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Autore: Oggetto: Due storie di talento....

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 08/05/2006 alle 02:57
Mangiare e parlare, abbuffarsi e inghiottire aria, bere birra come fosse acqua. Echi quasi bulimici che si sublimano nel realismo di pancioni che lasciano la salute sul comodino, dimenticando che non è una abajour, semmai una sveglia. Robe da pazzi nella cultura dell’anoressico, eppure, anche in una serata così, tra il pesante ed il piccante che rende l’estratto di malto una linfa, possono arrivare radiosi momenti di lucidità. Magari non quella che si vorrebbe nel razionale classico, ma l’alcol, seppur a bassa concentrazione, unito ai sapori, sa fare miracoli: tornano ventate di memoria che si legano all’acume e ridanno verve alle convinzioni nel sopravvenuto dibattito. Si creano sinergie fra i coinvolti che portano altre piazzole utili a dar gambe a sensazioni ed esperienze, fino a farti pensare a quanto sarebbe utile tradurle o, perlomeno, ricordarle. Ed è da una simile dimensione che in queste giornate dense di scritti, si ritrovano sulla mente gli stimoli a farne tesoro, se non altro per dire: “bèh, non sarà come dire che due più due fa quattro, ma è proprio così!” Lo sport, se l’hai nel sangue sa diventare come il pasto di un ruminante, lo mastichi più volte, lo riprendi e lo invii nuovamente là, dove dovrebbe coprire una funzione. Un processo che s’allunga e coinvolge, sempre. Ed è così che un tema sul talento, ti fa pensare e ridire, ti spinge e ti convince, in una conclusione sui credi dell’entità. Più volte ho sostenuto che il sangue blu più reale, in un campione, si lega all’istinto, a quelle voci che scattano perché si è. I programmatori posson divenire anche grandissimi, persino i migliori per risultanze, ma quasi sempre, giusto per non dire sempre, non hanno il talento di altri. Ohhh mamma mia, che dico mai!? Nell’era del cerchiobottismo, della razionalità fessa vissuta sulla miopia numerica, ed i numeri sono sempre una cancerosa pena quando diventano intera giornata di tante quotidianità, sostenere similari concetti è da eretici! Ebbene sì, i campioni programmatori, hanno meno talento e sono meno veri degli istintivi: ai tempi d’oggi e del recente ieri, i più facili o imbalsamati alla comunque orizzontale dottrina del doping. Programmazione e scientificità, uso coordinato e continuativo di arricchimenti esterni sull’interno, metodiche di polo estremo vissute con ignavia o devozione all’ubbidire, rappresentano la più concreta scomparsa di quel buon senso che lancia per primo l’ammirazione e l’amore verso quelle schegge impazzite che, un tempo, chiamavamo alternativamente, istinto o intuito.
Il talento, si dice, è irrazionale. Per forza, rispondo, non ha una linea prevedibile, sgorga e basta. L’irrazionalità sta nell’incalcolabile che manda in tilt i ragionatori di professione, spesso animali d’ufficio che non s’accontentano di metter sui crucci di spiegazione ad oltranza il solo cervello: persino il naso vanno ad impegnare. E di fronte a questi lor signori, che bello poter dire: “arrendetevi ai segni dell’indefinibile, sognate e consideratevi fortunati nell’aver visto, la cercata strada della vostra razionalità non può nulla, é troppo miope di fronte ai raggi misteriosi e lucenti dell’inspiegabile”.
Già, l’altra sera ho discusso di questo, la birra mi faceva tornare la lucidità d’un tempo e cavalcavo i confronti, gli esempi d’una fetta della storia dello sport. Nomi, gesta, casi che si sublimavano, fino a riscoprir un’altra variabile quasi sempre siamese al talento: la sua esplosione in gioventù. A ben guardare quasi per tutti i talentuosi, gli anni più teneri nascondono segni particolari, qualcuno pomposamente o in metafora, potrebbe definire divini. Fatti o tratti brevissimi, luminosi, incredibili. Ed è doloroso, spesso, constatare che sono poco conosciuti, o già sulla strada della scomparsa dalle memorie.
Due storie si intrecciano col romanzo di cui, qui, sfogliamo le pagine. Un ambo d’esempi che toccano due uomini che non hanno potuto raggiungere i loro massimi per vari motivi, non ultimo quello della sfortuna. Nascono due racconti che potranno significare, persino smontare qualche tesi assunta come arma per distorcere le valenze dei protagonisti, qualche falsità o esagerazione funzionale a chi vive per dimostrare teoremi nati troppo spesso dall’interesse del giudicante. Robaccia, mi permetto di dire. Preferisco chiamarle due tracce, due solchi di stimmate che placano la sete estetica e danno una ulteriore dimostrazione di quanto sia ancora parziale la conoscenza e l’uso del nostro potenziale.



