che ancora si frappone verso la verità di Madonna di Campiglio, lasci spazi ad una rivisitazione completa della vicenda crogiolo dell’ellisse di Marco.

3) Difendere, con le opportune tutele legali, ed anche con l’esercizio della querela, l’onorabilità del tratto agonistico e umano di Marco, dai sempre presenti tentativi di offrire al pubblico un’immagine falsa o distorta della sua vita e delle sue vicende.


Morris

 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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  postato il 31/10/2006 alle 02:18
Ringazio questo mio amore per le ore piccole, per questi boati di silenzio che mi girano intorno, lasciandomi il giusto tempo per deliziarmi di cotanto vitto e di leccarmi i baffi, una volta assaporato il godereccio gusto.

Grazie Morris, soprattutto per essere in grado di trasformare il cadere di una lacrima, che scende sul viso, in una pennellata d'emozioni, che scendono lungo la schiena.

 

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Mario Casaldi - Cicloweb.it

CICLISTI
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  postato il 31/10/2006 alle 13:11
Si può diventare tifosi di Pantani adesso che non c'è più? Io non sono mai stata tifosa di Pantani, ma Morris mi sta facendoci diventare...

 

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Un uomo comincerà a comportarsi in modo ragionevole solamente quando avrà terminato ogni altra possibile soluzione.
Proverbio cinese

Jamais Carmen ne cédera,
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 31/10/2006 alle 13:36
Morris, tu che l'hai conosciuto personalmente hai le ragioni per accostarlo ad Apollo.
Apollo, però, tra gli dei dell'Olimpo l'ho sempre visto un po' statico, pur girando continuamente sul suo cocchio ; ecco, immobile sul cocchio.
Pan è una mente che frulla continuamente per realizzare i suoi sogni, le sue conquiste: in lui rivedo le caratteristiche del Pirata.

 

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nino58

 
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  postato il 31/10/2006 alle 18:35
Grazie caro Morris per saper raccontare sempre in modo efficace ed intenso le emozioni di chi ha saputo regalarci emozioni che vanno ben oltre l'aspetto sportivo.
Chapeau

 

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Vorrei morire in bici, in un giorno di sole, dopo aver scalato una di quelle montagne che sembrano protendersi verso il cielo, mi adagerei sull'erba fresca senza rimpianti, attendendo con serenità il compiersi del mio tempo. Non importa se sarà ...oggi o tra cent'anni, avrò in ogni caso trovato il mio giorno perfetto.

 
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Livello Luison Bobet




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  postato il 31/10/2006 alle 21:43
Semplicemente fantastico. Mi colpisce soprattutto l'emozione da parte di chi, anche se magari per qualche centinaio di metri, ha avuto la fortuna di pedalare dietro o con il Panta: la sua era una pedalata artistica, senza eguali, davvero come una pennellata o una carezza sui pedali. Non si è mai più vista una pedalata paragonabile a quella di Marco, non credo sia una bestemmia dire che non si vedrà più. Infine, caro Morris, chi come te ha avuto la fortuna di conoscerlo e di capire sin da subito che non era un semplice pedalatore ma, come lo definì Armstrong, 'un Dalì della bicicletta' e quindi un genio assoluto, ha potuto capire (a differenza di molti) che l'oltraggio di Campiglio, per Marco, non avrebbe rappresentato un banale stop di 15 giorni, bensì un'oltraggio intollerabile, specie per il castello di menzogne che certa 'informazione' e poteri sportivi vi costruirono attorno. Ed è lì, a Campiglio e dintorni, che ancora c'è bisogno di scavare. Grazie mitico Morris, a presto!!! Luca

 

[Modificato il 01/11/2006 alle 13:58 by Admin]

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L'opzione antifascista resistenziale è l'unica via maestra.
Ovunque. (nino58)

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Verità e giustizia per Marco Pantani

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 01/11/2006 alle 09:53
Io ho iniziato a tifare Pantani dal Giro 2003 (quando iniziai a seguire il mondo delle due ruote), quindi non ho potuto assaporare appieno i suoi più grandi capolavori. Ma quello che mi colpì di quell'omino fu la straordinaria grinta che imprimeva sui pedali, quella grinta che mi ha permesso di provare l'emozione di andare in bicicletta... Grazie Marco!!!

