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Autore: Oggetto: Per Pirata.... Echi di atletica: Tommie "Jet" Smith!

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 24/11/2004 alle 00:43
Questo intervento risale a quattro anni fa. Leggendolo, per i suoi contenuti e le esternazioni del sottoscritto, qualcuno, che a differenza mia, conosce bene l’inglese, andò a setacciare contributi oltreoceano, trovando inaspettate conferme al mio scritto. Di lì, è nato un dibattito, che ai furumisti potrà piacere, soprattutto per gli excursus che contiene e per l’arricchimento culturale che può dare. Non è facile scoprire altri meandri di quel grande romanzo dello sport che, troppo spesso, è stato sostituito dal gossip anche nelle un tempo nobili pagine dei giornali sportivi che vanno per la maggiore.
Cicloweb, per la caratura dei suoi partecipanti, è una palestra che raramente si trova nel web, proprio perché il ciclismo è disciplina, nonostante tutto, corretta ed in possesso di un pubblico non tarato dal tifo. In un forum a stampo calcistico, a dimostrazione di quanto detto, non sarebbe stato possibile ….discutere o approfondire.
Onore dunque al suo direttore, un giornalista giovane che, mi auguro, guardi sempre alla penne del passato come filone per svolgere la propria professione, in sincronia con gli immensi valori culturali a lei siamesi.



Al caro Pirata, giovane, appassionato ed acuto ricercatore, nonché studente che mi auguro non smetta mai di studiare il non conformismo (la più bella delle facoltà umane d’oggi), queste tante righe per conoscere lampi di un’atletica che, un tempo, aveva personaggi immensi e genuini. Proprio come Tommie.


Vecchio “Jet” questo te lo dovevo. (11/01/2001)

Tanti ricorderanno la clamorosa protesta del pugno nero levato al cielo a capo basso, dei grandissimi sprinter Tommie “Jet” Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968. Due atleti che, aldilà di quel gesto, segno dei tempi della massima protesta razziale negli Stati Uniti, hanno inciso un’epoca nell’atletica leggera.

In particolare mi pare doveroso ricordare “Jet”, il più grande velocista che abbia mai visto, per quello stile perfetto e quella progressione terrificante.
Tommie era divino in tutto, per grandezza atletica ed intellettuale, anche se di questa parte, la “democratica America” ha fatto di tutto per non farla emergere più di tanto (la stessa cosa capitò a Lee Evans un altro grandissimo). Terminò la carriera praticamente nel giorno olimpico, anche perché dopo, fra infortuni, ostilità dell’ambiente e, soprattutto, personale modestia, non gli rimase altro che cercare una strada per ……..poter lavorare. Ed è amaro pensare che uno come lui, si accontenti oggi di fare l’insegnante di educazione fisica nell’anonimato di un piccolo college, senza possibilità di testimoniare, a livelli più ampi, la sua umanità ed il suo talento. Dico questo, perché insiste in me il sospetto che questo status non sia stato del tutto volontario, ma se i dubbi non avessero ragione di sussistere e la decisione di rimanere in una minuscola periferia americana fosse sua, la rispetterei e l’applaudirei con immensa ed immutata stima.
Jet Smith correva a ventidue anni i 100 metri (che non ha mai curato) in 10”1, i 200 metri in 20” netti ed i 400 in 44”5. Non è finita, perché un giorno, appositamente per lui, organizzarono una gara sui 200 in linea retta, su fondo non nell’allora emergente tartan, bensì nella vecchia tenninsolite, la nostra terra rosa. Bene, il poco più che ragazzino corse in 19”5, un tempo che non è mai stato reclamizzato, ma rappresentava un qualcosa di eccezionale e sarebbe tutt’oggi in grado di avvicinare l’inarrivabile e …….19”34 di Michael Johnson.
Sulla pulizia dei record di Tommie sono certo, al massimo poteva esserci quell’efedrina che è meno di una bazzecola rispetto a quello che s’è usato in ogni sport negli ultimi sei-sette anni.
Stupiva poi l’ossatura di Smith, più simile a quella di un mezzofondista e la sua muscolatura, era anch’essa ben lungi da quella del classico velocista costruito. Un bell’atleta, molto alto, dovrei dire e mi spiace doverlo fare, visivamente naturale e, proprio per questo, immenso.
Ribadisco, per me e per l’esperienza che mi son fatto nello sport, Tommie è stato il più grande “duecentista”, perché è quello che ha ottenuto tempi leggendari, col personale convincimento interiore che fosse atleta ancora puro. L’epoca in cui ha corso, la stessa sua non longevità lo dimostrano appieno. Certo, questi son giudizi personali, per quanto immanenti, ma quel 19”5 su tenninsolite, dopo 34 anni abbondanti, mi fa ancora venire i brividi.

Troppo alto per sparare tutto sui 100, ”Jet” aveva nei duecento il pezzo forte, ma anche sui 400 avrebbe potuto dire tanto di più di quel che ha fatto e l’aver posseduto, giovanissimo, ambedue i record mondiali, significa più di quanto si possa credere, alla semplice annotazione di un binomio da leggenda.
Un infortunio e la difficoltà a scegliere la specialità per le Olimpiadi di Città del Messico, lo misero un po’ in affanno poco prima dei “Trias” di South Lake Tahoe.
Nel frattempo era esploso il talento di John Carlos, un velocista decisamente più classico di Tommie, capace di correre i 200 metri sul tartan in 19”70 un tempo di 3 decimi inferiore al mondiale di Smith” (comunque corso su tenninsolite) , ma non mai omologato a causa di scarpette particolari. Un fatto che rimane tutt’oggi oscuro, perché quelle scarpette non sono state più usate da nessuno e, fatte sparire, praticamente dopo quella gara.
Comunque, i due “mostri” della velocità si ritrovarono di fronte ai “Trials” di Echo Summit e vinse John Carlos, col nuovo primato mondiale dei 200 metri, nel formidabile tempo di 19”92, riuscendo, per primo, a rompere la barriera dei 20”.