Sulle rive dell’Adda, in una famiglia che aveva fatto dei campi il presente e il futuro, dopo lo scampato pericolo della guerra e della perdita di quel sangue sempre conduttore nell’arco della più mostruosa delle nostre idiozie, il maggiore di due biondi figli, a suo modo senza strappi evidenti o troppo urtanti l’antropologia di quel nucleo, cercava la sua strada d’elevazione. Le scuola vissuta più come un obbligo che per passione, era riuscita col suo multicolore raggio, a lasciargli richiami che voleva coltivare. Erano echi indotti, ma sufficienti per fare di quel biondino che cresceva filiforme, un ragazzino vivace, brioso negli epigoni, perfino virtuoso negli interessi. S’era così avvicinato alla fisarmonica imparando a suonarla sì bene da finire nella banda paesana, ma non era quello strumento sufficiente a dissetarlo nei confronti della musica e, ben presto, il giovincello, aggiunse il suono di quella tromba che gli permetteva assoli forse più gratificanti. Insomma un biondino pepato, quanto basta per far vedere che aveva capacità d’apprendimento ed idee tali, da farne un evidente di ricerca, ma pure con piedi a terra ben poggiati, perlomeno per le risultanze che dimostrava. A quattordici anni, quando l’indole lavorativa s’era tradotta in lui come una necessità per forgiare i distingui, era riuscito a trovar posto, ad una quarantina di chilometri dalla sua frazione, proprio nell’imponente Milano, in un’industria dove facevano i panettoni e tanto altro fra gli zuccheri di base. Già, proprio quei dolci che voleva imparare a fare, forse per essere in linea col suo agnomen uguale a quello dell’azienda, o forse perché li trovava terreno per svariare, fantasticare su nuove variabili, inventare. S’appoggiò così alla bicicletta, unico mezzo utile ed efficace per percorrere quella strada che separava la sua casa di Groppello, dalla sede dell’industria, in quel di Milano. E così, ogni giorno, sabato incluso, su quel mezzo di color blu che papà gli aveva comprato usato, si copriva di quei quaranta chilometri che, dalla sua cascina, attraverso Inzago e Gorgonzola, lo portavano al portone d’ingresso d’un luogo di lavoro che l’inebriava per quei profumi sentiti quando ancora le case della città erano gli acuti d’orizzonte. Un tratto che ripercorreva ugualmente la sera, un po’ più stanco, ma ugualmente contento per le verifiche che gli donava. Già, perché per strada, trovava sempre qualcuno che con lui voleva battagliare a colpi di pedalate, e lui, il biondino, una fama se l’era già fatta, visto che ai cartelli che fungevan da traguardi forzatamente improvvisati, vinceva sempre. Una notorietà che s’allargò facilmente e quando l’età raggiunse il minimo, 17 anni, gli echi trasportati dai coinvolti più anziani e battuti, raggiunsero il patron d’una squadra che era la consorella giovanile e dilettantistica della più forte nel ciclismo da leggenda. Un gran nome, che fu ben lieto di donare una maglia da corsa a quel filiforme biondino dal motorino nei pedali. Inutile dire che il ragazzino fece presto a tradurre, anche nella bici col manubrio dalle curve basse, la sua bravura. Tante vittorie ed una fama che