 

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Rebellin... l'ultimo Gattopardo

 
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Livello Marco Pantani
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  postato il 01/11/2006 alle 13:11
Bellissimo articolo, come sempre.
A prima vista sembra impossibile paragonare Marco e Apollo, in realta la forza e la grandezza di Marco erano nella miscela esplosiva di grande razionalità e altrettanto grande irrazionalità.
Allora penso a una miscela fra Apollo, Dioniso e il dio Pan. Esplosiva, appunto. Tarderà molto a nascere, se nascerà, un andaluso altrettanto ricco di avventura..........

 

[Modificato il 01/11/2006 alle 13:57 by Admin]

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Verità e giustizia per Marco Pantani: una battaglia di civiltà.

Arcana loggia per il ripristino della civiltà dell'ordalia.

IO NON L'HO VOTATO.

IO CORRO DOPATO COME TUTTI.

"E' tutto alla conoscenza di tutti" Marco Pantani,1997 ( tempi non sospetti),parlando di doping in un'intervista televisiva con Gianni Minà.

Non sono a favore del doping. Sono semplicemente contro l'antidoping.

Hypocrisy free.

CAREFUL WITH THAT AXE, EUGENIO.



 
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Livello Giuseppe Saronni




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  postato il 01/11/2006 alle 16:28
Originariamente inviato da panta2

Io ho iniziato a tifare Pantani dal Giro 2003 (quando iniziai a seguire il mondo delle due ruote), quindi non ho potuto assaporare appieno i suoi più grandi capolavori. Ma quello che mi colpì di quell'omino fu la straordinaria grinta che imprimeva sui pedali, quella grinta che mi ha permesso di provare l'emozione di andare in bicicletta... Grazie Marco!!!


Io ho iniziato a seguire il ciclismo con il Panta. Ora con Emule scarico i filmati delle sue vittorie più belle.
Per ora ho Couchevel 2000, l'ultima, e Les Deux Alpes 1998, la consacrazione. Spero di trovarne delle altre.
Quando le guardo non riesco a trattenere le lacrime.

 

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Il ciclismo è uno sport sano e alla portata di tutti,contro la vecchiaia e le malattie, ma soprattutto conferisce grande lucidità ed efficienza sul lavoro [...]
Voglio anche dire che mi fanno pena e schifo gli impiegati che vengono in ufficio in macchina
e che la sera corrono a rinchiudersi in quelle scatole di sardine invece di farsi una bella sgambata fuori città...
(Visconte Cobram, da "Fantozzi contro tutti")

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/11/2006 alle 12:30
...quando, in quella magica serata alle porte di Bologna, mi dissi che saresti stato tu a ricordare Marco il giorno dell'inaugurazione dello "spazio Pantani", ho avuto subito due sentimenti contrastanti: la grande soddisfazione di chi si compiace che finalmente si comincia a dar voce a quelle poche, e come nel tuo caso splendide persone che a Marco gli hanno voluto veramente bene, onorandolo come merita a come solo tu sei capace di fare, ed il piccolo rammarico di non poter assistere ad un momento di sicura emozione.
Con questo fanstatico ritratto, caro Maestro, le lacrime di commozione sono giunte fino qui, distanti centinaia di km ma unite dallo stesso grande amore per un Campione, un Uomo, un Artista unico, irripetibile.


