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Autore: Oggetto: L’ultima buona occasione - un racconto

Livello Marco Pantani




Posts: 1476
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  postato il 10/10/2006 alle 21:42
A voi, amici miei.
claudio

 

____________________
“…..oh, ghè riàt Dancelli!....”


 
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Livello Marco Pantani




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Registrato: Mar 2005

  postato il 10/10/2006 alle 21:47
prologo

Galleggiare.

Galleggiare sulle ascensionali del pomeriggio. Deve essere qualcosa di simile a questo. Adesso mi vedo da fuori.
Galleggio a dieci metri da me stesso. Vedo la mia schiena sudata e magra. È tutto silenzio e luce bianca. Sarà suggestione. Sì, colpa di quegli articoli del Mucchio Selvaggio sugli anni settanta. I ragazzi usavano LSD e avevano l’impressione di uscire dal corpo. Mi è rimasto in mente.
Devo smetterla, mi suggestiono troppo. E poi capitano queste cose.
Devo proprio smetterla, chi è che legge il “Mucchio” fra i corridori?
No, devo cambiare qualcosa. È ora di farlo. Devo decidere.



L’ultima buona occasione

Premiazioni - uno -
Inversione termica. Pensò.
Guardò in alto. Dietro la pensilina del Bar Sport, le montagne. Campiture verdi dei boschi e manciate di rocce. Sopra le creste, i primi vapori del pomeriggio, preparavano di certo qualcosa.
- Ottavo posto, ritira il premio….
Vediamo questo numero otto: ha sforbiciato l’acetato della tuta per farne degli shorts: bellino! Dozzinale polo verde pisello. Si avvicina caracollando al tavolo. Faccia brufolosa da segaiolo. Lo sguardo non tradisce un millimetro di attività. Troppo stanco. Si guarda attorno spaesato, stringe una mano e si ferma per la foto, inclinato verso la via di fuga. Non gli scappa nemmeno di pronunciare un mezzo grazie.
Ancora sette di questi. E poi a casa.

Si raccolse a rubricare le deficienze del settimo al traguardo. Era un passatempo snob e odioso, da fascistello, ma in certi casi funzionava. Si giustificò apertamente. Non era un passatempo. Era una terapia. Quanto alla politica, non era il momento di pensarci. Domani sarebbe uscito con la Kefiah cenciosa e la camicia fuori dai pantaloni. Bastava a recuperare?
Mhm, sì, basterà.

Settimo: tracagnotto il “RediRoma”, gambe da calciatore, dita grosse e unghie nere. Apprendista meccanico? Espressione fissa, ottusa. Canna di brutto i congiuntivi, si vede.


Soffiò fuori dalle mani giunte aria appiccicosa. La domenica finiva lì. Nel pomeriggio avrebbe raggiunto l’amico Luca, ascoltato l’ultimo disco dei Jane’s Addiction. Poi, magari, un giro a Desenzano. Qualche vasca a passo lento, sotto i portici. Gelatino di frutta. Lumare un paio di acidelle in tiro e via.

Una cosa così. Fine. La serata sarebbe trascorsa male. Cena, tivù. Un crescente e stanco nervosismo. Non vedeva l’ora di arrivare a lunedì mattina. Presto sul pulmann, ripassino veloce (Preraffaelliti e ottocento italiano) e poi la classe, i compagni, i disegni, le tipe, i prof.
Tutto il suo mondo.

L’altro, quello con la bici, crollava. Rovinato da lui stesso, dalla sua inadeguatezza. Veniva meno, semplicemente. Ogni domenica un pezzo della messa in scena cadeva, sbriciolandosi sul palco. Le corse in bici sparivano dall’orizzonte. Non era mai stato così chiaro. Quante repliche ancora? Quanta noia per tutti.

In malora il dannato ciclismo. Io rimango, anzi, divento meglio.