si lasciò andare alle tinte di campione. Stupivano, il suo passo armonioso, la pedalata rotonda e quello scatto che teneva in serbo per lanciare azioni, quasi sempre autentiche lame per gli avversari. Ma lui, il protagonista, ben sapeva che bisognava restare attenti a non sciuparsi, perché quel suo ciclismo era solo un’area di speranze e non serviva spendersi troppo. Era lucido il giovanotto, sapeva ciò che voleva, al punto di mandare a quel paese le sirene spacca muscoli su sfondi azzurri che gli piovevano addosso. A modo suo, continuava a provarsi in parallelo alle gare: attendeva il grande salto, l’unico a giustificare l’abbandono del posto di lavoro. Lo faceva creandosi confronti e prove vissute col piglio di chi sa dove vuole arrivare, senza paure o semplici timori, seguendo le voci del cuore e delle gambe, i suoi motori.
Il 19 ottobre 1961, due giorni prima della “classica delle foglie morte”, corsa vera e per professionisti, “Gamba Secca”, il più forte scalatore italiano ed uno dei primi tre del mondo, decise di provare il percorso che l’avrebbe aspettato 48 ore dopo. Si portò su una salita non lunga, ma ripidissima con punte al 25%, di cui l’anno prima aveva stabilito il record di scalata: un’erta che chiamavano “Muro di Sormano” e che si annunciava come fulcro anche di quella edizione della classica autunnale. “Gamba Secca”, voleva verificarsi e capire dove la sua notoria andatura di camoscio, potesse affondare un fendente per distanziare gli altri e, magari, involarsi verso la vittoria. Ad un certo punto ebbe la sensazione di essere seguito da vicino da qualche collega, ed un tornante glielo confermò. Dietro di lui, con una maglia che portava una scritta già leggendaria, “Faema”, un giovincello biondo lo seguiva a ruota, era arrivato lì con passo felpato come un gatto. Il campione sì infastidì subito, ed istantaneamente in lui si fecero largo tante domande, che spingevano un’unica risposta: togliersi di mezzo quell’intruso biondino. “Gamba Secca” attaccò come se alle sue spalle ci fossero già i grandi di due giorni dopo. Lo fece deciso e con veemenza, ma un altro tornante gli fece capire che il ragazzino, aveva bellamente digerito il Muro e la sua azione. Incentivò lo sforzo come fosse avvolto dalla disperazione della gara della vita, ma ancora una volta il suo scatto, non provocò cedimento nell’irriverente giovane. Non fece in tempo a voltarsi per chiedere a quel demonio chi fosse, che questi partì di scatto. “Gamba Secca” richiamò tutto quel che aveva per tenergli la ruota in quei pochi metri che li separavano dalla cima del Muro di Sormano. Lo scollinamento arrivò come una liberazione, per il campione. Il biondino si voltò e disse: “Massignan?” “Sì sono Massignan, ma tu chi cavolo sei? “Sono Gianni Motta!” – rispose il giovincello che aveva appena finito la stagione riservata alla sua categoria: gli allievi. Due giorno dopo, il Giro di Lombardia, in arte ciclistica “la classica delle foglie morte”, vide “Gamba Secca” Massignan, ritoccare il primato del Muro e giungere secondo, piegato allo sprint da un abruzzese dalla lingua lunga, di cui si diceva un gran bene: Vito Taccone.