GRAZIE

 

[Modificato il 02/11/2006 alle 12:32 by Pirata x sempre]

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Giuseppe Matranga

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 10/12/2007 alle 03:17
Un calendario per il decennale della doppietta Giro-Tour di Marco Pantani



Il cielo, quel giorno piangeva l’ammirazione ad un omino minuto, che urlava grandioso le sue stimmate, un genio dell’emozione che stava presentando un affresco, per donarlo alla gente, quanto a chi, ammirandolo con le lacrime a catinelle, voleva metterlo alla prova, per verificare l’intensità del suo teismo. L’omino, di nome Marco e di cognome Pantani, giungeva sull’altura di Les Deux Alpes con in testa la sua bandana su una bicicletta a lui sempre grata, a simboleggiare il tema infinito del talento, dell’istinto, di quel cuore che, se ispirato, sa superare sempre la freddezza della razionalità del cervello, per immolarsi sull’orizzonte delle menti, col fascino indistruttibile di un’aurora.
Quel ragazzo, cui la sfortuna aveva spesso posto il proprio ingrato graffio, in quel pomeriggio dischiuso con le braccia levate verso l’alto dei significati, al traguardo di un colle che è riferimento per chi cerca con gli sci la sensazione d’immenso, aveva sciolto anche gli ultimi avamposti dello scetticismo che germoglia duro come il diamante sull’incredulo, portando negli occhi di tutti, un’altra versione dell’immensità, la più ricercata, la più ambita, la più sfuggente: quella che sta all’interno di un uomo.
Lui, il ragazzo nato in riva al mare che s’ispirava ai monti, per ricomporre il percorso più suggestivo fra le bellezze che la natura ci ha reso palpabili, quel giorno, il 27 luglio 1998, a Les Deux Alpes, ipotecava il Tour e, col Giro d’Italia già suo, si avviava, sulle ali di un’impresa-dipinto, ad entrare raro nella storia di uno sport che, se ben diretto, sa essere fascinoso come nessuno. Lui, Marco, con le orecchie a sventola, giunte sul corpo per raccogliere al meglio le oceaniche sensazioni, si iscriveva su quei libri che tanto piacciono a chi vede solo numeri, spesso freddamente illuminati sull’esclusione di altri significati.
Con la conquista del Tour de France, si posava sul suo cuore, la corsa che più amava, quella che avrebbe sempre corso con la volontà di incantarla: era il sogno di un ragazzino che donava come una carezza, all’esclusivo ed intimo osservatorio, di suo nonno Sotero. Aveva fatto la storica doppietta, era sulle bocche di tutti e nuovi fiotti di bambini si aggiungevano a già tanti spinti verso la bicicletta dalle sue imprese: nel suo segno, nasceva una generazione di nuovi ciclisti.
Col 2008 in arrivo, giungiamo così al decennale di quegli acuti giallo-rosa. La Fondazione Marco Pantani non poteva dimenticarlo e, grazie alla disponibilità dell’Editore Gribaudo e del fotografo Roberto Bettini, un grande, a cui ogni amante del ciclismo deve qualcosa alle sue istantanee, ha promosso un calendario fotografico, in ricordo della doppietta Giro-Tour.
Un condensato di tredici foto, che illustrano momenti indelebili dei dipinti agonistici di Marco, i tratti di uno stile che accarezzava i pedali, ed il volto sempre segnato di un campione che non ha mai nascosto il suo essere uomo, dietro un meccanico sguardo. Il calendario, sarà disponibile in tutte le librerie d’Italia e, online, sul sito dello Spazio Pantani (www.spaziopantani.it), mentre sugli altri punti di distribuzione, si rimanda alla Conferenza Stampa di presentazione, prevista per la tarda mattinata di giovedì 13 dicembre p.v., presso la sede della Fondazione Marco Pantani, in via Cecchini, 2, a Cesenatico. Nel corso della stessa, si alzerà il sipario sulla destinazione dei proventi di questa iniziativa editoriale: si tratta di un nuovo e preciso campo di impegno nel nome di Pantani, che si ricongiunge proprio al sogno che ogni atleta possiede….fin dall’infanzia.
Giovedì prossimo, con uno specifico comunicato, illustreremo i dettagli completi del progetto abbinato al calendario.