Furono selezioni amare per Tommie Smith, perché oltre a farsi soffiare il primato sui 200, finì per perdere anche quello sui 400. In semifinale esplose Vince Matthews, che corse in 44”4 e, in finale, s’ebbe il primo acuto di un altro leggendario, Lee Evans, il quale percorse la distanza in 44” netti, davanti a Larry James (44”1), Ron Freeman (44”5) quindi Matthews (che salvò il posto perlomeno in staffetta) Kemp e Francis. A mio giudizio quella fu la più grande gara sui 400 della storia.
Arrivarono le Olimpiadi messicane, dal grande Tommie paradossalmente vissute nella vigilia, nelle insolite vesti di non favorito. In Messico, tra l’altro, a disposizione del polivalente “Jet”, vi erano solo gli amati 200.
Con Carlos, Evans, Matthews non c’era rivalità fuori dal campo, anzi, furono proprio loro ad ideare quella protesta così inaspettata, perché proiettata sulla “sacralità” dell’Olimpiade. Il pugno nero, doveva essere esibito perché rappresentava una prosecuzione di quello che accadeva quotidianamente negli Stati Uniti e la scelta della principale manifestazione sportiva, voleva, tra l’altro, dimostrare in epoca di totale sfida con l’Urss, quanto pesasse l’anima di colore sulla spedizione americana.
La finale dei 200 nel calendario gare, sarebbe stata la prima a disposizione di quel gruppo di intellettuali e sopraffini atleti.
Il grande momento giunse.
L’orario, il tardo pomeriggio messicano, non sapeva ancora di entrare come un peculiare momento o frammezzo nella storia dell’atletica leggera e nelle sensibilità dei palati fini dello sport. L’aria più rarefatta di Città del Messico, stava forse per ricevere un temporale, ed era particolarmente elettrica. Di quel vento che, spesso, accompagna situazioni ambientali simili, solo debolissime tracce di brezza, come a presagire che era in arrivo, leggera, la proclamazione di una leggenda. La caliente gente messicana in silenzio e concentrata su quei blocchi, come a riverire l’immagine di un fatto soprannaturale. Doveva essere una situazione contingente a quei 200 metri, invece, fu una costante che portò quei divini atleti a dare il massimo. Praticamente agli stessi orari e nelle medesime situazioni ambientali l’Olimpiade messicana portò Bob Beamon allo storico 8,90 nel salto in lungo, al 43”86 di Lee Evans sui 400 metri piani (con l’eterno secondo Larry James al comunque sublime 43”97), Viktor Sanajev al 17,39 nel triplo (con i grandissimi podi di Nelson Pridencio a 17,27 e Giuseppe Gentile a 17”22), tracciando così, quello che potremmo chiamare come l’incancellabile souvenir di quell’Olimpiade.
Ed i duecento della verità, si corsero.
I due grandi avversari-amici erano in corsie tanto vicine da potersi scrutare e osservare, per adempiere i comunque sempre presenti aspetti tattici. John sapeva che la progressione di Tommie nell’ultima parte di curva e nel rettilineo non gli avrebbe lasciato scampo, se non fosse riuscito a guadagnare tanto in partenza e nella prima parte di curva.
Carlos, partì dai blocchi, come mai gli era riuscito e percorse perfettamente tutta la curva, ma ciò non gli valse che un metro o poco più di vantaggio e nel rettilineo la furia della progressione di Tommie fu allucinante, nonostante un vento contrario non molto forte, ma comunque fastidioso. Jet, si involava in quello che il suo divino talento aveva tracciato per lui, ed in quei pochi, pochi, attimi, John capì che l’amico aveva qualcosa in più e si deconcentrò di quel tanto, da farsi superare negli ultimi metri dall’ammirevole e bravissimo australiano Peter Norman, giunto nell’occasione alla “gara della vita”.
Il finale di Tommie, fu corso a braccia alzate, ciononostante, il tempo del suo oro, 19”83, sibilava come il nuovo record mondiale. Avesse corso gli ultimi venti metri con la medesima furia dei precedenti, probabilmente il record di Mennea non sarebbe mai nato.

Il sottoscritto vide quell’evento in televisione, aveva tredici anni e per vivere quell’emozione marinò la scuola. Oggi, nel ricordarlo, ho le lacrime agli occhi. Niente mi potrà cancellare l’immagine di Tommie con le braccia al cielo, mentre corre d’inerzia quegl’ultimi metri.
Il suo era il gesto liberatorio di un divino che ringraziava la natura per avergli dato un talento tale, da scolpire un’inimitabile opera d’arte. Vecchio Jet, questo te lo dovevo eternamente.

Morris


 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 24/11/2004 alle 01:58
L'intervento testè sopra, come detto, richiamò ricerche, quello che segue, le scatenò, ma fu un bene......