Quasi sedici anni dopo quel giorno di ottobre 1961, da un’altra parte dell’Italia, là dove il caldo di quel luglio s’incrociava col traffico di una riviera più famosa che bella, Claudio, un corridore professionista, che un mese prima aveva chiuso il Giro d’Italia al tredicesimo posto, suo miglior piazzamento di sempre, si trovò a dover rispondere alle pressanti richieste di un giovane juniores, suo vicino di casa. “So che domani andrai provare la gamba su quel colle che mi dicono durissimo e dove ci fu un duello fra Merckx e Fuente. Posso venire con te?” - continuava a chiedergli il collega in erba. Claudio, che sapeva quanto quel ragazzino minuto dai capelli lunghi ma non fitti e con due orecchie che ricordavano quelle degli elefanti fosse bravo, non riuscì a dirgli di “no”. Già se lo era trovato sulle strade e pur non vincendo come i suoi compagni di squadra le gare, riconosceva al giovincello, un talento superiore al comune. Tre mesi prima lo aveva visto schizzare via ai coetanei su una salita che tanto piaceva anche a lui, la Ciola, e ne era rimasto impressionato al punto di ricordarlo in ogni occasione l’allenamento incontrava una pendenza. La sera, dopo aver risposto affermativamente a quel ragazzo insistente, telefonò ad Alfio, suo collega professionista ed ex compagno di squadra, col quale usciva abitualmente durante il training settimanale. Si trattava di un corridore che, dieci anni prima, aveva fatto sognare la loro terra con significativi piazzamenti al Giro e delle belle vittorie nelle classiche nazionali. Uno che era verso la fine della carriera, più anziano di Claudio di un solo anno, ma ancor validissimo alfiere, perlomeno fra i ciclisti della zona. Nella telefonata, la novità del terzo elemento della sgambata che li attendeva il giorno successivo fu discussa, non già per un senso di scocciatura, bensì per provare le virtù di quel ragazzo, di cui lo stesso Alfio aveva conosciuto la bravura in salita e, magari, trovar modo di farlo impazzire di fatica. Insomma, i due professionisti si misero d’accordo per fare di quell’allenamento, una seduta di divertimento alle spalle di quel giovane: lo avrebbero attaccato a turno, costringendo il ragazzo dalle orecchie a sventola, ad un tour de force indimenticabile. Il teatro scelto, la salita del Valico del Barbotto, proprio quella che aveva spinto lo juniores vicino di Claudio, alla richiesta di partecipazione. Ed il giorno dopo, come da copione, i tre si trovarono sulle prime rampe del passo, col più anziano a scandire un’andatura fortissima. “Ce la fai a tenere questo passo” - disse Alfio al ragazzino. “Sì, sto bene, non ho problemi”- rispose il giovane. A quel punto, Claudio partì a tutta e, visto che il più anziano dei professionisti non sui muoveva, il bebè della compagnia, gli urlò: “Che faccio, lo devo andare a prendere?” “Certo, e me lo chiedi pure!?”- rispose Alfio. Il ragazzo con le orecchie a sventola, s’alzò sui pedali e in un battibaleno andò a prendere il fuggitivo, portandosi a ruota, non senza una bella fetta di fatica, il maturo prof. Neanche il tempo di guardare in faccia il ragazzino, che il ricongiungimento fu rotto da un attacco dell’ex speranza di quella terra. Il giovane, allora, si rivolse a Claudio con la medesima frase: “Che devo fare?” “Che domanda, vallo a prendere se ne sei capace!” – gli rispose con affanno il vicino di casa. Ancora una volta lo juniores s’alzo sui pedali e andò con facilità a riprendere quella gloria della zona. I due professionisti, scansando lo stupore, provarono un affondo sul tratto più duro della micidiale salita, ma il ragazzino senza dar segni di fatica o fastidio, non si staccò. “Ne hai ancora?” esclamò Claudio al giovane. “Certo che ne ho ancora” – rispose “orecchie a sventola”. A quel punto, Alfio, richiamò le ultime forze come se fosse davvero al Giro d’Italia e ripartì, ma anche stavolta, non senza aver prima chiesto una specie di permesso a Claudio, il giovincello si riportò sul fuggitivo. In quegli istanti, Alfio, i cui occhi azzurri avevano scacciato la fatica con la luminosità dell’ammirazione, si rivolse al giovane camoscio e gli disse: “Prova a staccarci, in fondo alla cima non manca molto e se ti staccherai tu, noi ti aspetteremo in discesa”. Nelle parole del più anziano, c’era la sensazione che ad una simile eventualità, non si sarebbe arrivati. Il ragazzo, chiamato in causa nuovamente, disse ai due che, nel frattempo, continuavano a spingere al massimo per metterlo in crisi: “Sentite, so bene che non mi credete, ma io ho ancora tanta birra e se vi stacco, spero ve ne abbiate a male”. Come finì di parlare, il giovincello partì e, ai due professionisti, non rimase che vederlo pian piano allontanarsi dai lori sguardi intrisi di stupore e fatica. In cima al Barbotto, arrivò solo il ragazzo con le orecchie a sventola; gli altri due, da quel giorno, iniziarono ad applaudirlo in ogni occasione. Quel minuto ragazzo, si chiamava Marco Pantani. Era l’anno 1987.