I compagni della Gavardo si facevano notare rumorosamente a due passi da lui. Il risultato della gara lo consentiva. Al centro di tutti Ivan. Alto e scavato. L’espressione grintosa, ma calma. Un principio di herpes all’angolo della bocca. Gli occhi ancora freschi. Il nuovo Campione si annunciava. La scena era sua. Brillava. Sarebbe presto uscito da quel mucchio di mezze calzette. Due ore prima aveva letteralmente distrutto la corsa. E con lei le ultime illusioni di Michele.



In fuga - due -
Valtrompia, strada 345 - fine luglio 1987
- Oh, Miky, attacchiamo?
- Cosa?
- Andiamo a turno. Prima parto io.
- …Cosa dici? No-no.
- Perché no? Dai, parto per primo io.
- Ivan…perché?
- Perché andiamo troppo piano.
- ….
- Allora a turno, okay?
- ….No.
- Non ce la fai?
- …sì ce la faccio, ma….aspetta, aspetta. Ascolta…..ascoltami.
- Qual è il problema?
- Il problema? Il problema è che mancano 60 chilometri al traguardo e abbiamo quattro minuti di vantaggio!
- E allora?
- Come allora? Ivan, ragiona, non ci raggiungeranno mai capisci? Dobbiamo aspettare. Il vantaggio continua a crescere. Siamo in venti corridori caz.zo. Siamo un gruppo. Nessuno ci insegue….guarda, guarda come giriamo. Girano da Dio la davanti. Guarda qua, cinquanta all’ora…cinquantadue…cinquantatre. Ti rendi conto?
- Siamo troppi però.
- No! Va bene così. Nel finale c’è la Forcella. Due volte Ivan. Due volte negli ultimi quindici chilometri.
- E allora?
- Allora puoi fare tutti gli attacchi che vuoi sulla Forcella. Non ha senso farlo ora.
- Boh, non capisco, io andrei adesso.
- …ma…ma lo vedi? Adesso vuoi scattare? Mentre scendiamo dalla Valtriumplina…..sei matto o cosa? Ti verranno a prendere facile. E rischiamo di spezzare l’armonia del gruppetto. No, io non attacco.
- Va bene. Fa niente dai, faccio io. Rompigli qualche cambio okay?
- ….cosa? no, aspetta…no….

Ivan cambiò rapporto e si mise a superare la doppia fila di ciclisti sul lato sinistro. Dalla coda Michele si sporse per vedere meglio.
Forse non lo fa. Non può farlo.
Ivan pedalò seduto fino a tre quarti del gruppetto. Poi si alzò sui pedali, scartò a sinistra invadendo la corsia opposta. Superò tutti in progressione, guadagnando una decina di metri sulla testa. Ogni venti pedalate si sedeva, allungava il rapporto e si alzava di nuovo. Tutti lo videro con comodo. Passava relativamente adagio. Bedussi, che era in testa, lo giudicò un azzardo e si spostò a dare un cambio normale. Da dietro un tizio di Verona allungò il proprio turno per chiudere con facilità su Ivan. La fila si spostò a sinistra. Da doppia divenne singola. Michele guardò il contachilometri. Cinquantasette all’ora.

Sollevò lo sguardò, rallentavano, si allargavano.
.. Appunto.
Vide Ivan sfilarsi, maneggiare con la levetta del cambio e ripartire uguale a prima. Stavolta guadagnò anche meno. Gli altri entrarono subito nella sua scia. Si fermò. Gli altri rallentarono ancora. Alcuni bevvero. Il caldo era insopportabile. In quel punto la strada era enorme. Un mare nero sotto il sole. Un posto orrendo. La Valtrompia rovesciava edilizia profana al bordo strada. Villette col timpano giallo, case a quattro piani, depositi agghindati di postmoderno, pizzerie con ampio parcheggio, mobilifici orizzontali e illuminotecniche aperte anche il sabato pomeriggio.

