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Autore: Oggetto: CHIUDIAMO IL CIRCO

Livello Miguel Indurain




Posts: 676
Registrato: Jun 2005

  postato il 28/07/2005 alle 14:20
Lo reputato importante e lo giro a tutti: ARTICOLO da http://www.sportpro.it/index.htm

CHIUDIAMO IL CIRCO; NON AMMAZZIAMO I NOSTRI RAGAZZI

Mauro Cascini mauro.cascini@tin.it


Ciao caro Direttore,

finalmente un padre che parla. Leggo sulla Gazzetta di oggi "Sono un padre distrutto", e mi ricordo che qualche anno fa’ tu mi facesti un intervista e senza nascondermi nell'anonimato su Repubblica dicemmo tante verità (perfino ovvie) sul mondo del ciclismo giovanile. Ma io non mi sento distrutto, mi sento felice di esserci salvati insieme io e mio figlio Francesco da quel mondo del ciclismo moderno, che per i soldi non esita a mettere in pericolo la salute di tanti ragazzi.

Mi sento orgoglioso di essere stato convocato per ben tre volte da emeriti imbecilli che volevano sapere i nomi di chi si dopava o di chi somministrava medicine. I nomi, se volete saperli, chiedeteli ai giudici oppure aspettate qualche anno li leggerete sui giornali o sulle cartelle cliniche degli ospedali. Ipocriti ed imbecilli. Caro Cassani, siamo iscritti al tuo club, siamo venuti alla tua scuola di ciclismo, volevamo imparare a vincere con la tecnica, con l'allenamento; insieme a Ballerini ci avete detto che le mele marce sarebbero state tolte dal cesto. Oggi ci dici in tv che si sente un aria nuova e fai parlare Ferretti che si permette di dare della canaglia ad un povero cristo stritolato da un sistema. E così Ferretti non sapeva i medicinali che prendevano; certo, i suoi corridori avevano firmato il contratto (di licenziamento in caso di prblemi con l’antidoping, n.d.r.); così stava tranquillo. Anche il dottor Squinzi aveva fatto firmare il contratto, poi è scappato dal ciclismo quando si è accorto che anche i ciclisti dal viso d'angelo se volevano vincere dovevano fregarsene del contratto.

Non voglio essere cinico, ma preferisco un padre distrutto, che se volesse sono sicuro potrebbe dire tante altre cose, ad una madre che inveisce dentro una chiesa che qualcuno gli ha ammazzato il figlio. Dove erano questi genitori quando i figli si facevano le endovene a 15 anni, e poi le flebo o il ferro dal 1 gennaio al 31 dicembre? Io c'ero quando davo a mio figlio la mela chiodata illuso che così si alzava l'ematocrito che con l'allenamento scendeva; mentre ai suoi compagni saliva ai limiti della legge sulla tutela della salute.

Io c'ero pure quando ha dovuto smettere perché con quello che aveva scritto il padre non veniva più guardato in faccia, o perché veniva svegliato la notte da telefonate di minaccia.

Non un solo genitore, un ds, un medico sportivo, mi è stato vicino. Nessun ciclista, neppure quelli con cui uscivo insieme la domenica. Ma che dovete difendere? La strage fisica o nelle migliori delle ipotesi psicologica, di tanti ragazzi che - come dicono a belle parole quelli della Federazione - fino a diciotto anni dovrebbero giocare? Certo, con i giochi di certi ds... Chiedete a chi c'è stato dei ritiri di Livigno. Ferretti e compagni non sanno come si va ad un laboratorio d'analisi al posto di un ciclista delle categorie intermedie, o come si vanno a prendere in farmacia fiale di Nesp con prescrizioni rifatte con lo scanner. Un nefrologo recentemente mi ha assicurato che a loro serve solo una parte minima della produzione di epo attuale. E meno male che il ciclismo ha svoltato, e infatti le medie dei professionisti sono arrivate a 48 km ora... Ma avete visto quelle degli junior, quando hanno le indicative per i mondiali? Ma dai! Sono bravi ragazzi, che si allenano tanto, specialmente quelli che i padri, grandi ds, vengono da storie di doping che mettono paura.

Ma chi, quindi, si deve mettere da parte? I vecchi o i nuovi giovani emergenti? Io dico: iniziamo a licenziare dai bordi delle strade tutti quelli che contribuiscono a questo ciclismo degenerato. Chi prende soldi sulla pelle di ragazzi che dovrebbero solo divertirsi e anche qualche ex ciclista che, approdato ai microfoni della Rai si è dimenticato di come stanno veramente le cose.

E se si deve chiudere, chiudiamo il circo, ma non ammazziamo i nostri ragazzi.

Mauro Cascini
Castel Madama (Roma)


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Ancora un amarissimo sfogo di un genitore che ha pagato in prima persona il coraggio di denunciare e di prendere posizione contro il doping nelle categorie giovanili. Pare di capire che, nonostante l’ottimismo di facciata e le falsità che rimbalzano dalla tv e da certi "media", ben poco è cambiato da quel marzo del 2003 quando Cascini rivelò a Repubblica e SportPro il dramma di un giovane che vuole praticare ciclismo in modo pulito e le pressioni dell’ambiente verso la farmacia (di ogni tipo). Quel giovane ha dovuto rinunciare. Quel giovane, come tanti di cui abbiamo avuto notizia, aveva le qualità per emergere; quel giovane rappresenta un patrimonio di qualità e buone intenzioni gettato al vento. Una sconfitta dello sport e dei suoi valori più autentici. Qualcosa che dovrebbe far ribellare e riflettere sul campionismo a tutti i costi imperante non solo nel ciclismo. Un sistema perverso, in cui i giovani con talento, bene orientati e puliti, sono costretti ad abbandonare è un sistema marcio alla radice, che non ha e non dà futuro. Questo, pare di capire, è ancora il ciclismo dei kamikaze della siringa e dei loro epigoni: dirigenti, ds, medici, massaggiatori, tecnici, addetti ai lavori. Un mondo tutt’altro che scomparso, come si vorrebbe far credere. E l’attuale atteggiamento dei massimi dirigenti sportivi, piuttosto defilato, non aiuta di certo. Dall’ambiente giovanile giungono voci e resoconti preoccupanti. Si sta andando indietro, invece che progredire sulla strada della tutela della salute dei giovani sportivi. Il ciclismo in questo caso funziona un po’ da cartina di tornasole. E allora, se non sono bastati gli scandali e le inchieste a raffica degli ultimi anni a far capire la gravità del problema, meglio smettere, come ha fatto il figlio di Cascini che stare in un ambiente simile. Almeno ci si guadagna in salute. Il ciclismo è uno sport meraviglioso, lo dico da praticante appassionato, ancora con il "germe" dell’agonismo addosso; ma quello non è ciclismo; è solo un volgarissimo ambiente dove l’uomo è considerato semplice "carne da cannone", dove all’ideale dello sport si è sostituita la religione del business. Meglio pedalare per conto proprio, allora.

E.C.

SIMEONI, ARMSTRONG E LA DIGNITA'

Ninni Radicini ninnir@tin.it

Gentile direttore,

la vittoria di Filippo Simeoni in una corsa pionieristica in Cina, mentre contemporaneamente al Tour de France il Fenomeno confermava l'affidabilità' eterna del suo motore, mi sembra possa essere motivo di una riflessione. Quella di Simeoni appare come la storia di un ciclista che, tra tante difficoltà, cerca di continuare a fare il proprio lavoro.
In ogni contesto della vita, alle persone normali può capitare di imbattersi in gente prepotente, smaniosa di sopraffare il prossimo attraverso l'ostentazione del potere e del denaro. Ci si ritrova, senza nemmeno volerlo, a dover affrontare situazioni molto complesse, spesso con risvolti amari e talune volte, in base alla sensibilità della persona, anche drammatici. In questi casi o ci si arrende oppure si cerca di andare avanti. Quando si decide di non arrendersi quasi sempre non c'e' alcuna volontà di fare esercizio di eroismo. Non arrendersi al sopruso significa non rinunciare alla propria dignità.
In anni in cui, purtroppo, anche il ciclismo e' stato contagiato da un certa subcultura del potere, anche chi fa questa attività si trova a fare scelte impegnative. Per cambiare occorre una cultura alternativa, che può essere sviluppata soltanto attraverso la cooperazione di tutte le persone oneste. Oltre all'impegno in tale direzione da parte degli addetti ai lavori e' però essenziale e determinante la partecipazione degli spettatori e dei lettori, i quali attraverso l'esercizio del dubbio e della critica possono rappresentare un ostacolo insormontabile per i Superman e per i loro cantori.

Un cordiale saluto,
Ninni Radicini

Ninni Radicini collabora con "Orizzonti Nuovi" (www.orizzontinuovi.org), quindicinale di informazione e analisi del movimento Italia dei Valori ed e' autore della newsletter Kritik (kritik.135.it).

PANTANI, BOTTA E RISPOSTA CON LA "SUPERTIFOSA"

Riporto ancora una volta la replica di una tifosissima di Pantani dopo temporanei problemi tecnici con il sito della fondazione. E, a seguire, la mia risposta.

