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Autore: Oggetto: CICLISTI ITALIANI

Livello Claudio Chiappucci




Posts: 333
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  postato il 16/09/2005 alle 10:58
Mi chiedevo come mai l’Italia non riesce, anche storicamente, a “produrre” ciclisti che possono essere indicati come “passisti-scalatori”, quindi adattissimi alle gare a tappe. L’ eccezioni ovviamente ci sono, ma nessuno di qualità: Nibali, giovane di belle speranze; Bruseghin, buon corridore; nel passato altri “brocchi” come Sganbelluri, per non parlare di Frigo. Le cause di questa, per me, importante “lacuna” devono essere ricercate a livello giovanile ove, credo, vi sia una preparazione più incline alle gare in linea, che genera un dualismo sprinter-scalatore, che ha prodotto oltre che, ovviamente, ottimi velocisti e scalatori, anche corridori da classiche, forti in salite brevi e veloci in gruppetto. Inoltre credo che tale mancanza sia dovuta, alla convinzione tutta italiani di vedere le crono come una prova “inferiore” e di considerare i cronoman ciclisti incompiuti. Altra causa, che genera anche la cronica mancanza di cronoman, è lo scarso sviluppo della pista, luogo dove possono emergere ottimi passisti, capaci di tenere anche in salita. Considero grave l’assenza di ciclisti con tali caratteristiche poiché credo che il futuro di delle corse a tappe sarà, se non lo è già, di tali corridori.

 

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antonio

 
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Livello Mondiali




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Registrato: Aug 2005

  postato il 16/09/2005 alle 11:08
BASSO è UN PASSISTA SCALATORE E SE CONTINUERA' SUI LIVELLI MOSTRATI QUEST'ANNO SI TOGLIERA NON POCHE SODDISFAZIONI NELLE GARE A TAPPE.
 
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Livello Claudio Chiappucci




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Registrato: Jul 2005

  postato il 16/09/2005 alle 11:34
forse majurana intendeva gente tipo gli spagnoli mauri, indurain, olano. o tipo i tedeschi ullrich e kloden o taluni svizzeri come rominger.
gente molto forte a cronometro che sa(peva) tenere bene in salita, non gente molto forte in salita che si difende - o ha imparato a difendersi - a cronometro.
ho citato indurain, ma inserirlo in questa compagnia è riduttivo.

 
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Livello Fausto Coppi




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Registrato: Apr 2005

  postato il 16/09/2005 alle 11:57
E' un argomento molto interessante...
Da un pò di anni l'Italia ha smesso di 2produrre" specialisti per corse a tappe. Dopo l'infornata degli anni 60, il post Coppi, in pratica, dove Baldini,Nencini, Battistini, Pambianco, Balmamion, Adorni, Zilioli, Motta, Gimondi parevano potere contrastare la scuola francese, piano piano sono scomparsi gli speciaòlisti delle corse a tappe.
Moser e saronni, pur avendo vinto tre giri in due , non possono a mio avviso essere inseriti nella lista...avevano molto carisma, questo si, ma non certo la predisposizione alle grandi salite. se vi ricordate allora il giro d'Italia veniva "piallato" in modo sorprendente....scattini, abbuoni, arrivi in cima a monticiattoli, tutto per favorire questi due duellanti. Baroncheloi, Battaglin, poi Visentini , non avevano il carisma e forse neanche la forza per contrastare questo. Fra l'altro il solo Battaglin è andato a vincere all'estero (Vuelta), dimostrando la scarsa personalità di questi corridori...
Bugno e Chiappucci e Chioccioli non possono essere chiamati veri passisti scalatori. Forse solo Bugno, che però aveva una propensione spiccata, e mal utilizzarta, per le classiche dure. Altro che Mussew...Bugno avrebbe potuto essere un crak molto più forte di Argentin in questo esercizio.
Pantani è una eccezione. Scalatore eccelso, rimediava alle voragini a cronometro con una performance in salita fuori dal normale. Simoni è un pò un Pantani in piccolo e savoldelli.....mah. A livello internazionale non è poi granchè.
Perchè non andiamo più a tappe?
Sarei contento di sentire il parere di Morris e di Bottecchia (ho usato il nobil cognomenick) a riguardo. L'attività da dilettanti probabilmente conta, la desuetudine dei nostri alle prove col tic tac pure, ma forse conta anche la selezione proprio. I corridori tipici per corse a tappe normalmente maturano più tardi...la resistenza, si acquista e spesso manca quello spunto veloce che tanto oggi pare importante (lo è sem,pre stato invero, ma oggi pare determinante proprio..).
In pratica investendo in un corridore "da corse a tappe" si rischia di fare un grosso lavoro per un piazzamento, che interessa sempre meno.
E' così? Sono fuori strada? Morris, aiuto......!

 

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pedala che fa bene.....

 
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Livello Alfredo Binda




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Registrato: Nov 2003

  postato il 16/09/2005 alle 12:34
Originariamente inviato da D.S.

BASSO è UN PASSISTA SCALATORE E SE CONTINUERA' SUI LIVELLI MOSTRATI QUEST'ANNO SI TOGLIERA NON POCHE SODDISFAZIONI NELLE GARE A TAPPE.

Ivan lo è diventato solo dopo la cura-Riis che, da quanto si può vedere in questa Vuelta, ha fatto effetto anche su Carlos Sastre.
Comunque, tornando sull'argomento principale della discussione, secondo me una delle cause è anche la mancanza di crono al Giro. Anche in Spagna, fino a un paio di decenni fa, mancavano quasi del tutto i crono-passisti-scalatori, ma quando alla Vuelta (che nel frattempo era diventata molto più importante con lo spostamento a settembre) sono state inseriti molti più chilometri a cronometro e sono spuntati i vari Delgado, Indurain, Mauri, Olano, Casero, GonzalezGaldeano, GonzalezJimenez...

 

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Livello Claudio Chiappucci




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Registrato: Jul 2005

  postato il 16/09/2005 alle 12:57
è comunque vero che in italia mancano anche cronomen puri, gente che può puntare magari all'oro mondiale.
dopo chiurato, 2° nel 1994 in italia, abbiamo un 4° nardello (5° peron) nel 1996, due sesti posti di frigo nel 2000 e 2003, un sesto posto l'anno scorso di bruseghin e... un 14° di pozzato nel 2002.
robaccia.
gli ultimi due grandi cronomen italiani sono moser (classe 1951) e visentini (1957): dopo di allora c'è stata qualche buona prestazione di chiurato (1965), gelfi (1966), bugno (1964)... ma niente di particolarmente trascendentale.
la cosa può sembrare strana al profano, se si considera che per tanti anni a livello dilettantistico l'italia ha avuto ottimi risultati nella cento chilometri a squadre. tuttavia, quei corridori (da giovannetti a vandelli, da scirea a podenzana, da peron a mori, da poli ad anastasia... a proposito, anastasia ve lo ricordate? eh, fanini, fanini...), una volta passati prof, non hanno avuto grandissimi risultati a cronometro.
oggi abbiamo soltanto corridori che si difendono bene a cronometro (come basso e savoldelli) solo perché "obbligati" dalle corse a tappe e spesso fanno il loro risultato migliore nella seconda prova, quando i chilometri percorsi si fanno sentire.

 
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Livello Raymond Poulidor




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Registrato: Aug 2005

  postato il 16/09/2005 alle 13:14
Originariamente inviato da D.S.

Ivan lo è diventato solo dopo la cura-Riis


E meno male!!! Se aspettava la cura Ferretti diventava vecchio!

 
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Livello Tour




Posts: 151
Registrato: Aug 2005

  postato il 16/09/2005 alle 13:22
mi piacerebbe tanto sapere quali metodologie speciali usa Riis...mi sembra che riesca a trasformare o migliorare notevolemte i suoi
possibile che gli altri a suo paragone sembrano degli..

 
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Livello Raymond Poulidor




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Registrato: Aug 2005

  postato il 16/09/2005 alle 13:56
Sarà merito del training di sopravvivenza che fanno in inverno! Una roba allucinante!
 
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Livello Claudio Chiappucci




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Registrato: Dec 2004

  postato il 16/09/2005 alle 16:05
Originariamente inviato da janjanssen
In pratica investendo in un corridore "da corse a tappe" si rischia di fare un grosso lavoro per un piazzamento, che interessa sempre meno.
E' così?


Condivido, come consuetudine, l’opinione di Jan, che solleva un problema importante circa il movimento ciclistico nostrano...i nostri dirigenti non sanno aspettare.
Il caso Basso è paradigmatico circa questa situazione. Riis, con tutti i sospetti che il suo soprannome può sollevare, ha creduto in Ivan, lo ha preso non per vincere il Tour 2004 ma quello 2006, e, se non ricordo male, anche Echávarri voleva ingaggiare Basso con lo stesso progetto.
Già Echavarri, ha saputo far maturare Indurain, e stando a quello che lui stesso dice, sta facendo lo stesso con Karpens. In Italia abbiamo scaricato Ivan, che per ricordarlo ha 24 è arrivato 11 al tour, sostenendo che non era un vincente. Altro caso interessante in tal ottica è quello di Cunego, che pur vincendo un giro a 23 anni, viene già “accusato” di essere un bluff. Credo che il giro vinto da Damiano sia stato in giro “strano”, e sostengo che per ora Damiano sia più adatto alle classiche, ciò tuttavia non toglie che può sicuramente, tra un paio di anni, vincere un GT. La situazione italiana per le gare a tappe oggi si presenta molto rosea, con Basso e Cunego, ma il movimento in passato è stato alquanto carente, basta vedere il digiuno azzurro al tour, prima di Pantani, e gli escamotage degli organizzatori del Giro, citati da Jan.

 

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antonio

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 16/09/2005 alle 16:15
Penso che le cause siano racchiuse nel thread d’apertura di Majurana (non vedo però le fondamenta per affermare che gli Italiani vedrebbero nel cronoman un corridore incompleto).
In qualche modo è venuta meno la "scuola", soprattutto causa il ridimensionamento dell’attività su pista.
La specialità del cronometro richiede in eguale misura predisposizione naturale e capacità di concentrazione.
Ho letto un’intervista di Charly Mottet nella quale egli dichiarava che, secondo gli studi moderni, la sua pedalata era una delle meno potenti in termini di Watt, ma la capacità di concentrazione non gli ha impedito di vincere tre Grand Prix des Nations (prima dell’era epo).
Beh, da questo punto di vista la pista è fondamentale (chiaramente ci si riferisce all’inseguimento e al mediofondo).
Vero a mio avviso in minimissima parte che la causa sarebbero i percorsi del Giro d’Italia, spesso ma non sempre poveri di cronokilometri, e in fondo i "piallamenti" degli anni ’80 avrebbero dovuto favorire il fiorire di generazioni e generazioni di cronomen, verissimo invece che il calendario italiano è avaro di corse contro il tempo, la Tirreno Adriatico non ha una cronometro, il Giro del Trentino non ha una cronometro, la Coppi e Bartali non ha una cronometro (non ricordo se avesse una cronosquadre, ma non è la stessa cosa), il Brixia ha una cronoscalata (e non è la stessa cosa), oltre al campionato italiano tra le corse di un giorno c’è solo la Firenze Pistoia, quando quasi tutti sono già in vacanza (e appunto manca il fondo su pista).
Sui dilettanti: verissimo, si è fatto poco, e forse è anche naturale, perchè le corse a cronometro sono interessanti solo per gli addetti ai lavori, una palla per il pubblico e dunque poco appetite dagli organizzatori.
Si sentiva la necessità di un intervento istituzionale e mi sembra che negli ultimi due o tre anni si siano intensificati i cosiddetti raduni collegiali sotto le direttive del ct Fusi, con particolare attenzione all’esercizio contro il cronometro.
Nibali ha già fatto bene, quest’anno vedremo se Dall’Antonia farà altrettanto (oltre che campione italiano, recentemente è arrivato terzo nella cronometro U23 del Tryptique des barrages in Belgio, dietro al giovanissimo crossista olandese Lars Boom e al belga Dominique Cornu).
Tra le altre cose, a mio avviso proprio Dall’Antonia potrebbe essere in futuro un corridore adatto a corse a tappe.


