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Autore: Oggetto: Maratona delle dolomiti

Esordiente




Posts: 3
Registrato: Nov 2004

  postato il 02/11/2004 alle 00:56
Carissimi amici, il giorno di apertura delle iscrizioni, ho passato l'intera giornata a tentare innutilmente di connettermi al sito,fino a che all'una e trenta della notte ci sono riuscito. Fino a qui nulla di strano visto la portata della manifestazione,il fatto su cui riflettere é un altro. Agli organizzatori non é bastato prendere la quota dell'iscrizione 9 mesi prima, come hanno sempre fatto, con un notevole guadagno per loro, no, quest'anno si sono davvero superati. Con un comunicato dell'ultima ora hanno deciso di prendere le iscrizioni fino al giorno 25, risultato? Hanno incassato dieci/dodicimila iscrizioni per poi estrarre a sorteggio, suddivise in tre volte di cui l'ultima ad aprile, i settemila che parteciperanno. Agli altri cinquemila verrà resa a maggio la quota di 60 euro pagata a ottobre. Mi chiedo se è arrivato il momento di cominciare a boicottare queste persone. Non sarebbe meglio fare la pre-iscrizione, estrarre i settemila dopodiche far pagare i 60 euro? Ma forse per loro non è la stessa cosa. Riflettiamo cari amici
 
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Livello Parigi-Tours




Posts: 85
Registrato: Oct 2004

  postato il 03/11/2004 alle 10:19
Penso che boicottare sia il minimo...

 

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Livello Gastone Nencini




Posts: 507
Registrato: Oct 2004

  postato il 03/11/2004 alle 11:23
io ho amici che come te hanno fatto la fila su internet per iscriversi ma credo che dovrebbe interessarsene addirittura la magistratura, perche' non puoi chiedere soldi e forse ti faccio correre, e allora mi paghi gli interessi dei mesi in cui io ti ho prestato i soldi


 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 6922
Registrato: Jul 2004

  postato il 03/11/2004 alle 12:07
Sono d'accordo con maxspeed2, questa è materia per la guardia di finanza e la magistratura, ma non mi stupirei se sbucasse fuori anche striscia la notizia.

 

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Davide

 
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Livello Sean Kelly




Posts: 601
Registrato: Oct 2004

  postato il 03/11/2004 alle 18:23
Se queste scelte da parte degli organizzatori non sono giustificate altrimenti, mi sembra che, dal loro punto di vista, hanno trovato la classica gallina dalle uova d'oro
Dalle mie parti si direbbe che non sono mica dei "pataca".......!
Vediamo un pò: facciamo 2 conti;
€60 x 5.000 = €300.000 per gli interessi di
6 mesi fanno una cifra, se non sbaglio, che a occhio e croce, pur non essendo elevatissima, non è disprezzabile.............

 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 6922
Registrato: Jul 2004

  postato il 03/11/2004 alle 23:37
Senza dimenticare che è persino scandalosa la pretesa del prezzo pieno ben nove mesi prima della manifestazione, mentre sarebbe lecito pretendere solo una caparra, giusto per tenere alla larga i perditempo, visto che 60 euro non sono esattamente un biglietto del cinema.

 

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Davide

 
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Livello Tour




Posts: 203
Registrato: Mar 2004

  postato il 04/11/2004 alle 12:21
Marc considera che le iscrizioni sono state 10/12mila quindi:
€ 60 x 12000 = € 720.000
ma lo sai in minimo 4 mesi che se li tengono loro quanto fruttano di interessi?
Appoggio la teoria di un intervento da parte della magistratura...ah dimenticavo! E' troppo impegnata a dare la caccia al doping e a perseguitare la gente....

 
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Livello Sean Kelly




Posts: 601
Registrato: Oct 2004

  postato il 04/11/2004 alle 12:38
Ciao Sissy, avevo fatto un calcolo "prudente"
considerando solo la quota di iscritti che presumibilmente sarà scartata.
Più in generale, avendo alcuni amici che fanno diverse Gran fondo nell'arco della stagione, avevo già raccolto molte lamentele circa l'entità del costo di alcune iscrizioni.
In particolare una parte di queste si stanno trasformando in un vero e proprio business(sia chiaro, però, che nessuno ci vuole rimettere!) dove la parte ciclistica diventa quasi un'appendice e non l'elemento + importante e centrale.