Original Message
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From:
To:
Sent: Saturday, July 09, 2005 1:04 AM
Subject: Maria Rita ( Don Chisciotte).
> Leggo che sei passato al tu e, quindi, lo uso anch'io.

> Non ho capito se non puoi scrivere sul forum o non puoi proprio entrarci, comunque ti mando quello che ho scritto nel forum ( premettendo,ovviamente, che ci avevi risposto sul tuo sito per problemi tecnici).

> Saluti

Maria Rita ( Don Chisciotte)

> P.S. Mi convinco sempre di più che cercare il confronto ,anche aspramente polemico ,sia sempre la via migliore.

> Mi fa piacere che, a poco a poco, tu sia arrivato a due cose: 1) Pantani non è morto di doping 2) Pantani non era campione SOLO per l'epo e che l'essere campioni è frutto di diversi elementi ( tra dire così e dire che vinceva perché miscelava sé con l'epo una differenza c'è, lo ammetterai).

> Quindi perché scrivere campione fra virgolette e parlare della mozzarella di bufala?

> Oggi è uscito un altro studio, pubblicato da tuttobiciweb che afferma come durante l'autopsia si trovino i devastanti effetti del doping ( cuore ingrossato ecc), e se all'autopsia non risulta NULLA ( cuore sanissimo, a parte l'overdose finale, midollo sanissimo, tutto sanissimo) che vuol dire?

> Sull'identificazione fra avviso di garanzia e condanna definitiva, vai a rivederti gli articoli che hai scritto. Ricordo il terrore che mi prendeva a leggerli, anche a me che di legge dovrei capirne, prima di razionalizzare, andarmi a studiare la legge, le sentenze della cassazione e qualche commento tecnico e capire che il processo non doveva manco iniziare.

> Pantani frequentava quel centro di Ferrara, fino al 1995 ( nel 1996 non ha corso quindi, dal momento che aveva un midollo sano, non aveva bisogno di epo ).

> Un superasso non vince ugualmente se gli altri ( che non sono superassi) usano il doping ematico e lui solo no. Il doping ematico ha effetti enormi su chiunque lo usi, quindi un superasso deve adeguarsi al sistema o andare a fare piadine e buttare al vento il suo talento ( che c'è a prescindere dall'epo).

> Dopo il 1995? A parte la siringa di insulina a Montecatini ( dove non c'è ombra di prova, non essendo stata fatto il test del DNA), ci sono altre prove PROVATE che si dopasse? E al Tour 1998 perché non lo beccarono?

> Non mi citare la crono di Lugano del 1998 perché, a parte che di prove provate non ce n'è, allora ti potrei rispondere come rispose Marco a Gianni Minà che gli riportava ( qualche giorno dopo Campiglio) i sospetti di Squinzi: se uno pensa che ci sia stata una manipolazione delle provette allora vuol dire che pensa che le provette possono essere manipolate....e lo diceva dopo Campiglio..

> Pier70 è andato in ferie e non ti può rispondere ma penso che un medico debba informare sui VERI rischi del doping non presentare rischi molto dubbi, certi farmaci provocano danni pesanti, non è necessario aggiungere quello che non è certo. Perché il medico che dopa può sempre dire: ma quale depressione? Ci sono studi che...

> Quanto all'informarmi sulle tue attività extragiornalistiche, a chi dovrei chiedere? Io non faccio parte del mondo del ciclismo, valuto quello che fai come persona pubblica che scrive su un giornale che leggo e su un sito che leggo, altro non devo farlo.

> Comunque, molti qua nel forum pensano il contrario, ma io sono convinta dell'utilità del confronto con tutti coloro che hanno avuto un ruolo nella vicenda di Pantani e dell'importanza del tuo ruolo ho già detto in una delle risposte nella topic " Capodacqua scusi il ritardo."

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Superate le difficoltà “tecniche” ecco la replica

Maria Rita,

anch'io credo nel confronto; quando, come nel tuo caso (e anche nel mio, ovviamente) si parte da una posizione di rispetto reciproco. Mi colpisce la tua grande dedizione e il grande affetto che dimostri nei confronti di Pantani e penso che potrebbe essere - come dire? - "canalizzato" meglio che semplicemente sul fronte della "verità da cercare". Che è una cosa importante, certo, perché anche io sono convinto che ci siano larghi punti oscuri sulla vicenda (se vuoi possiamo anche parlarne); ma che non può essere tutto. Però bisogna essere schietti e senza preconcetti se si vuole dialogare. E rispettare le opinioni degli altri anche quando sono all’opposto delle nostre.

Vengo al merito.

Ho maturato da tempi non sospetti queste opinioni:

1) Pantani non è morto DIRETTAMENTE per doping (mai detto o scritto questo), cioè: la causa ULTIMA è stata l'overdose, però resto convinto che Pantani ABBIA fatto ricorso al doping. E sostenere che non ci siano prove solo perché non è mai risultato positivo ai test significa non voler vedere la realtà nella sua interezza. In un "sistema" dove l'antidoping è pieno di buchi (vedi, ad es., l’impossibilità di individuare ai test gh, insulina, tanti anabolizanti tipo thg, ecc. e la "filosofia" del gruppo: tutto quello che non si becca è lecito...) in un sistema colabrodo, dicevo, dove è possibile - e lo ha dimostrato il caso David Tani - assumere 4.000 unità di epo il giorno prima della gara e passare indenne ai controlli, la non positività ai test (a questi test) non può essere assunta come prova assoluta di innocenza. Il dubbio, quanto meno, è legittimo. Inoltre, dal momento che sono convinto che il doping sia "propedeutico" all'uso di droga voluttuaria (i casi di atleti ed ex atleti che hanno fatto il "salto" sono tantissimi e non tutti hanno avuto la “gogna mediatica” o sono state vittime di “complotti”), in qualche modo - direttamente o indirettamente - il doping c'entra. Oltretutto certe sostanze come la cocaina sono classificate fra quelle dopanti, giusto o sbagliato che sia. Che uno si faccia di coca per sballare in discoteca o per sentire meno la fatica (il famigerato “pot blege” contiene eroina, cocaina, e amfetamine varie: lì la dipendenza “fisiologica” è scontata...), per lo sport non fa differenza: sempre di doping si tratta. Altrimenti perché la cocaina resta fra le sostanze proibite dall’elenco della Wada, nonostante le continue proposte di cassarla? Ullrich è stato beccato e squalificato per positività ad uno stimolante che aveva preso in discoteca; dunque lo sport non fa distinzione; le regole sono queste, se non vanno bene si può cercare di cambiarle, però finché esistono vanno rispettate.

E, se non si vuole credere alle ricerche scientifiche che dicono che gli anabolizzanti possono provocare depressione, si deve comunque riconoscere una "dipendenza" derivante dall'abitudine mentale, psicologica ad appoggiarsi a qualcosa di esterno (il farmaco) in ogni momento "critico" della vita. E' un'ipotesi che trova molte conferme. Io la ritengo plausibile.

2) Quando Pantani si è affacciato la prima volta sulla grande ribalta pro (Tappe di Merano e Aprica, al Giro 1994), i suoi valori ematici erano ben superiori al 50% (vedi file Dblab del Processo Conconi); per due stagioni è documentato che il suo ematocrito andava su e giù in modo assolutamente innaturale: valori basali attorno al 42% nel periodo di non trattamento; valori vicino al 60% sotto trattamento. Uno schema che si ripeteva anche per altri atleti di altre discipline. E che ha spinto il pm Soprani a parlare perfino di “doping di stato” (nel caso degli atleti Coni, ovviamente, non di Pantani). Dunque, almeno per quelle due tappe si puo' dire che ha vinto in condizioni di "trattato farmacologicamente". Ha cominciato a vincere da pro in quelle condizioni. E perché avrebbe dovuto smettere se il "sistema" (del tutto tranquillo, all'epoca non c'erano test adeguati...) funzionava? Oltretutto in un ambiente (ciclistico) dove la filosofia imperante era (è) che tutto quello che non si becca ai test si fa?