Ancora su Tommie "Jet" Smith...
Tommie non si racconta con un ritratto o una monografia, lui non è il campione, ma è, lasciando il complemento oggetto alla divinità che si deve all’uomo che rasenta la perfezione e che, nel silenzio, ogni giorno ti lascia qualcosa. Per questo, riporto spezzoni di quel “ogni tanto”, che mi vede aggiornare la sua grandezza senza limiti.

Dovessi andare domani negli Stati Uniti per esaudire una magia contemplante qualsivoglia mio desiderio, me ne fregherei di tutto ciò che si può vedere e ammirare, di quello che è stato scritto e si dice bello e profondo di quel grande paese, vorrei solo una cosa: stringere la mano a Tommie Smith. Il resto sono scorie. La grandezza dell’atleta non è oggettiva, ma obbligatoria, quella dell’uomo, sconosciuta ai più, è incommensurabile. Se fosse stato dotato di una particella microbica di ambizione, sarebbe stato in corsa per la Casa Bianca. Se ci ha provato il reverendo Jackson, infinitesimale rispetto a Smith, figurati cosa poteva fare questo intellettuale che vive la sua immensità nel modo supremo: l’esempio. Se poi pensiamo che “Jet”, è così capace di non dolersi nel constatare che i suoi allievi, a cui da tutto se stesso, non sanno chi sia stato, ben capiamo quanto sia unico.

TOMMIE “JET” SMITH
Correvi alato pensando.
Il vento s’inchinava
portandoti orizzonti,
punti che si sublimavano
nel crogiolo dei valori.
Guardavi e vivevi la povertà
che è ricchezza di progresso umano
t’intingevi di convinzioni
inverse al pensiero dei più
al vantaggio di chi si adegua
al credo di chi verve non possiede.

Eri sublime
veloce come un Jet
amico dell’uomo
del suo diritto a vivere
delle case che portan sollievo
alle immani tragedie d’un segmento
vissute sul sangue del dominio.
Sei ancora intatto
immacolato come nel tempo
del tuo dipinto di corsa,
continui a donare
nell’anonimato dei grandi
fatto di silenzio e umiltà.

Sei la luce che non si vede
nell’impossibilità d’una cecità
che ha perso udito e tatto
anche se vaga e cammina
nell’amorfo richiamo degli impulsi
venuti dai prolifici veglianti del male,
ma ci sei
e continui il tuo nobile tratto
sempre prodigo di semina.

Ringrazio di aver vissuto la tua epopea
mi basta per specchiarmi
in una lontanissima imitazione
nella speranza di stringerti la mano
per elettrizzare un credo che condivido
e dirti, direttamente,
quanto tu sia l’esempio più fulgido
d’immense stimmate
fisiche e mentali.

Caro Tommie
sei un uomo senza tempo
che racchiude il chiasmo
del sogno di vita
nell’attesa della serenità
che forse ci darà l’onestà della morte.

Morris


(........Cominciarono a fioccare le domande dopo le prime ricerche....Ecco il primo intervento di risposta)

Note tecniche ed agonistiche su Smith
Tommie “Jet” Smith, aveva un fisico da ottocentista più che da velocista e qui sta un primo aspetto delle sue stimmate uniche. Possedeva le energie nervose di un uomo la cui completezza mentale supera i confini del conosciuto. Non aveva il doping che tanto ha coinvolto, modificando i motori, l’atletica dagli anni settanta ad oggi. Avesse corso per ferire e lasciare una traccia indelebile, sincronica all’ambizione di essere il più grande anche per il più cieco e sordo, non sarebbero nati i primati mondiali dopo di lui sui 200 e 400, forse, anche sui 100. Sicuramente, se coloro che sono venuti dopo, tutti, compresi Michael Johnson e l’impostore Carl Lewis, fossero andati con la”benzina” di Tommie, li avremmo visti arrancare a distanza.

Smith, corse, non dimentichiamolo mai, nel 1965, sulla tennisolite, a San Josè, i 200 metri in linea retta in 19”50. In corpo non aveva ormoni più o meno nascosti, ed ogni suo appoggio sulla risaia della terra rossa (la differenza fra il plastan di oggi e quel fondo, si può stimare alla luce degli studi svolti in 300 millesimi sui 100 , 550 sui 200 e un secondo abbondante sui 400), sollevava la polvere come fosse passato un cavallo al trotto. Uno spettacolo extraterrestre raggiunto con allenamenti ridicoli rispetto a quelli di oggi.

Se in quella statistica che hai riportato e che giuro di non conoscere attraverso Google, anche per i miei enormi limiti in inglese, vi è scritto che “Jet” aveva il terzo tempo sui 400 nel 1967, significa che c’è un errore. Nell’anno, infatti, stabilì il mondiale a San Josè con 44”5 e gli fu tolto un anno dopo, nella più grande gara sui 400 della storia, in occasione dei “Trias” a South Lake Tahoe (Echo Summit). Vi riuscirono dapprima l’amico Vince Matthews (anche se l’annuario storico dell’atletica, incredibilmente, sovente, omette) e poi l’amicissimo Lee Evans (grandissimo pure lui).

Con un amico regista RAI, un giorno del 1996, presso il suo studio da favola pieno di strumenti sofisticati, provammo a stimare quanto Tommie perse in termini di tempo, correndo gli ultimi venti metri a braccia alzate nella sua vittoria olimpica. Arrivammo, con una approssimazione minimissima, a stabilire che non furono meno di 15, i centesimi lasciati per strada. Quindi, quando ho affermato che il record di Mennea nacque per ….concessione di “Jet” Smith, l’ho fatto alla luce di quella prova, a mio giudizio inconfutabile.