 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 15/11/2004 alle 00:22
Il cicloturismo o gli amatori, sono il toccasana del movimento ciclistico in termini economici. Il boom delle “gran fondo”, è vissuto in Italia con una logica esageratamente vicina ad interessi e business. Per questi motivi, si vivono distorsioni di realtà e di essenze, fino a stravolgere, sovente, l’etica che dovrebbe rimanerne alla base. Quando un’azienda (C.P.) spende 1,5 miliardi di vecchie lire, per sponsorizzare un mazzetto di amatori pieni di porcherie chimiche fino al midollo, vien quasi voglia di “mandare tutto in mona” (come dicono nella mia seconda terra, il Veneto). Di certo, i prodotti di quella società, non li vorrei nemmeno regalati.
Abito sul percorso di una delle più famose prove della categoria e dopo tanti anni l’ho seguita fino a rimanere scandalizzato dalle medie e dalle facce dei più forti, in particolare quegli ex professionisti che per “broccaggine”, prima di tutto, sono stati “scartati” dall’ambiente.
Sul mondo amatoriale e sullo sfondo di questa bellezza etica, gravano purtroppo, le pendenze del doping a fiumi, senza nemmeno la possibile giustificazione di un mestiere. Certi Magistrati come Soprani, che all’epoca dell’approvazione della legge sul doping, manifestarono dissenso circa l’allargamento della stessa anche agli amatori, meriterebbero una sonora tirata d’orecchi, per la sottostimazione del fenomeno, dei suoi numeri e per gli impatti sociali che genera.
Detto questo, che il business del ciclismo stia soprattutto qui, non ci piove. Che poi, codesto aspetto possa aver frenato la spinta dei Nas a scandagliare fra questi ragionieri, direttori di banca, avvocati, operai baristi ecc., alla ricerca di intere valige….. rappresenta un sospetto troppo fastidioso per essere completamente fuori senno.
Ora, di fronte alla mostruosità di ciò che ci ha detto Toscano circa quella gara, è perlomeno sinistro constatare l’ancor non avvenuto intervento d’indagine della GdF. Ciò conferma una posizione, mi si permetta, che definirei politica o di scelta voluta.
Voglio troppo bene al ciclismo per ordire a campagne contro le “gran fondo”, ma che una “smussatina”, debba essere imposta a partecipanti e organizzatori è ragionevole, per bene di tutti. Lo stesso discorso, sarebbe da allargare al mondo delle maratone e pure, incredibile a dirsi, ai tanti campionati di calcio amatoriali, perlomeno sull’aspetto delle “pulizie corporali di quegli amatori”.
A volte gli interventi delle divise, non sono un segno di repressione, e lo dice uno che non sopporta “l’olio di ricino” e l’autoritarismo.

Forse vivrò in un mondo di sogni o sarò un uomo fuori dal tempo, ma il cicloturismo lo vorrei come quello che avviene all’estero, nel Benelux e nella Francia settentrionale particolarmente (anche se oggi stanno anche loro normalizzandosi all’italiano), senza la conta dei tempi, le classifiche “iper-premiate”, le categorie ecc., parametri che fanno sembrare le nostre prove, come delle vere e proprie gare.
Nel 2001, conobbi un personaggio puro, un cicloturista vero, un appassionato. Lo vidi come il segno concreto di quel che avrei voluto. Fui chiamato da una testata a scrivere sulla sua avventura e fu un vero piacere. Vi riporto qui quanto scrissi, come un esempio che potrà pure far piacere leggere.