Avrebbe vinto lo stesso? Tu dici di si. Io NON dico di no. Dico: non lo so. Perché? Perché all'interno di questa forbice (42%-60%) tecnicamente ci sono almeno quattro categorie sul piano della prestazione. Se dai una scorsa a qualche testo di fisiologia puoi trovare conferme. Ma, si dice, lui vinceva anche da ragazzino; in salita è sempre andato forte. E' vero. Era uno scalatore nato. Ma fra l'essere un ottimo scalatore (aveva un eccellente rapporto peso-potenza, dunque lo era) e filare ai 50 all'ora nelle crono battendo gli specialisti e vincere Giri e Tour, tecnicamente c'è una grande differenza. Non volerlo ammettere vuol dire non conoscere bene il ciclismo e lo sport in generale. Ma, se si vuole, ci sono sempre i libri di fisiologia. Che non sono il "verbo", d'accordo, ma che un certo fondamento pure ce l'hanno. Dunque per me Pantani era un ottimo scalatore che, però, forse senza quell'aiutino non avrebbe centrato TUTTI i grandi obbiettivi che ha centrato. Avrebbe vinto, ma molto meno. Con questo non dico che fosse il Diavolo. Faceva quello che facevano gli altri. Io non ho fatto altro che dirlo anche in tempi in cui tutti (compresi colleghi del mio giornale...) si dicevano - per comodo - convinti dell’assoluta limpidezza. E mi pare che adesso anche tu qualche dubbio lo nutra (sul fatto che si dopasse) infatti riconosci che anche un talento puo’ non farcela a confronto del dopato. Ripeto un brano della tua e-mail:

“Un superasso non vince ugualmente se gli altri ( che non sono superassi) usano il doping ematico e lui solo no. Il doping ematico ha effetti enormi su chiunque lo usi, quindi un superasso deve adeguarsi al sistema o andare a fare piadine e buttare al vento il suo talento (che c'è a prescindere dall'epo)”.

Se è vero, allora cade la tua domanda “dopo il 1995”?: semplice la risposta: “doveva”.

Però io non concordo in toto con la tua tesi, perché penso che la risposta al trattamento farmacologico è sempre individuale, non matematica (e spesso cambia da periodo a periodo nello stesso individuo); tant’è che c’è chi si è strafatto (ancora Tani) senza mai ottenere nulla di significativo. La differenza la fa la risposta al trattamento, che è personale. Ciò non vuol dire che non esista il talento, ma il talento puo’ non bastare. Talento+aiutino/aiutone=campione? Il discorso in termini generali, ovviamente, potrebbe essere approfondito, ma non voglio dilungarmi troppo.

Se però accetti questo assunto (adeguarsi al “sistema” per non essere costretto a gettare il talento al vento), devi anche accettare il fatto che Pantani sapesse di non essere totalmente a posto con le regole; dunque, essendo intelligente (su questo concordo a pieno) NON poteva NON mettere in bilancio il rischio di essere beccato prima o poi. Oppure in un mondo marcio come il ciclismo, di cui lui aveva piena percezione, pensava di essere un intoccabile? Io proprio non lo credo.

4) Se un giudice apre un processo e mette sotto accusa il personaggio numero uno del ciclismo italiano un cronista NON puo’ NON registrarlo e con l’enfasi relativa alla “grandeur” del personaggio, altro che “gogna mediatica”; il fatto che il processo dovesse o non dovesse cominciare appartiene alla scelta del giudice; al cronista spetta solo raccontare cosa è successo. Come ho fatto.

5) la siringa di Montecatini. Mi risulta che esista ancora (essendo un reperto del processo Sanremo 2001). Se si ha una così ferma sicurezza, perché non si fa formale richiesta di un test DNA a tutela della memoria?

5) Il fatto che avesse il midollo sano al momento dell'autopsia di Fortuni non vuol dire che - magari anni prima - non abbia eventualmente potuto far uso di epo. Si guarisce da malattie terribili come il cancro (non solo Armstrong, sul quale ho più volte esternato i miei dubbi...), figuriamoci... ed è possibile che un fisico particolarmente resistente resista agli "insulti" di certe sostanze. Mitridate, re del Ponto, si era quasi abituato al veleno bevendone un po’ ogni giorno... Dunque l'autopsia di Fortuni non puo' essere presa a prova di alcunché. Se non del fatto che le cause DIRETTE della morte deriverebbero dall’intossicazione da cocaina. Oltretutto tecnicamente non si puo’ andare indietro con l’autopsia più di qualche mese dal decesso. E lui non correva dalla fine del Giro. Perché si sarebbe dovuto dopare in quel lasso di tempo?

6) La mozzarella di bufala era una battuta, vederci una "persecuzione" non è da te.

Infine le attività extra-giornalistiche. Forse prima di sparare giudizi trancianti come hai fatto per tanto tempo nei miei confronti sarebbe bene cercare di conoscere qualcosa di più dei propri interlocutori (vale anche per me, ovviamente, che, fuori dalle vuote polemiche, sto scoprendo una persona diversa).

Saluti cordiali

Torquemada

PANTANI E I TIFOSI, RISPONDO QUI

Dal momento che - non so per quale motivo - non riesco più ad entrare nel sito della fondazione Pantani, non avendo altra soluzione, pubblico la mia ultima risposta in questa sezione di SportPro

Ribadisco la mia posizione: non rispondo nel merito sulla vicenda Pantani per il semplice motivo che ho già appurato e verificato l’inutilità di un simile confronto come è facile constatare proprio qui nel "Wall": le posizioni sono talmente diverse e partono da presupposti talmente distanti da rendere impossibile il minimo dialogo. Non c’è nulla al mondo che può convincere chi (non do giudizi di merito, constato) non vuole convincersi. Neppure l'evidenza.
Dunque, il confronto diventa una inutile “criminalizzazione” (questa si) di chi – come me - molto semplicemente ha idee diverse. Solo per giustificare una tesi, quella del “complotto” o della cosiddetta “gogna mediatica”, che non condivido. Come se una tragedia di quel genere potesse essere spiegata così semplicisticamente.
Mi limito a dire solo alcune cose: io ho combattuto e combatto il doping, non Pantani o Pinco Pallino. Mi sono occupato di lui in questo ambito (ovviamente con il risalto che un nome come il suo mediaticamente comportava e che era una conseguenza del suo essere un personaggio pubblico di rilievo) ANCHE perché è stato coinvolto in vicende doping BEN ANTERIORI a Madonna di Campiglio. Quando ho maturato una certa convinzione e cioè che NON TUTTO quello che faceva era frutto del suo sacco (attenzione, non dico che vinceva SOLO perché dopato; le prestazioni sono sempre il frutto di una serie di complessi fattori…) l’ho esternato, ritenendolo mio dovere professionale. Rifarei tutto. Del resto, a Ferrara (ben prima di Campiglio: 1994, 1995…) lui ci andava come tanti altri, nominati e stranominati sui media, vedi anche l’attuale vicepresidentessa del Coni… (e non ci si andava, allora, da quelle parti, per prendere il thè…); discutere quanto quello gli fruttasse sul piano della prestazione, oggi serve a nulla: si resta su opinioni diverse.
Come la penso io lo sanno tutti. E’ peccato mortale avere un’opinione diversa, giusta o sbagliata che sia? E’ “sacrilegio” pensare che l’atleta “x” o il superasso “y” non sia un po’ meno “superasso” di quanto non lo si dipinga? E perché mai un superasso intemerato avrebbe bisogno di frequentare strutture e medici dopatori, se poi sa che vince ugualmente? Perché il doping non gli fa effetto? Tutto il resto (la sinistra, i giornali, il tale medico citato e l’altro no, ecc. ecc.) cara Maria Rita, è solo dietrologia che non macina più. E mi fermo qui.
Come detto, a me interessa il problema. Cara Maria Rita, le dimensioni del fenomeno NON erano pubblicamente note nel 1994. E il fatto che adesso ci sia una percezione del problema come “un problema di salute pubblica” (lo dicono quasi tutti: da destra a sinistra) non è un risultato da poco nella lotta. Se poi concretamente politici e dirigenti sportivi facciano poco o nulla, questo dipende dalla loro incapacità e/o mancanza di volontà.
I dirigenti sportivi allora avevano ricevuto una denuncia che tenevano nel cassetto (ed io sono stato fra quelli che, appena conosciuto l’argomento, lo ha denunciato, poco prima o poco dopo non ha importanza: non eravamo in molti su quel fronte, credimi…), perché allora parlare di doping significava “gettare fango” sullo sport (altro che professionisti dell’antidoping, allora, come oggi c’era e c’è un prezzo da pagare per essere coerenti con le proprie idee…a scanso di equivoci: non mi lamento sono felicissimo che sia così…); ma i dati veri, reali li hanno forniti i grandi sequestri di finanza e nas che sono potuti avvenire solo grazie alle perquisizioni consentite dalla legge e dai processi innescati dalla magistratura. Certo che il doping non si combatte solo con quello, e se mi etichetti come quello che considera un avviso di garanzia una condanna (opinione per me senza alcun fondamento) mostri non solo di non capire al differenza fra la cronaca e il commento, ma anche di essere prevenuta. Io penso che serve ANCHE quello. Tant’è che cerco di fare qualcosa ANCHE su altri fronti. E prima di sparare certi giudizi sarebbe meglio informarsi: quello che faccio lo sanno tutti, basta chiedere. Quanto alla depressione, più o meno “scientificamente” provata, lo scetticismo in questo caso ha un solo effetto e che lo porti avanti un medico è preoccupante. Perché si distrugge quel poco di deterrente che certe notizie possono avere. E’ chiaro che la scienza non è il verbo assoluto e chi pensa che qualcuno pensi questo, pensa sbagliato. Poi sta a ciascuno scegliere in cosa credere o meno. Personalmente sono convinto che sia meglio mettere in guardia i giovani segnalando potenziali pericoli (di qui anche un messaggio utilissimo dalla tragedia di Pantani…), piuttosto che sminuire i rischi, insinuando il tarlo della scienza che puo’ non essere affidabile. Il problema doping è anche il problema di certi medici che dicono: “Basta che ne prendi poco e vedrai che non ti fa nulla”; medici che coprono e nel migliore dei casi fanno finta di non vedere limitandosi a tamponare i danni immediati. Tanto se poi ci si ritrova a 35 anni con i reni fottuti, o col fegato a pezzi vai a dimostrare “scientificamente” che è stato perché dieci anni prima ti sei fatto certi farmaci…