L’asfalto parve ribollire quando Ivan partì per la terza volta. Il gruppo esitò. Sorpreso dalla spocchia di quel terzo scatto. Trenta metri di vantaggio. Come niente. Un affondo lentissimo. Una progressione sotto i semafori accesi.

Michele lo vide sedersi e aumentare la spinta. Allungava. La strada scendeva sempre leggermente. Da dietro qualcuno partì alla riscossa. Ripresero metà del vantaggio, ma con difficoltà. Il primo corridore esaurì l’abbrivio a quindici metri da Ivan. Il secondo guadagnò pochissimo. Non si agganciava. Il terzo rifiutò il cambio. Sbandarono. In fuori. Persero velocità e la gruppo si appiattì sul lato destro, sfiorando una fila di Mercedes parcheggiate davanti a una gelateria.

Ottimo! Abbiamo degli scienziati qui! Noi all’esterno e lui alla corda, guadagnerà cento metri senza forzare.

Max Baglioni fu il primo a capire. Si gettò all’inseguimento. Uno scatto secco, la ruota posteriore scodò saltellando. Il gruppo si spezzò in due con un rimbalzo indietro del secondo troncone. Proprio come una corda spezzata. Passarono davanti a un oratorio. Bambini che correvano sciamando vicino a un prete giovane, con gli occhiali.
- Tana liberatuttiiiiii…

Max rinvenne su Ivan due chilometri dopo. Dietro di lui sette ciclisti. Michele chiudeva il gruppetto respirando forte. Il fiato usciva con un tonfo sordo dalla bocca e dal naso. Distinse nettamente il martello cardiaco squadernare la cassa toracica. La vibrazione riverberò in gola e dietro gli occhi. Alzò al testa sperando di vedere il proprio compagno desistere.
Pensò di allucinare.
Invece no, era vero. Ivan ripartì. Sempre più lento. Laborioso. Rullando e vibrando al centro della carreggiata.

Le schiene curve si piegarono di più, ondeggiando. Vide gomiti abbondare all’esterno e traballanti mani che cambiavano posizione. Stava accadendo. La corsa compiva il suo passo decisivo. Fra poco, fra pochissimo, uno di quella fila avrebbe smesso di pedalare, aprendo davanti a se uno spazio incolmabile. E lui, Michele, avrebbe dovuto farsi carico della tattica difensiva. Stoppare i contrattacchi. Lo sapeva, era la natura stessa delle corse a stabilirlo.
Si sentì prigioniero.

Due chilometri dopo, quando Michele vide le sagome di Ivan e Baglioni guadagnare decisamente terreno, ebbe la certezza che era finita. Ritornò ai pensieri fatti al cinquantesimo chilometro e disperò. Pochi minuti prima era stato preso da una grande euforia.

In fuga - uno -
…………………………………..…………Erano in fuga dai primissimi chilometri. Venti corridori, di tutte le squadre. Una fortuita sequenza di progressioni e rientri nel fondovalle verso Gardone. Da subito c’era stato accordo e il vantaggio era salito. Sopra i due minuti dopo dieci chilometri. La cosa andava benissimo. In fuga con lui c’era Ivan, suo compagno di squadra. Più giovane di un anno, Ivan, era in un momento di forma sorprendente. Dopo un inizio difficile, nelle ultime gare era sempre andato migliorando e la domenica precedente aveva vinto la prima gara della sua vita dopo una condotta strepitosa. Tutto il giorno in fuga. A parte l’invidia, quando se lo era trovato al fianco nella doppia fila, Michele aveva gioito.

È buona. Guarderanno tutti Ivan, si mette bene.

Era vero. La gara si offriva benissimo. Avrebbero compiuto l’andata e ritorno in Valtrompia con regolarità, senza forzare i tempi, una novantina di chilometri da gestire con calma e poi i due giri del circuito finale di San Vigilio. La gara si sarebbe giocata sulle rampe della Forcella. Un chilometro e mezzo oltre il tredici per cento. La pettata centrale era un muro, sfiorava il diciannove. Arrivarci in quella condizione era il massimo. Avrebbe sfruttato tutta la sua esperienza e la sua attenzione per risparmiare ogni energia. Avrebbe mangiato e bevuto perfettamente. Avrebbe limato ruote e gomiti nella doppia fila per proteggersi la sagoma dal muro d’aria.

