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Autore: Oggetto: ...Per Abruzzese......Graffiti: Silvestro La Cioppa.

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 23/09/2006 alle 21:06
Caro Abruzzese, ho letto la tua richiesta in calce al thread su Harry Jerome e…. il personale “ritrovamento” di ……Vincenzo Meco. Ieri, è stato il mio onomastico, oggi, in un’epoca di vacche magre, l’olandesina volante Marianne Vos, a soli 19 anni, ha recitato un grido di grande ciclismo, quale giorno migliore per essere conseguente?!
Ho così ripreso un file di ritratti scritti nel 2003, fra i quali sapevo che c’era anche quello di Silvestro La Cioppa…. vi ho aggiunto due foto e la data (non certissima) sulla sua morte, ed ora lo posto qui. Spero che l’Admin, appena avrà tempo, inserisca questo ritratto al pari di quelli su Anquetil, GB Baronchelli, Balmamion, Fuente e Ocana, tutti pubblicati sul forum, all’interno della rubrica “Graffiti”.



SILVESTRO LA CIOPPA
Nato a Francavilla al Mare (CH) il 30 maggio 1936 e deceduto a Pescara, il 27 giugno 2006. Scalatore. Alto 1,68 per 63 kg. Professionista dal 1958 al 1961 con una vittoria su strada.