Saluti cordiali

Eugenio Capodacqua

IL TOUR DEI FENOMENI E IL GIORNALISMO SPORTIVO

Ninni Radicini ninnir@tin.it

Gentile direttore,

dal suo articolo sulla prima tappa del Tour si puo' trarre una domanda. Come si spiega, dal punto di vista fisiologico, che un ciclista di 34 anni vada piu' forte di quando ne aveva 30 (ed era gia' considerato "fenomeno") e infinitamente piu' forte di quando ne aveva 25? Possibile che nessun altro, tra i cronisti che seguono giorno per giorno il ciclismo, ritenga questo particolare degno di attenzione e magari di commento pubblico?
La cronaca sportiva, a parte SportPro, e' ormai ridotta a una continua retorica mielosa, piena di superlativi assoluti e autocensoria in ogni argomento, perfino in ogni parola, che possa turbare la favola dello sport - in questo caso del ciclismo - in cui sono protagonisti fenomeni, le cui imprese ai limiti della fantascienza derivano soltanto dalla forza di volontà. Esclusa la ingenuità, mi pare che questo modo di descrivere avvenimenti e personaggi sia in sintonia con la tendenza a considerare spettatori e lettori disponibili a credere a tutto.

Nella cronometro di inizio Tour, per spiegare la prestazione di Zabriskie, il cui tempo risultava inavvicinabile per tutti, anche per gli specialisti, si avanzava la motivazione di una fortunata congiuntura atmosferica (il vento a favore). Dato che non si trovava in sella a una motocicletta, in quale altro modo si poteva giustificare una velocità media di 55km/h? Ma quando Armstrong ha tenuto la stessa media c'era vento? No, altrimenti anche Ullrich e Basso ne avrebbero avuto giovamento. Allora queste prestazioni come si spiegano?
Dalla tv non si e' avuta risposta.
Purtroppo anche nell'ambito del giornalismo sportivo c'e' stata quella mutazione genetica evidenziata da Pasolini più di trent'anni fa. Si e' passati da Sergio Zavoli che da' del "lei" ai ciclisti intervistati al "Processo alla tappa", agli attuali che parlando di Armstrong lo chiamano confidenzialmente "Lance". Un azzeramento delle distanze, anche solo formali, indicativo dello snaturamento del ruolo.
In Italia i veri giornalisti non si sono estinti. Soltanto, non volendo far parte della comitiva dei simpaticoni, vengono tenuti a distanza perché portatori di un paio di caratteriche - indipendenza di giudizio e capacità di analisi - considerate come la peste da chi vuole lo sport in funzione del business. Perché il business vuole solo record, fenomeni e spettatori adoranti.

Ninni Radicini

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Ninni Radicini collabora con "Orizzonti Nuovi" (www.orizzontinuovi.org), quindicinale di informazione e analisi del Movimento Italia dei Valori ed e' autore della newsletter Kritik (kritik.135.it).
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PANTANI, IL LIBRO DI BEHA, I TIFOSI E LA LOTTA AL DOPING

Stefano Serra stefanoserra70@katamail.com

Egr. Direttore,

sono Stefano Serra, ci siamo conosciuti alla gara dei Cinque archi del gruppo di Latina, ed abbiamo parlato anche del caso Pantani, ricorda? Ho letto la sua recente recensione sul libro di Oliviero Beha; concordo su molte cose, come, ad esempio sul fatto che i dirigenti sportivi e politici siano ancora tutti “in sella”. E’ uno scandalo. Essendo tifoso di Pantani, ho anche letto sul sito della fondazione alcune osservazioni che mi hanno lasciato perplesso e che in parte condivido: perché ad esempio del medico di Pantani, Grazzi, si parla solo molto tempo dopo l’inizio dell’inchiesta? Non sarà perchè Prodi, come dice Beha, era amico di Conconi e anche di Marco? Non sarà perché Pantani allora era la gallina dalle uova d’oro e faceva comodo così, come poi ha fatto comodo avere un nome da sparare come capro espiatorio? Caro Direttore, condivido molto delle cose che leggo su SportPro, però una cosa la devo dire: non credo che criminalizzando gli atleti si risolva il problema del doping. Grazie se vorrà rispondermi.

Caro Stefano,

sul sito di Pantani avrai letto l’ennesima invettiva di una certa Maria Rita, alias Donchisciotte, una ipertifosa di Pantani, che non ha altro di meglio da fare nella vita che occuparsi con occhiuta attenzione di tutto quello che io scrivo sia su Repubblica che su SportPro (anche quando non tratto l’argomento Pantani), al solo scopo di esercitare una critica tanto preconcetta quanto vuota e inutile. Il tutto con una tecnica che dire “di parte” è puro eufemismo: i miei pezzi vengono regolarmente cannibalizzati “ad usum delfini”: una frase lì, una citazione là, estrapolata dal contesto, solo per far tornare i conti del proprio discorso. Il bello è che molte delle cose che io ho scritto negli anni e scrivo sembrano essere condivise di fondo, come ad esempio le critiche al “sistema” al “potere”socio-sportivo (per me parla al collezione di Repubblica); un sistema ipocrita, dopato e di dopatori (il famoso doping di stato finanziato dal Coni di cui parla Soprani non è che l’esempio più clamoroso, denunciato da me in tempi non sospetti), un sistema di truffatori istituzionali; salvo poi saltarmi addosso come fossi il peggiore dei sacrileghi, solo perché mi vengono dei dubbi sulla limpidezza dei risultati di Pantani; e successivamente ... non resistere alla tentazione di andare a vedere tutti i giorni cosa scrivo. Ma va bene così: non me ne cruccio affatto, anzi, sono contento di avere tante attenzioni, vuol dire che colpisco nel segno. Il resto è roba piccola, da tifosi - appunto - che non vogliono o non possono capire. Non voglio andare oltre: è una polemica la cui inutilità ho già sperimentato. Mi interessa, invece, rispondere alle tue domande.
Parto da una premessa: Pantani – ne abbiamo già parlato a voce - per te era un eroe, divenuto una vittima e un capro espiatorio per strane alchimie di potere, per me era una vittima prima di tutto di se stesso perché lui ha accettato mentalmente e materialmente di essere “dentro” quel sistema corrotto (e lo sapeva benissimo che era tale), di "goderne" in qualche modo (fama, soldi, ecc.), salvo poi lamentarsi quando è finito nella rete dei controlli. E “sballare”. Pantani non veniva di certo dalla montagna del sapone, posso dirlo perché ci ho parlato parecchie volte e lo conoscevo anche al di là delle sue gesta sui pedali; era più intelligente e realistico di quanto non lo facciano ora i tifosi che lo idealizzano e lo dipingono come un a povera icona strapazzata dai “cattivi giochi di potere”. E’ un giudizio immotivato e, per me, addirittura riduttivo della personalità dell’uomo. Un giudizio di chi vede le sue vittorie ("ci ha fatto sognare"...)come l’unica maniglia cui attaccarsi (come se un uomo potesse essere ridotto al solo gesto atletico che compie…) per spiegare tutto. Pantani era diverso.
Pantani era un uomo, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti; non era un angelo. Non era innocente (come ha scritto qualcuno). Non era una vittima. Ma non era neppure il diavolo. Era semplicemente un atleta probabilmente costretto anche a doparsi, come capitava a tanti in un sistema dove doparsi era la norma. E poco importa se nessun test antidoping lo dimostra: ci sono gli sbalzi dei valori ematici che fanno parte degli atti del processo di Ferrara che non sono interpretabili altrimenti. Non dirlo, non riconoscerlo vuol dire non voler vedere tutta la realtà. Se poi sia morto per effetto della sola cocaina, invece che del doping direttamente, non cambia il discorso. La “coca” abitudine alla fuga; alla fuga da un mondo (non dò giudizio di valore) che dopo averlo osannato e innalzato agli altari, lo ha “scoperto” e buttato giù. Ma quante volte è successo nella storia senza tanti drammi? Ben Johnson è stato uno dei primi; Franck Vandenbroucke, tossicodipendente dichiarato (ma qualcuno dovrà pure chiedersi come mai sia così frequente l'abbinata atleta dopato-drogato...) uno dei più recenti: quattro anni di processi e di cosiddetta "gogna mediatica".
E Pantani era così sciocco da pensare di essere intoccabile? Via! Io non ci credo. Chi sta “dentro” un sistema ne condivide onori (soldi) e oneri. Tutto era prevedibile. Anche la fuoriuscita da una situazione imbarazzante, come quella di Campiglio ’99; come quando a fine giugno ’99 lo stesso “potere” che lo avrebbe “buttato giù dall’altare” gli offrì la soluzione “ indolore” per ricominciare. Accadde al conferimento del collare d’oro al Coni. I dirigenti sportivi (lo dico perché ero personalmente presente e ci sono testimoni dell’accaduto) gli offrirono la chance estrema: “Pantani – disse il presidente del Coni Petrucci – se vuole, può diventare il simbolo del ciclismo che cambia”. Un Pantani che avesse ammesso gli errori e che avesse detto: “Si ricomincia” avrebbe avuto tutto il mondo dalla sua parte, il Coni, i “media”, perfino i cosiddetti Talebani. A prescindere da ogni altra considerazione. Non accettò. Ed ora è inutile arrovellarsi sui perché. Di lì si infilò in un precipizio. Altro che “persecuzione e gogna mediatica”. Solo uno sciocco può pensare che un atleta della sua intelligenza si autodistruggesse solo perché fermato per un ematocrito sballato. Non basta Campiglio per spiegare tutto. E prima o poi la verità verrà a galla. Ecco perché non credo alla tesi del “capro espiatorio”: mette la coscienza a posto a troppi...
Ad ogni buon conto nel caso del medico Grazzi ti sbagli. Perché una cosa è sapere per sentito dire che un atleta è seguito da tale medico o da tal altro, un conto è poter dimostrare che quella è la verità. Possono passare mesi, e anche anni fra un sospetto e un riscontro. Quindi nessuna dietrologia “ultrasinistra”. Infatti, come si sa, il governo Prodi cade il 9 novembre 1998 e la prima notizia ufficiale del coinvolgimento del Grazzi nel processo Conconi, è del 19 novembre 1998 (Ansa). D’Alema aveva già vinto. E si sarebbe dato una ulteriore martellata dove meglio si sentiva una volta che aveva fatto fuori l’avversario? A chi avrebbe giovato spargere ulteriori notizie negative sulla gestione “di sinistra”? Solo per legittimare ulteriormente il suo ruolo? Mi pare una spiegazione debole debole. Forse un tantino preconcetta. I fatti alle volte sono meno complessi di quanto non immagini certa "dietrologia". E bisogna sempre rifarsi all’atmosfera di quei tempi, quando parlare di doping era difficile dappertutto, anche nei giornali. Talvolta solo perché l’argomento era considerato “noioso e pesante”. Perché i giornali abbiano un’idea assai poco culturale dello sport, non è questa la sede per spiegarlo; ma, che lo si voglia credere o no, non necessariamente dietro certe scelte c’è sempre il “grande vecchio”. Solo chi ha dentro di sé il complesso dell’impotenza (e in fondo una assoluta svalutazione di sé) si puo’ vedere come un burattino “agito” da questo o quel potere. Accade, nella vita, certo; talvolta, ma non sempre. E sempre l’uomo – se vuole – può fare la differenza. Piccola o grande che sia. Ma fare la differenza vuol dire impegnarsi e pagare anche un prezzo.
Veniamo, però, al concreto. Dal momento che a criticare ci vuole poco, ma il difficile è costruire, vorrei sapere da te come si ci dovrebbe comportare per fare una seria lotta al doping.

