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Autore: Oggetto: Ray "boom boom" Mancini

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 01/07/2005 alle 01:33
Ancora di fretta….

Sempre per soddisfare una mail, posto il ritratto di un pugile, Ray Mancini, molto conosciuto in Italia negli anni ottanta.
Agli altri non frequentatori abituali di Cicloweb che m’han scritto e che hanno difficoltà nell’uso del comando “cerca”, senza riportare in alto articoli già presenti sul portale, come promesso, pubblico i link di riferimento richiesti:

Tommie “Jet” Smith (atletica leggera):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=437

Roberto “manos de piedras” Duran (boxe):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=541

Edith Piaf e Marcel Cerdan (una storia):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=543

Alfredo Di Stefano “Saeta rubia” (calcio):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=558

Obdulio Varela (calcio):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=594

Stefania Belmondo (sci nordico):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=776

Armin Zoeggeler (slittino):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=860

Karen Moras (nuoto):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=1153

Janis Lusis (atletica):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=1194

Oksana Baiul (pattinaggio artistico su ghiaccio):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=1365

Harry Hopman (tennis):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=1474

Liudmila Turishcheva (ginnastica artistica):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=1496
(per stupidaggine mia pubblicato due volte)

Gilles Villenueuve (automobilismo):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=1343

Vladimir Yashchenko (atletica):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=1403

Gabriela Sabatini (tennis):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=1579

David Campese (rugby):
http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=1480






RAY "BOOM BOOM" MANCINI

Ha fatto epoca senza essere un super, è stato capace di guadagnarsi la simpatia per un modo originale di combattere a viso aperto, senza tirarsi mai indietro. Un fighter, privo completamente di difesa e dal pugno pesante, ma non terrificante. Un gladiatore ardimentoso, dotato di una determinazione viscerale, come a voler svolgere una missione.
Il protagonista è Ray “boom boom” Mancini, americano di Youngstown nell’Ohio (dove nacque il quattro marzo 1961), ma di origine siciliana (il nonno era di Bagheria), che conquistò il titolo mondiale dei pesi leggeri nel 1982 e si ritirò nel 1992, dopo 29 vittorie (23 KO) e 5 sconfitte.

Su di lui, nel 1985, è stato fatto pure un film, prodotto e curato da Sylvester Stallone, una colorita biografia che ha lanciato lo stesso Ray nel mondo del cinema, l’ambiente che tutt’oggi gli consente di vivere più che decorosamente.
Dicevo prima, di come questo peso leggero sembrava esaurisse sul ring una missione, ed in verità costei c’era veramente: concretizzare le speranza e la passione del padre Lenny (morto recentemente), divenuto suo allenatore sin da subito, che non aveva potuto vincere ed affermarsi come avrebbe voluto, a causa della seconda guerra mondiale e di una grave ferita in essa rimediata.
Lenny, iniziò così ad istruire il figlio, a portarlo sul ring, ad allenarlo con asfissiante cupidigia. Nei muscoli e nel fisico del piccolo Ray, vedeva quello che avrebbe voluto e potuto essere lui. Il giovane lo seguiva e lo copiava nello stile e nella determinazione, come una perfetta trasmissione sanguigna, fino a divenire il Lenny giovane, anche in quei difetti tecnici che poi non seppe mai correggere.
Per Ray, a cui ben presto fu affibbiato l’appellativo di “boom boom”, proprio come il padre per l’animosità ed il numero di colpi portati, s’aprì un’ottima carriera dilettantistica che si fermò durante le selezioni olimpiche per Mosca, di fronte ad uno dei talenti più sfortunati (attualmente è nel braccio della morte senza colpa) della storia del pugilato, Anthony Fletcher. Costui impartì al giovane Ray, come fece da professionista nei confronti del supersponsorizzato Livinstong Bramble, un’autentica lezione di pugilato e Lenny capì che il figlio, poteva trovare nel professionismo più spazio alle sue doti di combattente senza tregua. In totale, la carriera dilettantistica di Ray conta su 50 combattimenti con l’unica sconfitta ad opera di Fletcher.

Il giovane Mancini esordì nella massima categoria nel 1979, appena diciottenne, nella sua Youngstown. La fama di “boom boom”, combattendo in casa contro avversari non sempre veri o di un certo prestigio come Jose Luis Ramirez, Johnny Summerhays, Jorge Morales e Bobby Sparks, si cementò al punto di ottenere, dopo soli 20 combattimenti, tutti vinti, la chanches mondiale nei pesi leggeri. A concedergliela, mettendolo di fronte ad un mostro sacro della storia della boxe come il nicaraguese Alexis Arguello, fu il WBC (World Boxing Council). L’incontro si tenne il 3 ottobre 1981 a meno di due anni dal debutto di Ray fra i professionisti.