Ufficio Stampa
Fondazione Marco Pantani Onlus

 

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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 17/12/2007 alle 20:41
Presentato il calendario del decennale della doppietta Giro-Tour di Marco Pantani, servirà per finanziare il Progetto Pechino 2008.


Con una Conferenza Stampa poco formale, proprio come piaceva al Pirata, ma con tanta emozione e pure tanta soddisfazione, si è alzato il sipario di un nuovo progetto della Fondazione Marco Pantani. Il calendario, bellissimo, del decennale della storica doppietta Giro-Tour dell’indimenticabile campione, che l’Editore Gribaudo ha confezionato con tanta ammirevole disponibilità a tempo di record, attraverso 13 istantanee che il grande Roberto Bettini scattò nei giorni giallorosa di Marco, non sarà solo un’occasione di particolare ricordo, ma darà gambe ad un intervento socio-sportivo, che era nelle volontà del Pirata: aiutare gli atleti diversamente abili ad avvicinare un sogno agonistico.

Grazie ai proventi dell’iniziativa editoriale, infatti, si finanzierà il Progetto Pechino 2008, riservato, appunto, agli atleti che, sui tandem, saranno impegnati nei Giochi Paraolimpici, previsti dal 6 al 17 settembre 2008 nella capitale cinese.

Dai giovanissimi agli sfortunati nel nome di Marco Pantani
La Fondazione Marco Pantani Onlus, attraverso la “Pantani Corse” di Forlì, sodalizio fino ad oggi impegnato con importanti risultanze nel proselitismo al ciclismo, s’è data così un altro obiettivo di solidarietà e d’impegno.

La 38enne varesina Milena Rossi, ipovedente, guidata da Patrizia Spadaccini, 47 anni, ex tricolore su strada, nonché ex primatista italiana sull’ora, con già due ori olimpici come “Guida” ed un titolo mondiale master, cercherà di qualificarsi nelle prove di tandem su strada e su pista, per le Paraolimpiadi.

Ad attendere le due atlete in maglia “Pantani Corse”, un percorso che non si presenta semplice e, tanto meno, scontato. Sono infatti in programma, fino alla prossima estate per la gran parte compresa, diversi appuntamenti agonistici indicativi e di selezione, che si concluderanno con le convocazioni per Pechino, da parte del Commissario Tecnico Mario Valentini.

Bisognerà dunque dimostrare qualità e competitività, alla luce della positiva e importante evoluzione del settore, oggi in grado di presentare, nel ciclismo, numeri impensabili solo una decina di anni fa.

Per Milena, che viene da cinque anni di stop per maternità, la consapevolezza di un trend agonistico comunque di pregio e con test recenti in grado di far germogliare un certo ottimismo; mentre per Patrizia, una delle guide più navigate in assoluto del panorama italiano, si tratta dell’ennesima stimolante scommessa.

Entusiasmo, invece, all’interno della “Pantani Corse” e della stessa Fondazione Marco Pantani: col progetto, che contempla una miriade di tappe di avvicinamento agonistico, si concretizza, appunto, un’altra delle sensibilità e delle volontà di Marco.

Per riuscirci, oltre all’assistenza verso le due atlete, nell’intenso percorso pre-olimpico, scenderà in campo anche il direttore sportivo storico del Pirata: Giuseppe “Pino” Roncucci.

L’auspicio della Fondazione, è quello di non fermarsi alla scadenza paraolimpica, ma di proseguire nell’impegno verso gli atleti diversamente abili, attraverso la nascita di una vera e propria scuola di tandem, portando così alla pratica ciclistica, altri sfortunati giovani e meno giovani. In tal modo, l’orizzonte di proiezione e di presenza della “Pantani Corse, diverrebbe davvero ciclisticamente totale, in favore del proselitismo verso lo sport della bicicletta.

Ufficio Stampa
Fondazione Marco Pantani Onlus

 

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  postato il 18/12/2007 alle 19:03
Sarà il mio regalo di Natale (o giù di li)...

Grande iniziativa, thank you Morris.

 

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Giuseppe Matranga

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