Allora, vediamo di riassumere le critiche più comuni:

1) Non si combatte il doping criminalizzando l’alteta; e

2) Basta che un atleta sia citato a fianco di un’indagine doping (che magari lo riguarda), perché, poverino, si senta criminalizzato, quali che siano le indagini, i sequestri, le cronache.

3) Non si combatte facendo inchieste giornalistiche, che alla fine, dal momento che la giustizia (sportiva e ordinaria) spesso finisce per dare un semplice buffetto ai colpevoli, si rivelano “inutili”.

4) Non si combatte con i magistrati che istruiscono i processi solo perché “vogliono apparire”.

5) Non si combatte con i processi perché poi qualcuno patteggia e tutto finisce a tarallucci e vino. E le condanne, quando ci sono, sono lievi.

6) Non si combatte con la scienza che, anche quando mette in guardia dai rischi del doping (leggi possibili morti), non è mai credibile, perché c’è sempre un’altra ipotesi cui aggrapparsi.

7) Non si combatte con la formazione e l’informazione, di cui in pochissimi parlano. Ed è quanto meno strano che l’argomento non compaia quasi mai in tanti “siti” che dicono di voler fare la lotta al doping.

8) Non si combatte – pace per le idee del povero Pantani – finanziando ricerche scientifiche “serie” e tanto meno quelle del Cio o Wada( lo disse in un’intervista), che la lotta al doping (lo dico io) la fanno solo di facciata.

Insomma, a questo punto sono io che vorrei sapere come si dovrebbe combattere il doping. Come intendi tu la lotta? Perché sono convinto che un ago in vena ad un individuo nessuno lo mette “a sia insaputa” e so per certo che molti atleti (non solo ciclisti) fanno la fila nelle anticamere dei medici dopatori. E poi perché accettando come ineluttabili i punti che ho citato sopra – parlano i fatti - si ottiene un solo risultato: far crescere la pratica doping. Con grande contentezza della lobby che produce (illegalmente o no) tali farmaci E’ questo quello che si vuole veramente? A chi giova?

Cordialmente
Eugenio Capodacqua

STAGI E LA SOLITA "DIETROLOGIA" FALLIMENTARE

Il direttore della rivista Tuttobici, Pieraugusto Stagi, ha espresso qualche tempo fa, in un editoriale del periodico, giudizi trancianti sulla mia persona e sul mio modo di combattere la battaglia contro il doping. Dal momento che ho inviato una e-mail senza ottenere alcuna risposta nè pubblica, nè privata, rendo pubblico qui il mio pensiero.

E.C.

Caro Pieraugusto,


leggo solo ora su Tuttobiciweb, segnalato da un amico, l'editoriale che riporto qui in basso e che mi tira pesantemente in ballo. Rispondo adesso e mi scuserai per il ritardo: la tua rivista - chiedo venia - non è propriamente al centro delle mie attenzioni. Trovo singolare che ogni volta che emergono dati certi e inconfutabili su una certa (drammatica) situazione-doping nel ciclismo ci sia sempre qualcuno che dice: ma perchè non ci si occupa di altri sport? E' un discorso che abbiamo fatto tante volte, pensavo avessi capito: perchè se ci si occupa degli altri sport il doping nel ciclismo diminuirebbe? Dimmelo, perchè se è così, smetto subito con pedali e pedivelle. A cosa serve, allora, guardare sempre l'orto del vicino (gli altri sport) se poi abbiamo il "morto" in casa, come dimostra il caso citato nell'inchiesta? A cosa serve far finta di non vedere? Per anni nel "sistema ciclismo" si è fatto finta di non vedere; il risultato? Il doping ai ragazzini di 17 anni e meno. Ti va bene che si continui così? Oppure hai paura che parlando di doping qualche sponsor si secchi e non dia più la tanto agognata pubblicità? Il delitto è parlarne di doping? Oppure farlo? Vorrei che mi rispondessi, non fosse altro in nome della schiettezza dei rapporti che - pur da fronti opposti - c'è sempre stata fra noi due.
Oltretutto, quello che definisci il mio concentrare le attenzioni "solo al ciclismo" ( caso mai concentrare "sul", perchè bistrattare anche la sintassi?) rappresenta una tesi che non corrisponde al vero. Nella mia carriera - ne abbiamo già parlato più volte e tu eri d'accordo - ho svolto inchieste doping su: atletica, baseball, nuoto, pallavolo, calcio (tra l'altro pubblicando sul mio sito perfino i diagrammi dei valori ematici di due giocatori della Juve, cosa che non ho riscontrato da nessuna altra parte...) e tanti altri sport; gli archivi del giornale e del mio sito sono lì a dimostrarlo. Dunque dici una cosa inesatta. Se parlo frequentemente del ciclismo dopato è perchè purtroppo, come ho avuto modo di spiegarti in più di un'occasione (ho testimoni anch'io che ti hanno visto annuire), il ciclismo finisce spesso nelle sabbie mobili del doping: più di altri sport (e non solo perchè ci sono i controlli; basta vedere i sequestri e le inchieste della magistratura). Cioè cerco di fare il mio mestiere, insomma. Magari sbagliando (solo chi non lavora non sbaglia...) ma sempre in buona fede. Dunque non mi attribuire "dietrologie" che non stanno nè in cielo nè in terra e che appartengono solo alla tua fantasia.
Quell'articolo sull'ex professionista dopato ha suscitato commenti disparati, sopratutto di meraviglia; tu sei l'unico a vedere dietro quella pubblicazione la coincidenza con l'elezione di Di Rocco. Ma questa volta la "dietrologia" non paga. Dimmi, di grazia, avendo avuto il materiale in quei giorni (se ritardavo anche di una settimana non sarebbe cambiato nulla, perchè sarebbe stato un "attentato" a Di Rocco appena insediato, vero?) cosa avresti fatto tu? Avresti aspettato che lo pubblicasse qualcun altro, in attesa, magari, di scrivere un commento contro? Non so cosa tu voglia dimostrare, a parte il fastidio che ci sia qualcuno che da tempi non sospetti denuncia - prove alla mano - una situazione drammatica. E' così che lotti contro il doping? Ti interessa davvero essere su questo fronte?
Visto che ricordi alcune mie frasi (peraltro non riportate correttamente: ti dissi "Su Repubblica non decido io..." è diverso da quello che hai scritto) anche io ne ricordo alcune tue, come quando ad una mia precisa critica su come e perchè una rivista come la tua non affronti in modo organico il problema doping nel ciclismo, conoscendo tutto (ma proprio tutto) di tutti, mi rispondesti molto schiettamente: "Io su questo piatto ci mangio". Ecco, se ci mangi, non ti puoi permettere di bacchettare immotivatamente sulle mani chi, invece, non ha di questi cordoni ombelicali e agisce (per quanto in suo potere) solo spinto da esigenze professionali. Senza nessun disegno preconcetto e sopratutto senza padrini nè padroni.
Quanto alla collaborazione offerta (cosa di cui ti ringrazio) forse ti sfugge (o fai finta di non conoscere) un piccolo-grande particolare: io con Repubblica ho un contratto in ESCLUSIVA. Il che significa che per scrivere su altri "media" debbo avere uno speciale beneplacito (scritto) da parte della direzione del giornale e della direzione amministrativa. E non mi pare che Tuttobici faccia parte del Gruppo Espresso, anzi.
Spero tu abbia almeno la dignità di pubblicare questa mia risposta a parziale risarcimento del danno di immagine che certe tue affermazioni indubbiamente mi arrecano.