Ricordo bene quel match, perché ero un ammiratore di Arguello, uno dal pugno terrificante e dall’ottima tecnica soprattutto difensiva. I suoi colpi erano rasoiate fulminee, sia di destro che di sinistro. Il nicaraguese si presentò all’incontro con Mancini, forte di ben tre titoli mondiali conquistati in tre categorie di peso. In origine era un piuma, ed a mio giudizio solo Salvador Sanchez, nella storia della boxe, ha saputo essere forte o superiore a lui, nella medesima categoria. Il suo sogno era quello della quarta cintura ed il match con l’italoamericano sarebbe stato, in ogni caso, l’ultimo fra i leggeri, prima del tentativo mondiale fra i “welter junior”.
L’incontro fu sorprendente, perché Ray “boom boom” Mancini partì a razzo, senza nessun tipo di timore verso la fama del grande avversario. Spesso mise alle corde Arguello, fino a farlo vacillare, ma pian piano cominciò a subire la maggior classe e potenza del leggendario nicaraguense. Si capì in quell’occasione che Ray, sublimava nel suo pugilato la determinazione e l’animosità, con una difesa carente che gli faceva subire troppi pesantissimi colpi. In sostanza, un pugile spettacolare che avrebbe potuto arrivare al titolo mondiale, ma che non sarebbe rimasto a lungo ai vertici, in virtù dei troppi pugni che il suo pugilato gli faceva subire.
Arguello, verso la decima ripresa divenne padrone del ring e cominciò a colpire coi suoi colpi secchi un “boom boom” che si dimostrò stoico incassatore. Finì quattro volte al tappeto, ma alla quattordicesima ripresa andò definitivamente KO.
Il sogno di Lenny era dunque rimandato, ma il comunque positivo comportamento di Ray contro quel grande, gli fece guadagnare definitivamente l’olimpo della categoria.
Infatti, solo sette mesi dopo, l’otto maggio 1982, la WBA (World Boxing Association) gli offrì un’altra chanches mondiale. Stavolta l’avversario non possedeva le stimmate dei super come Arguello, ma era pur sempre di nota e campione: Arturo Frias. L’incontro non ebbe storia, Mancini seppellì con una gragnola di colpi l’avversario stendendolo alla dodicesima ripresa, conquistando così la cintura mondiale dei “leggeri”. Il sogno di Lenny, interpretato da Ray, s’era così concretizzato!



Le difese del titolo furono quattro, una in particolare, purtroppo, entrerà nella storia del pugilato e dello sport, quella col coreano Duk Koo Kim.
Due pugili uguali, solo votati all’attacco. Si picchiarono a viso aperto finendo entrambi più volte sull’orlo del KO. Ray “boom boom” Mancini, richiamò tutte le sue forze e alla decima ripresa stese Kim che non si rialzò, fu portato all’ospedale e dopo un giorno di coma profondo, morì. Il mondo della boxe, non nuovo a simili tragedie, si interrogò ancora una volta sulla sua brutalità, mentre Ray preso dallo sconforto decise di chiudere col pugilato. Settimane di angoscia interiore, pure qualche piccolo screzio col padre Lenny, tanta meditazione. Ray capì che era arrivato a quello che voleva, ma il prezzo pagato non valeva il gioco, lo tormentava, lo distruggeva.

Ritornò in palestra dopo due mesi a sfogare sul sacco quella rabbia per essersi macchiato a vita di un delitto che sentiva poco colposo. Si sentiva responsabile. Ci volle tutta la pazienza dell’ambiente per far tornare Ray sulle sue decisioni. Doveva capire bene che la morte di Kim era dovuta essenzialmente all’incapacità dell’arbitro, colpevole di avergli fatto scaricare almeno sei colpi in più di quelli che servivano per arrestare il match. E lui “boom boom” non poteva considerarsi il massimo responsabile. Mancini, arrivò così a rivedere la sua decisione e si ripresentò sul ring, ma non era più lui.