Giro delle Fiandre, la vincente “easy rider” di Enrico Strocchi
Quando lo vedi, sforzandoti di essere razionale, pensi a tutto fuorché a quello che invece è. Poi, quando gli parli, ti rendi conto di esserti sciolto lungo i sentieri di stupidi pregiudizi e provi un senso di vergogna, perché lui è il contrario dell’apparenza. Ma esiste un’apparenza da codificare? L’intelligenza dice di no, eppure l’inconsapevole Lombroso, noto criminologo della fine dell’ottocento, stendendo la sua famosa teoria, diede vessilli a quell’idiota conformismo sempre pronto a fare capolino anche un secolo dopo. E se uno studente di scienze sociali trova la forza per rendersi conto che la teoria “lombrosiana”, altri non era che una semplice “scemenza” in grado di competere con quella di Bussuet, che definiva il “re, come la pittura di Dio in terra”, è indubbio che per ancora troppi “ignavi” quotidiani, il “Lombroso pensiero”, rivesta le sembianze di un inconscio credo. Il protagonista non ancora menzionato di queste constatazioni, si chiama Enrico Strocchi, ha trentasei anni e vive in Vecchiazzano. La sua figura ed il suo “look” ricordano Peter Fonda nel celeberrimo Easy Rider, un film entrato nella cultura di una generazione che non è quella di Enrico che, ai tempi di quell’opera, non andava nemmeno a scuola. Col Fonda del film, ci sono altre similitudini che lo Strocchi non copia, per capirlo basta parlargli. Dietro le cadenzate parole, Enrico evidenzia serenamente schematiche concezioni che trovi non conformiste e già basta questo per definirlo artista. Tanto più oggi, nell’era delle ipocrisie e di telecomandate fotocopie. I lunghissimi e riccioluti capelli biondi e l’altrettanto lungo pizzetto color “stoppa”, ne fanno figura evidente anche ai miopi più forti e la sua passione per lo sport, ci fa ricordare un altro personaggio, Ruben Hugo Ayala, detto Ratòn, che deliziò i pregiati campi di calcio d’Argentina e Spagna negli anni settanta. Anche del Ratòn, Enrico non copia nulla, perché di quell’Ayala non conosce nemmeno l’esistenza. Insomma, Enrico Strocchi, nella vita muratore, fin dalla non comune figura esteriore, al suo non conformismo, ci richiama ad una realtà coi segni di quell’artista che poi diviene compiutamente, anche se non se ne rende conto. L’arte inconsapevolmente scelta è la più vecchia, ma spesso la meno praticata: la sfida con se stessi. Il ciclismo eroico, lo strumento fino ad oggi usato. E lo sport, si badi, nonostante tutto quel che si dice, è, e rimarrà, una forma d’espressione e, quindi, d’arte.
Il romanzo, o la scultura, o la pittura, o la recita, o la sfida con se stesso di Enrico Strocchi, hanno scelto come teatro il freddo e quel pavè, o meglio i sassi e le sconnesse pietre delle Fiandre, terra mitica per il ciclismo e la fatica. Palco per palati fini che intravedono nella sofferenza e nei grandi valori di questo sport, oggi bistrattato da tristi figuri ed epitaffi di Cassandra seduti sulla comoda poltrona d’un osservatorio vuoto di contenuti, un limpido modo per essere, ed esprimere in un gesto, un sunto di ciò che è la vita: il più vero condensato di dolori da sconfiggere fra pochi immanenti e consapevoli sorrisi.
Enrico, dal passato ciclistico ininfluente e con un presente non organizzato in un gruppo sportivo amatoriale, con la sola sua forza interiore, partì lo scorso anno per correre la versione non professionistica della Parigi-Roubaix, l’inferno delle corse ciclistiche, per i francesi divenuta monumento nazionale, capace perfino di fermare le ruspe del progresso. Su quel pavé che rende il ciottolato di Piazza Saffi, autostrada di purissimo asfalto; su quelle pietre che ti infrangono la spina dorsale e che fanno bestemmiare la stessa bicicletta, giunse secondo. Sentì, entrando nel velodromo di Roubaix, l’applauso sincero di migliaia di persone accorse su quegli spalti pur sapendo che quegli interpreti non erano i big, o i campioni più conclamati. Enrico si inebriò dei richiami e del pathos trasmesso da quel luogo terminale di immane fatica, scenario di memorabili pagine del grande romanzo del ciclismo. Capì ben presto che era stato grande e che le sue facoltà fisiche e psicologiche avevano superato gli argini del superficiale ed agnostico osservatorio della