Insomma, il cronometro è davvero il terreno d’elezione del doping, lo spazio dove la tattica si nasconde e contano solo potenza, resistenza, quantità di moto e attrito, "fenomeni" come Armstrong, Hamilton e Millar potrebbero confermarcelo facilmente, ma il fatto che in Italia siamo "scarsi" in questo settore non significa che siamo "puliti" più degli altri, significa che abbiamo fatto decadere una tradizione.

Sarebbe meglio che Morris, quando possibile, confermasse o correggesse, e che aggiungesse chiarimenti come solo lui sa.

Un’ultima cosa: il cronopassistascalatore è una barzelletta che appartiene solo al Tour de France versione Armstrong & Leblanc, e corridori come Mauri, Olano, Gonzalez de Galdeano e Terminaitor tutto sommato sono contento che non fossero italiani.

 

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Davide

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 16/09/2005 alle 16:41
A proposito dell'allergia degli organizzatori di corse italiani per la cronomnetro, mi ricordo che qualche anno fa avevano introdotto la cronometro alla Tirreno-Adriatico per seguire l'esempio della Parigi-Nizza e si erano levati i lamenti dei direttori sportivi e dei corridori per aver introdotto una specialità così dura in una cors a tappe di inizio anno! Il problema, nel caso specifico, è che gli organizzatori della Tirreno-Adriatico vedono la loro corsa come preparazione alla Milano-Sanremo, problema che non sfiora la mente agli organizzatori della Paris-Nice ai quali importa solo di migliorare il livello ed il prestigio della loro corsa.
In generale c'è una scarsissima attenzione alla cronometro ed alle corse a tappe (che per esempio sono numerosissime in Spagna) che rende difficile la creazione di corridori da Tour e Vuelta. Il Giro infatti è sempre più creato a somiglianza degli scalatori italiani (anche se poi l'ha vinto per due volte un passista scalatore come Savoldelli) che all'estero si sentono a disagio.
Va detto però che noi italiani con Basso e Cunego siamo messi decisamente bene.

 
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Livello Claudio Chiappucci




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  postato il 16/09/2005 alle 16:53
Originariamente inviato da aranciata_bottecchia
non vedo però le fondamenta per affermare che gli Italiani vedrebbero nel cronoman un corridore incompleto


La mia affermazione era volta a puntuallizzare che molti ciclisti con forti attitudini sul passo, non coltivano tale attitudine preferendo migliorare altrove, spesso in velocità.

 

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antonio

 
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Livello Giro del Lazio




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  postato il 16/09/2005 alle 17:02
hai ragione majurana.Storicamente, almeno negli ultimi anni, abbiamo grandi scalatori, grandi velocisti ma passisti mediocri. Tutto sommato a me non dispiace però, un Tour di Pantani vale quasi come i 5 di Miguelon come emozioni...o forse anche di più
 
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Livello Claudio Chiappucci




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  postato il 16/09/2005 alle 17:05
Originariamente inviato da aranciata_bottecchia

Sarebbe meglio che Morris, quando possibile, confermasse o correggesse, e che aggiungesse chiarimenti come solo lui sa.

Un’ultima cosa: il cronopassistascalatore è una barzelletta che appartiene solo al Tour de France versione Armstrong & Leblanc, e corridori come Mauri, Olano, Gonzalez de Galdeano e Terminaitor tutto sommato sono contento che non fossero italiani.


Per integrare quanto sopra.

Mi unisco a Davide e Jan nell'invogliare Morris a dire la sua su tale argomento.
Per quel che concerne il cronoscalatore e i tour di Leblanc, non sono daccordo. Sicuramente i Tour degli ultimi anni sono stati disegnati ad hoc per ciclisti con tali caratteristiche, ma i cronoscalatori sono sempre esisti.

Ok Terminaitor e Mauri e Co., ma Lemond, Rominger,Anquetil?

 

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antonio

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 16/09/2005 alle 18:47
Ciao Majurana, hai ragione, i passisti scalatori forti a cronometro ci sono sempre stati, però lasciavano un’impressione differente, erano capaci di vincere dappertutto, come Coppi, Gimondi, Merckx, Hinault, Fignon, in fondo anche Lemond e pure Pantani, il primo fermato da una fucilata quando aveva 25 anni, in seguito alla quale ha vinto solo un mondiale e un Tour (più un altro gettato via da Chiappucci e dalla sua squadra), il secondo fu frenato invece da una raffica ossessiva di infortuni, quasi uno per ogni anno da professionista, ed infine estromesso brutalmente a soli 29 anni, chissà cosa avrebbero potuto vincere questi due corridori se la loro carriera fosse stata meno tribolata e più lineare.
Ricordo comunque che gente come Hinault in montagna perdeva anche da Winnen o Van Impe, ricordo che Merckx perdeva in montagna da Ocaña, insomma loro come altri campioni erano corridori che talvolta avevano la giornata storta, corridori che avevano la ciascuno la propria bestia nera, corridori che si ammalavano di tendinite o si spaccavano le ossa nelle cadute, perchè non avevano certezze e dovevano combattere col coltello tra i denti.
Indurain è già più enigmatico, si dice che lasciasse vincere gli altri per diplomazia, ma poi nelle occasioni che contavano, come i mondiali o le classiche, non riusciva comunque a fare la voce del padrone, non riusciva ad offrire quella prova del nove che confermasse la tesi, troppo singolare per casuale che nei suoi cinque anni da padrone del mondo non gli sia riuscito neppure una volta il colpo grosso.
Ha fatto una gran figura, come un nuovo Anquetil, ma non sono così convinto che avesse le qualità atletiche di Anquetil.
Armstrong? Un attore che recita a soggetto, mentre gli altri impersonano sè stessi per dare un tocco realistico alla sceneggiata.
Quello che faceva prima, dopo non è più riuscito a farlo, quello che ha fatto dopo, prima era impensabile.
Rominger? A parte i sospetti di "abarthizzazione", che in fondo potrebbero riguardare chiunque della sua epoca, ha vinto un Giro che presentava tre dicasi tre frazioni a cronometro, fatto più unico che raro negli ultimi dieci anni, e questo dice tutto.
Comunque anche per Rominger, a parte un Tour de France vissuto da Leone (nel 1993), non è che si sprechino le grandi imprese in montagna, anzi...

 

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Davide

 
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Livello Alfredo Binda




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Registrato: Nov 2003

  postato il 16/09/2005 alle 19:44
non era mia intenzione dire che i due Gonzalez, Mauri e Olano fossero l'orgoglio del ciclismo iberico, ma semplicemente che, mentre in spagna i corridori da corse a tappe avevano essenzialmente quelle caratteristiche (Robertino Heras è l'ultimo dei Mohicani...), in italia venivano fuori degli scalatori quali Gotti, Simoni, Casagrande (esclusi i primi anni di carriera di Nando)

 

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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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Registrato: Oct 2003

  postato il 19/09/2005 alle 02:53
Okay, non mi sottraggo, anche se diversi aspetti dell’intervento che avevo in animo e che potevano finire qui, andranno (prossimamente) a risposta dei quesiti posti sul thread “Pensieri e parole”.

Prima premessa.
Una corsa a tappe, sottopone l’atleta ad un tipo di impegno non consuetudinario, spesso, per il suo retroterra di formazione, addirittura completamente nuovo. Il valore della qualità fisica, anche eccelsa nelle punte, da sola, non basta: servono altre doti, come la concentrazione a lungo segmento e, soprattutto, una grande capacità di recupero. L’aspetto della completezza tecnica, alla fine, non è il perno principale, anche se poi, la statistica, ci presenta casi che potrebbero smentire quanto detto, ma vi arriverò per gradi.

Seconda premessa.
Tutto ciò che seguirà, va letto spoglio dalle intromissioni del doping, che aprirebbero un fronte lungo di variabili e ragionamenti... Si tratta solo di un parziale spaccato di quella che è la mia concezione dello sport, in questo caso letta nell’ottica di un ciclista. Elaborazioni nate dalle esperienze e quelle interlocuzioni sportive orizzontali, che mi sono costate, sovente, al pari di altre argomentazioni della politica dello sport e dei programmi conseguenti, una buona dose di diffidenza e di incomunicabilità con larghe fasce del non certo avanzato o illuminato mondo del ciclismo moderno.

IL CASO ITALIANO
Il primo aspetto su cui dobbiamo riflettere non solo noi, ma la stessa Federazione, è dato dalla quantità, ma soprattutto dalla qualità del reclutamento. I numeri progressivamente più esigui, hanno da anni superato la soglia minima percentuale, ove è possibile abbinare, senza ricorrere al caso o al fortuito, il grande talento. Un esempio, già più volte citato, è relativo a quei “percentili”, calcolati su un insieme di esperienze atletiche polidisciplinari accessibili, in grado di stabilire l’eccezione, il valore, il perno illuminato del tassello preso in esame. Il tutto consiste nel far svolgere questo gruppo di prove a cento studenti di scuola media, quindi calcolare migliore o i migliori e poi andiamo a verificare che sport praticano. I dati per il ciclismo sono raggelanti: il 99esimo percentile, ovvero colui che raggiunge il risultato massimo, non è mai, o quasi mai, colui che corre in bicicletta. L’ultimo 99esimo di cui sono a conoscenza, è il pistard velocista Roberto Chiappa (classe 1973). Anche i 98-97-96esimi sono rarissimi. Cosa significa concretamente? Che il ciclismo prende quello che c’è in termini di qualità, spesso ragazzi con lacune fisiche che il ciclismo, solo in parte e solo grazie ad allenatori fuori dagli schemi sovente grigi dell’ambiente, riesce a correggere. Il “materiale” umano su cui il pedale lavora, è dunque calato per quantità e qualità negli ultimi decenni, soprattutto dopo gli anni settanta. Fra i ragazzi, la parte del leone la fa il calcio per motivi che non sfuggono, mentre fra le ragazze, con un crescendo impressionante nato alla fine degli anni ‘80, la pallavolo. Tornerò su questi temi, soprattutto perché danno un segno chiaro dell’esigenza culturale di rivoluzionare l’avviamento allo sport, partendo dalle scuole e dalle polisportive, i veri politecnici dello sport.