La boxe è sport duro, ma tremendamente onesto. E’ difficile venire a capo dei match quando si è inferiori, o non si è più dotati della parte migliore delle proprie facoltà. Ray Mancini poteva essere grande (e lo era stato), ma breve, perché il suo pugilato era dispendioso e incompleto, in più nei suoi cromosomi era entrata quella macchia dettata dalla morte di Kim. In quegli anni nella medesima categoria c’era un pugile, Howard Davis, che aveva vinto le Olimpiadi di Montreal; un tecnico sopraffino, uno che conosceva la “noble art” in tutti i particolari. Non arrivò mai a conquistare un mondiale, perché il suo manager lo mandò al massacro di una sfida mondiale dopo soli nove match da professionista. Fu sconfitto pesantemente e quella macchia gli tarpò le ali dell’autoconvinzione. Fu così bello da vedere e pronto ad insegnare a tutti su come si portavano i colpi, ma non fu più competitivo per i vertici. Si parlò a lungo di un incontro fra Mancini e, appunto, Davis, ma non si fece mai. Eppure quello poteva essere l’unico incontro di prestigio possibile per entrambi. Proprio perché entrambi, per un motivo o per l’altro, s’erano ritrovati a facoltà accorciate e limate dalle essenze della boxe. Il campione era Ray, ed a lui andò l’obbligo di affrontare colui che sarebbe giocoforza divenuto l’esecutore del suo destino: Livinstong Bramble. Un pugile tecnico, stravagante e abbastanza potente, in più supersponsorizzato da quell’ambiente che gli aveva fatto dimenticare in fretta l’umiliazione subita due anni prima da Anthony Fletcher.
L’incontro con Mancini non ebbe storia, Bramble dominò “boom boom” fino ad indurre l’arbitro a fermare un combattimento che avrebbe potuto essere deleterio per la stessa salute di Ray. Si era nel 1985 e dopo la sconfitta, l’ardimentoso di Youngstown, decise di abbandonare il pugilato, approfittando del film sulla sua vita che gli aprì le porte alla cinematografia.


Ray Mancini, oggi

Un colpo di coda, per ricercare assieme alle improbabili antiche virtù pugilistiche quella montagna di soldi che nell’inciviltà americana sono una costante, s’ebbe nel 1989, quando Mancini fu opposto ad un altro nobile decaduto ed ex mondiale, il portoricano Hector “Macho” Camacho.
Macho era ben poco tale (combatte ancora…. !), anzi, a mio giudizio uno dei fuggitivi del ring più evidenti che abbia mai visto. L’incontro fu equilibrato e probabilmente vinto da Mancini, ma come spesso è accaduto quando di mezzo c’era Camacho, il verdetto gli fu ostile.
Ray “boom boom” Mancini ritornò pateticamente sul ring nel 1992, ma fu subissato di colpi dal non trascendentale Greg Haugen, uscendo sconfitto per KO alla settima ripresa.
Da quel giorno, “boom boom” ha lasciato la sua animosità pugilistica alle sole e parziali esibizioni sul finto ring della cinematografia.

Morris

 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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Livello Giro delle Fiandre




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  postato il 01/07/2005 alle 22:18
Che dire Morris. L'epopea del pugilato non ha eguali in nessun altro sport. Leggi tutto d'un fiato il bellissimo pezzo su Boom Boom Mancini e vorresti che a seguire ne venisse un altro su Arguello.
E' vero che dopo il ritiro dalla boxe se ne andò a fare il guerrigliero sulle montagne nicaraguensi?
Ancora complimenti Morris!