 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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Livello Miguel Indurain




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  postato il 08/05/2006 alle 08:02
Grande Rispetto ...!

 

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Tutto dipende...!


 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 08/05/2006 alle 08:51
...più che altro direi RISPETTO E GRATITUDINE!!!!!!!

 

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EROE DEL GAVIA

A 2 Km dalla vetta mi sono detto "Vai Marco o salti tu o salta lui...E' saltato lui.
Marco Pantani.Montecampione 1998

27/28/29 giugno 2008...son stato pure randonneur

!platonicamente innamorato di admin!

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 08/05/2006 alle 09:03
Grazie, Morris!
 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 08/05/2006 alle 09:21
Grazie ancora, poeta.
Nel capoverso sotto la foto di Motta c'è scritto "sedici anni dopo..."; quel sedici, se non ho sbagliato il conto, dovrebbe essere ventisei.
Ciao. Sempre ammirato.
Nino.

 

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nino58

 
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Professionista




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  postato il 08/05/2006 alle 09:26
Due storie stupende!!!

Grandi protagonisti e grande narratore.

 

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Fritz

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 08/05/2006 alle 14:53
...ora, con più entusiasmo ed emozione, posso tornare a seguire questo bellissimo Giro!

Grazie Morris, sono racconti impagabili....

 

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Giuseppe Matranga

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Livello Luison Bobet




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Registrato: Jan 2006

  postato il 08/05/2006 alle 16:41
Morris, sei sempre un grande!! Due splendidi racconti, ma riesci sempre a sorprendermi per come sai trasmettere le emozioni. Quel racconto di Marco che aspetta Alfio e Claudio sul Barbotto l'avevo già sentito raccontare, ma non con questa intensità da cui traspare il tuo sincero affetto per il Panta: grazie di cuore, sono davvero racconti impagabili e rendono giustizia a Marco ed alla sua grandezza. Luca


 

[Modificato il 08/05/2006 alle 16:43 by luke]


 
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Livello Tour




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Registrato: Mar 2005

  postato il 08/05/2006 alle 18:19


Non aggiungo altro

 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 2490
Registrato: Dec 2004

  postato il 08/05/2006 alle 18:30
occhi lucidi e un grande groppo alla gola che nessuno toglierà dalla mia gola.
quel nodo che si crea ogni volta che leggo e parlo di Marco, che mi rende afona quando riguardo le sue imprese, quelle immagini, scatti....semplicemente come titolò tuttobici "come te nessuno MAI"

 

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"La vita e la morte.La pace e la guerra.La repubblica e la monarchia.Infine Bartali e Coppi e la progressiva identificazione di un popolo, che ripartiva da zero, in una coppia di campioni."Leo Turrini

 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 3579
Registrato: May 2005

  postato il 08/05/2006 alle 18:45
Morris, ti basti sapere che questa tua perla (l'ennesima) fa già parte del disco rigido del mio PC, tanto è sentita... complimenti ancora per la tua trasparenza e capacità di scrivere!

 

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Lo stupido sa molto, l'intelligente sa poco, il saggio non sa nulla... MA EL MONA EL SA TUTO!!! (copyright sconosciuto)

ADOTTA ANCHE TU UNA AMY WINEHOUSE!!! Mangia poco, non sporca... e aspira tutta la polvere che hai in casa!

 
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Livello Marco Pantani
Utente del mese Febbraio 2009
Utente del mese Agosto 2009




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Registrato: Sep 2004

  postato il 08/05/2006 alle 19:01
Grazie Morris per il tuo talento di narratore ( Cacciari diceva che il ciclismo, più degli altri sport, ha bisogno di grandi narratori, ovviamente per grandi eventi da raccontare, ).
Grazie per aver riportato il discorso su Pantani a un livello altissimo, quello che gli compete davvero.
Grazie perché credi nella parola, come me, ma non ti perdi nelle sciocchezze della chiacchiera ( come faccio io).
Grazie perché ieri ho sentito Padoa Schioppa fare un bellissimo discorso sulla prevalenza, sempre, del discorso logicamente di grado più elevato sulla chiacchiera e mi era sembrato un discorso non adatto a questa Italia , ma tu dimostri che, invece, lui ha ragione.
Il talento autentico di Pantani non si dimostra che con racconti come questo: il discorso logicamente più elevato.
Il talento è irrazionale e razionale, insieme, perché il talento è simbolo di qualcosa che ci trascende e il simbolo è sempre ambivalente, è per esempio, razionale e irrazionale, sempre in violazione del principio di non contraddizione,sempre assurdo ( il folle volo di Morzine) eppure vero.
E anche il tuo talento di narratore è così: razionale e irrazionale, insieme, e prevale come discorso più elevato.

 

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Verità e giustizia per Marco Pantani: una battaglia di civiltà.

Arcana loggia per il ripristino della civiltà dell'ordalia.

IO NON L'HO VOTATO.

IO CORRO DOPATO COME TUTTI.