L’avviamento e l’organizzazione
Facendo riferimento alla ultime righe del punto precedente, ho sempre contestato l’esclusivismo delle discipline sportive in tenera età, fatte salve quelle, come ad esempio la ginnastica artistica, che possiedono morfologie tali da affrontare praticamente da subito: per intenderci nell’età che va dai quattro ai sette anni. L’atleticismo di base è fondamentale per capire la predisposizione dei bimbi, nonché come prima correzione dei paramorfismi e dimorfismi, spesso creati dai banchi di scuola e dall’attività in spazi ristretti come la scuola materna. Ma l’atleticismo diviene ancor più peculiare quando si tratta di aumentare le capacità coordinative e la memorizzazione dei vari gesti sportivi. E’ dunque sbagliato pensare che la scelta di uno sport, debba essere fatta nelle età delle elementari. Qui si aprirebbe un discorso lunghissimo che accennerò solo in parte durante questa disamina.
Il ciclismo è una disciplina deformante, l’essere umano non è nato per andare in bicicletta, proprio per questo è necessario, al fine di ottenere il massimo delle risultanze sul mezzo, possedere un corpo che abbia una vasta coordinazione nei movimenti, ed una malleabile predisposizione a trasmettere sulla bicicletta ciò che si deve possedere nel corpo.
Leggi superiori al concetto di crescita ideale di uno sportivo, proposte e rese tangibili dalle federazioni, nonché dagli enti di promozione, segmenti tutti votati ai numeri (che sono pure un fattore di introito e sostentamento), hanno anticipato volgarmente e stupidamente l’avvio tecnico-agonistico delle discipline non iper-specialistiche.
Nella fattispecie del ciclismo, la categoria giovanissimi, s’è dimostrata un crogiolo, se percorsa male attraverso la guida di insegnanti sui generis, di pericolo e di limitazione per tutta l’eventuale carriera del singolo. Correre fra i sette ed i tredici anni non ha senso alcuno, se non si riesce a svolgere in contemporanea a quelle poco significative pedalate verso un traguardo, tutta una preparazione atletica e di richiamo che possa essere usata dal ciclismo in attenta sincronia con la crescita fisica. Pedalare solamente, fa divenire “capre” sul piano atletico, se non si possiede un percentile elevatissimo, diviene poi snervante e limitativo nella crescita mentale, fino a chiudere i pori di quella fantasia che deve essere patrimonio del corridore del domani. Potrei portare a suffragio i carotaggi che svolsi per studiare oltre una dozzina di anni fa, in particolare su un bicampione italiano e vicecampione mondiale, totalmente ciclistico, mai divenuto valoroso nel vero ciclismo, ma non è il caso, altrimenti sarei lunghissimo. Restano le evidenze che mi porterò presso come un patrimonio significativo e probatorio nella stesura delle mie teorie, divenute, col tempo, una battaglia.
Tornando a noi, nella fase d’avviamento, se proprio si vive l’impossibilità di accostare al ciclismo anche altri sport, è ancor più decisiva (peculiare lo sarebbe comunque), far praticare al bimbo la parte del ciclismo che ne rappresenta la scienza, ovvero proprio la pista. Grazie allo scatto fisso, alla particolarità del suolo di un velodromo, all’esigenza di conoscere fino alla memorizzazione le distanze, non si migliora solo l’abilità, ma si recupera una parte di quella coordinazione perduta o appannata dalla mancanza di gestualità atletiche più corpose. Altro aspetto fondamentale: la pista allena fino a cementare nel ragazzino le capacità di concentrazione e rende il colpo di pedale più armonioso e naturale (un tempo si diceva pedalata rotonda).
L’organizzazione del movimento ciclistico inoltre, esasperando la frequentazione delle gare su strada per giovanissimi, ha poi sbagliato in maniera oserei dire grave, nel non consentire a questi miniciclisti di conoscere la variabile costruttiva dei “tondini”, terreno formidabile anche per sperimentare, nella sicurezza, quegli aspetti ludici che la strada, per il traffico e l’inesistenza di spazi vitali attorno, non possiede. Alla fine degli anni novanta, sul velodromo di Forlì, fu fondato accanto al Centro di Avviamento alla Pista, un Centro Pilota per giovanissimi; oggi, grazie all’intelligenza di Silvio Martinello, questa positiva esperienza si cerca di allargarla anche ad altre zone su cui gravitano velodromi e con ben altri movimenti attorno. E’ una via obbligata: bravo Silvio!

Nella crescita verso il ciclismo che conta, in specifico per gli esordienti e gli allievi, la mancanza di “pedagogia ciclistica” da parte di molti allenatori, sovente genitori acculturati alla meglio con qualche sentito dire, o lettura standardizzata, oppure armati del poco formativo corso da secondo livello, segna un ulteriore passo verso lo sfregio del materiale umano a disposizione. Già la quantità è poca, ed il lavoro di qualità, sia a livello fisico che psicologico, presenta lacune o vere e proprie voragini. Sono questi gli anni in cui inizia il rapporto assurdo col dottore e la speranza che sia proprio questa figura, a dare gli input per le tabelle d’allenamento. Quei “dietro macchina così ferocemente e criminalmente presenti in qualche genitore verso il figlio G6 o, addirittura, G5, aumentano oltremisura la loro presenza. Qui, si incontra il dato più terribile: solo un ragazzino su cinque di quelle età, incontra la pratica della pista, quindi per 4 ciclisti in erba su 5, viene a mancare un anello insostituibile nell’apprendimento.
Fra gli allievi, il programma dei velodromi presenta le prove di inseguimento, ovvero i primi veri approcci al cronometro, con la conseguente abitudine ritmata alla velocità senza il riferimento di una ruota, della ricerca della concentrazione massima per correre da soli trovando la pedalata migliore, o più consona ai dettami imposti dalla classifica a tempo. Un aspetto decisivo anche per la carriera su strada, come vedremo dopo. Non solo, ma la pista aiuta il colpo d’occhio, la scelta di tempo, la cura della fettuccia sulle distanze, fa impossessare, tanto ai praticanti quanto agli allenatori, la certezza delle possibilità atletiche con l’unico rapporto a disposizione, alimentando, alla lunga, una conoscenza dei miglioramenti che vanno studiati con attenzione dal preparatore. Sono le gare su pista, per le età citate, le più importanti nella formazione, proprio perché arricchiscono di particolari i confini che si possono raggiungere ed un peso di prospettiva assai più significativo di quelle su strada. Queste ultime, nel contesto della costruzione in prospettiva di un corridore, dovrebbero fungere fra gli esordienti e gli allievi, solo connotati di verifica sul terreno che diverrà principale per la stragrande maggioranza di quei ragazzini. La pista, integrata alla strada, può svolgere così il proprio ruolo di scienza, anche per chi dovrà in futuro arricchire il proprio idioma agonistico sui viali del mito, nei rettilinei e nelle curve, fra ascese e discese. Aver consapevolezza del ruolo dei velodromi, indipendentemente dal ciclismo esaurito ai massimi livelli su di essi, è poi determinante per capire se un allenatore ha qualità, o è solo la faccia imbruttita e deformate di una miseria tanto presente nel ciclismo. Sentire, come spesso mi è capitato in tanti anni di carriera, dei “macellai” con relativo livello FCI, dichiarare che la pista allontana dalla strada e che è per i vagabondi, è quanto di meglio si può trovare, allo scopo di prendere costoro a calci nel sedere o metterli nei ruoli di addetti alle pulizie dei gabinetti. Grazie a queste figure, i ragazzi vengono così costantemente tenuti a pedalare settimanalmente su programmi più o meno inadatti alla loro crescita completa e la progressiva rarefazione dell’obiettivo di portare al ciclismo sempre più importante corridori dal potenziale medio alto, riceve un altro montante. Chi si perde, spesso, lo fa perché le motivazioni divengon via via più tenui e sono dettate pure dall’impossibilità di accostare al regime delle tabelle di allenatori sui generis, la scuola, la vita, o quelle valvole di adolescenza necessarie per crescere come persone e peculiari per formare il carattere dell’atleta. La caduta di rendimento di taluni, molto spesso ha origini più psicologiche che fisiche, o meglio, il corpo non risponde più come un tempo, perché gli automatismi di trasmissione della mente, sono stati tartassati oltremodo da credi assurdi, spogli di concreta psicologia e l’assoluta mancanza di motivazioni immanenti. In questo contesto non basta la volontà e l’esecuzione alla lettera di tutto ciò che l’allenatore impartisce: manca la determinante spinta interiore, lo stimolo scatenante. Ancora una volta è dunque il talento evidente a salvare, ma chi è in possesso di simili facoltà corregge, senza accorgersene, le storture dell’allenatore e costui passa addirittura per bravo, quando la sua salvezza è tutta dovuta alle stimmate dell’atleta. In quella fase un preparatore-diesse , deve mantenere alto l’entusiasmo indipendentemente dai risultati e, soprattutto, far capire a modo, oserei dire con cordialità, i sacrifici che il ciclismo crescendo richiede. Usare l’imposizione, il righello, l’incomunicabilità dell’ordine col fare di quei maestri di fine ‘800, che tanto facevano arrabbiare un grande pedagogista come Mondolfo, è deleterio. Alla pratica ciclistica i ragazzini della prime fasi post-adolescenza devono essere educati intingendoli della gioia di provare qualcosa di straordinario, perché solo con uno stadio che sa si muove in questa direzione potranno sopportare senza troppe spese nervose i sacrifici richiesti dal ciclismo soprattutto in futuro. L’uso dell’autorità, del pugno sulla sella, del volto scuro, vanno posti solo nei momenti opportuni e non come filo conduttore. Tanto più oggi, nell’era che ha sciolto la vecchia concezione del dovere supino alla volontà degli adulti, solo per ragioni anagrafiche. La nostra gioventù è migliore di quanto si pensi, ma ha bisogno di comunicatività e di dimostrazioni di saggezza, di cospargersi di quella cultura che l’allenatore quanto l’insegnante a scuola, devono saper trasmettere usando sia la pedagogia quanto la psicologia, perlomeno quella del buon senso. Ci sono nel ciclismo allenatori capaci di tutto questo? Sì, ma molto rarefatti e diversi di questi, vittime di altri errori d’ambiente che vedremo dopo. Ci sono nella scuola? Sì, ci sono, ma su numeri che stanno progressivamente scendendo, soprattutto fra i docenti di matematica, troppi dei quali convinti di essere uomini e donne superiori, baciati dall’unto del Signore e di una DNA intellettivo over, proprio come Berlusconi e poi, nei fatti, incapaci di trasmettere un minimo di equilibrio fra logica e cultura, spesso autentici killer della nostra gioventù…. Perché mi sono lasciato andare ad un pensiero che esiste in me come il sangue? Semplice, sono queste figure, spesso, le più tragiche nel rapporto dei giovani studenti con lo sport e dell’importanza che esso gioca nella salute mentale dei ragazzi. A questi signori non si chiede buonismo o indulgenza, ma solo di essere capaci di trasmettere e di insegnare col possesso reale di facoltà che non si fermino al numero e alle formule, senza vedere aldilà del naso. Pessimi!