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 03/07/2005 alle 23:27
Caro Roberto, l’istinto di scrivere su Alexis Arguello, mi ha coinvolto più volte. Come per altri campioni o personaggi dello sport, ho messo assieme delle note nell’attesa di scrivere un ritratto, quando la scintilla, o la semplice voglia, arriverà. Ho sempre fatto così, ed a volte, non mi è stato possibile raccogliere quelle spinte a causa dei ritmi, delle sfortune e del caos di vita.
Certo che il nicaraguese di particolarità ne possiede a iosa: un talento notevole, un pugno, il destro, terrificante, una capacità di difendersi rara che sapeva raccogliere stupendamente l’effetto molla delle corde, una storia sublimata sugli sfondi di una terra troppo vicina all’idrovora statunitense, per ambire ad un corso di crescita di libertà, senza le forzature ed il saccheggio delle multinazionali. Un uomo che ha potuto scegliere poco agli inizi, che s’è fatto grande senza dimenticare i tanti bisogni della sua gente, quanto le striscianti contraddizioni che vengono dal danaro e dai lustrini della Florida. Nella sua ellisse ci sono i riassunti estremi di un’epopea che continuerà ad allungarsi, nell’incrocio con la storia e la sempre più tangibile difficoltà dell’uomo ad elevare, senza storture, sfruttamenti e sangue, i sensi della realtà.
Sì, Alexis Arguello era un impegnato, anche per il ruolo trainante di riferimento che giocava sul suo popolo, era un sandinista prima, quando il movimento lottava per scacciare il sanguinario dittatore Anastasio Somoza, poi, vinto dai segni del marxismo che lo coinvolsero azzerando anche i suoi beni e sulle ali della tragica vicenda del fratello morto in battaglia, divenne un anticomunista e fuggì a Miami. Qui, si unì ad un movimento che si preparava alla guerriglia antisandinista, i “Contras”, direttamente finanziato dagli Stati Uniti e ritorno nel suo Paese da guerrigliero nascosto nella macchia e nelle foreste che stanno a nord di Managua oltre il lago omonimo. Rimase un paio d’anni là, ma non vi furono riferimenti diretti di suoi interventi in battaglia o in azioni particolarmente incisive. Se ne tornò in Florida e poi alla caduta del governo sandinista, nel 1990, il ritorno in patria ed un lento e progressivo ritorno alle idee originarie, a quei sandinisti che l’hanno riproposto come vessillo. Oggi, Alexis Arguello, è il Vicesindaco della capitale e funge da catalizzatore nelle interlocuzioni internazionali. Dicono sia molto bravo ed aperto. Non posso dire la stessa cosa sul pugilato, anche se vi sono le giustificazioni di una terra che brucia la fanciullezza per motivi superiori, ma essere il titolare e guru della principale palestra dell’intero Nicaragua, dove ragazzini di 12 anni hanno già una sessantina di incontri di pugilato alle spalle (iniziano ad otto anni), non è proprio il massimo per chi ama il pugilato in senso sportivo. Il sottoscritto ama e difende questa disciplina, ma è ben consapevole, come tanti all’interno dello sport, di quanto sia pericoloso iniziarla in età così precoce. Socialmente poi, assomiglia alle lotte fra galli e cani. Arguello dice che insegna alla vita, perché su quelle terre la si deve conoscere presto, ed è vero, ma al prezzo di creare dei giovani invalidi o dal corso fisico distorto? No, non mi convince. Grande campione, per me secondo solo a Sanchez fra i piuma, stupendo anche nei suoi ultimi echi con Aaron Pryor (di cui il primo assai sospetto), quando coi suoi destri terrificanti, costringeva il collo dell’americano a degli allungamenti di venti centimetri per restare attaccato alla testa (mai visti dei pugni così limpidi), ma divulgatore di pugilato che non posso applaudire. Spero cambi linea, come del resto ha fatto in politica.

Ciao grande Roberto!

Morris

 

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Livello Bernard Hinault




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Registrato: Feb 2006

  postato il 06/06/2006 alle 17:20
rispolvero con enorme piacere questa pagina che l'ottimo Morris ha dedicato ad uno dei più grandi guerrieri che il mondo della boxe abbia mai conosciuto: Ray Mancini.

non un campionissimo, ma un combattente che entusiasmava le platee, come in pochi sono riusciti a fare;
non un killer del ring dotato del pugno risolutore, ma un guerriero che gettava il cuore oltre l'ostacolo e il cui unico modo di portare a casa una vittoria era quello di lottare ogni secondo di round mulinando in continuazione le sue generose braccia;
non un plurititolato con una carriera strepitosa alle spalle, ma un ragazzo che a 23 anni ha praticamente chiuso la sua carriera di boxeur ma che, per tutta questa serie di motivi, entra di diritto nella storia dei pesi leggeri.

non aggiungo nulla a quanto riportato da Morris. solo una piccolo appunto:
non è stato citato il match a mio avviso più importante della breve carriera di Mancini, ovvero il match di rivincita con Bramble.
un match che ha chiuso definitivamente ogni speranza di Mancini di raggiungere nuovamente la vetta mondiale di categoria e che lo ha spinto ad abbandonare la carriera a soli 23 anni. come giustamente ha poi evidenziato Morris, "Boom Boom", spinto da quel peccato infernale che tormenta la quasi totalità dei suoi colleghi, ovvero il "profumo del dollaro", tornò sul ring in altre due circostanze,rispettivamente 4 e 7 anni dopo la seconda sconfitta con Bramble. e come tutti i ritorni anche quelli di Mancini servirono solo ad aggiungere altre sconfitte a quelle, poche a dir la verità, subite nella sua "effettiva" carriera.