Non conosco l’allenatore ex atleta degli anni ’60, che ti ha dato quei ragguagli (Jim Kemp, All Francis?), ma mi fa un grande piacere constatare che un addetto ai lavori americano abbia avuto il coraggio di dire la verità…… e, definire Carl Lewis e Ben Johnson “mezze calzette” al cospetto di Tommie, non è per nulla esagerato. Anche se vivo un brutto momento, l’affermazione che hai riportato, mi ha fatto un grande piacere.


Ancora........

Caro amico, sono andato su quel sito americano che ci hai segnalato. Le graduatorie, specialità per specialità, tengono solo in parte conto dei tempi e dei primati mondiali ottenuti nell’anno preso in esame. Ci si concentra sul numero di gare ufficiali svolte e sulle vittorie, perlomeno nella stessa intensità delle consistenze cronometriche. Ne conseguono graduatorie in parte aleatorie, ed alcune più che opinabili. Il terzo posto di Tommie Smith sui 400 nel 1967, dopo che questi aveva stabilito il primato mondiale; il poco peso dato alla significativa testimonianza di valori supremi, espressa dallo stesso "Jet" sui 200 metri in linea retta, nel 1965 a San Josè, mostrano in tutta evidenza l’opinabilità di quelle classifiche.
La realtà che tutti conoscono e che Osgood ti potrà confermare, é che su Tommie, per la sua generosità e grandiosità di uomo, non si è quasi mai detto il vero e il giusto, ed è mortificante non reclamizzare a sufficienza le qualità straordinarie e poco terrestri del più grande velocista della storia.
Se "Jet" avesse avuto a disposizione le piste di oggi, la "benzina" (sai cosa intendo) e la cattiveria agonistica di uno che sul plastan mette l’anima contro tutti come una battaglia di vita, avrebbe corso i 200 in 19"10/19"15, i 400 in 43" ed i cento in 9"74. Solo sulla distanza breve avrebbe avuto un avversario forse anche più forte: Bob Hayes. A dirlo non è Morris per l’immensa simpatia e ammirazione che prova verso Tommie, ma la conoscenza delle differenze fra la tennisolite ed il plastan, fra l’ipotetica efedrina e gli ormonici più o meno celati di oggi, fra l’apertura delle praterie dei centri nervosi se ci si getta sulla concentrazione con cattiveria, attraverso l’aiuto di sostanze agenti sulla psiche come avviene abbondantemente nell’odierno e il semplice correre senza la volontà di ferire amici e colleghi, poiché si considera lo sport, solo come un piccolo tassello d’esistenza.
"Jet", ha fatto quel che ha fatto al minimo, pulito chimicamente ed umanamente come nessuno. Quando gli parlerai diglielo pure. So per certo che negherà l’evidenza per non apparire presuntuoso, ma non convincerà coloro che hanno avuto la fortuna di vederlo. Era un marziano sulle piste, quanto uomo completamente totale, per i suoi grandi valori di persona con fede e sentimenti, quelli, per intenderci, che non avranno mai tristi figuri tanto famosi che non voglio nominare, nemmeno con continue flebo di infusi di intelligenza e qualità.
E quando gli parlerai, ricordagli di quel tipo italiano che, dal tardo pomeriggio messicano del sedici ottobre 1968, quando aveva tredici anni, non ha mai smesso di pensare, almeno una volta la settimana, alla sua accelerazione dopo la curva e a quella corsa con le braccia al cielo negli ultimi venti metri. Un ricordo stampato sulla psiche che ancora gli fa venire le lacrime, come adesso, mentre lo sta scrivendo.



Chi avrebbe vinto sui 400 piani tra Tommie ed Evans? E sui 200?