Le linee di tendenza aperte a voragine nelle categorie esordienti e allievi divengon poi uragani quando i ragazzi giungono fra gli juniores. La mondializzazione della categoria non aiuta, ed in Italia assistiamo fra i 17enni ed i 18enni, ad una forte moria di praticanti e, per chi rimane, ad un insopportabile e troppo forte abbandono della scuola per dedicarsi esclusivamente al ciclismo. Pazzesco! Gli juniores, nella prospettiva del pedale che conta, sono ancora peluria prebarba: forzare con stipendi, ammiraglie e sofisticazione la loro attività, è il miglior modo per creare sfregi e ulteriori lacune ai talenti rimasti. In questa fase assistiamo all’entrata in scena di allenatori ancor peggiori, perché dotati di narcisismo su basi di conoscenza e proposizioni indegne del ruolo. Gente spesso vinta al giogo del delirio di onnipotenza che si trasforma in martello pneumatico atto a fare del corridore un automa in balia loro e, sovente, di quei dottori, quasi sempre i veri preparatore atletici dell’equipe. Anche se non dopa, non è il dottore che deve proporre le tabelle di allenamento, mai!
In questa categoria poi, si assiste al progressivo abbandono della pista anche da parte di quei pochi che avevano fatto dei velodromi una costante della loro frequentazione ciclistica precedente. In primis il suggerimento viene dagli allenatori, convinti in maniera più acuta rispetto ai colleghi operanti fra gli allievi, del danno che l’attività sui tondini può arrecare allo stradista. Altro tarlo gravante sui ragazzi diciottenni, l’importanza del risultato, la conta delle vittorie costi quel che costi, considerato il fattore decisivo per fare “il corridore” fra i dilettanti (meglio usare il vecchio termine, piuttosto che il poco incisivo Under 23). Lo juniores che vuole correre, senza gioia interiore, ma già mestierante pur ancora con un’anagrafe che sta solo a metà della crescita, nonché pedalatore senza divagazioni di variabili ciclistiche, ovvero a quel ciclocross la cui pratica invernale nella formazione conta tanto di più delle ancor insignificanti vittorie su strada, arriva così fra i dilettanti, appannato nelle energie nervose, senza immaginarlo e concepirlo. Con un’idea del ciclismo distorta e dopo aver speso tanto più del lecito, attraverso una concezione del sacrificio da missionario con la fede della fotocopia, oppure con la recondita ed altrettanto nociva convinzione del superiore e gli atteggiamenti snobistici conseguenti. Il tutto sempre vissuto, ancora, senza rendersene conto. Un’autentica tragedia che si consuma senza che nessuno intervenga, ed è grave soprattutto la mancanza del riferimento di studio da parte di una FCI che, in direzione del cambiamento, spenderebbe sicuramente meglio i suoi soldi in direzione della formazione e della vivacità culturale, piuttosto che su un antidoping che dovrebbe essere compito dello Stato!
Non è finita perché l’organizzazione del movimento, fino ad ora non citata, si predispone fra juniores e dilettanti sull’unica variabile della corsa in linea, senza cronometro, poche corse a tappe fatte di giusti dosaggi fra i percorsi. Ne escono così corridori dilettanti pieno di lacune, la cui maggiore certezza viene dalle corse in linea o in circuito di un giorno, lasciando l’interpretazione del resto agli istinti ed ai valori più accentuati dei pochi talenti rimasti. Una preparazione monca che poi trova sui tecnici degli Under e degli Elite senza contratto, il peggiorativo dei dogmi e della catena di montaggio, con la sempre maggior presenza dei dottori diretti nonché quella indiretta dietro le quinte. Su questi temi il terreno di approfondimento è così tanto che meriterebbe puntate e puntate, nonché convegni.
Ma la fotografia, sempre coerente con la premessa di non far scendere in campo l’enorme peso, confondente e ulteriormente esplicativo del doping, ci porta corridori che conoscono l’allenamento nel fisico e nella testa, in maniera parziale con carenze che, alla lunga, esploderanno su filoni stereotipati di incompletezza e senza punte eccelse su singole variabili (velocità a parte, ma si spiega), con le sole eccezioni, poche, che abbiamo visto.

In sintesi sulle domande poste in questo thread.
Qui si è detto che abbiamo pochi cronomen, ed è vero, ma fra i professionisti giungono corridori che non conoscono questa variabile così importante per le stesse corse a tappe. Sono dunque ciclisti completamente o quasi da formare (senza isterismi e “specialismi” aggiungo io) nella specialità, perché hanno affrontato la prova poco e non hanno, spesso, come abbiamo visto, mai conosciuto i vari livelli di apprendimento che nascono dalla pista. La cultura della crono, nel nostro Paese, manca da un quarto di secolo, da quando sono scomparse le ultime corse-istituzioni contro le lancette. L’abolizione del quartetto della 100 chilometri a squadre dal programma mondiale e olimpico, ha sancito poi il colpo decisivo, e poco può valere quel tricolore che, a tutti i livelli conta sempre meno, visti i crescenti dribbling dei corridori più evidenti. E’ vero che da noi, col traffico super protetto da sindaci e prefetti che vedono le chiusure di strade come un cazzotto negli occhi, organizzare una corsa a cronometro impegna tantissimo, ed io ne so qualcosa. Ma è altrettanto vero che organizzatori arditi di queste prove, sono così rari da richiamare un intervento istituzionale della FCI. Il recupero naturale (senza doping) nella specialità fra i professionisti, in parte, è possibile, si gioca su un training della concentrazione di cui ho parlato ancora e non voglio ripetermi, ma è indubbio che insisteranno perennemente sui nostri atleti, le carenze di formazione precedenti.


Ma un discorso sulla concentrazione spinge altre riflessioni, anche per determinare le consistenze nelle corse a tappe. L’importanza data ai traguardi parziali e alla conta delle vittorie, poco si integra con la pazienza e il lavoro certosino, sia fisico che mentale, necessario per lanciare un corridore verso le gare a frazioni. L’abitudine alla corsa tutti i giorni, per una settimana, quasi due e poi tre, senza cali di concentrazione, chiama a raccolta un allenamento sul fondo, nonché richiami alla specificità, assai complicati e di non immediata traduzione. Meglio un velocista, o uno proiettato su talune singole tappe. La completezza e la pazienza non pagano alla frenesia dell’ambiente, ed anche qui si abdica alla chimica che tende più facilmente ad alimentare il cammino, con l’innalzamento della mediocrità, verso una catena di montaggio di passisti incolori, nonché difensori sulle salite. Ne consegue l’elevazione a dismisura, fino all’inflazione, del termine passista scalatore, spesso poco veritiero alla fedeltà delle essenze. A ciò si aggiunge, ancora una volta col braccio della chimica, quella ricerca velocistica fatta sul sicuro ed introvabile GH, atto all’illuminazione” dei traguardi parziali. Ma non volendo trattare il doping mi fermo, ribadendo ancora una volta, come ho fatto in tutto questo intervento, che il materiale umano è quello che è, per colpe insite al movimento e alla sua scarsa lettura delle consistenze e delle tendenze in atto da tanti anni. A ciò, aggiungiamo un discorso che assume i connotati dell’obbligo, se si vuol lavorare puliti: il corridore da corse a tappe deve alzare fino all’estremo le proprie punte forti e rendere equilibrato, su un summa di tranquillità, il proprio sistema di sollecitazione mentale verso i punti più deboli. Recuperare per essere forti dappertutto, oggi, significa incontrare a fiumi il doping, tanto più sull’esasperazione che sta assumendo il cronometro, ovvero il terreno più debole alle sirene della chimica. Recuperi, ripeto, sono possibili, ma “specialismi” ulteriori, no!

Alcune considerazioni sugli interventi del thread....

Majurana ha scritto.....
Mi chiedevo come mai l’Italia non riesce, anche storicamente, a “produrre” ciclisti che possono essere indicati come “passisti-scalatori”, quindi adattissimi alle gare a tappe. L’ eccezioni ovviamente ci sono, ma nessuno di qualità: Nibali, giovane di belle speranze; Bruseghin, buon corridore; nel passato altri “brocchi” come Sganbelluri, per non parlare di Frigo.

Di passisti scalatori sui generis siamo pieni, ma niente a che vedere con i veri del passato……dovrei dire ormai lontano, e con ciò che dovrebbe rappresentare la definizione. In Italia di passista scalatore, per ora, c’è solo Ivan Basso. I nomi che hai fatto escludendo l’ancora ingiudicabile Nibali, sono, e sono stati, al più, dei buoni corridori che hanno pagato le carenze del nostro ciclismo. Sgambelluri, pedalatore scoordinato e bisognoso di ritiri da monaco in pista per imparare come si pedala, ha sostenuto sforzi in tre anni pari a quelli di un altro in dieci: è stato stereotipo di vittima dell’idiozia massiva del nostro dilettantismo. Frigo, ancor più sgangherato, ma con motore superiore, ha aggiunto a queste lacune, l’incapacità di percepire i suoi confini di corridore. Se avesse lasciato perdere i grandi giri, avrebbe raccolto il triplo. Il solo Bruseghin ha trovato una dimensione che, se dipendesse da me, sarebbe da prendere come un esempio per tutti coloro che non hanno stimmate primarie. Un riferimento per la scuola di ciclismo di cui parlerò in altro thread.

effebi ha scritto......
forse majurana intendeva gente tipo gli spagnoli mauri, indurain, olano. o tipo i tedeschi ullrich e kloden o taluni svizzeri come rominger.
gente molto forte a cronometro che sa(peva) tenere bene in salita, non gente molto forte in salita che si difende - o ha imparato a difendersi - a cronometro.
ho citato indurain, ma inserirlo in questa compagnia è riduttivo.

Induirain e Ullrich, non sono avvicinabili ai buoni corridori e nulla più menzionati. Il navarro e il crucco erano in possesso di qualità fisiche che solo una testa non a posto poteva ridimensionare. Gli altri, dei buoni corridori che, quaranta anni fa, avrebbero fatto al massimo i gregari con qualche giornata di gloria personale. Diciamo che hanno trovato la generazione giusta…..non aggiungo altro.

Janjanssen ha scritto.....
Moser e saronni, pur avendo vinto tre giri in due , non possono a mio avviso essere inseriti nella lista...avevano molto carisma, questo si, ma non certo la predisposizione alle grandi salite. se vi ricordate allora il giro d'Italia veniva "piallato" in modo sorprendente....scattini, abbuoni, arrivi in cima a monticiattoli, tutto per favorire questi due duellanti. Baroncheloi, Battaglin, poi Visentini , non avevano il carisma e forse neanche la forza per contrastare questo. Fra l'altro il solo Battaglin è andato a vincere all'estero (Vuelta), dimostrando la scarsa personalità di questi corridori...


Concordo pienamente. Moser e Saronni non erano corridori da grandi corse a tappe ed hanno vinto il Giro nell’era più vergognosa della storia della corsa rosa. Percorsi troppo ridicoli per la sempre grande capacità “made in Gazzetta” di proporre tracciati tecnicamente equilibrati e fascinosi. Baronchelli e Visentini, furono due incompiut,i tanto per carisma che per carattere. E dire che dopo Gimondi e prima di Pantani, i più grandi potenziali per vincere le grandi corse a tappe sono stati proprio i loro, forse con l’aggiunta di Bugno, ma su un gradino più basso. L’inesistenza del Tour negli epigoni di Gibi e Visentini è imperdonabile. Battaglin non aveva carisma, è vero, però lottava e vinceva anche all’estero: oltre alla Vuelta, non dimentichiamo che al Tour conquistò la maglia a pois, una tappa e nel ’79, senza praticamente squadra, colse un sesto posto…. Lo metterei su un piedistallo superiore agli altri due.