Si sentì benissimo. E forte.
E poi c’era la doppia Forcella. Con Ivan presente la corsa era semplice. Lui era il faro. Bisognava solo agire di conseguenza. Quel toro avrebbe aggredito la prima ascesa. Con la condizione che si ritrovava nessuno gli avrebbe tenuto la ruota. Calcolò un decina di secondi di margine sulla cima, poi un gruppetto di sette-otto. Non c’erano scalatori fortissimi e lui, Michele, avrebbe facilmente scollinato in coda a quel gruppetto. La gara si sarebbe decisa nei quindici chilometri fra le due ascese. Con il compagno in fuga avrebbe avuto buon gioco a tenere un comportamento passivo. Si sarebbero esauriti. Il toro davanti e gli altri a inseguire. Lo avrebbero ripreso di certo, ma si sarebbero annullati. Lui davanti e gli altri ad inseguire.

Michele il colpo lo avrebbe sferrato a un chilometro dall’inizio della salita. Lo avrebbero lasciato guadagnare metri su metri. Poi ci avrebbe messo del suo. Questo non lo preoccupò. Era pronto a devastarsi sulla Forcella per mantenere il vantaggio. Si convinse di poterlo fare. Vide le immagini e si figurò il boato del pubblico in salita. Quella era una zona di appassionati e sul muro ci sarebbe stato il pienone. Uno stadio sulla strada. L’urlo della folla gli sarebbe entrato nelle vene, diventando ossigeno.
Un boato caz.zo, un boato assordante.
E lui che passava in mezzo tirando, il manubrio come un sollevatore. Più cattivo di una jena. Poteva farlo. Avvertì la pelle d’oca sulle braccia e sorrise.
Sì, lo faccio.
Si fece sfilare dal gruppo e tolse un pacchetto di stagnola dalla tasca. Ne uscì una coppia di Pavesini ripieni di marmellata. Come erano buoni!
È buono, com’è buono.

Era felice. Prese anche un quarto di mela, la scartò e ne mangiò un terzo. Come gli faceva bene. Sì.
Era tutto a posto. Le gambe giravano rotonde. Si sentì rilassato ed elastico. Era la sua giornata, finalmente. Prese la borraccia. Ruotò il polso per ritrovarsela capovolta davanti alle labbra. Staccò il beccuccio con gli incisivi e operò una piccola pressione con indice e pollice. Bevve acqua a sorsetti. Lasciava ogni sorsata in bocca qualche secondo. Ad intiepidire.
Non deve scendere fredda, mi fa male. Devo stare attento ai dettagli. Tutto perfetto. Nessuno sbaglio. Oggi o mai più. ………………………………………………………………………………………………………………..

In fuga - tre -

Il ricordo della tremenda concentrazione con cui aveva affrontato quelle fasi si trasformò. Venne colpito da uno spasmo allo stomaco. Succhi gastrici ruscellarono in profondità. Potenti, aspri e rumorosi. Una fitta acida, risali tutto lo sterno accompagnata da una impressione di calore. Sputò un arco di saliva da sotto l’ascella.

Non si dava pace. Tutto rovinato. Tutta una maledetta illusione. Era bastata la forza selvaggia di Ivan a ribaltare ogni cosa. Ora doveva coprire l’iniziativa del compagno e le sue ambizioni di vittoria sarebbero scemate prestissimo. Come le sue energie.
Senti la rabbia caricare e avvolgerlo. La gola pulsava. Metallica. La crisi di nervi lo scavava dentro. Voleva piangere, nascondersi in un viottolo, smettere di pedalare, buttarsi seduto e lasciarsi andare. Sentì gli occhi riempirsi e bruciare. Stava per scoppiare quando un atleta del Pedale Bresciano si alzò sui pedali due posizioni davanti a lui. Dominò le lacrime e partì a sua volta. Chiuse facilmente il disavanzo di spazio e l’attaccante, accortosi del fallimento si rialzò. Un altro sfilò a sinistra, abbastanza veloce. Michele ripartì sui pedali ondeggiando il telaio a destra e a sinistra per rilanciarsi.