Per quanto stimi Lee Evans come atleta leggendario e come grandissimo uomo (un altro Tommie, non una mezza tacca come i neri venduti al “regime” oscuro da sempre patrimonio degli USA, ovvero i vari Carla Lewis, Michael Jordan, Ray Leonard, solo per citarne alcuni), contro Smith, avrebbe perso sia sui 400 che, ancor più nettamente, sui 200. Ci sono ragioni di talento e conformazione fisica straordinarie, sfuggite ai più (ma chi si mette a disquisire su queste cose, aldilà dei convegni? Quelle pezze di “x” dei giornalisti forse?), che ce lo fanno capire.
Lee, era un brevilineo compatto, dalla muscolatura possente, portato a mantenere l’intensissima falcata (ovviamente non lunghissima), con una formidabile cadenza nell’arco della sua gara ideale, i 400 metri. Il suo compasso s’accompagnava sulla spinta di gambe formidabili, poco aiutate però dalla ricerca di sollecitazione alla spinta che viene da arti superiori potenti (tieni conto che non erano ancora arrivati gli ormoni massicci di oggi). Una prova ci veniva da una certa “ciondolanza” del capo (se ben ricordi) e da un certo “tremolio” delle braccia. Un atleta sublime sia chiaro, un mito per me, ma non un Tommie Smith. Costui aveva un fisico longilineo e una conformazione muscolare da ottocentista (ricordi, all’uopo, Johnny Gray?) che nascondevano nella “pompa” del muscolo più allungato, le fibre bianche più rare (ne nascono di simili con la percentuale di una su un milione). Aveva, inoltre, la capacità polmonare di un mezzofondista. In sostanza, sviluppava la velocità del perfetto velocista, con una progressione terrificante come non ho mai visto nella storia dell’intero sport, ed una resistenza alla velocità, degna di richiami fondisti. La sua gara ideale erano proprio i 400. Scelse i 200, per motivi indipendenti dallo sport, perché lui, Tommie, era un intellettuale senza cinismi e tornaconti e non poteva tollerare, di vedere i compagni di allenamento come dei nemici. Sul mezzo giro di pista, agli inizi, non “disturbava” nessuno e poteva liberarsi un po’ di più. Anche sui cento, grazie alla progressione negli ultimi quaranta metri, era qualcosa di incredibile. Altro che “mezza coccarda” Carla Lewis! Come ho scritto sopra, se avesse usato la benzina di oggi, avrebbe cancellato Michael Johnson, Maurice Greene, Tim Montgomery, Ato Boldon, Frank Fredericks e non avrebbe fatto nascere la maldestra favola americana del “figlio del vento”.
Tommie e Lee erano amici, si stimavano, avevano idee simili, ed erano due intellettuali troppo ingombranti per non subire l’ostracismo del mondo sportivo americano, a quei tempi poi, direttamente figlio di un dittatore, come Avery Brundage, che, per fortuna, non ha mai governato uno stato. Le loro carriere, dopo Mexico ’68, lo confermano appieno. Tommie, si rifugiò per tre anni nel football, per poi donarsi ai ragazzi senza far mai emergere la sua grandezza di atleta nato con stimmate uniche. Lee, fu tartassato in continuazione e si fece di tutto per non farlo correre a Monaco ’72. Fu osteggiato per il suo amore verso i fratelli neri d’Africa, per aver cercato di togliere l’atletica dalla patina ipocrita del dilettantismo. Divenuto allenatore di valore, s’è messo al servizio dei paesi africani, ed oggi allena in una piccola entità universitaria americana. Un grandissimo, di cui ho scritto un ampio ritratto (compresa la narrazione della solita incomparabile ed inimitabile ipocrisia “perbenista” tipicamente yankee, che raschiò tutti i suoi bassifondi, per impedirgli di partecipare alla sua seconda Olimpiade), che inserirò in un libro, che dovrebbe uscire nel 2005.


Chi era quel negretto che perdeva sempre da Evans, ma gli arrivava a meno di 1 metro, forse James?

Certo, il negretto che perdeva sempre da Lee Evans era Larry James. Un atleta grandissimo pure lui, ma che pareva nato per far da angelo custode al sublime Lee. Stessa Università, stesse specialità e sempre sconfitte per ottanta centimetri o un metro al massimo. Stessi segmenti di programma, compresa la sfortunata avventura con la compagnia di atleti professionisti che Evans inventò. Larry, era un gran bell’atleta, più simile a Tommie che a Lee, in quanto a conformazione fisica. Tentò la carta della gara che uccide, i 400 hs, per togliersi l’alone di eterno secondo. Vinse, in questa prova, le Universiadi di Torino, nel 1970, correndo, o meglio passeggiando, in 50”2, ma valeva meno di 48”. Non continuò, perché anch’egli subì l’ostracismo ideale, per non dire politico, che si indirizzava verso quegli atleti che non accettavano di vivere, da neri, come dei diversi utili solamente perché portavano medaglie (e l’atletica americana senza i metalli portati dai neri non sarebbe mai stata nelle prime cinque del mondo).
Larry James, mi impressionò quando lo vidi in un vecchio filmato (di cui ho perduto tracce), relativo ai “Trials” di South Lake Tahoe (Echo Summit) nel 1968, dove corse in 44”16 elettrico, giungendo secondo, dietro, ovviamente, ad Evans (44”06). Fu la gara più grande della storia sui 400 metri. Terzo finì l’occhialuto Ron Freeman, quarto il detronizzato primatista mondiale Vince Matthews, quinto Jim Kemp e sesto All Francis. Fra i “professionisti” fece incetta di primati su distanze ibride. Oggi, pienamente entrato (o normalizzato che è più giusto) nell’organigramma dell’atletica statunitense, fa il manager della squadra nazionale. Era il numero uno della spedizione agli ultimi mondiali di atletica.


Non se tu hai mai visto Evans dal vivo; io sì: "Pasqua dell'atleta" all'Arena di Milano. Quella volta vidi anche Greene (bronzo a Mexico '68, Arese contro Liquori, Pennel, Gamoudi contro Risi (si fa per dire), ti faccio invidia?