Lubat ha scritto.....
Comunque, tornando sull'argomento principale della discussione, secondo me una delle cause è anche la mancanza di crono al Giro. Anche in Spagna, fino a un paio di decenni fa, mancavano quasi del tutto i crono-passisti-scalatori, ma quando alla Vuelta (che nel frattempo era diventata molto più importante con lo spostamento a settembre) sono state inseriti molti più chilometri a cronometro e sono spuntati i vari Delgado, Indurain, Mauri, Olano, Casero, GonzalezGaldeano, GonzalezJimenez...


Di cronometro nei grandi Giri ce ne sono state sempre, in numero adeguato o esagerato. Anche alla Vuelta non sono mancate. In Italia, i perché si celano dietro il crollo delle grandi prove a cronometro extra-Giro, nonché sulla preparazione a livello giovanile, come ho scritto sopra… Da sportivo e appassionato di un certo ciclismo, dei nomi che hai fatto, esclusi Indurain e Delgado, gli altri, sono per me espressione di un pedale noioso e sospetto e se fossi stato un diesse, li avrei messi fra i gregari sgobboni, niente di più…. Meglio Bruseghin, anzi W Bruseghin!

effebi ha scritto.....
gli ultimi due grandi cronomen italiani sono moser (classe 1951) e visentini (1957): dopo di allora c'è stata qualche buona prestazione di chiurato (1965), gelfi (1966), bugno (1964)... ma niente di particolarmente trascendentale.
la cosa può sembrare strana al profano, se si considera che per tanti anni a livello dilettantistico l'italia ha avuto ottimi risultati nella cento chilometri a squadre. tuttavia, quei corridori (da giovannetti a vandelli, da scirea a podenzana, da peron a mori, da poli ad anastasia... a proposito, anastasia ve lo ricordate? eh, fanini, fanini...), una volta passati prof, non hanno avuto grandissimi risultati a cronometro.


La tua fotografia sembra dare una prova statistica a quanto ho sostenuto molto sopra. Sulla cento chilometri, va detto che essa serviva per spingere più organizzatori a proporre cronometro, ma che poi i membri del quartetto non fossero a livello singolare dei grandissimi cronoman, si spiega. Pedalare in quartetto consente segmenti di recupero che nella gara singola sono preclusi. E’ una prova mista, somigliante al ruolo di chi lavora, tirando assieme ai compagni, al servizio di un velocista negli ultimi quaranta chilometri. Ti porto un caso lontano, ma significativo: Giacinto Santambrogio (gran corridore, uno che se fosse nato 20 anni dopo, avrebbe dimostrato di essere assai più forte di Olano, di Mauri e di tutti quei Gonzales qui menzionati). Questo corridore di Seregno, era impressionante per le sue trenate negli ultimi 40 chilometri. La sua mansione era soprattutto quella di impedire le fughe, per consentire le volate di Rik Van Linden e lo faceva con un’imperiosità che non scorderò mai. Vedendolo, pensavi ad un cronoman nato, eppure, alla prova dei fatti non lo era. Tornando al quartetto, va aggiunto un aspetto: la sua composizione era spesso costruita sulla base degli equilibri fra i singoli.

Aranciata_Bottecchia ha scritto.....
Insomma, il cronometro è davvero il terreno d’elezione del doping, lo spazio dove la tattica si nasconde e contano solo potenza, resistenza, quantità di moto e attrito, "fenomeni" come Armstrong, Hamilton e Millar potrebbero confermarcelo facilmente, ma il fatto che in Italia siamo "scarsi" in questo settore non significa che siamo "puliti" più degli altri, significa che abbiamo fatto decadere una tradizione.


Anche il cronometro, caro Davide, nasconde le sue bellezze, ma sono sepolte da tanti anni di carburazioni particolari. Per questo hai perfettamente ragione, quando sostieni che è il terreno d’elezione del doping….. io aggiungerei anche l’aggettivo “ideale”. Inoltre, nel ciclismo della “seconda guerra mondiale”, la cronometro è divenuta un libro di teoria dell’elogio della mediocrità, mentre negli ultimi sette anni……il pegno portato dalla “dea della discordia” per scatenare la “terza guerra mondiale”……

Aranciata_Bottecchia ha scritto.....
Un’ultima cosa: il cronopassistascalatore è una barzelletta che appartiene solo al Tour de France versione Armstrong & Leblanc, e corridori come Mauri, Olano, Gonzalez de Galdeano e Terminaitor tutto sommato sono contento che non fossero italiani.


Non solo condivido ed applaudo, ma aggiungo che fra quei nomi, senza starnuti e reti, si potrebbe nascondere anche qualche broccolo che s’é accoppiato con gli spinaci….

Considerazioni finali.
Per vincere una corsa a tappe devi essere sempre concentrato, possedere un terreno dove puoi giocare una specie di jolly nonché una buona difesa sul resto, oppure una regolarità qualitativa di nota. La completezza serve fino ad un certo punto, perché se questa dote non s’accompagna al recupero, alla fine non vinci e, probabilmente, ti piazzi in seconda fascia. Se possiedi concentrazione a cui aggiungi il recupero ed il freno dell’incompletezza alla fine ti piazzi ugualmente. Questo per dire che è il recupero la dote cardine di chi ha nelle corse a tappe il proprio pezzo forte. Un movimento per sfornare atleti di tal tipo, deve lavorare bene tanti anni prima, ovvero nella fase propedeutica al grande ciclismo.
La fotografia storica del nostro ciclismo ci presenta una costante presenza nel novero dei vertici possibili per le corse di un giorno, ed un buco spaventoso dopo la grande generazione degli anni sessanta. Per intenderci, dopo Gimondi, il solo Pantani è stato capace di ergersi nella più piena tradizione italiana di un tempo che fu. Gli altri italiani degli ultimi 30 anni che hanno vinto Giri d’Italia, si sono poi sciolti al cospetto del Tour e della Vuelta. In questo contesto segna un’eccezione Giovanni Battaglin (ma dobbiamo scendere al 1981!) e non inserisco in questo giudizio Cunego per ovvia mancanza di riprove e per l’età. Bertoglio, Saronni, Moser, Visentini, Bugno, Chioccioli, Gotti, Garzelli, Simoni e Savoldelli hanno vinto il Giro, ma sia al Tour che alla Vuelta, hanno al massimo colto qualche tappa e con questo bottino non si è esagerati se li si definisce inesistenti. Esiste dunque un caso italiano di carenza di corridori da corse a tappe, capaci di rimanere tali anche alla prova di test più completi e di varia provenienza. Oggi, dobbiamo sperare in Basso e Cunego o altri, ma le speranze non son certezze. Resta questo dato molto pesante: negli ultimi 40 anni, i corridori italiani hanno vinto 21 Giri d’Italia, 1 Tour, 3 Vuelta. Su 120 possibili vittorie, ne abbiamo raccolte solo 25, di cui oltre il 95% in casa nostra e, spesso, al cospetto di cast poco dignitosi. Poco, troppo poco, per non ammettere che è un buco che ci deve spingere a cambiare rotta.

Morris

 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 19/09/2005 alle 09:27
Scrivendo in fretta, ed in mezzo a tante fastidiose cadute di linea, non mi sono accorto di aver copia-incollato la stesura non corretta e priva di certi riporti. Non ho mai scritto così male. Chiedo perciò scusa per le tante "castronate" presenti nell’intervento.
Arrivederci.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 19/09/2005 alle 20:06
E’ molto impegnativo commentare quello che scrivi, aggiungere qualcosa è difficilissimo, ma immagino che quando scrivi tieni presente che tra i lettori figurino pure i silenziosi addetti ai lavori e non solo i forumisti.
Mi limito ad esternare l’apprezzamento (e il piacere della lettura, sempre fresca pure al secondo o terzo passaggio) e trovo che sarebbe opportuno che ad intervenire fossero soprattutto i corridori dilettanti attuali o ex, che scrivono in questo forum, non tanto per commentare le tue opinioni (credo che i più sbiancherebbero) quanto per raccontare le proprie esperienze.
Ciao Morris, sei una Classica Monumento.

PS sono sempre felice quando alcune mie piccole intuizioni (tali sono, nulla più) trovano spiegazioni razionali nelle tue illuminazioni, ma ti ringrazio anche per aver soprasseduto su alcune baggianate che ho scritto, il mio orgoglio apprezza.

 

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Davide

 
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Livello Alfredo Binda




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  postato il 19/09/2005 alle 20:19
già.... io sarei curioso di sapere cosa ne pensa Daniele Colli, che è stato anche campione italiano juniores a cronometro, ma finora nei prof ha dimostrato doti più da velocista che da cronoman (negli under 23 non so cosa abbia fatto...)

 

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Livello Hugo Koblet




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  postato il 19/09/2005 alle 21:45
Carissimo Morris,
sono rimasto senza fiato durante la lettura del tuo post.
Ammiro tutto di quello che scrivi e da ex dilettante non posso far altro che confermare tutto quello che scrivi riguardo Età,Pista,allievi,ciclocross,juniores stipendiati,noia di correre, l'ansia del risultato(più che altro la vittoria).
Io ho iniziato all'età di nove anni ma solo per mia scelta, visto che a calcio ero un brocco, basket non mi piaceva, avevo buona resistenza alle campestri, saltavo molto alto, primo della mia scuola con 1,65Metri(3° media).
Lo sport che mi ha rapito è stato il ciclismo, troppo bello misurarsi ogni domenica con i miei compagni di squadra e portare a casa un sacco di coppe.
Correvo alla Trecerri di trecate, una squadra il cui unico scopo era quello di andare a far correre i figli per fare dei gran Pic-Nic all' aria aperta.
L'ambiente era sereno e gioviale, una festa tutte le domeniche.
Da allievo approdo alla Novarese una squadra meglio finanziata,ed è qui che conosco un vero direttore sportivo, Marinari Natale.
E rileggendo quello che scrive Morris mi sembra di risentire parlare Marinari la stessa ideologia, lo stesso carisma e la stessa saggezza che non può far altro che far apprezzare ancora di più questo sport.
Il mio D.S. si è preso giornate di ferie pr portarci in pista tutti i mercoledì a Torino nella pista più difficile, per le sue rampe altissime.
Ci ha fatto fare tutte le specialità della pista compreso la mia preferita la gara a punti, quella più adrenalinica.
In inverno non mancava una domenica per portarci in mezzo ai campi a fare ciclocross attrezzandoci di biciclette un pò di fortuna.
Grande l'impegno di Giaccone Mario il presidente più carismatico che io abbia mai conosciuto, il quale tra l'altro ha anche vestito la maglia gialla a tour de france.
Insomma tutta la Novarese la metto nel monumento personale con sotto intitolato INNAMORATI DEL CICLISMO.
Nessuna ombra ha mai macchiato questa squadra e i suoi personaggi incredibili. Ricordo inoltre il nostro preparatore Tosi Pierfrancesco che studiava sopratutto la parte psicologica del gruppo secondo il motto La mente più forte delle gambe.

ONORE E GLORIA AL VELO CLUB NOVARESE



 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 19/09/2005 alle 23:06
morris magister,

mi ha molto interessato il discorso sul reclutamento e sul percentile.