Distinti saluti

Eugenio Capodacqua





L'editoriale di Stagi
Numero: 4 Anno: 2005


Titolo: Editoriale



SONO QUI CHE ASPETTO. È davvero singolare che domenica 13 marzo, giorno delle elezioni federali, La Repubblica se ne sia uscita con un richiamo in prima pagina («Il diario del mio doping», il titolo) e all’interno con una paginata intera a firma Eugenio Capodacqua sugli appunti di un misterioso ex professionista A.T., oggetto di un’inchiesta ancora in corso, che ha militato in squadre molto importanti, per poi passare nei ranghi dei cicloamatori, e finire nella rete di uno dei tanti sequestri dell’inchiesta denominata "Oil for drug" del maggio 2004. «Nonostante il ricorso massiccio a qualcosa come 27 tipi di farmaci diversi, A.T. non riesce ad emergere», per la serie un asino non può diventare un cavallo, ma il punto non è questo, è un altro.

Ci inquieta la coincidenza di questa pubblicazione. È davvero singolare che questa inchiesta esca proprio il giorno dell’elezione di Renato Di Rocco, dopo otto anni di potere Ceruti. È singolare che Marco Toni, il designato successore di Ceruti designato da lui medesimo, si conceda salutando il nuovo che avanza con un poco signorile e alquanto infantile «viva il doping». Per la serie: avete voluto Di Rocco? Ricostruite pure la Prima Repubblica, quella della chimica e dei risultati sospetti. Dimenticandosi che fino a prova contraria e fino a conclusione delle indagini, Ceruti è inquisito al pari del suo braccio destro il consigliere Maurizio Camerini con accuse pesanti. Cito L’Espresso del 10 giugno 2004 («Buchi neri su due ruote»). Al consigliere Camerini, «i reati ipotizzati vanno dalle false comunicazioni sociali, all’associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata, fino al peculato e alla concussione». E ancora: «Salce, già marciatrice di livello internazionale e poi ciclista nelle categorie master, ha accusato Camerini di averle offerto eritropoietina (la famigerata Epo) per "essere competitiva"».

Accuse tutte da verificare, ma se proprio vogliamo, la Federazione che rischia di rimanere con le mani sporche di doping è quella di Ceruti. Ma torniamo a Capodacqua e alla rivelazione del diario di A.T.. La cosa singolare è che Capodacqua, collega preparatissimo in materia, concentri le sue attenzioni solo al ciclismo, mostrando non poche amnesie e distrazioni. Ad esempio non ha mai scritto di un’interpellanza parlamentare (seduta numero 652 del 3 agosto scorso), fatta da una serie di senatori diessini, i quali hanno cercato di fermare (e in pratica sono riusciti) le indagini della Guardia di Finanza sull’affaire Ceruti e Camerini e condotte dal vice-brigadiere Luigino Lambranzi. A domanda, davanti a testimoni in occasione del campionato del mondo dei giornalisti tenutosi a Veronello, ritiro del Chievo calcio, lui si giustificò con imbarazzo: «Come potevo, sulla Repubblica?...». A quel punto proposi ad Eugenio una collaborazione: «Visto che sei la persona più autorevole che io conosca in materia di doping, ti concedo tutto lo spazio che vuoi su tuttoBICI...». Sono ancora qui che attendo il suo pezzo.
Che dire? Come è dura la lotta al doping, anche a livello giornalistico. Come è dura quando si hanno un presidente sindacalista della FIOM a capo della Federciclismo, un gruppo di senatori diessini che si adoperano per lui, un quotidiano politicamente vicino agli uni e agli altri. Vogliamo corridori disposti a parlare e poi c’è chi non se la sente di scrivere: per le stesse logiche.

TIFOSI DI PANTANI REPLICA E CONTROREPLICA

Ricevo ancora un enorme "fouilletton" dai tifosi di Pantani, che pubblico in omaggio ad una parola data. Ricordo però ai miei interlocutori che gli accordi erano per uno scambio di opinioni possibilmente contenuto e leggibile. Al di là del merito (è chiaro che ognuno resta delle sue opinioni, ci mancherebbe) siamo su dimensioni che rendono il tutto assolutamente illegibile per lunghezza, nè aiuta il fraseggiare contorto, oltre che incomprensibile e criptico a chi non sia addentro alla "materia". Rilevo, inoltre, come artatamente si ritorni sempre sulle stesse domande, anche quando io rispondo. Come in un assurdo gioco dell'oca. Ho sempre pensato che per comunicare fosse necessario quanto meno avere strumenti di comunicazione comuni. Uno di questi è la logica, che deve essere condivisa. Se non viene condiviso un minimo di terreno comunque (ripeto, certamente NON le opinioni, ma almeno gli strumenti ) diventa tutto un inutile esercizio che da parte vostra non sembra tanto avere lo scopo di cercare la verità sul caso in questione, quanto di colpevolizzare (o cercare di) il (i) vostro (i) interlocutore (i). Un obbiettivo veramente minimo a fronte della tragedia che tutti conosciamo e su cui ancora restano ombre e dubbi.
Come già nella precedente, per agevolare la faticosissima comprensione del tutto, ho alternato la replica con le mie risposte.

> Intanto siamo tramortiti dalla sorpresa: lei avrebbe deciso di
>risponderci per la necessità di far sentire la sua voce “altra” contro
>il coro della persecuzione e dell’accanimento?
> Scusi, quale coro? Noi sono sei anni che sentiamo una litania: dopato
>e, più recentemente ,drogato.

Il coro di quelli che adesso lo santificano e ne fanno un martire. Mi pare evidente. Scusate, ma voi come lo definite uno che muore per droga?

Se si escludono: Bicisport e alcuni
>grandi giornalisti come Grasso e Turrini, o le difese generiche della
>categoria da parte di Cassani e Bulbarelli, il coro ci sembra unanime: dopato e drogato.
> Del resto non scordiamo che lei, nei giorni della morte di Marco,
>taceva su Marco ma faceva due pagine al giorno su Repubblica con tema
>il doping, forse perché si capisse CHI era morto ( il dopato d’Italia)..

Cosa c'entra? Insomma: se scrivo sono il solito "cattivo"; se scrivo su altri casi idem, se non scrivo è il mio silenzio che è "colpevole". Ma che razza di ragionamento è questo?

> Poi ci sono i tifosi che, quelli sì, effettivamente, sono stati sempre
>dalla parte di Marco ( senza sapere farglielo capire nel modo giusto , purtroppo).
> Per cui, tramortiti dal suo incipit, replichiamo così:
> - Le intercettazioni: mai detto che siano illegali

Dove mai IO ho detto che VOI avete detto che sono illegali; ma scherziamo? Siamo all'invenzione pura...basta andare più sotto e controllare. Questa o è ignoranza crassa o è malafede.

o che rappresentino
> il falso ( certo va interpretato cosa rappresentino), solo che sono
>inutilizzabili.

Ed io ho già spiegato perchè - andatevi a rileggere più sotto - e ho spiegato anche perchè COMUNQUE rappresentano una realtà di cui tener conto, specie dal punto di vista del cronista. Se non sono utilizzabili per la legge NON vuol dire che NON significhino nulla; ripeto: il fatto, cioè l'atleta che si fa la pera al cesso, resta. Non vi sta bene? Pazienza...