Tu attenti alle mie coronarie….. Certo che ti invidio. A quei tempi, uno della mia età d’adolescente, non si poteva permettere di fuggire di casa per raggiungere Milano e vedere Evans, Greene, Arese, Liquori, Pennel, Gammoudi e Risi in competizione all’Arena. Guardavo la “Pasqua dell’Atleta” ed il Meeting di Formia, che lo seguiva a distanza di una sola settimana, in TV. Erano appuntamenti mitici per me. Non potevo fare diversamente, se non volevo far morire d’infarto mia madre, religiosa fino alle viscere, che già doveva sopportare i miei capelli lunghi, le mie pantomime di studio e quelle ragazzine che vedeva come nemiche della scuola e fonti di un possibile e non cercato ulteriore status di nonna….
Come non ricordare il brevilineo “ammazza sparo” Charly Greene, la regalità di corsa e lo sprint a denti stetti di Franco Arese, la signorilità dell’italo americano Martin Liquori, le acrobazie dell’astista John Pennel, la cui rivalità con Bob Seagren (di cui ho scritto un ritratto che finirà sul mio libro “Graffiti uno”), aveva superato i confini statunitensi. E come dimenticare la corsa imbronciata da sicuro chirurgo del mezzofondo del tunisino Mohamed Gammoudi olimpionico a Città del Messico sui 5000 (quando battè con uno sprint mozzafiato il grande Kipchoge Keino), così come quella lineare di Umberto Risi, a cui però ho sempre preferito le cadenze frenetiche a gambe degne di due parentesi tonde, del sardo, trapiantato nella Snia di Milano, Antonio Ambu.
Ricordi, caro amico. Ricordi di un tempo migliore, nell’atletica e nel mondo. Ricordi che avrei voluto vivere da adulto, invece mi devo accontentare di rimembrarli con le fotografie che scattò sulla sua mente, un adolescente certo anomalo, ma pure sempre un adolescente.
E’ incredibile, ma oggi, dopo tutte le misere figure sempre più decadenti, talune ignobili, che ho visto passarmi davanti in oltre tre lustri di orrida politica, dover constatare che pure nello sport si è andati sempre peggio……mi vien di urlare che sono troppo giovane! Vorrei avere almeno 60 anni per dire che ho vissuto il meglio! Invece sono costretto, per respirare, a riprendere tutti i ricordi che la mia mente di bimbo prodigio (che si fermò presto!), aveva messo da parte come un patrimonio….. e scolpirli nel presente per dire……che mi sento anch’io un osservatore di meravigliose epopee.
Vedere oggi l’attenzione che si presta a dei pedoni (calciatori in primis!) pieni di chimica come…… (nei puntini ci si può mettere quelli che si vuole, tanto non si sbaglierebbe di un filo), sinceramente mi fa ridere amaramente.

Morris

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 24/11/2004 alle 02:25
Caro Pirata, vado avanti.......su Smith e su altri. Domani, perchè sto crollando dal sonno, ti scriverò qualcosa anche su Beamon.
Intanto qui, oltre al grande Tommie troverai altri echi di personaggi dell'atletica, sempre a mo' di risposta a domande.....



Morris, ho scritto a Tommie e mi ha risposto confermando tutta la tua ricostruzione della sua carriera.
Ha detto che lui vedeva l'atletica, oltre che come cassa di risonanza per le Black panthers, come preparazione per la sua carriera da pro nel football. Infatti, ha corso solo per 4 anni, dal 64 al 68, poi è passato nelle file dei Cleveland ( mi pare, ma non ricordo, ho cancellato la mail ) come quarteback per tre anni. Si è infortunato nel 1971 ed è passato all'insegnamento in un liceo con grandi soddisfazioni personali.
Ho poi riparlato con Osgood, e lui riconferma che è opinione comune che Tommie abbia fatto vedere solo il 45/50% del suo enorme potenziale. Per il resto pare che Jet sia in rotta con l'estabilishment americano: come Edwin Moses denuncia l'uso delle droghe ed è stato "bannato" da ogni posizione in federazione, e poi la famosa intervista contro Michael Jordan (rammenti? ne parlammo..... lo accusò di pubblicizzare scarpe da 200 dollari al paio, che costringevano i padri dei ragazzi dei ghetti a fare debiti o a rubare, per far felici i loro figli ) lo ha tagliato fuori da ogni gioco. Mi ha anche detto di riscrivere a Tommie, perchè in confidenza gli ha detto che gli ha fatto molto piacere, l’interessamento, la stima e l'affetto di noi italiani.


Tutto vero: gli anni di pratica e la squadra di football, il Cleveland, appunto.
Ricordo bene la famosa intervista contro Jordan, la conobbi da te, qui.
Mai parole sì giuste. Michael, grande giocoliere e atleta di basket, quanto insensibile schiavo dell'orrendo potere di quella immonda e criminale società di quattro lettere.
Tommie è sempre Tommie, non si smentisce e, come Moses, ha fatto bene a denunciare le porcherie chimiche siamesi all'atletica americana. Edwin, nel pieno dell'attività, campava coi soldi dei meeting e con la sponsorizzazione di un'azienda di lenti a contatto italiana. Negli USA, lo vedevano come il fumo negli occhi e se avessero trovato, in patria, un altro nero in grado di bastonarlo, avrebbero coperto questi di ponti d'oro.
Tornando a Tommie, mi chiedo, e potremo chiederglielo un giorno, cosa avrebbe fatto su 100, 200 e 400 se avesse corso col ricatto, sempre cinico, di legare ad un aspetto umanitario tangibile, ogni sua prestazione o performance. Anche senza la benzina, le piste e gli allenamenti di oggi, probabilmente, non avrebbe fatto nascere i bionici venuti dagli anni ottanta in poi, o li avrebbe costretti a far nascere in loro tre occhi, quattro narici e le mandibole degli australopitechi....
Un immenso, col quale non devi perdere i contatti...... perché lo andremo a trovare se verrà in Italia e ti prenoto già come interprete.....


Morris, si scoprono cose molto interessanti, su quei siti. Ricordi, ad esempio, quando ti chiesi informzioni su Steve Williams? Atleta fenomenale, sui 100 e 200, che ha sempre trovato, alle Olimpiadi o ai mondiali, un infortunio o qualche evento che lo tagliava fuori. Farebbe il giornalista, se ho ben capito, in una piccola testata di provincia perchè prese posizione contro il boicottaggio di Carter alle Olimpiadi del 1980, che erano la sua ultima occasione, per ovvi motivi anagrafici. Fu tagliato fuori dai giri che contano e campicchia alla meglio, insomma......

