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Autore: Oggetto: Storie di ciclismo e di personaggi di Enzo Pirroni

Livello Hugo Koblet




Posts: 413
Registrato: Aug 2005

  postato il 08/09/2005 alle 15:35
Ciclismo è quando il cuore arriva al traguardo prima della ruota

Il Giro d'Italia, giunto alla ottantaduesima edizione, ripropone, in tutti coloro che hanno saputo mantenere intatta la passione per uno sport così anacronistico, la solita storia che, da sempre, è intessuta di drammi, di imprese, di sogni, di speranze, di duelli, fedele ad un canovaccio che non ha subito nessuna modifica o variante sostanziale da quella prima edizione che prese il via in una lontanissima primavera del 1909, e che vide il trionfo dell'ex muratore varesino Luigi Ganna. Inalterabile ed eternamente uguale a se stesso come il patetico, pachidermico John Wayne degli ultimi tempi allorché si calò nei panni di un crepuscolare sceriffo guercio ed alcolizzato. Tutti vedono il Giro come un'eterna sfida tra i poveri cristi e la natura che leopardianamente matrigna si ingegna a tormentarli, mentre essi, attraverso sperimentazioni tecnologiche geniali, ricorrendo a coraggiosi esorcismi, a magiche pozioni, cercano di alleviare la immane fatica che il miracoloso trabiccolo impone loro. Ora, iniqua legge, comanda alla scienza di controllare minzioni e succhiar sangue per la gioia di saccenti soloni i quali, sprofondati in comodi divani, possono ben dire, guardando il televisore: Vanno così perché sono drogati! Ergo: se non prendessero niente sarebbero come noi! Molto bene. Tuttavia non penso che serva al ciclismo una nuova legge Merlin. Il mito è nato allorché un poveraccio di oplita, male allenato e alimentato peggio, dopo aver corso per più di quaranta chilometri, ebbe appena il tempo di gridare nikè e render l'anima agli dei infernali. Anche il fornaio Dorando Petri, alle Olimpiadi di Londra del 1908, provò di ripetere il dramma del cursore ateniese. Era dopato all'inverosimile quando stramazzò in prossimità del traguardo. Intorno a tali vicende strimpellarono i nostri divini aedi. Pindaro, celebrava sì gli atleti del pancrazio, ma pretendeva per l'epinicio dinero contante y sonante. Il Giro è lungo come è lungo e dissennato tutto il calendario ciclistico internazionale. I ritmi cui si sottopongono gli ebefrenici arrotini sono da infarto miocardico. Basta guardarli in faccia: hanno occhi lucidi, volti spiritati come i musliman che infiammati dall'ashish partivano per la guerra santa. Il ciclismo non rientra purtroppo nella logica. Le medie delle corse lievitano, i celebrati campioni d'antan non si sognavano neppure simili velocità né sopportavano un calendario di tal fatta. Record abbattuti a colpi di pillole? I records devono essere abbattuti (come credete abbia fatto Francesco Moser a stabilire i due primati dell'ora consecutivi sulla pista del Centro Deportivo di Città del Messico: giovedì 19 gennaio Km. 50.808 - lunedì 23 gennaio Km. 51.151; era il 1984, il campione trentino aveva circa trentatrè anni, essendo nato il 19 giugno 1951, e da tempo aveva intrapreso la parabola discendente?), purtuttavia si pretende che tutto ciò avvenga e che, nello stesso tempo, i poveretti che sulla sella devono sottoporsi a fatiche sovrumane, si astengano dagli additivi dinamici. Anziché i corridori che ricorrono alla farmacopea, andrebbero puniti tutti coloro che ipocritamente si sdegnano, e invocano pene, sospensioni, galera e garrota per i reprobi. Questo sport, che unico tra tutti, produce un tale usurante logorio, viene praticato da giovani che agli inizi sono atleti psico-fisicamente perfetti. Quasi tutti costoro si ritroveranno, a fine carriera, minati nel fisico, inesorabilmente segnati dalla malattia. Ma, nonostante tutto, il Giro rimane l'ultima, autentica epopea sportiva, con le sue vicende umane, con le polemiche che sa innescare, con i ricordi che si porta appresso. Mi sovvengono quei pomeriggi trascorsi ascoltando la radio: "Attenzione, attenzione! Sono le 12 e 45, da poco abbiamo superato Moena. Chilometro 22 della statale delle Dolomiti. In questo istante è partito Charly Gaul". Dietro quelle notizie, che sgocciolanti tra rumori metallici e interferenze varie, arrivavano fino a noi, si scatenava la nostra fantasia. Il Giro prendeva fuoco. Tutto poteva succedere ed anche i nomi più umili, i nomi di quei ciclisti che nessuno di noi scriveva sui tappini della birra, allorché disputavamo quelle interminabili gare