Servono ad essere mandate in onda in televisione e
>rappresentano la vera punizione: la barbarie della gogna pubblica ( non
>essendo previsto ,fra le pene, il pubblico ludibrio. Infatti
>riguardano solo i ciclisti, non a caso, per altri sportivi non
>esistono blitz, intercettazioni ambientali ecc.).

Evitare la "barbarie" della gogna è facilissimo: basta NON farsi le pere.

> - Una delle domande era sulla scarsa efficacia della criminalizzazione
> degli atleti come forma di lotta al doping, lei non ha, evidentemente,
>argomenti di risposta e riprende la litania dell’imbroglio, della
>libertà di non doparsi ( se si fa sport professionistico, lo conferma
>la frase del giocatore da lei citata, non esiste, esiste la
>possibilità di lasciare lo sport per non doparsi ma non è una
>libertà).

Ariecco il gioco dell'oca. Mi pare proprio che voi non capiate o che fate finta di non capire ritornando sempre al punto di partenza. Ripeto per l'ultima volta: il cronista fa il cronista, cioè racconta (scrive) quello che vede e quello di cui ha notizia fondata. NON spetta al cronista risolvere i problemi della società, men che meno quello del doping; è suo dovere deontologico raccontarli, possibilmente nella maniera più oggettiva possibile; senza mezze verità, senza nascondere perchè ha paura di "criminalizzare" qualcuno. Dunque (così vuole la logica) se si scrive di un dopato e questo risulta essere un VERO dopato, si fa solo il proprio dovere; NON lo si criminalizza. Chiaro ora?

Dal momento che è nota la diffusione del doping nel
>professionismo sportivo e, quindi, non è chiaro chi imbroglia chi ( ha
>mai visto qualche causa di qualche non dopato verso i dopati
>accertati?), ci sembra che criminalizzare gli atleti non abbia prodotto alcun risultato reale nella lotta al doping.

Ma è chiarissimo chi imbroglia! Magari non è il solo atleta, ma l'atleta quasi mai è innocente. Ribadisco: chi si dopa commette un crimine, doppio per di più; sul piano sportivo, perchè viola le regole sportive e dal dicembre del 2000 (legge 376) anche sul piano legale . Ribadisco: NON credo alla favoletta del povero atleta costretto per lavoro a doparsi anche perchè lo sport (e il ciclismo in particolare) è pieno di gente che NON ha le doti specifiche per quella determinata disciplina e "sopravvive" solo con l'imbroglio. Se uno non ha le doti per fare l'atleta DEVE cambiare mestiere. Fare l'atleta non è un obbligo. ll doping NON è necessario; gli atleti NON sono povere vittime (altrimenti perchè farebbero la fila dai medici dopatori?).
Diversamente si giustifica il doping, cioè si contribuisce ad alimentarlo. Per anni non si è parlato di doping e gli atleti non erano "criminalizzati": è servito a qualcosa? Solo a far sì che il "modello" maggiore (prof) fosse adottato in tutti i suoi aspetti (anche quelli più deleteri del doping pesante) perfino dai giovani di 16- 17 anni e meno. Negate anche questo?

> Prendiamo atto del suo silenzio sull’ argomento.

Ma quale silenzio! Rileggetevi il primo messaggio!

> Non pertinenti al tema ( ma usato nel tentativo di scuotere le
>coscienze) anche le parole sull’immoralità del doping:

Scusate il tema quale era? il doping? E per voi ragionare sulla immoralità del doping non è pertinente?

dal momento che
>esiste fin dall’antica Grecia e non ha mai smesso di esserci in tutte
>le culture ( pare che doping venga da dope un’erba usata da tribù
>africane per danzare più a lungo), definirlo immorale è semplicistico,
>bisognerebbe approfondire il tema ma lei ritiene che questo non sia
>compito del giornalista ( non siamo d’accordo).

Ma cosa vuol dire? E' semplicistico dire che ladri ci sono da sempre, e probabilmente ci saranno sempre. Ciò non vuol dire che rubare sia lecito e "morale", almeno per la nostra società.

> Dire che il nostro obiettivo non è quello di battere il doping è
>un’affermazione gratuita: non siamo d’accordo, perché la riteniamo
>inefficace, con la criminalizzazione dell’atleta, riteniamo che aumenti
>l’omertà e l’impossibilità di dire no dell’atleta che ha davanti solo
>chi lo dopa e il giudice. NON SIAMO D’ACCORDO SUGLI STRUMENTI, NON SULL’OBIETTIVO.

Quali sono secondo voi gli strumenti adatti, verbigrazia? Un buffetto sulla guancia? Le "tottò" sul sederino?

> - Lei non è nella testa di Guariniello, ma il PM di Torino non nega
> interviste e stupisce che nessun giornalista gli abbia mai domandato
>perché i calciatori sono testimoni e Pantani imputato. Le situazioni,
>dopo luglio
> 2004 e il cambio del capo d’imputazione, sono uguali:

Se nel 2004 è cambiato il capo di imputazione per la Juve e i giocatori, mi sembra evidentissimo che i due casi NON erano e non sono uguali. All'inizio, durante le indagini preliminari, questo capo d'accusa non c'era. Sono uguali due procedimenti con capi d'accusa diversi? Visto che non vi convincete, perchè non chiedete direttamente a Guariniello, invece di fare le vittime senza motivo?

uso PRESUNTO di
>epo e anche per un calciatore si parlò di uso di epo per accelerare la guarigione.
> Nel caso di Pantani l’uso di epo in ospedale è ancora da dimostrare (
>l’inchiesta è ferma dal 2000 a Torino), mentre l’anemizzazione dopo
>l’incidente è stata spiegata dai medici del CTO ( escluso Cartesegna)
>con un’emorragia interna ( vedere motivazioni sentenza Forlì).
> Tutti i dati ematici che lei sciorina se fossero la prova provata
>dell’assunzione di epo ai fini di una condanna penale o di una
>squalifica sportiva ( diversa della sospensione a tutela della salute)
>non avrebbero richiesto la scoperta di test che rilevassero con
>certezza la presenza di epo esogena ( dal 2001).

Oggi con quei parametri ematici si sarebbe probabilmente condannati per doping. Tant'è che nel caso Juve proprio l'analisi della variazione repentina di alcuni di quei parametri (nel caso l'emoglobina) ha portato i periti del giudice a stabilire che c'era sta precedentemente stimolazione artificiale eritropoietioca. Purtroppo nel caso di Pantani i valori in "altalena" di Hct e Hgb e altro, sono tantissimi. E questa altalena NON è spiegabile con le regole della normale fisiologia.

> La stessa frase delle motivazioni della sentenza di assoluzione della
>Corte d’Appello di Bologna che lei cita non vuol dire AFFATTO che si
>è raggiunta , attraverso quei dati ematici,la prova che Pantani sia
>dopato. L’italiano non è un’opinione, la Corte dice che , per dire che
>il fatto ( l’uso di epo) non sussiste, si dovrebbe avere la prova
>certa che ,appunto, non sussiste, mentre quei dati ematici dicono che
>NON C’E’ PROVA EVIDENTE DELL’INSUSSISTENZA DEL FATTO DI AVER USATO
>EPO. Non c’è prova evidente che non sia dopato, come vede nessuna certezza.

Scusate, quale era il fatto addebitato? Il fatto di doparsi. Se non c'è prova evidente dell'insussitenza di quel fatto, vuol dire che è quanto meno ipotizzabile il contrario, cioè che si sia dopato. Mi pare logico; se poi volete inventare un'altra logica... Per maggiore chiarezza ripropongo il brano della sentenza:

A fronte di tali argomentazioni non può sostenersi che vi sia prova evidente dell’insussistenza del fatto storico addebitato a Marco Pantani; tanto più in presenza di motivi di gravame con i quali:
• si ripropone l' interpretazione dei dati ematologici di Marco Pantani prospettata dai consulenti della difesa, già efficacemente smentita dal Tribunale di Forlì;
• si offre una visione frammentaria del quadro indiziario basata sulla scomposizione dei singoli elementi che lo contraddistinguono e non sulla lettura unitaria degli stessi, secondo la loro coordinazione logica, correttamente eseguita dal giudice di prime cure;
• si manifesta la necessità di assunzione di nuove prove (tra cui una perizia ematologica), definendo il quadro probatorio, "contraddittorio ed incompleto".
La non rilevabilità di un’evidente causa di proscioglimento concernente l’insussistenza del fatto contestato si riflette, per analoghe ragioni, sulla tematica dell’eventuale non consapevolezza dell’imputato di sottoporsi ad una pratica doping, proposta, in subordine, nei motivi di appello.
------------------------------------

cioè il giudice dice che NON può assolverlo perchè il fatto NON sussiste. Dunque il fatto (doping) sussiste. A me sembra chiarissimo...

> Perciò sarebbe stato assolto anche con la legge del 2000 ( magari per
>insufficienza di prove).

Questo non si può dire. E' una vostra ipotesi, molto suggestiva, ma tutta da dimostrare.