è possibile ritenere che l' emergere di corridori da culture sportive dove lo sport scolastico è una consuetudine, e mi riferisco ad australia, stati uniti, paesi dell' est ed anche germania , sia in parte da correlare a questo discorso?
certamente esistono anche altre ragioni, ma io mi sono fatto questa idea.

inoltre, in australia sicuramente , ma anche nei paesi un tempo dell' est, la consuetudine con la grande maestra pista è consolidata.

in più, i precocemente stipendiati, i dilettanti impostati per vincere tanto da giovani quindi per le corse in linea senza coltivare lo sviluppo delle qualità per emergere nelle corse a tappe, sviluppo che richiede nella maggioranza dei casi più tempo e maturazioni più lente, tutte queste cose mi sembrano storture tipicamente italiane

ciao, grande, che piacere rileggerti sul forum
mesty

ps quanto servirebbe un dirigente come te per riportare il nostro sport sulla retta via!!!!

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 20/09/2005 alle 01:26
Mmm, non vorrei però che venisse messo in croce tutto il "sistema ciclismo" italiano.
Non dimentichiamo che, piaccia o meno, è l’ambiente dal quale sono usciti Basso, Cunego, Pellizotti, Bennati, Pozzato, Sella, Ballan, Grillo, Bernucci, Paolini, Scarponi, Bertagnolli, Napolitano, Gasparotto, Visconti, Nocentini, Corioni, Colli, Nibali, e li ho citati così in ordine sparso fermandomi ai ventottenni, dimenticando pure altri nomi, corridori che nel loro insieme costituiscono un unicum che tutto il mondo invidia, persino quei paesi che in alcuni settori sono più progrediti di noi (appunto pista e cronometro).
Allora il dovere è quello di tutelare quegli aspetti del sistema che hanno prodotto questa ricchezza, salvaguardando quindi l’importanza degli organizzatori (magari anche regolamentando quel movimento parassita di risorse che è il semiprofessionismo granfondistico)e l’importanza di alcune società attive sul territorio, dall’altra parte le istituzioni (il sempre assente Coni e in seconda battuta la Fci) dovrebbero offrire interventi di compensazione in quelle aree dove l’iniziativa privata si ferma, o addirittura dove la competenza è solo ed esclusivamente di esse istituzioni, come appunto l’avviamento allo sport in ambito scolastico attraverso norme, strutture e quadri che evidentemente per grande parte mancano.

 

____________________
Davide

 
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Livello Giro delle Fiandre




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  postato il 20/09/2005 alle 05:17
Nell'Italia ciclistica è molto in voga la cultura del velocista, nell'ultimo ventennio ne abbiamo prodotti moltissimi di grande livello, su tutti Bontempi, Cipollini e Petacchi e la successione è garantita da ateleti come Napolitano, Grillo o Chicchi. Sarà forse perchè l'idea del velocista che se ne sta tranquillo al coperto fino a 10 km dell'arrivo dà un idea di minor sacrificio rispetto a un cronoman che fa ore e ore dietro motori e raccoglie anche molta meno gloria. Da noi manca la cultura della crono e lo dimostra anche il fatto che di crono se ne fanno pochissime. Ma è mai pensabile una corsa a tappe di una settimana come la Tirreno-Adriatico senza neanche un cronoprologo ? In Spagna ogni corsa a tappe breve ha almeno una cronometro, da noi si preferisce fare una Tirreno-Adriatico che quest'anno è stata una serie ininterrotta di sprint. E cghe dire del giro d'Italia 2004 con ben 12 tappe per velocisti ?
 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 20/09/2005 alle 09:42
Mi riallaccio alliintervento di Aranciata per confermare che il movimento italiano è di gran lunga il più forte al mondo e lo è da 15 anni.
Se guardiamo le classiche di un giorno gli italiani non hanno quasi paragoni (giusto i belgi ci seguono da lunga distanza), hanno un'ininterrotto predominio al Giro del '97 (che potrebbe addirittura essere considerato un difetto della corsa rosa sempre più provinciale), sono saliti 10 volte sul podio del Tour (con una sola vittoria questo sì) e sebbene abbiano vinto il mondiale "solo" 3 volte sono sempre stati protagonisti.
Come risultati dunque il ciclismo ha pochi uguali nel campo delle discipline sportive.
L'unico campo in cui il ciclismo italiano è in crisi è la pista dove la situazione, salvata in passato da Martinello & C., è ora pessima.
L'Italia inoltre ha raramente prodotto il passista cronoman che resiste in salita (che a differenza di quello che dice Aranciata non è stato inventato in America: Anquetil ed Indurain giusto per fare due nomi) e dunque non leggerei in questo un sintomio della crisi.
Certo credo sia da stigmatizzare la colpevole assenza della crono nelle corse a tappe italiane e ancora di più la scarsa presenza di tali corse nel calendario nazionale, ma si sa che sono le corse in linea (con la conseguenza di avere una messe di corridori con buon spunto e senza grande recupero) a farla da padrone in Italia.

 
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Livello Hugo Koblet




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  postato il 20/09/2005 alle 10:01
D'accordo con Aranciata e Ottavio sulla nostra scuola ciclista; è una cosa, che tutte le federazioni ci invidiano, pero dovremmo insegnare ai nostri corridori di buon profilo ad "esterofilizzarsi" un po. Questo non vuol dire scappare dalle squadre italiane, ma correre un po di più all'estero, imparando da esperienze diverse stili di corsa diversi. Come ha gia detto Morris nel sul bellismo intervento abbiamo vinto la stragrande maggioranza di quello che abbiamo vinto nei GT a casa nostra; vincere qualcosa di più fuori dalla nostra porta rendere piu preziosi e raffinati i nostri gioielli su due ruote!

 

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No crusar la caretera

 
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Livello Parigi-Tours




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  postato il 20/09/2005 alle 11:16
Prima di tutto vorrei ricordare che quasi tutti i grandi campioni e le promesse sono venuti a scuola in Iitalia,la tessa Australia è di stanza in quel di novellara RE,da circa una decina di anni, (finanziata dal ministero dello sport australiano) esperienza che l’ha portata ai primi posti del ranking mondiale .
Ma non solo, sono molto diffuse da anni e stannno infoltendosi le nazionali appoggiate da tecnici e dirigenti italiani che frequentano ” l’università del ciclismo” ,vedi Russia,Polonia,Ucraina,Messico,ecc. ,oltre ai tanti stranieri di tutto il mondo nelle squadre dilettantistiche.
Questo sta a dimostrare che comunque la nostra tradizione è ancora fortissima,e riconosciuta in tutto il mondo, perché come ho letto su un giornale estero ,” in Italia il ciclismo è come una religione”,siamo al primo posto come vittorie complessive e siamo sempre ai primi posti della classifica UCI.
Però non è tutto oro quello che luccica ,certamente i problemi esistono sopprattuto come dice morris nel settore giovanile ,mi trova d’accordo su quello che scrive riguardo all’impreparazione degli educatori(mi piace chiamarli così più che ds visto quello che dovrebbero fare).
Purtroppo il sistema delle squadre giovanili è basato esclusivamente sul volontariato,grande risorsa, ma aimè insufficiente per creare quelle scuole che paventa morris .
Insomma è vero manca la professionalità,mancano le figure preparate ,mancano i progetti: ma per fare questo innanzitutto bisognerebbe uscire dal “dilettantismo”,cioè che le società si affidino oltre che a volontari,che rimarrebbero comunque linfa vitale, anche a professionisti,capisco che il problema e sopprattutto economico ,ma si potrebbe in parte risolvere facendo pagare una quota di iscrizione come fanno tutti gli sport eccetto il ciclismo (chissa perché) .
Daccordissimo anche sul fatto che la pista sia importantissima a livello tecnico e purtroppo questo non è condiviso dalla maggior parte dei TECNICI?? Che dirigono le squadre attuali dagli esordienti ai dilettanti, e questo purtroppo penso sia impresa ardua fargli cambiare idea, almeno finchè vincono e lo sponsor è contento.
Lo sponsor altra nota dolente , vista l’attuale situazione economica mondiale ,non è facile reperirne, allora perchè non studiare un metodo di finanziamento che non sia solo quello, così da non esserne schiavi?
Comunque per non uscire troppo dal filo logico del tread torno alla cronica mancanza di cronomen in Italia , negli ultimi anni oltre alla mancata frequentazione della pista , erano spariti i campionati provinciali,regionali e non esistevano corse a crono quindi assenza totale di stimoli per chiunque,vista la mancanza di spettacolarità della prova,ma ultimamente debbo dire che la federazione e i comitati regionali si stanno muovendo in questo senso quindi essendo ottimista di natura attendo fiducioso i risultati nei prossimi anni.

In ultima battuta aranciata , bellissima la definizione di “ parassitismo del pseudo professionismo granfondistico”, penso che sia ora di finirla con l’ipocrisia delle gran fondo.

Grazie per l’attenzione
Daniele

 
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Livello Hugo Koblet




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  postato il 20/09/2005 alle 12:34
Secondo me il vero punto debole della catena formativa è proprio il dilettantismo.
Questa categoria non è più vista come un livello di formazione aggiuntiva ma è un vero e proprio trampolino di lancio verso il professionismo.
Chi arriva con delle lacune agonistiche qui non ha più spazio per migliorarle.Altri invece che si trovano in squadre poco sponsorizzate si trovano a dover scegliere ad una età di appena 19 anni e senza un 'appoggio monetario se andare a lavorare o rischiare di proseguire.
La scelta è molto dolorosa in tutti e due i casi.
Se il corridore non ha collezionato una quantità discreta di punti nei juniores si troverà sicuramente in difficoltà nel trovare un buon ingaggio.
I motivi possono essere tanti, magari non ha corso metà stagione perchè si è rotto un braccio oppure perchè indisposto.
L'altro punto è che senza un costante allenamento che impegna le ore lavorative sopratutto, non è possibile continuare, quindi o lavori o corri in bici.
Se per caso provi a correre per 3 o 4 anni arrivi ad un'età di 23 anni senza sapere far altro che andare in bici, e questa figura non è assolutamente richiesta nel mondo del lavoro(provate a cercare sul Corriere della Sera del Venerdì" Cercasi ciclista con esperienza!!! )
Quindi l'ingresso nel mondo del lavoro è impresa ardua e complicata.
Due miei ex compagni di squadra hanno scelto di fare i camionisti.
Un'altro è rinchiuso in fabbrica 8 ore al giorno.
Io ho dovuto frequentare corsi serali per recuperare due anni di scuola riuscendo così a diplomarmi.
La scelta è complicata e l'amore per questo sport non è sempre ricambiato nella vita "normale".

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 20/09/2005 alle 13:31
Ahahah, Ottavio, è vero, ho rettificato il tiro ammettendo che il cronoman capace di resistere in salita c’è sempre stato eccome, su ciò ha ragione Majurana.
Ma sai perchè Morris condivideva? Perchè per trovare invece cronomen che mazzolassero tutti contro il tempo così come in salita (altro che difendersi), come ha fatto Armstronz per sette anni, bisogna risalire a Merckx e Coppi, che già Hinault, Lemond e Fignon come paragoni vacillano.
Facile dunque capire perchè il cronopassistascalatore alla Armstronz è un’invenzione oltre che una barzelletta, questione di senso della misura, cultura, conoscenza della storia e dell’attualità.
Penso che sia d’accordo anche tu Ottavio.
Sul tutto il resto siamo d’accordo sicuramente.