Ricordo che Steve prese effettivamente posizione contro il boicottaggio a Mosca ’80. Per lui, già ventisettenne, quella era davvero l’ultima occasione, anche perché, finalmente, aveva superato la tagliola dei Trials. Le sue ragioni erano più che ottime, anche perché i boicottaggi olimpici, da qualsiasi parte proposti, sono sempre stati un’idiozia.
Che negli Stati Uniti, un atleta, non possa dire nulla a livello politico, è risaputo. Rappresenta un’altra faccia della falsa democrazia che ha reso beccaccini, o meglio succubi della potenza militare statunitense, miliardi di persone nel mondo. Che poi i metodi dell’apertura liberal democratica (sic!) yankee, arrivino a forme di vendetta, da bambini poco intelligenti è altrettanto risaputo. D’altronde, un paese che ha scelto come presidenti certi personaggi-cabaret e che crede di essere grande ed illuminato per aver messo alla gogna un presidente migliore della sua media, per una storia di pompini, dona al resto del globo una fuliggine atta a creare pruriti di comicità e conseguenti risate a crepapelle. Se poi pensiamo alla legalizzazione e alla condivisione per motivi superiori del prozac ai bambini, mi sento di baciare, abbracciare e amare alla follia Alanis Morisette, solo per aver detto che la prima felicità che si può provare nella vita, è quella di non essere americani. Fortunatamente, negli orridi, pomposi, grotteschi, ridicoli e strapericolosi USA, c’è una minoranza di persone splendide, le quali, pur non avendo voce, riescono ugualmente a dare un filo di speranza al mondo. Figure nobili, tanto spesso presenti fra gli sportivi e gli artisti americani, sinceramente addolorate e schifate per le scemenze anche sanguinarie che un certo innominabile G.W...., riesce a partorire a getto continuo.
Tornando a Steve Williams, sapevo che faceva il giornalista non sportivo, in una testata giornalistica californiana, se non ricordo male. Prova a sondare, alla fine scriveremo un dossier......
Comunque, anche Steve, rappresenta una regola: chi dice quello che pensa nonchè la verità, partendo dal mondo sportivo, nei democratici USA, fa la fine di uno che per vivere è costretto ai margini. In altre parole, i tempi di Brundage, non sono ancora finiti.....

Morris, ieri sera, su una TV inglese, mi sono rivisto una finale dei campionati neozelandesi dei 1500 metri, con sprint a tre tra lui, Quax e Dixon. Che bel personaggio che era il grande John!! Cosa fa adesso?

Purtroppo, ti devo dare una brutta notizia: John Walker soffre, dalla fine del 1996, di Morbo di Parkinson. Attualmente lo stato della sua malattia, nonostante la corazza dell’uomo che abbiamo conosciuto ed ammirato, è abbastanza avanzato, anche se non ancora ai livelli di Alì.
Era un mezzofondista col fisico più simile a quello di un velocista, l’inverso esatto dell’atleta per me più veloce della storia, il già stradibattuto Tommie Smith. Non a caso, quell’illustre figlio della terra dei Maori, eccelleva nel finale con degli sprint mozzafiato.
Di John parlavo spessissimo con un allenatore della mia società, ex atleta specialista delle medesime distanze, un tempo azzurro, poi preparatore atletico del Milan e, più recentemente, di una squadra di basket di Serie A. Quelle discussioni venivano spontanee, in quanto avevamo nel sodalizio, un talento giovanile che faceva incetta di titoli italiani e che tanto assomigliava fisicamente a Walker. Era la versione “castano scuro” del leggendario neozelandese. Poi, quel ragazzo che avevamo tolto con fatica dal calcio, si fermò, per motivi tanto insistenti quando si giunge al confine con le scelte di vita.
Su John Walker ho scritto un ritratto che finirà su un mio prossimo libro.


Gran peccato. Stupendo atleta e grande uomo, sono notizie che fanno sempre male. A proposito di mezzofondisti finiti male, sentii, giorni addietro, un famoso allenatore di atletica, in TV, tracciare un ritratto a tinte fosche dell'ex enfant prodige Donato Sabia. Diceva che era un fallito, che aveva abbandonato la scuola convinto di essere un fenomeno, e che era un pessimo esempio per i compagni, quando era atleta. Io ebbi modo di conoscerlo, molto superficialmente, nel 1985, ad una cena, e mi sembrò un tipo quadrato. Tu sai qualcosa al riguardo? Se vuoi ( o puoi ) scriverlo, ovviamente.