La storia sportiva di questo abruzzese nato a due passi dal mare, ma con l’occhio tenero verso la terra ed i monti, poteva essere molto diversa se avesse avuto convinzione nei suoi mezzi e non si fosse speso sulla bici, col solo obiettivo di concepire le corse sulle salite. I suoi difetti finirono per ingigantirsi, aldilà dei suoi problemi intrinseci, a causa del periodo particolare in cui consumò il suo tratto agonistico: una fase del ciclismo densa di campioni, alcuni dei quali in grado di vestirsi dell’eletto ruolo di fuoriclasse. Gli stessi gregari dell’epoca, possedevano virtù che in altri periodi della storia del pedale, avrebbero potuto consentire recite ben più evidenti.
Silvestro La Cioppa, si dimostrò subito un dilettante di peso, al punto di essere inserito, molto presto nel novero degli eletti, ovvero i puri che in qualche circostanza potevano correre coi professionisti indipendenti. In salita il suo passo e la sua tenacia infiammavano le folle. Era un grimpeur abbastanza classico: amava stare il più possibile sui pedali, ma in considerazione delle strade dei tempi, era costretto sovente a restarsene in sella e lì impressionava per l’aiuto che richiedeva alle spalle. La sua andatura ne risentiva, ma nelle giornate di vena appariva spesso irresistibile.
Alla fine del 1957, dopo essersi cimentato da isolato in qualche gara nell’elite del ciclismo, ebbe l’opportunità di fare il salto di categoria, grazie all’ingaggio della San Pellegrino. Il debutto di Silvestro, giovane dal largo sorriso e dalla simpatia prorompente, ma dai vuoti di concentrazione altrettanto evidenti, fu di quelli che non si scordano, anche se la traduzione delle risultanze negli albi d’oro, non si presentò generosa. Fu autore di buone prove in primavera, soprattutto quando la strada volgeva all’insù, dove il suo danzare sui pedali e la sua maglia bianco arancio, apparivano in tutta evidenza agli occhi dell’osservatorio e ai timori degli avversari. In aprile, sulle pendenze un po’ più marcate del Giro di Sicilia, il suo amore verso la salita, cominciò ad incidere le necessarie trascrizioni. Nella prima tappa, che si concludeva a Messina, giunse quarto, ma primo fra gli inseguitori di un terzetto che s’era lautamente involato a tanti chilometri dal traguardo. Sulle ascese di quella frazione, lottò a lungo con un altro giovane di belle speranze del meridione, Antonino Catalano. I due, non paghi delle scaramucce sulle pendenze, finirono per impegnarsi allo spasimo anche nello sprint per il quarto posto, infatti….il quinto del foglio d’arrivo fu proprio Antonino, il siciliano che correva in casa. Nella tappa di Sciacca però, dopo aver pregiudicato un ottimo piazzamento in classifica per le amnesie che poi ne limiteranno non poco la carriera, Silvestro, approfittò delle amiche salite per staccare tutti, cogliendo così la sua prima vittoria, in perfetta solitudine. Su quel traguardo, osservatorio ed avversari, non avrebbero mai immaginato che il fresco successo ottenuto da La Cioppa, sarebbe rimasto l’unico del suo tratto agonistico. Intanto, in Abruzzo, gli appassionati che già seguivano con interesse le gesta di quel ragazzo venuto dal mare per trovare nei monti il proprio canto, iniziarono a trasformare la simpatia verso quel tifo, fino ad allora quasi interamente rivolto al grande Alessandro Fantini che, da Fossacesia, nel frattempo, s’era trasferito nel bresciano.
Arrivò finalmente il Giro d’Italia tanto atteso da Silvestro, per quelle salite che fino ad allora, tra i prof, praticamente aveva solo assaggiato. L’abruzzese partì fortissimo, come uno dei corridori più navigati e con la voglia di eleggersi a qualcosa di importante. Dopo aver preso una prevedibile scoppola nella cronometro di Comerio, nella terza tappa che si concludeva a St Vincent, vinta dallo spagnolo Botella sul neoprofessionista “Gabanin” Pambianco, nuova maglia rosa, La Cioppa, si trovò a confrontare le sue forze coi più forti scalatori e passisti del tempo, tutti collocati nel gruppo inseguitore. Bahamontes attaccò e l’unico che riuscì a stargli vicino, ad un pugno di secondi, fu proprio il giovane di Francavilla al Mare. Finì ottavo, dietro lo spagnolo, ma con gli occhi della critica addosso. Il giorno dopo, sul colle di Superga, in cima al quale si concludeva la quarta tappa, lo spettacolo dei migliori camosci del mondo non venne a meno e, fra questi, Silvestro, vi finì con pieno merito. Il traguardo fu raggiunto ad uno alla volta, come nelle migliori tradizioni delle grandi salite, anche se il colle che guarda Torino, non era asperità da leggenda. Vinse Bahamontes che lasciò Gaul a 28”, quindi lo spagnolo Lorono a 38” e il belga Brankart a 41”. La Cioppa chiuse quinto, a 58”, ma si lasciò alle spalle, staccati, grandi nomi come Fornara, Baldini, Bobet e Nencini. Successivamente, i suoi vuoti d’attenzione nelle tappe senza asperità (pedalava spesso nelle ultime posizioni del gruppo) e la cronometro di Viareggio, dove Baldini mandò fuori tempo massimo il 70% dei corridori (ovviamente per la gran parte rientrati dalla finestra, grazie ad un’ovvia decisione della giuria), intristirono assai la sua classifica, ma non la sua volontà di ritornare a duellare coi più forti camosci. A San Benedetto del Tronto, grazie ad una giornata d’attenzione in pianura, o forse per non perdere contatto con l’amico-nemico Catalano, si inserì in una fuga a nove che andò a buon fine. Vinse Pierino Baffi sul corregionale Fantini, mentre Silvestro finì sesto. Il giorno successivo però, nella cronoscalata di San Marino, dove Gaul trionfò prendendosi una rivincita sulle parziali sconfitte rimediate da Bahamontes e Brankart in Piemonte e Valle d’Aosta, La Cioppa, affondò un po’ troppo per il suo potenziale in salita. Poteva essere il segno di difficoltà e fatica, o il peso delle attese? A quella domanda che in tanti si ponevano, Silvestro rispose nella tappa successiva, in quella che resterà la sua grande giornata.
La frazione che portò i girini da Cesena a Boscochiesanuova, è da definirsi, ancora oggi, una tappa di grandi significati. Consegnò, infatti, al vincitore Ercole Baldini, il marchio decisivo sul Giro ‘58, nonché l’eredità, scomoda ed impossibile, di quel “Nuovo Coppi” che tanto gli italiani aspettavano. Il colle veronese, nell’odierno niente di trascendentale, era anche a quei tempi una salita abbastanza pedalabile, ma a costruirla tappa di riferimento storico, contribuì non poco il piglio col quale l’affrontarono tutti i campioni di quella brillante edizione del Giro. La Cioppa fu tra i grandi protagonisti, finì terzo, dietro Baldini e Brankart, ma si lasciò alle spalle Bahamontes e Gaul. Qualche anno fa, Ercole mi disse: “Quando, in quella tappa che mai dimenticherò, aumentai il mio passo per staccare gli avversari, il giovane La Cioppa era quello che pedalava meglio. Temevo soprattutto Gaul, per motivi di classifica e per la sua completezza, ma Charly non mi pareva brillante. Bahamontes era lontano in classifica e sapevo che sulle Dolomiti, prima o poi, avrebbe pagato dazio. Nencini, Bobet e Lorono si staccarono quasi subito. Mi seguì più di tutti Brankart, ma il belga aveva le mie caratteristiche e non mi avrebbe mai fatto soffrire con continui scatti. Se quel giovane abruzzese, che due anni dopo fu per un breve periodo mio compagno all’Ignis, fosse stato più avanti nella Generale, avrebbe senz’altro costituito un motivo di timore. Sulle prime rampe della salita di Boscochiesanuova, lui, che scattava il più possibile, appariva indemoniato e non esagero se dico che, probabilmente, fu proprio La Cioppa, a creare le condizioni per far rimanere al comando un gruppetto di cinque corridori”.