lungo il cordolo del marciapiedi, se nominati, assumevano contorni eroici. Chi si ricorda più di Agostino Coletto, di Lino Ciocchetta, di Valerio Chiarlone, di Roberto Falaschi, di Stefano Gaggero? Oggi che Pantani imperversa, oggi che i ciclisti sono diventati perfetti pubblicitari di se stessi e che non incontrano difficoltà, nelle interviste del dopo tappa a spiegarsi in un italiano dignitoso (a volte è più insicuro quello di certi commentatori televisivi o di qualche giornalista), che rispondono con disinvoltura, nella medesima lingua, all'intervistatore francese o spagnolo e che, dopo fatiche di cinque ore, disquisiscono con competenza e con lucidità di valori ematici, di soglia anaerobica, di ematocrito, di proteine nobili ecc. ecc., stento a rendermi conto di come e di quanto siano cambiate le cose. Il ciclismo del 2000 è mutato al pari delle strade, delle biciclette, della psicologia e delle condizioni della gente. Eppure, il Giro d'Italia rimane sempre lui. La folla aspetta il passaggio dei "girini" con il medesimo irrazionale desiderio di scorgere, in quel momento fuggente, in quella epifania, la maglia rosa o il campione del cuore, e affidare a quei corpi scarni, a quelle epidermidi bruciate, un fanciullesco messaggio di gioia. Non v'è sport più ingenuo e più autentico del ciclismo e non vi è corsa che lo riassuma meglio del Giro d'Italia. La penna immaginifica di Orio Vergani lo definì: "la festa di Maggio". Una festa sacra che non ammette alcuna profanazione. Professione: fanalino di coda Vivere il ciclismo significa inevitabilmente nutrirsi di ricordi, immergersi nell'anedottica, recuperare gli episodi suggestivi, riesumare imprese leggendarie: l'inarrivabile Eddy Merckx del 1968 che, impartendo una lezione di forza eccezionale, trionfò al Giro vincendo, sotto una tormenta di neve, la tappa che si concludeva alle tre Cime di Lavaredo; Charly Gaul che nell'edizione del 1958 vinse la Cronoscalata di San Marino, librandosi letteralmente sui diciotto chilometri che portavano al monte Titano; il perfetto Anquetil del 1960, che pareva soppesare gli sforzi col bilancino del farmacista, e che era talmente perfetto da sembrare irreale, sdegnoso e superbo. Tra tanti ricordi rispunta il profilo stortignaccolo di Gastone Nencini, un toscano ribollente di muscoli che riusciva, con la potenza che esercitava sui pedali, a rompere il telaio della bicicletta. Non aveva regole, il campione di Barberino del Mugello. Era un disordinato che non esitava a riempirsi la borraccia di Chianti. Anarchico in tutti i suoi comportamenti era in possesso di un coraggio sovrumano che lo portava ad affrontare le discese a "tomba aperta". Riviere, che lo volle seguire giù dal Col du Portillon, nel Tour del 1960, pagò amaramente l'imprudenza. Dalla variopinta galleria di personaggi proposti dal Giro d'Italia, mi balena alla memoria Luigi Malabrocca. Il nome dell'atleta di Garlasco, classe 1920, è legato alla "maglia nera". Una maglia che nessun corridore ha mai indossato, nelle ottantadue edizioni della corsa a tappe nazionale, ma che nell'immaginario collettivo, rappresenta il simbolo di chi termina ultimo nella classifica finale. Luigi Malabrocca, negli ultimi anni 40, fu protagonista di avventure curiose e perfino paradossali, per concludere la prova all'ultimo posto. Per ben due volte "Luis" Malabrocca fu fanalino di coda al Giro: nel 1946 e nel 1947, gli anni delle vittorie di Bartali e di Coppi: quarantesimo e cinquantesimo con ritardi di 4h.09'.34" e 5h.32'.30'. Nel 1949 fu "bruciato" dal rivale Carollo. La scena più comica del "duello" si verificò proprio in quel Giro, nella tappa Montecatini-Genova, vinta da Vincenzo Rossello. A pochi chilometri dal traguardo, Malabrocca si fermò, fingendo di sostituire un tubolare. Carollo se ne avvide e si nascose dietro un pagliaio. Convinto di aver gabbato l'antagonista, "Luis" Malabrocca ripartì e tagliò il traguardo. Grande fu la sorpresa allorché si sentì dire che Carollo doveva ancora arrivare. Cosa era successo? Il friulano aveva pagato un ragazzino perché lo avvertisse quando Malabrocca avesse ripreso la corsa. Alla fine Carollo fu felicemente ultimo con un ritardo di 9h.57'.07" da Fausto Coppi, indiscusso trionfatore. "Malabrocca? Un nome da fiaba - disse Dino Buzzati - un corridore che se non ci fosse stato davvero, lo si sarebbe dovuto inventare".

......................................Enzo Pirroni

 
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