Donato Sabia, era effettivamente uno dei talenti italiani più sopraffini nella velocità prolungata e nel mezzofondo breve che i miei occhi abbian mai visto. I suoi risultati, in giovanissima età, furono così clamorosi, da rendere logica la convinzione di trovarci di fronte, se non proprio ad un fenomeno, ad uno dalle stimmate non comuni. Che poi la constatazione abbia coinvolto anche lui, non significa un distinguo d’anomalia, semmai la conferma di una regola tanto frequente nel mondo degli sport individuali, dove l’autostima, spesso, rappresenta un quid determinante per far entrare in gioco il vasto pianeta delle energie nervose. Io non so chi sia quell’allenatore che in TV s’è lasciato andare a questo giudizio lapidario e pure irriverente, in considerazione del lasso di tempo che ha preso in esame, quindi coinvolgente anche i pochi anni di attività di Donato. Se è il grande "accusatore" S.D., o uno dei tanti infortuni del Coni, in questo caso ed in arte chiamati Maestri dello Sport, non mi stupisco.
"L’accusatore", quando era allenatore della Nazionale, negli anni in cui il suo pupillo (P.P), dotato di talento inferiore a quello di Donato, faceva le finali iridate, a Sabia rovinava i tendini! I carichi di lavoro che imponeva ad uno come il lucano, la cui muscolatura scultorea, fatta di cosce e polpacci pronunciatissimi, faceva a pugni con caviglie e ginocchia da modella, nonché tendini fragili oltre il limite delle considerazioni che una simile struttura imponeva di pensare, furono i veri motivi dei drammi d’infortunio che causarono il precoce abbandono di Donato.
Se poi a parlare, indipendentemente dalla notorietà, è stato uno col marchio indelebile di “MdS”, allora è già un risultato importante, se ha capito che il microfono non è una strana torta alla crema da mangiarsi a colazione.... Colgo occasione di dirti, visto che sei uno sportivo e pure uno che si interessa di politica, come i Maestri dello Sport (in altra versione definiti da allenatori e dirigenti, in confidenza, come i Maestri delle Scemenze), fossero scelti, per l’inserimento nella speciale scuola che li ha forgiati di simile sinistro titolo, non già sulla base delle loro qualità, bensì per scrupoloso gioco di raccomandazioni e, soprattutto, se, oltre alla loro persona, si estendeva una famiglia, per generazioni e ramificazioni, formidabilmente anticomunista. Anzi, a mo’ di titolo valente punteggio, era auspicabile un’appartenenza al Movimento Sociale o ai gruppi estremistici dell’estrema destra. Lo dico, non perché sono stato un dirigente politico dell'altra parte, ma per la mia sempre presente e tangibile avversione verso questi tipi di selezione (da qualsiasi parte provenienti s'intende!), cretini, prima ancora che non democratici. Fatto sta, che in carriera, ho provato sulla mia pelle codesta pessima statistica: per trovare un MdS decente in fatto di conoscenza e positività, dovevi conoscerne almeno otto. Visto che il Coni ne ha forgiati 384, fai presto a capire quanti sono gli indecenti adatti solo a fare gli uscieri della casa dei matti e chi, invece, poteva insegnare.
Scusa la divagazione.
Su Sabia, mentre correva, non sono mai circolati atti e voci tali da giustificare le affermazioni di quel noto. Certo, è vero che abbandonò la scuola (ma in quanti l’han fatto?), ed è stato ancor più grave, per il suo futuro, l’abbandono delle Fiamme Oro, dove avrebbe avuto potuto ereditare un lavoro come poliziotto, per l’allora Pro Patria Osama, una società che viveva solo sulla labilità delle sponsorizzazioni. Può essere che oggi viva da derelitto e che abbia fatto degli errori, ma non posso dirtelo con certezza, perché di lui si sono perse le tracce da tempo.
Restano gli echi atletici di un ragazzo che, a vent’anni (è nato l’11 settembre 1963), era uno dei primi otto del mondo, non solo per i tempi sugli 800 (il suo 1’43”88 del 1984, è ancora uno dei primissimi a livello Under 21), ma pure per la conseguente traduzione nell’impatto con le gare più importanti. Giova ricordare che partecipò ai mondiali Helsinki a soli 19 anni, dove non si qualificò per le semifinali, per colpa di una batteria lenta (giunse terzo e passavano i primi due). Alle Olimpiadi di Los Angeles, poi, sfiorò il Bronzo, giungendo 5° assoluto con un grande 1’44”53 e, dopo già gravi infortuni, seppe giungere settimo, ma terzo in semifinale (con un ottimo 1’44”90), ai Giochi di Seoul nell’88. Inoltre, a testimonianza del suo valore, è stato primatista mondiale sull’ibrida distanza dei 500 metri.
Mi sembra un bel ruolino.

Morris


 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 24/11/2004 alle 14:13
grazie morris,ogni tuo racconto e'per me un tesoro di inestimabile valore!

da cio'che ho capito anche il grande moses era un'atleta vero di simil natura di smith nonostante corresse,dominando i 400hs,in anni in cui il doping moderno era gia'una bruttissima piaga dell'atletica(anche se anche lui si sara'aiutato..)e non solo,io di lui sento sempre parlare tanto,come di un mito per l'atletica mondiale,ma ho visto solo poche immagini,sarebbe bello sentir su lui alcuni dei tuoi splendidi racconti..anche piu'corti se cio'ti rubano ore al tuo prezioso sonno...

un caro saluto

GRAZIE!

 

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Giuseppe Matranga

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 24/11/2004 alle 16:20
Le pagine di Morris si fanno apprezzare veramente da tutti, anche da chi avesse pochissima dimestichezza con l'argomento atletica (io).
Suggerisco a tutti, ma soprattutto a chi ora come ora è poco interessato dall'argomento, di scaricare in memoria tutti i post di Morris, perchè si sà che le passioni cambiano e tra qualche anno potreste rimpiangere di non avere più sotto gli occhi proprio queste pagine.

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 27/10/2007 alle 03:11
Riporto in alto questo vecchissimo thread, perchè oggi, ricorre l'anniversario della chiusura delle Olimpiadi di Città del Messico.

Furono i Giochi del pugno nero di Tommie Smith e John Carlos, prima ancora dell'8,90 nel lungo di Bob Beamon...

 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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