L’abruzzese, che quattro giorni prima, aveva compiuto ventidue anni, aveva così gridato al mondo la sua presenza di luce. Non solo era riuscito a duellare e persino staccare due scalatori che, col futuro Marco Pantani, rappresentano ancora oggi il podio, ogni tempo, dei grimpeur. Ma la luminosità di Boscochiesanuova, si attenuò sulle Dolomiti, dove al pari di Bahamontes, Silvestro non trovò più occasioni per emergere. Finì il Giro al 18 posto, grazie soprattutto ai distacchi accumulati a cronometro ed in pianura per le sue disattenzioni. Stanco, partecipò al Giro della Svizzera, chiudendo al quarto posto il tappone di Klosters e la manifestazione all’undicesimo. Poi, nel resto della stagione, non fu più all’altezza della fama che s’era fatto nella “corsa rosa”, facendosi notare solo nella Tre Valli Varesine (8°) e, vicino a casa, nel Trofeo Matteotti (13°), nonché nel Criterium di Giulianova, corsa “tipo pista”, dove vinse un traguardo e finì terzo nella classifica finale.
A fine anno, non senza un certo stupore, La Cioppa passò alla Torpado, ma non fu un matrimonio felice. La mancanza di risultati in primavera, complici anche diversi acciacchi, portarono ben presto alla rottura dei rapporti fra il camoscio abruzzese e il sodalizio. Silvestro riuscì ad accasarsi alla Ghigi per poche corse, ma tutte le più importanti manifestazioni a tappe dell’anno, lo videro assente. Nel 1960, l’Ignis gli diede fiducia, con un contratto “a corse”. Provò la Vuelta di Spagna, accasandosi alla Ferrys, ma sì ritirò senza trovare mai l’occasione di mettersi in luce. Non partecipò al Giro d’Italia, ma a quello di Svizzera, che chiuse con un incolore trentaduesimo posto. Andò abbastanza bene nel Giro dell’Appennino, dove finì sesto, ma non fu capace di inserirsi nel gran duello fra il belga Emile Daems ed Ercole Baldini, giunti nell’ordine a Pontedecimo.
Con la stagione 1961, l’Abruzzo del pedale, incontrò un anno particolare e, per tanti aspetti, indimenticabile.
Pieno di esaltazione fu il debuttò fra i professionisti, del non ancora ventunenne enfant prodige Vito Taccone, il quale, a suon di vittorie, su tutte la classicissima Giro di Lombardia, gridò al mondo il suo accento, eleggendosi da subito personaggio dai confini superiori al ciclismo.
Di mero sconforto, invece, fu il destino che s’accanì su Alessandro Fantini, il piccolo gladiatore che per più di un lustro aveva tenuto alto il nome della sua terra d’origine, pur con una residenza bresciana. Sul rettilineo di Treviri, al Giro di Germania, il 3 maggio, cadde in piena volata, fratturandosi il cranio.
Non senza tristezza per quello che poteva essere e non fu, si consumò, proprio nel ’61, l’ultima stagione ciclistica di La Cioppa. Tornato in maglia San Pellegrino, il camoscio abruzzese si perse nell’ennesima annata incolore, finendo 39° al Giro della Svizzera Romanda e ritirandosi al Giro e al Tour de Suisse. Per il resto, comparse e poca tangibilità. E dire che aveva duellato, anche se solo per un breve segmento, con Gaul e Bahamontes! A fine anno decise di appendere la bicicletta al chiodo, lasciando il testimone in maglia bianco arancio, ad un altro abruzzese che, per tanti aspetti, ricalcherà nel ciclismo la medesima ellisse di Silvestro: Vincenzo Meco.
Nel dopo-carriera, La Cioppa continuò ad amare la terra come simbolo della sua vita, ma non dimenticò quella bicicletta che l’aveva reso qualcuno. Fu per anni animatore di ciclismo e direttore sportivo a livello giovanile. Poi, alla fine del giugno scorso, la fatalità che spesso incontra l’irreparabile, gli si presentò per l’ultimo struggente confronto. Aveva da poco compiuto i settanta anni.

Morris

 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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  postato il 25/09/2006 alle 02:29
Caro Morris,
ho avuto modo di leggere ora(a proposito,auguri passati per l'onomastico )il tuo racconto su La Cioppa e ti ringrazio di cuore.Ora anche molti altri utenti del forum potranno conoscere questo personaggio.
Una cosa credo di aver notato:molti atleti illustri originari della mia regione hanno visto,chi per un motivo chi per un altro,la loro carriera rimasta in qualche modo incompiuta.Come hai ricordato per qualcuno come Alessandro Fantini,che aveva già fatto vedere il suo talento,lui che nonostante fosse principalmente un velocista arrivò 2° dietro Gaul nella memorabile giornata del Bondone,purtroppo intervenne la tragica fatalità a spezzare sogni e speranze.

 
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