Vorrei aggiungere una precisazione parallela alla questione dell’assurda scomparsa del cronometro dal calendario italiano: io provo un certo fastidio per quelle brevi corse a tappe che all’estero vengono irrimediabilmente decise dal cronometro, ma le vorrei comunque inserite anche nelle corse a tappe italiane, direi in misura proporzionata, la Tirreno e la Coppi Bartali dovrebbero avere delle cronometro brevi, al massimo di 7 o 8km se pianeggianti, qualcosa di più se il percorso fosse misto. Il Giro del Trentino già potrebbe permettersi una cronometro tra i 20 o 30km a seconda del percorso. Una cronometro da corrersi in giornata unica starebbe bene come collocazione geografica e temporale accanto al trittico lombardo (chissà, potrebbero magari riesumare la cronocoppie del Trofeo Baracchi). Un’altra cronometro non troppo lunga potrebbe formare un’interessante challenge se abbinata al Giro dell’Emilia (chissà, potrebbero riesumare il GP Forlì già Tendicollo). Sono solo degli esempi.

 

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Davide

 
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Livello Claudio Chiappucci




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  postato il 20/09/2005 alle 13:57
Sono rimasto, come sempre, stupito dalla lucida analisi di Morris, e concordo con Aranciata circa la necessità di inserire crono nelle piccole corse a tappa italiane.

 

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antonio

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 20/09/2005 alle 16:05
Aranciata in effetti paragonare Lance a Coppi, Merckx ed Hinault mi fa un\'pò ribrezzo......
Quanto alla cronometro: per "neutralizzare" l\'eccessiva preponderanza che avrebbe una crono in una breve corsa tappe, basterebbe fare come in Spagna e cioé mettere un duro arrivo in salita, che in Italia non mancherebbe certo.
Ti ringrazio per aver nominato il Trofeo Baracchi che per me è un bellissimo ricordo infantile, sarebbe proprio bello rivederla e magari, come succedeva in passato, con coppie di diverse squadre. Già mi immagino una coppia Basso-Cunego o Simoni-Di Luca, che spettacolo! In Germania mi sembra che si corrano un paio di queste corse.

 
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Livello Marco Pantani




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  postato il 20/09/2005 alle 17:37
Entro a margine della bella discussione, con il dichiarato scopo di contraddire proditoriamente quello scioperato di un mangiapane a tradimento che tutti conoscete con il fantasioso nome di Aranciata Bottecchia.
Il folcloristico Aranciato Batacchio, pregandomi di scrivere messaggi contro i quali scagliarsi, si trova nella trista situazione di non avere avversari degni della sua pugnace voglia di sopraffare il prossimo. Apparve chiaro al sottoscritto che il Claudio della Danza non poteva lasciar cadere nel vuoto una simile invocazione di aiuto.

Carissimo Arrugginita Bacchetta, ti voglio bene come "ammiofratello" (sono figlio unico) e perciò se tu chiedi, io ti accontenterò.
La questione sui cronopassistiscalatori è vieppiù interessante e trovo gli interventi di Morris (ma anche di altri) esaustivi e interessanti anzichenò.

In particolare la squisita quistione enciclopedica dei percentili enunciata dal baffuto Morris ebbe il modo di eccitare ed infine appagare la mia brama di conoscienza. Ma poichè ti meriti una contrapposizione Artigiana Boccetta, ti diro quanto segue:
Bernard Thenenet, Luis Ocana, Roberto Visentini, Joop Zoetemelk.

Arrangiata Bettolecchia, Chi erano costoro? Erano eccelleti pedalatori sia nell\\\\\\\'esercizio "contre la montre" che in salita. E se è vero che non hanno dominato i loro decenni si sono levati più di una soddisfazione. Tutti pressocchè cementati al suolo in volata erano probabilmente incapaci di rasoiate e accelerazioni violente in salita, ma sapevano impostare cadenze di arrampicata insostenibili a molti della loro generazione. Sono sicuro di dimenticare e tralasciare parecchi (un Aimar?, un Venturelli che ne avesse avuta la voglia?)

Stiamo parlando, è chiaro come il succo di pompelmo, caro Armadillo Bargello, che si tratta di atleti di una schiera più sotto rispetto agli Hinault, ai LeMond e ai Fignon. Per non parlare del Fausto e dell\\\\\\\'Eddy, (nomi che fanno tremare i polsi a qualsiasi cristiano con il timor di Dio!), ma comunque di atleti di sicuro valore.

Ebbene Arrembaggi Barocchi, spero di averti dati tregua del tuo male, che nel mio profondo non ambisco che al tuo completo risanamento.

Servo vostro devotissimo
Claudio della Danza

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 20/09/2005 alle 22:51
claudio, un mito , ma che hai preso alla girada?
attento che anche contro di te lanciano una crociata!
ti straquoto
ciao

mestatore (non l\\\' originale, ma il figlio di pschorrrr e roquepine, nipote di tramborrr, etc, etc... nonchè passista scalatore dei poveri in costante miglioramento, prova vivente dell\\' esistenza della suddetta onorabile ed onorata corporazione)

 
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Livello Alfredo Binda




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  postato il 20/09/2005 alle 23:02
è vero quello che dice Claudio, anche negli ultimi tempi, in cui ho iniziato ad analizzare un po\' le corse. L\'Ullrich visto nel 1997 al Tour batteva sia Virenque che soprattutto Pantani in salita, e pure Indurain molti dei suoi avversari li liquidava in montagna. Secondo me Miguel avrebbe avuto anche la forza di vincere in solitaria qualche tappone, ma, a differenza di Gunderson-Mooneyham, non ne avrebbe tratto alcun vantaggio, visto che la sua stagione agonistica constava mediamente di un numero di giorni di corsa ben maggiori a quelli del mese di febbraio in un anno non bisestili

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 21/09/2005 alle 01:39
Danzelli...vile...tu uccidi...un uomo morto....

Ahahah, non ho capito cosa devo fare, forse mi sopravvaluti, ahahah
Ciao bello!

 

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Davide

 
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Livello Marco Pantani




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  postato il 21/09/2005 alle 07:52
Originariamente inviato da aranciata_bottecchia

Danzelli...vile...tu uccidi...un uomo morto....

Ahahah, non ho capito cosa devo fare, forse mi sopravvaluti, ahahah
Ciao bello!


niente...eheheh....provavo un registro diverso, e poi mi avevi chiesto di darti contro!! Sull\\'argomento Lance trovo delle difficoltà (riuscirei a imbastire un qualcosa, ma con parecchi fianchi scoperti), così cerco dei ganci in questioni satellite tipo questa che è uno dei migliori trhead delle ultime settimane.

No scherzo, sono davvero i miei thread preferiti questi e mi complimento con l\'autore. la crescita del forum avviene in questi posti qua.

ciao gnaro.
claudio

 
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Livello Marco Pantani




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  postato il 21/09/2005 alle 08:25
Originariamente inviato da mestatore

claudio, un mito , ma che hai preso alla girada?
attento che anche contro di te lanciano una crociata!
ti straquoto
ciao

mestatore (non l\\\\' originale, ma il figlio di pschorrrr e roquepine, nipote di tramborrr, etc, etc... nonchè passista scalatore dei poveri in costante miglioramento, prova vivente dell\\\' esistenza della suddetta onorabile ed onorata corporazione)


Heheheh, ho preso la qualsiasi!
Purtroppo a giudicare dai risultati e dagli scritti odierni stà facendo effetto in ritardo!

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 21/09/2005 alle 11:50
Ciao Roberto, chiedo scusa perchè mi era sfuggito il tuo post.

Questa categoria non è più vista come un livello di formazione aggiuntiva ma è un vero e proprio trampolino di lancio verso il professionismo.


Ma in questo caso il difetto starebbe nell’adeguamento mostrato dalla categoria giovanile, o dalla pochezza di chi effettua le scelte in ambito professionistico? Difficile discernere con certezza quale sia la causa e quale la conseguenza, tuttavia avrai notato che alcune squadre professionistiche, in alcuni casi, hanno preso l’abitudine di cercare il talento precoce tra gli juniores, oppure pescano tra i dilettanti del primo o del secondo anno, come se non nutrissero fiducia verso i sistemi tipici della categoria.
Dunque una parte dei tecnici professionisti è pessima, e una parte dei tecnici del dilettantismo è altrettanto pessima.
Ma alla fine della fiera, però, io non sono d’accordo con te, perchè il "tempo degli under 23" corrisponde al "tardi", è troppo tardi, come illustrano questi due passaggi di Morris:

1) «Nella crescita verso il ciclismo che conta, in specifico per gli esordienti e gli allievi, la mancanza di "pedagogia ciclistica" da parte di molti allenatori, sovente genitori acculturati alla meglio con qualche sentito dire, o lettura standardizzata, oppure armati del poco formativo corso da secondo livello, segna un ulteriore passo verso lo sfregio del materiale umano a disposizione. »
2) «Le linee di tendenza aperte a voragine nelle categorie esordienti e allievi divengon poi uragani quando i ragazzi giungono fra gli juniores.»

Penso che il nocciolo della questione è questo: una buona fetta di atleti giunge al dilettantismo (U23-élite) con un bagaglio di impostazioni errate, o di formazione strutturale inadeguata, e ne vengono falciati inesorabilmente, spingendoli magari ad affermare "caspita, quella pippa fino all’anno scorso la battevo regolarmente, chissà cosa c’è dietro...".
In fondo sei d’accordo anche tu perchè scrivi

Chi arriva con delle lacune agonistiche qui non ha più spazio per migliorarle.


Il problema dunque sta a monte, senza per questo negare che la categoria non abbia delle responsabilità.

Altri invece che si trovano in squadre poco sponsorizzate si trovano a dover scegliere ad una età di appena 19 anni e senza un \'appoggio monetario se andare a lavorare o rischiare di proseguire.


Condivido questo concetto, ma non sono d’accordo sulla sua imputabilità alla categoria dei dilettanti. Rientra invece in quel discorso di più ampio respiro fatto da Morris, coinvolgendo l’istituzione scolastica che non solo dovrebbe garantire la formazione sportiva di base il più possibile varia e assortita (non solo devono essere presenti tutte quelle discipline giudicate formative, ma ogni individuo dovrebbe avere la possibilità di confrontarsi con esse), ma in una seconda fase dovrebbe anche indirizzare i ragazzi verso quella rosa di discipline (non più formative in questo caso, ma agonistiche) nelle quali potrebbe ottenere i migliori rendimenti.
Formazione e indirizzo, dunque, perchè non si può imputare al solo dilettantismo la colpa di costringere i ragazzi a scelte dolorose.
Un tempo era la strada a fare la selezione, ora viviamo in un’altra epoca e il turno tocca al sistema scolastico.

L\'altro punto è che senza un costante allenamento che impegna le ore lavorative sopratutto, non è possibile continuare, quindi o lavori o corri in bici.
Se per caso provi a correre per 3 o 4 anni arrivi ad un\'età di 23 anni senza sapere far altro che andare in bici, e questa figura non è assolutamente richiesta nel mondo del lavoro


Penso che dalla mia osservazione precedente avrai capito che bisogna spostare l’obbiettivo.
Supponiamo che Tizio giunga all’università con parecchie lacune e non riesca a laurearsi: certo potremmo dire che l’università ha la colpa di non offrire adeguate strutture per il recupero, e questo potrebbe essere il motivo per il quale aziende come il Cepu fanno soldoni, ma la colpa delle lacune di Tizio è dell’università?