Dio, adesso sarà tutta così. È finita.

Riprese anche questo. Trasse un sospiro e roteò la testa disperatamente. Decise di abbandonarsi alla lotta. Buttare nel cesso ogni pensiero cattivo e immergersi nella battaglia.

- Pu-ri-fi-ca-to.
Sillabò.
Rincorse tutti. Arrivò a contare dodici scatti furibondi e consecutivi. Sempre inseguendo avversari di Ivan. Erano già sconfitti, avrebbe voluto dirlo, ma sapeva che non sarebbe servito. Alla fine guardò avanti. Ivan e Max avevano guadagnato almeno quattrocento metri. Ad ogni strappo seguiva un rallentamento più lungo, che li allontanava dai fuggitivi.Fissò i due la davanti. Ivan non chiedeva nemmeno il cambio.

Mio Dio.
- Basta. Non vedete! Basta! È finita.

Si rivolse agli altri, la voce implorava, ma in quello uno spilungone lo superò zigzagando. Rantolò una bestemmia lanciandosi all’inseguimento. Sibilava per la rabbia. Sotto sforzo, rischiando lo schianto del cuore. Inveiva e bestemmiava. Raggiunse il tipo. Lo affiancò.

- Cosa fai?! È finita. È finita!
- ..’zzovuoi oh! ‘..
- ..ah! ZIOCANEEE
Trasalì. La follia lo invase. Deragliò verso il tipo, perse il controllo e lo urtò di spalla. Rimbalzarono un paio di metri, ognuno ancora in equilibrio sulla propria bici. L’altro, allibito, non reagiva. Michele era pazzo. Lo colpì sul casco, con forza, a mano aperta.

Vide il ciclista occhieggiare e sbandare. Il caschetto spostato sull’orecchio, stava per cadere. Bianco per lo spavento, aprì la bocca per bestemmiare a sua volta. Ma, adesso, non sentiva più le sue parole. Provò a immaginare la cadenza milanese, ma non udiva nulla. Solo un ronzio. Le immagini divennero opache, liquide. I rumori della strada scomparvero. Tutto rallentava e gli sembrò di canticchiare.
Si vide da fuori. Da sopra, come nelle riprese del Giro dall’elicottero. Magro e solo. Sulla strada. Vide il movimento suo e degli altri, che decelerava. Uno spostamento umido. Accaldato. La strada come un fiume.

La telecamera si spostò da sopra al fianco. Era una steady-cam adesso e correva sul marciapiede. Si vide di profilo, senza riconoscersi. La bocca aperta e segni neri sulle guance che dovevano essere delle rughe. Poi l’inquadratura mentale girò di un altro angolo retto, ma stavolta sul piano orizzontale, spostandosi con un raggio uguale davanti a lui. Puntò la gola.

Zoomata. - Dettaglio del corpo ansimante. - Ancora più vicino. - Primo piano.

Vide il mento passare sopra e distinse la vecchia cicatrice. Di quando era bambino e cadde nel cortile. Più in basso, entrò nel corpo. Nero e flash rossastri. Vischiosità di pareti, aderenze, come in un documentario. Vide le contrazioni farsi più profonde e allungate nell’esofago, fino alla trachea. Un minisommergibile navigava nell’addome.