In ogni caso nel 1999 era chiarissimo che la
>legge per incriminarlo non c’era: già la Cassazione, ai tempi di
>Carnevale, si era pronunciata per l’inapplicabilità della legge 401/89
>( frode sportiva) ai casi di doping autogeno. E la giurisprudenza
>successiva al 1999 ( per dieci anni, prima di Pantani, non era mai
>stata tirata fuori questa legge) è
> costante: i fatti non erano previsti dalla legge come reato. Tanto che
>la Corte d’Appello di Bologna, nell’assolvere Pantani, definisce la
>condanna ad opera del giudice di Forlì” "La contraria lettura del
>dettato normativo fornita dal Tribunale di Forlì che ha attribuito
>valenza penale al doping autogeno, rappresenta dunque una forzatura
>del significato letterale della norma, che trascina l' applicazione
>della medesima al di fuori del principio di legalità".
> Legga le motivazioni della sentenza di Bologna e legga pure i suoi
>commenti alla vicenda ( reato, non c’era nessun reato senza una legge,
>continuato ecc. ecc.).

Mi sembra proprio di fare l'arte dei pazzi. Scusate, ma la sentenza l'ho copiata e incollata qui sotto nel messaggio precedente, basta leggerla. Si parla di doping autogeno (dunque secondo le carte i giudici si dicono convinti che Pantani era dopato) e di NON applicabilità di questo fatto alla legge della frode sportiva. Un primo giudice aveva sentenziato che era possibile questa applicabilità; il secondo no. I giudizi d'appello ci sono proprio per questo. Ma dal punto di vista del doping non cambia nulla: quello, secondo i giudici di prima e seconda istanza, c'era. Se voi volete dare una interpretazione particolare, fate pure, ma la realtà è quella...

> Alla vigilia di Sydney 2000 Pantani aveva,dice lei, 49 di ematocrito:
>lo stesso valore , anzi meno, che ha consentito a un atleta di finire
>il Giro 1999 ( quello aveva 49,9).

Ancora non capite: sono gli sbalzi NON fisiologici dei valori che sottintendono la stimolazione (cioè il doping). Se uno ha 40-42 di Htc e si spara epo per arrivare a 49,9, sarà ipocritamente dentro alle regole dell'Uci, ma è uno che si è dopato e che imbroglia. Quanto a quelli che imbrogliano e non "pagano"; personalmente, quando ho avuto elementi certi, ho sempre scritto. Come ho fatto anche all'ultimo Giro (andatevi e rileggere l'archivio).

> E sulle macchinette:al blitz del Giro 2001 ne furono trovate a decine:
>erano tutte di Pantani?

Ma cosa c'entra? Si parlava della macchinetta usata da lui, come riferiscono tutte le cronache (e i libri usciti di recente). Perchè usare la macchinetta e per di più a fine Giro?

> Pantani ha fatto, PROBABILMENTE, quello che hanno fatto gli altri (
>anche meno degli altri) ma questo NON C’ENTRA NULLA CON LE SUE IMPRESE
>E IL SUO ESSERE CAMPIONE ( altrimenti il Campionissimo avrebbe dovuto
>essere Manzano o Tani o, magari, Virenque….) Prendiamo atto,comunque,
>anche del fatto che su questa diversa valutazione di fatti a Torino
>lei non ha risposte da dare.

Grazie per il "probabilmente". In ogni caso, se probabilmente lo ha fatto, era anche nella logica delle cose che probabilmente qualcuno lo scoprisse e scrivesse che lo ha fatto. Oltre che nel diritto-dovere di cronaca. Dunque dov'è la "persecuzione" e la "gogna mediatica"? Su Torino mi pare di aver risposto più che esaurientemente, se non condividete, dovete dire "non condividiamo", e non che io non ho risposte; altrimenti non siete corretti.

> - Sull’esame del DNA lei dice che sarebbe certamente stato fatto.
> L’unico esame che poteva PROVARE che quella siringa apparteneva a
>Marco andava fatto PRIMA della condanna ( la squalifica è una
>condanna), appare strano chiedere nelle interviste che il PM di
>Firenze ha rilasciato che Pantani venisse fermato e rifiutare
>contemporaneamente lo svolgimento dell’incidente probatorio
>rimandandolo al dibattimento ( che ancora si deve fare dopo quattro
>anni, intanto Pantani ha già scontato la squalifica che si fondava solo su un rinvio a giudizio senza incidente probatorio).
> - Le parole di Fortuni sono, appunto DI FORTUNI, NON DEI TIFOSI. Per
> cui lei non può dire che non abbia cambiato versione, le possibilità
>sono due : O HA CAMBIATO VERSIONE OPPURE I GIORNALISTI DELLA GAZZETTA
>E DEL RESTO DEL CARLINO SI SONO INVENTATI L’INTERVISTA E SI SONO PURE
>TELEFONATI PRIMA PER INVENTARSELA UGUALE. TERTIUM NON DATUR

Io non so se Fortuni ha detto davvero quello che si è letto nella prima intervista oppure se sia stato interpretato non correttamente. So che ho letto sui giornali delle cose che il giorno dopo lo stesso Fortuni ha smentito; e non avrebbe potuto fare diversamente, ne andava della sua credibilità. In ogni caso è una questione di secondaria importanza.

> - Non sono gli studi scientifici armi improprie ( non siamo così
> idioti), è l’uso che si fa di alcuni studi scientifici ad essere strano.
> Per esempio come quando , di fronte a testimonianze dei medici del CTO
>di Torino che parlano di emorragia interna e di prova data dalla
>risonanza magnetica, il giudice privilegia gli studi preliminari e
>sperimentali ( sempre dalle motivazioni).
> Da allora per cinque anni ( fino a Travaglio che ne ha parlato
>sull’Espresso dopo la morte

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 28/07/2005 alle 14:24
capodacqua sarebbe direttore di qualcosa????????

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 29/07/2005 alle 12:48
Ciao Itammb, la lettera che hai riportato è sicuramente importante, non bisogna farsi ingannare dal fatto che questo thread non abbia raccolto particolari attenzioni (beh, magari qualcuno avrà pensato che ti riferissi al Circo Orfei o al Circo Togni...).
Tuttavia è importante solo ed esclusivamente come sfogo, del quale bisogna prenderne atto senza particolari commenti.
La lettera non presenta nulla di ragionevolmente propositivo, a meno chè si abbia l’opinione che il ciclismo sia il rifugio dei peccatori di tutto il mondo dello sport.
Tra le altre cose, ultimamente, va di moda in televisione il wrestling, un gioco-farsa che ha scaturito le ire furibonde delle associazioni per la tutela dei minori, ire che in parte condivido, ma l’aspetto curioso è che nessuno si è degnato di dire che si tratta di uno spettacolo (non è uno sport chiaramente) condotto da idioti super anabolizzati, patentati e sdoganati davanti alla pubblica opinione.
Su Sport Italia c’è un conduttore cicciottello simpaticissimo che gestisce lo spazio dedicato al wrestling, e spiegava che dal punto di vista atletico i wrestler sono superiori ai sollevatori di peso, perchè i wrestler sono capaci di sollevare 200 kg in situazioni di movimento scoordinate, mentre i sollevatori di peso compiono lo sforzo da fermi e in assetto stabile e bilanciato.
Non è ridicolo tutto ciò?

Ho letto con un po’ di noia le righe di Waterhead.
Questa in particolare è buffa:

« Ma fra l'essere un ottimo scalatore (aveva un eccellente rapporto peso-potenza, dunque lo era) e filare ai 50 all'ora nelle crono battendo gli specialisti e vincere Giri e Tour, tecnicamente c'è una grande differenza. Non volerlo ammettere vuol dire non conoscere bene il ciclismo e lo sport in generale. »

Ciascuno ha le sue opinioni e se le tiene, mi permetto dunque solo alcune osservazioni:
A) Difficile credere che, coloro che nelle cronometro andavano più forte di Pantani, andassero a pane ed acqua.
B) Difficile credere che, coloro che nelle cronometro andavano più piano di Pantani, andassero a pane ed acqua.
C) Difficile credere che nelle cronometro Pantani potesse ricavare dal doping ematico maggiori benefici rispetto a chi per natura possedeva un fisico da passista.
D) Ciascuno tragga le proprie conclusioni, rispettabilissime, non mi permetterò di dire che non conosce bene il ciclismo e lo sport in generale.

Ho terminato la lettura in questo punto (oltre non ce l’ho fatta):

« Se un giudice apre un processo e mette sotto accusa il personaggio numero uno del ciclismo italiano un cronista NON puo’ NON registrarlo e con l’enfasi relativa alla "grandeur" del personaggio, altro che "gogna mediatica"; il fatto che il processo dovesse o non dovesse cominciare appartiene alla scelta del giudice; al cronista spetta solo raccontare cosa è successo. Come ho fatto. »

Trovo che il ruolo del cronista, e l’attitudine a registrare le cose con l’enfasi relativa alla statura del personaggio, facciano a cazzotti. Va bene se svrivi su un tabloid, ma credevo che La Repubblica fosse un giornale serio e autorevole (dico credevo perchè non leggo i quotidiani, ascolto la radio).

Più in là non sono andato.

 

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Davide

 
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