"E' tutto alla conoscenza di tutti" Marco Pantani,1997 ( tempi non sospetti),parlando di doping in un'intervista televisiva con Gianni Minà.

Non sono a favore del doping. Sono semplicemente contro l'antidoping.

Hypocrisy free.

CAREFUL WITH THAT AXE, EUGENIO.



 
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Non registrato



  postato il 08/05/2006 alle 20:11
Parlare con semplicità è la miglior cosa, scusami ma questo scritto nn mi piace,nn mi entusiasma. L'ho riletto tutto, ci sono cose interessanti ma è come scritto che nn mi piace,nn trovo logica nell'introduzione; mangiare,parlare, abbuffarsi ect... neanche Guerra o pace inizia cosi...scusami
SUL GRADINO PIU ALTO DEL PODIO X SEMPRE MARCO. bye Mao
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 08/05/2006 alle 21:31
Proprio in questo Morris dimostra tutta la sua genialità....in questo pezzo si parla di calcolatori che noia.......l introduzione di Morris porta proprio a questo, si stacca dalle solite introduzioni che si possono leggere sui soliti giornaletti.....questa è arte....

 

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Livello Tour




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  postato il 08/05/2006 alle 22:02
Complimenti, veramente bellissimi
 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 1671
Registrato: Dec 2004

  postato il 08/05/2006 alle 22:19
morris,
per favore passa a trovarci più spesso.
quando scrivi tu, è un altra cosa.

ragalaci anche, quando sarà il momento,quando avrai tempo modo e voglia, qualche perla nell' analisi tecnica delle corse.

ciao maestro

mesty

 
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Moderatore
Utente del mese Agosto 2009




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  postato il 08/05/2006 alle 23:13
Che emozione leggere queste due storie, sia per i protagonisti che per il modo in cui sono raccontate, amico mio, si rimane rapiti nel leggerti.

Grazie per i momenti intensi che sai regalarci, MAHATMA Morris!

 

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Vorrei morire in bici, in un giorno di sole, dopo aver scalato una di quelle montagne che sembrano protendersi verso il cielo, mi adagerei sull'erba fresca senza rimpianti, attendendo con serenità il compiersi del mio tempo. Non importa se sarà ...oggi o tra cent'anni, avrò in ogni caso trovato il mio giorno perfetto.

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 09/05/2006 alle 00:36
Ciao Morris! Era ora!
La prima storia l'avevo sentita, la seconda no. Non mi sorprende il contenuto.... Il pirata in salita poteva fare angosciare chi doveva seguirlo......
motta ha avuto sportivamente un sacco di sfortuna. la gamba che non guarisce, un intervento non riuscito.....
Ma era un talento vero.
Se penso che qualche cuneghista si è offeso per il paragone che ho fatto con Motta..........
Leggerti , comunque è sempre un divertimento.
ciao vecio! (posso permettermelo, sono un pelino più giovane.....).

 

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pedala che fa bene.....

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 09/05/2006 alle 17:48
Scrivere a notte fonda, in fretta, scansando il sonno e senza avere la forza di rileggere (vizio da considerarsi mio gemello), fa brutti scherzi.
Nino , hai perfettamente ragione, non solo ho lasciato dieci anni sulla tastiera, ma non ho battuto delle congiunzioni e sul racconto di Marco diciassettenne, nel discorso diretto finale, ho dimenticato un "non" , senza il quale, appare nel protagonista una punta di altezzosità che non c’era proprio.

Ringrazio tutti voi per i commenti che non credo di meritare.


Maria Rita , quella possibilità che t’annunciai al telefono, nei medesimi tempi grosso modo, troverà concretezza. S’è mossa verso di me, "un’area" che non avrei mai pensato interessata..... Se tutto andrà come previsto, non incrinerò i miei principi e potrò esaltare quegli aspetti che sento immanenti.
Una corrente "acquatica", ha spiegato la grandezza di Marco come una sua maggior capacità di miscelare l’Epo nel sangue. Si tratta di una cretinata senza confini, che mi fa venire una rabbia enorme. La vita però, mi ha insegnato, attraverso esempi e costi pesanti, che il miglior modo di affrontare gli afflitti da stupidità, non è quello di ragionare con loro, non ne sono all’altezza su segmenti corti, perciò basta scegliere, dall’enorme mazzo di indirizzo contrario alla citata scimmiesca tesi, qualche spunto nella speranza che il tempo a tratto lungo, generalmente favorevole alla saggezza, possa stuzzicare qualche rattrappito neurone....