Un colpo di tosse interruppe le trasmissioni e rivide tutto normalmente. La microcamera era tornata a riprendere da un punto fra le orbite. Verso l’esterno. Adesso la faccia del tipo, aveva ripreso colore. Rabbioso, lo minacciava da vicino con il pugno. Gli sembrò un orsacchiotto del luna park, l’audio era ancora staccato e tutti pedalavano lenti come in un cicloturismo…gli venne da ridere.

Percepì la contrazione salire come una cannonata.
Il primo fiotto di vomito gli riempì la bocca chiusa e spruzzò una raffica dalle narici. I suoni, i colori, i movimenti e le urla esplosero in accelerazioni simultanee. Tutto il mondo recuperò i secondi persi come in un FastForward. Il secondo sbocco esplose fuori dai denti con un rumore di strisciata, invadendo il manubrio e le mani. Alcune gocce erano ricadute all’indietro. Allungando tracce liquide sul fumè delle lenti Oakley. La vista delle macchie bluastre gli provocò un ultimo conato. Nausea che montava. Rigurgitò ancora. In serie. Come dei piccoli singhiozzi, o colpi di tosse stizzosa. Sbandò a destra, urtando un altro ciclista e rischiando lo schianto. Nel colpo inghiottì qualcosa. Udì un tlac-tlac. Perse il contatto dei pedali. Gli attacchi Look erano troppo laschi. Si erano allentati con l’uso. L’aveva notato in settimana. Avrebbe dovuto prendere la piccola brugola in dotazione e dargli un quarto di giro in senso orario. Questo pensiero lo riportò a uno stato di coscienza quasi accettabile. Accantonò lo schifo che provava, agganciò i piedi e comprese le parole che gli venivano rivolte.

- Oh…oh…mer.da!
- Stai male? Eh?
- Che schifo.
Non-Svenire-Adesso.

Si sciacquò la bocca, pulì gli occhiali col dorso del guanto e si defilò dalla testa del gruppetto. Vuotò la borraccia in gola e sputò. Sputò tutta la saliva che gli rimaneva in bocca. Lo fece con tanta forza da rimanere senza fiato e con la testa dolorante. Il gruppetto aveva smesso la sequenza degli attacchi, disgustato e forse conscio della sconfitta. Lo spilungone lo raggiunse in coda. Michele si preparò a difendersi.

Pensi di rifarti? Cosa credi. Vieni qua, vieni qua.
- La prossima volta, ricorda, la prossima ti ammazzo…….
- ……
- Hai capito? Rispondimi!
- ….
- ..Vuoi acqua? Rispondi Caz.zo! Pulisciti dai, prendi qua…

Prese e si pulì. Restituì la borraccia vuota senza una risposta e senza mettere giù lo sguardo selvaggio. Il tizio scosse il capo, cambiò espressione e riprese la testa del gruppetto.
Il male alla testa aumentava e una debolezza infinita lo invase. Calcolò che mancavano venti chilometri alla fine del primo giro. Passando sotto il traguardo si sarebbe ritirato.
In quel momento decise. Ancora tre mesi di quell’ orrore e tutto sarebbe finito.

Il gruppetto si ricompattò, spezzandosi poi nuovamente. Lui rimase nel secondo blocco. Furono ripresi dal gruppo all’imbocco del circuito finale. Ne fu felice. Era impossibile ritirarsi essendo ancora in fuga. Vide l’ammiraglia gialla e nera e si fermò. Nessuno gli chiese nulla. Tolse gli indumenti. Puzzavano orribilmente. Si cambiò, lavandosi con cura a una fontana. Vomitò ancora, ma solo acqua.