cronaca. Seppe che quelle pietre e il loro amico freddo, sempre pronti a far partire una soffocante polvere in caso di giornata senza pioggia, o quel bruciante fango in caso di tempo piovoso, erano l’istmo evidente della sfida che cercava. Il secondo posto raggiunto, inoltre, dimostrava la sua tangibile brillantezza e bravura. Tutto questo imponeva un ritorno ancor più cercato e magari più suggestivo. Una replica che ha trovato sabato scorso uno scenario ancor più sofisticato della Roubaix: il Giro delle Fiandre. La classica probabilmente più difficile da improvvisare perché il terribile pavé, o meglio le sconnesse pietre, non si presentano su pianeggianti terreni, ma su quelle corte e ripide salite chiamate “muri”, che spezzano le gambe e che sono piene dei richiami di quelle sirene che ti dicono di ritirarti. Ben settemila eroici ciclisti, o amatori, o cicloturisti, chiamiamoli come vogliamo, si sono presentati al via di Brugge, un record per una prova così dura e per taluni aspetti così pericolosa. Fra questi la chioma di Enrico Strocchi raccolta con fatica sotto il casco. Duecentosettanta chilometri da pedalare nel freddo vento spesso contrario delle Fiandre, sedici “muri” densi di folla attenta ad osservare la capacità umana di fronte alla sofferenza. Pianure e luoghi il cui richiamo italiano, traspare fra quel miscuglio di tedesco, francese e dialetto che è la lingua fiamminga, grazie alle grida di centinaia di nostri connazionali emigrati là in questo secolo, alla ricerca d’un lavoro nell’edilizia o in miniera. Enrico ha pedalato col ferro-forza delle sue gambe, ha superato fra gli altri i terribili Wolvenberg, Molenberg, Kluisberg, Paterberg, Taaienberg, Tenbosse e l’ancor più terribile Muur-Kapelmuur (il muro per eccellenza). Ha sgretolato i sassi col pensiero fino a farli apparire una miriade di trampolini. Ha pian piano staccato tutti fino a vedere solitario la cara Meerbeke o i leggendari arrivi di Fiorenzo Magni (il “leone delle Fiandre), Eddy Merckx, Eric Leman, Joan Museeuw ecc e s’è presentato a raccogliere lo stremato profumo della gloria, prima di tutto con se stesso.
Al mite, simpatico e generoso Enrico non importa sapere che s’è lasciato dietro, fra le migliaia di comunque stoici concorrenti, diversi e titolati ex professionisti o dilettanti di valore. Lui ha dipinto il suo quadro, o scolpito la sua scultura, con l’arte di chi osa combattere il risaputo, sullo sfondo di un orizzonte non conformista. E manco gli interessa sapere che è il ciclista dalla più lunga chioma giunto primo su un traguardo del mito del ciclismo. I suoi premi li ha pure avuti e se li sta gustando con l’immanenza di chi è nel suo genere un artista: il bacio di Sandra, sua moglie e altra talentuosa metà di una coppia fantastica; l’abbraccio del fratello Daniele e degli amici Riccardo e Francesca suoi accompagnatori nella trasferta delle Fiandre. Anche l’attestato-brevetto consegnatogli dagli organizzatori, l’intervista alla televisione belga e le foto con Gianluca Bortolami, vincitore fra i professionisti, sono premi che non dimenticherà. Altri li sta raccogliendo in questi giorni: le felicitazioni delle atlete dell’Alfa Lum Rsm, sodalizio di cui assieme a Sandra è accompagnatore e riferimento quotidiano e quelli degli amici Fabio Sansovini, Simone Agatensi, Luigi Dotti ed Oreste Zaccarelli che lo hanno aiutato e sostenuto nell’affrontare l’impresa. Domani tornerà fra le pietre del suo lavoro, quelle del mito le ha ben strette nel suo cuore e nel suo pensiero, mentre si affacciano e fanno capatina i grattaceli di New York. C’è un’altra sfida da raccogliere: la maratona più famosa. Enrico Strocchi sa che nel podismo è meno che un principiante, ma questa è la vita degli artisti del confronto col proprio io.

Morris

 
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Livello Sean Kelly




Posts: 601
Registrato: Oct 2004

  postato il 15/11/2004 alle 09:41
Caro Morris, sacrosante le tue parole,Il "Bubbone" delle Gran Fondo è lì pronto per esplodere..........e quando qualcuno deciderà di andare a fondo, si verserà ulteriore fango (per non dire peggio)
sull'intero movimento.
Ma a qualche organizzatore questo non interessa, vero?!mad:

 
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