La misura della razionalità e dell’irrazionalità la da l’uomo per quello che gli dice o è in grado di ponderare il suo cervello cresciuto (circa 1/8 per taluni scienziati e 1/9 per altri). Ogni singola decisione sulla razionalità o l’irrazionalità di un atto, di una atteggiamento ecc. si colloca su un insieme di piattaforme conosciute che, appunto, producono un giudizio. Il talento si richiama ad una via inspiegabile e non misurabile nelle nostre percezioni, perché viene da un apparato che fa parte del nostro mondo sconosciuto: lo possiamo solo osservare e, per quanto possibile, vivere. Fotografando il talento con l’occhio miope dell’uomo, è dunque molto facile collocarlo nell’area irrazionale, proprio perché ci sfuggono le ragioni istintive che sono alla base di quei suoni coinvolgenti. Ebbene sì, proprio perché rappresentano una musicalità sconosciuta, ancestrale, appartenente a spazi lontani dal percepibile, ma comunque esistenti in noi a vari livelli di intensità, possiamo e dobbiamo dire che sono manifestazioni razionali. L’istinto e l’intuito, non si spiegano con la miope matematica e non si inquadrano nelle fredde logiche di una normativa e di una legge, per questo, nell’anarchia che mi pervade e che mi compiaccio d’avere, sono testimonianze radiose della luminosità della vita. Il talento è un summa di istinti ed intuiti: più è inspiegabile ed eccentrico, più è puro. Ecco perché il campione che lampeggia di apparente irrazionalità, che vive l’istinto attraverso il motore delle sensazioni e non si priva più di tanto della vita nel senso più comune che diamo alla quotidianità, avrà sempre la mia ammirazione più profonda. E, per quanto ne so dello sport, è sempre un atleta di dimensioni anche nettamente superiori a quel collega programmatore, costretto a vivere come una formichina di dedizione, serietà e abnegazione, per raggiungere tangibili livelli di risultanze. Una superiorità che non viene stravolta nemmeno dalle traduzioni numeriche, dove i programmatori, spesso, stanno davanti ai talentuosi istintivi.


Mao , quando scrivo lo faccio perché mi piace e ne sento il bisogno. Mi metto nelle condizioni di sviscerare le sensazioni ed i motivi che sono stati scatenanti. Non voglio stravolgermi per apparire bello o brutto, mi basta essere quello che sento scorrere narrando, partendo dal punto più onesto: la vita d’ogni giorno, coi suoi umori, le percezione del vissuto e del vivendo. Sono pieno di difetti, probabilmente anche più di tutti: per questo posso bere birra, mangiare da pancione, ma essere sempre me stesso, anche quando trovo, dalle mie debolezze, la forza o lo stimolo per esprimere quello che tracciano le convinzioni, gli sguardi, i ragionamenti, le voci interiori ecc. su un tema, senza la civetteria di farlo come gli altri vorrebbero. Sono verace. Quindi non potrò mai dire che in questo thread ho mescolato a vanvera racconti con abbuffate. Non lo dico per altezzosità o presunzione, perché ho scritto ciò che volevo e sentivo, con un’introduzione che si concepiva in linea col momento e la volontà. Poi, quel che è uscito, potrà piacere o meno, o, addirittura, esser visto come un obbrobrio, ci mancherebbe. Richiami Tolstoj, ma io sono Morris, un anatroccolo. Faccio le cose seguendo le mie sensazioni, proprio come faceva Marco Pantani, anche se di lui, sono solo un lontanissssssimo parente.....


Ilic , hai perfettamente ragione. Se fossi un corridore e mi si paragonasse a Motta, mi sentirei un dio. Gianni è stato, per me che non ero suo tifoso, il miglior talento italiano di quella grande generazione di corridori. Certo, superiore anche a Gimondi. Aldilà del suo carattere che poteva non piacere, era un virtuoso capace di affrontare Merckx, attaccandolo in faccia, cosa che il bergamasco non faceva o non era in grado di fare. Poi, come tu sai, a causa di una caduta in Romandia, la sua gamba sinistra gli creò quei problemi che gli mozzarono la carriera e che fecero dire, ad un’intera equipe di specialisti: “ma come ha fatto a correre in quelle condizioni!”. Fu persino considerato un vagabondo, un bugiardo ecc. Niente di più falso. Di Gianni, autentico fuoriclasse, parlo, al pari di tanti altri, nel mio ultimo libro che uscirà domani.... Ci sono tanti delle nostra infanzia, compreso quell’Anquetil che t’ha dato più di un dispiacere di tifo.....
Carissimo, erano bei tempi quelli, anche quando si perdeva.....