Premiazioni 2.
Epilogo


- Quarto posto, ritira il premio…
Max lo salutò con il solito affetto.
- Mi hanno detto che sei stato male?
- Un po’.
- Come mai?
- Boh, il caldo forse.
- Uh, peccato, eri in gara oggi. Ti vedevo bene.
- Fino a lì lo ero. Dopo no.
- Sì, incredibile. Dovevi vederlo. Gli avrò dato sette o otto cambi in tutto.
- Te li chiedeva?
- Macchè, passavo io, per rallentare. Gli ho anche detto di aspettarmi. Gli dico, “stiamo insieme, non faccio scherzi”. Niente. Sembrava posseduto. Al primo passaggio è partito. Mi ha preso dieci metri e non l’ho più visto. Ho dovuto morire da solo fino all’arrivo per difendere il secondo posto. Oh, mi ha dato quasi due minuti. Due minuti!
- Ho visto, ho visto.
- Ma da dove esce questo mostro qua? Dove la tenevate la belva? È l’ultimo arrivato, ma va come un treno.
- Sì, l’ultimo, e ora è il primo. …dove lo tenevamo…Non lo so…in gabbia?
- Sì nascosto. Arma segreta eh?
- Sì. Supersegreta!
- Okey, allora ciao, vado, fra poco mi chiamano.
- Vai, tranquillo. Ciao, complimenti.


Tornò ad osservare i premiati,
- Terzo posto, Alessandro Pellegrini, dalla provincia di Milano, ritira il premio…
Lo spilungone gli passò accanto. Il tizio della sberla. Il primo ciclista che aveva mai picchiato in vita sua.
Pellegrini prese la coppa e allargò un bel sorriso sulla faccia stanca. Ciondolava leggermente le braccia, ma teneva la testa ben alta. La ruotava mantenendola in asse, bloccata sul piano orizzontale. Le labbra si mossero verso la giuria e la Miss. Dovette dire qualcosa di vivace, perché la tipa smise il broncio annoiato per accennare mezzo sorriso. Lo vide allontanarsi e lo seguì. Uscì dal folto delle premiazioni nella direzione in cui doveva trovarsi il giovane. Lo vide di spalle. Allargava la sporta curiosando i prodotti da portare a casa. Sembrava contento. Non era così alto, ma le gambe erano magre e diritte. Si fermò. Esitava.

…ma che ti frega!

Strinse le spalle. Girò sui talloni puntando il gruppo colorato delle premiazioni. Fece un passo. Un altro e si fermò ancora. Ristette. Si girò di scatto con un saltello. Allungò la falcata. Correva. Balzò dall’altra parte della strada. Piombò su Pellegrini stringendo i pugni.

Controlla la voce. Non tremare…
Gli prese la spalla e gliela voltò con forza.

- Oh, Pellegrini, tu non sei di zona e non ti incontrerò mai più… ebbene …. per quanto riguarda prima, ricordatelo, io…io non volevo, mi spiace che sia successo a te, ma… comunque lo sai,… non accadrà più.
- Io…
- No. Fammi finire….ecco, non succederà più…E, tu…tieni duro, sei forte, ti ho visto. …grazie per l’acqua…

Girò lo sguardo prima della risposta e scivolò lontano. Era abbastanza. Desiderò del cioccolato per mezzo secondo abbondante. Ficcò i pugni intasca e si diresse al furgone. Guardò in alto, dietro le montagne. Nuvoloni spiralavano verso l’alto in piano-sequenza.

Inversione termica. Pensò.

Fra poco, lassù, avrebbe cominciato a piovere..

 

[Modificato il 10/10/2006 alle 21:50 by claudiodance]

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“…..oh, ghè riàt Dancelli!....”


 
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Elite




Posts: 20
Registrato: Jul 2006

  postato il 10/10/2006 alle 22:18
complimenti dance nn so se sn proprio i tuoi racconti oppure sn io che sn fatto cosi visto che anche con i libri mi capita ma mentre leggevo mi sembrava di essere il ciclista dietro ql ragazzo!!!!!!!!!!!!!!

cmq complimenti ancora le tue storie sn sempre bellissime ne aspetto tante ancora! grazie

 
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Livello Raymond Poulidor




Posts: 342
Registrato: Apr 2006

  postato il 10/10/2006 alle 22:53
Molto bello.
Come sempre.