Due miei ex compagni di squadra hanno scelto di fare i camionisti.
Un\'altro è rinchiuso in fabbrica 8 ore al giorno.


Questa non l’ho capita e penso che non avresti dovuto scriverla.

Ciao!

 

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Davide

 
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Livello Gand-Wevelvem




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  postato il 21/09/2005 alle 13:22
Nn e\' facile essere competitivi per tre settimane,pero\' la corsa a tappe e\' un grande logoramento psico-fisico nn indifferente,quindi credo ke per fare un giro a tappe bisogna avere una grande preparazione di FONDO e un ottimo RECUPERO in fine come in ogni sport la TESTA dev\'essere al 100%...
Per queste tipo di corse e\' molto indicato corridori completi ke viaggiano bene in salita e fanno la differenza poi a cronometro,anke se ci sono stati casi ke abbia vinto scalatori....o discessisti....

 
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Livello Hugo Koblet




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  postato il 21/09/2005 alle 23:24
Originariamente inviato da aranciata_bottecchia

Ma in questo caso il difetto starebbe nell’adeguamento mostrato dalla categoria giovanile, o dalla pochezza di chi effettua le scelte in ambito professionistico? Difficile discernere con certezza quale sia la causa e quale la conseguenza, tuttavia avrai notato che alcune squadre professionistiche, in alcuni casi, hanno preso l’abitudine di cercare il talento precoce tra gli juniores, oppure pescano tra i dilettanti del primo o del secondo anno, come se non nutrissero fiducia verso i sistemi tipici della categoria.
Dunque una parte dei tecnici professionisti è pessima, e una parte dei tecnici del dilettantismo è altrettanto pessima.
Ma alla fine della fiera, però, io non sono d’accordo con te, perchè il "tempo degli under 23" corrisponde al "tardi", è troppo tardi, come illustrano questi due passaggi di Morris:

1) «Nella crescita verso il ciclismo che conta, in specifico per gli esordienti e gli allievi, la mancanza di "pedagogia ciclistica" da parte di molti allenatori, sovente genitori acculturati alla meglio con qualche sentito dire, o lettura standardizzata, oppure armati del poco formativo corso da secondo livello, segna un ulteriore passo verso lo sfregio del materiale umano a disposizione. »
2) «Le linee di tendenza aperte a voragine nelle categorie esordienti e allievi divengon poi uragani quando i ragazzi giungono fra gli juniores.»


Ciao Davide,
spero di riuscire ad usare il quote.
Questo esempio portato da Morris rende bene l\'idea del mio pensiero.
Quello che manca veramente è il percorso formativo inteso come tale.
Come puoi pretendere che un ragazzo di 15 anni(allievo 1° anno) che vuole iniziare a correre si presenti senza un briciolo di esperienza e buttato nella mischia aspettarsi dei risultati.
Solo per il tempo di imparare i fondamenti della bicicletta li ci vuole un anno, ad esempio stare a ruota, dare i cambi, fare il ventaglio, lavorare per la squadra,imparare a stare nel gruppo, i piedi bloccati nei pedali tutte cose che se non insegnate o allenate difficilmente si migliorano.
Un buon mezzo per vincere le paure della bicicletta è sicuramente acquisire le doti facendo pista.
Utilissima per creare quel feeling con la bicicletta che solo un pistard può avere.
Il ragazzo di 15 anni che crea la sua esperienza praticando delle gare solo in gara, non acquisirà mai le doti richieste.
Gli allenatori o presunti tali che non conoscono la bicicletta perchè magari non l\'anno mai praticata non possono certo capire di cosa ha bisogno
realmente un ragazzo per sentirsi a suo agio nelle gare.
Solo questo aspetto porta via circa un\'anno
Arriviamo quindi al secondo anno di allievo(16 anni),il ragazzo và meglio perchè più smaliziato e ha dimostrato doti di velocista.L\'allenatore deve capire quindi che tipo di corridore ha davanti, se è un velocista, un passista veloce, oppure un buon cronomen( Ma in italia non è neanche presa in considerazione questa posizione) e cercare di far esprimere al massimo le sue doti con degli allenamenti mirati al miglioramento delle sue caratteristiche.
Invece cosa succede, il corridore toscano che abita sui monti è un velocista ma sfortunamente non lo sa perchè ha passato un anno ad allenarsi in montagna cercando di migliorare in salita, con il risultato che si stuferà e smetterà.
Altro caso lo scalatore che và sempre a correre in pianura perchè nella sua squadra cè il velocista buono, anche lui smetterà.
Quindi il secondo anno servè a capire chi sei.
Arrivi nei juniores, sei fortunato perchè ti sei piazzato sia in salita che in pianura e questo ti fà credere in qualcosa di buono.
ma negli junior ti accorgi che le squadre sono squadroni e i corridori dell\'anno prima sono diventati dei mostri.
Tu ancora devi capire chi sei e ti trovi a correre contro dei semisemi prof super preparati dagli staff super tecnici degli squadroni.
Non cè tempo quindi per migliorare le doti bisogna correre subito ai ripari e cercare sopratutto di resistere quella metà stagione che serve per ambientarsi al nuovo Kmetraggio e al nuovo rapportone libero.
Arrivi alla fine che ti piazzi ma non vinci e ancora speri nei miglioramenti dell\'anno dopo.
2° anno Juniores ti senti che quest\'anno è importantissimo non sei ancora riuscito a dimostrare niente di eccezionale ti prepari in inverno alla grande, palestra, ciclocross, riviera, tutto ok prime gare primi risultati, ottimo, arrivano le gare di metà stagione quelle per le qualificazioni al campionato italiano, ma qui ti accorgi che alcuni corridori vanno che sembrano marziani e tu una lumaca.
Come è possibile, ho fatto tutto il necessario per essere lì ma eppure non ci sono, invece gli squadroni ci sono tutti.

Difficile discernere con certezza quale sia la causa e quale la conseguenza, tuttavia avrai notato che alcune squadre professionistiche, in alcuni casi, hanno preso l’abitudine di cercare il talento precoce tra gli juniores, oppure pescano tra i dilettanti del primo o del secondo anno, come se non nutrissero fiducia verso i sistemi tipici della categoria.

Ebbene si l\'ho notato ma non vengono scelti, vengono allevati da piccoli da un gruppo di specialisti che capendone le qualità le fanno esaltare.
Intanto il povero malcapitato che magari ha ottime qualità ma non ha avuto la fortuna di entrare per caso nelle squadre "buone" si troverà nei dilettanti con carenze e dubbi che qui ormai non vengono più colmate, segnando così anche la sua fine inevitabile.
Quindi ben vengano tecnici professionisti nelle squadre anche minori, finanziati da un ente come la FCI che garantisca un adeguata copertura per scovare talenti all\' interno del suo gruppo e aiutarli ad entrare nel mondo del professionismo se meritevoli anche a discapito del risultato sempre.
Non so se ho risposto a te ma io l\'ho vissuta e vista così.
Ciao


 
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  postato il 22/09/2005 alle 12:00
Originariamente inviato da aranciata_bottecchia

Ciao Majurana, hai ragione, i passisti scalatori forti a cronometro ci sono sempre stati, però lasciavano un’impressione differente, erano capaci di vincere dappertutto, come Coppi, Gimondi, Merckx, Hinault, Fignon, in fondo anche Lemond e pure Pantani, il primo fermato da una fucilata quando aveva 25 anni, in seguito alla quale ha vinto solo un mondiale e un Tour (più un altro gettato via da Chiappucci e dalla sua squadra), il secondo fu frenato invece da una raffica ossessiva di infortuni, quasi uno per ogni anno da professionista, ed infine estromesso brutalmente a soli 29 anni, chissà cosa avrebbero potuto vincere questi due corridori se la loro carriera fosse stata meno tribolata e più lineare.
Ricordo comunque che gente come Hinault in montagna perdeva anche da Winnen o Van Impe, ricordo che Merckx perdeva in montagna da Ocaña, insomma loro come altri campioni erano corridori che talvolta avevano la giornata storta, corridori che avevano la ciascuno la propria bestia nera, corridori che si ammalavano di tendinite o si spaccavano le ossa nelle cadute, perchè non avevano certezze e dovevano combattere col coltello tra i denti.
Indurain è già più enigmatico, si dice che lasciasse vincere gli altri per diplomazia, ma poi nelle occasioni che contavano, come i mondiali o le classiche, non riusciva comunque a fare la voce del padrone, non riusciva ad offrire quella prova del nove che confermasse la tesi, troppo singolare per casuale che nei suoi cinque anni da padrone del mondo non gli sia riuscito neppure una volta il colpo grosso.
Ha fatto una gran figura, come un nuovo Anquetil, ma non sono così convinto che avesse le qualità atletiche di Anquetil.
Armstrong? Un attore che recita a soggetto, mentre gli altri impersonano sè stessi per dare un tocco realistico alla sceneggiata.
Quello che faceva prima, dopo non è più riuscito a farlo, quello che ha fatto dopo, prima era impensabile.
Rominger? A parte i sospetti di "abarthizzazione", che in fondo potrebbero riguardare chiunque della sua epoca, ha vinto un Giro che presentava tre dicasi tre frazioni a cronometro, fatto più unico che raro negli ultimi dieci anni, e questo dice tutto.
Comunque anche per Rominger, a parte un Tour de France vissuto da Leone (nel 1993), non è che si sprechino le grandi imprese in montagna, anzi...

Caro Aranciata e vabè vabbè...
ma nel GIRO \'95 ROMINGER non solo vinceva a cronometro, ma in salita staccava tutti.
Cipollini all\'epoca dichiarò che Tony non pedalava in salita....bensì PRENDEVA A CALCI la bicicletta...la STRATTONAVA talmente era grande la sua forza.
Poi i sospetti, erano tempi grigi...

 

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Livello Alfredo Binda




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  postato il 22/09/2005 alle 12:15
così dovrei aver rimesso a posto le colonne... qualcuno si era dimenticato di chiudere i quote

 

[Modificato il 22/09/2005 alle 13:34 by Admin]

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/09/2005 alle 12:29
Ciao Roberto Celap, penso che siamo d’accordo, forse ho equivocato credendo che tu con "dilettanti" intendessi esclusivamente la categoria under 23, nella quale è appunto troppo tardi per correggere grandi difetti d’impostazione, a questo punto spesso irreparabili.
Chiaramente per dilettanti tu intendevi tutto il procedimento culturale, formativo e selettivo che sta alla base del percorso tracciato da Morris, quindi siamo d’accordissimo.

Per Roberto Knight: boh, magari hai ragione tu, a me non risulta che abbia staccato nessuno e forse ogni tanto a staccarsi è stato topone Rominger, però non discuto, la mia memoria praticamente non c’è.
Berzin ha perso il Giro per 4’ e 13", rimediati TUTTI a cronometro.
Vero che la Cenate-Selvino non era un tavolo da biliardo, ahahah, ma sempre cronometro era.
Ciao

 

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Davide

 
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