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 09/05/2006 alle 18:59
Caro Morris, sono lieto che tu abbia ricordato l'episodio di cui Motta è protagonista.
Sono pienamente d'accordo con te e jan. Anch'io, tempo addietro, avevo sostenuto la stessa cosa: se fossi Cunego, e venissi paragonato a Motta, mi sentirei onorato.
All'epoca, come sai, il mio beniaminio era Dancelli, ma dopo Michele c'era Gianni.

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 09/05/2006 alle 19:10
Originariamente inviato da Morris



Ringrazio tutti voi per i commenti che non credo di meritare.



Una corrente "acquatica", ha spiegato la grandezza di Marco come una sua maggior capacità di miscelare l’Epo nel sangue. Si tratta di una cretinata senza confini, che mi fa venire una rabbia enorme. La vita però, mi ha insegnato, attraverso esempi e costi pesanti, che il miglior modo di affrontare gli afflitti da stupidità, non è quello di ragionare con loro, non ne sono all’altezza su segmenti corti, perciò basta scegliere, dall’enorme mazzo di indirizzo contrario alla citata scimmiesca tesi, qualche spunto nella speranza che il tempo a tratto lungo, generalmente favorevole alla saggezza, possa stuzzicare qualche rattrappito neurone....




quella corrente acquatica di cui tu parli, è ancora minimamente radicata, in qualche penna ipocrita che spara stupidaggini senza sapere che tipo di reazione o dolore possa provocare in chi legge.
di sicuro c'è chi la pensa allo stesso modo, ma fortunatamente, questa parte di "popolazione" sta andando via via scemando, per lasciare il posto a chi ha saputo amare incondizionatamente il MARCO uomo e ciclista e a chi pensa che qualcosa di buono questo uomo abbia lasciato......

P.S. effettivamente penso proprio che i commenti non te li meriti proprio!!!

 

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  postato il 09/05/2006 alle 20:05
grazie della risp. Morris, tranquillo, io ho solo espresso come la pensavo, fortunatamente lo hai capito senza polemica. ti saluto
SUL GRADINO PIU ALTO DEL PODIO X SEMPRE MARCO. bye Mao
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Livello Marco Pantani
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  postato il 09/05/2006 alle 22:51
Grazie Morris della tua bella risposta che mediterò con calma, visto che oggi è una giornata pesante e di quelle guccinianamente definibili come " non la vedi, non la tocchi oggi la malinconia? non lasciamo che trabocchi.....".
Non ho capito bene a cosa ti riferisci parlando del progetto di cui avevamo parlato telefonicament: forse a qualcosa che tu, come io ti avevo caldamente invitato a fare, devi scrivere?
Se non puoi parlarne pubblicamente, me lo puoi dire per e mail?
Ciao , grande

 

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Verità e giustizia per Marco Pantani: una battaglia di civiltà.

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IO NON L'HO VOTATO.

IO CORRO DOPATO COME TUTTI.

"E' tutto alla conoscenza di tutti" Marco Pantani,1997 ( tempi non sospetti),parlando di doping in un'intervista televisiva con Gianni Minà.

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Livello Marco Pantani
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  postato il 09/05/2006 alle 23:40
Morris, da perfetta fusa di testa, non avevo letto il topic sul libro che hai scritto.
Penso sia questo il tuo riferimento no? Ne avevamo,appunto, parlato al telefono.
Facci sapere notizie su dove trovarlo.

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 10/05/2006 alle 01:20
Originariamente inviato da Donchisciotte

Morris, da perfetta fusa di testa, non avevo letto il topic sul libro che hai scritto.
Penso sia questo il tuo riferimento no? Ne avevamo,appunto, parlato al telefono.
Facci sapere notizie su dove trovarlo.


No Maria Rita, non è quello il libro a cui mi riferisco, ma un altro...Ho scritto tutto in una mail....
Ciao!

 

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