 

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#1 Danilo Di Luca's Fan

GTA forever

 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 9090
Registrato: Nov 2005

  postato il 11/10/2006 alle 08:27
che dire Claudio, mi fai venire voglia di scrivere...

complimentissimi e ora nel mio piccolo anche io voglio aprire un thread per farvi leggere un racconto

 

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EROE DEL GAVIA

A 2 Km dalla vetta mi sono detto "Vai Marco o salti tu o salta lui...E' saltato lui.
Marco Pantani.Montecampione 1998

27/28/29 giugno 2008...son stato pure randonneur

!platonicamente innamorato di admin!

 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 9090
Registrato: Nov 2005

  postato il 11/10/2006 alle 09:23
l'ho riletta con calma...se non sbaglio me l'avevi già raccontata sta storia vero Claudio???

 

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EROE DEL GAVIA

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Marco Pantani.Montecampione 1998

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Livello Fausto Coppi




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Registrato: Dec 2003

  postato il 11/10/2006 alle 10:03
Mo Bravo!

 

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Il mio blog: http://passodellacisa.blogspot.com
La mia squadra ciclistica:http://altalunigiana04.comyr.com

 
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Moderatore
Utente del mese Agosto 2009




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  postato il 11/10/2006 alle 14:23
Bravo Claudio, vedo che, oltre alle gambe, anche la penna è in ottima forma. Ho molto apprezzato il modo in cui, con realistica crudeltà, vengono rappresentate le sensazioni di chi vede la gloria sfuggirgli dalle mani. Lo sport non è fatto solo di vincitori

 

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Vorrei morire in bici, in un giorno di sole, dopo aver scalato una di quelle montagne che sembrano protendersi verso il cielo, mi adagerei sull'erba fresca senza rimpianti, attendendo con serenità il compiersi del mio tempo. Non importa se sarà ...oggi o tra cent'anni, avrò in ogni caso trovato il mio giorno perfetto.

 
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Moderatore




Posts: 21608
Registrato: Oct 2004

  postato il 11/10/2006 alle 16:58
Bella l'asimmetria, ottima chiave per descrivere i pensieri, sempre confusi e mai cronologici.

Ottimo Claudié

 

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Mario Casaldi - Cicloweb.it

CICLISTI
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie

 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 3579
Registrato: May 2005

  postato il 11/10/2006 alle 18:11
Claudione... massimo rispetto per il tuo ennesimo, splendido, racconto di vita e di sport!

 

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Lo stupido sa molto, l'intelligente sa poco, il saggio non sa nulla... MA EL MONA EL SA TUTO!!! (copyright sconosciuto)

ADOTTA ANCHE TU UNA AMY WINEHOUSE!!! Mangia poco, non sporca... e aspira tutta la polvere che hai in casa!

 
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Moderatore
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Posts: 8326
Registrato: Jun 2006

  postato il 11/10/2006 alle 18:32
Bellissimo racconto Dancellozzo! Pubblichi anche questo vero?

 

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Un uomo comincerà a comportarsi in modo ragionevole solamente quando avrà terminato ogni altra possibile soluzione.
Proverbio cinese

Jamais Carmen ne cédera,
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Livello Fausto Coppi




Posts: 7360
Registrato: Jun 2005

  postato il 11/10/2006 alle 18:46
bello e misterioso. sei una gran penna.

 

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...E' il giudizio che c'indebolisce.

 
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Livello Marco Pantani




Posts: 1476
Registrato: Mar 2005

  postato il 12/10/2006 alle 19:15
Originariamente inviato da robby

l'ho riletta con calma...se non sbaglio me l'avevi già raccontata sta storia vero Claudio???


uhm sì, è quella.
Solo che quì è molto più romanzata....

 

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“…..oh, ghè riàt Dancelli!....”


 
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  postato il 12/10/2006 alle 22:08
Fantastico, solo chi ha corso può ritrovarcisi, e chi non ha corso può capire com'è una gara!
Bestiale mi sono immedesimato moltissimo!!

 
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