soprattutto il primo "ritorno" contro Hector Camacho fruttò a Ray una borsa non indifferente.
sono sempre stato dell'idea che furono proprio i soldoni, e non la passione per la boxe, a spingere Mancini nuovamente a rispolverare i guantoni. perchè in casp contrario sarebbe rientrato nel giro che conta contro un avversario più soft di Camacho. non che "macho" sia una leggenda della boxe, ma in quel periodo era il pugile più acclamato, 24 anni e campione del mondo già da 3, in costante ascesa, imbattuto e demolitore di alcune bestie del ring come Ramirez e Rosario.
Camacho rappresentava per un Mancini "arruginito" il pugile sbagliato nel momento sbagliato.

torno un attimo sui due match contro Bramble, in particolare sul secondo non menzionato da Morris.
è verissimo che Mancini giunse a quella doppia sfida ormai scarico per via della tragedia di Kim, ma nel periodo precedente quei match è anche vero che riusci in parte a ricaricare le pile.
ricordo sempre con molto piacere la scelta di Mancini di "ricomciare" a boxare, dopo il match contro il coreano, partendo dall'Italia: affrontò a St.Vincent il britannico George Feeney in un match di preparazione alla difesa mondiale contro Romero. quella scelta non fu casuale: l'Italia, il paese d'origine di Mancini e il paese che lo apprezzava e lo amava calorosamente.

piccola parentesi su Kim: fu una vera tragedia, ma è anche vero che si trattò di una tragedia evitabile, sia da parte sua sia da parte dell'organizzazione mondiale.
Kim nel periodo precedente al match con Mancini ebbe seri problemi a rientrare nel peso limite della categoria dei leggeri; sino al giorno prima era fuori peso, e per disputare il mondiale si presentò sul ring completamente disidratato. e ne pagò le conseguenze.
le responsabilità dell'ente mondiale fu quella di far disputare i mondiali ancora sulle 15 riprese... una pazzia. sotto questo punto di vista possiamo dire che la morte di Kim diede un forte scossone all'ambiente pugilistico, spingendo tutte le sigle mondiali ad abbassare da 15 a 12 round la durata di un match mondiale.

dicevo di Mancini-Bramble... Ray era logoro, ma ancora in grado di aver la meglio di Bramble, pugile mediocre, che a fine carriera "vanta" oltre 20 sconfitte...
perse il primo incontro, ma al momento della sospensione alla 14° ripresa Mancini era in vantaggio sui cartellini di 2 dei 3 giudici.
aveva 23 anni, ancora tanta forza in corpo, meno nello spirito, ormai logoro da tantissime battaglie, e decise di rilanciare la sfida al mediocre Bramble.
quel match di rivincita lo considero il match che più di ogni altro rende l'idea di che tipo fosse Ray "Boom Boom" Mancini. sempre all'attacco, sempre a dare e ricevere pugni, spesso sull'orlo del ko ma con un temperamento unico che lo portò a terminare in piedi quell'incontro.
Ray fu commovente quel giorno, più di ogni altra circostanza. vederlo subire da un avversario nel complesso inferiore a lui, ma nonostante questo sempre procedere avanti, mai un passo indietro, era sinonimo di incoscienza ma pure di generosità fuori dal comune.


resta comunque il ricordo di un gran guerriero, come ormai non se ne trovano più. un ricordo che difficilmente si dissolverà negli anni.



grazie a Morris per averlo ricordato

 

[Modificato il 06/06/2006 alle 17:26 by Goodwood]


 
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Livello Fausto Coppi




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Registrato: Apr 2005

  postato il 06/06/2006 alle 18:41
La tragedia di Kim, morto in un tentativo mondiale, pone il problema di cosa accada nella mente di un pugile di fronte ad una tragedia del ring.
Mi ricordo "Ultimino Sugar" Ramos, emigrato da Cuba in Messico (tanti come lui..Napoles, Logart, Legra, Paret, Rodriguez, Fernandez per ricordare alcuni carichi da novanta), in lacrime dopo la morte di Dawey Moore per il mondiale dei pesi piuma. Ramos era un picchiatore notevole, ma dopo il mach con Moore , sembrò annacquare la sua aggressività.
Cedette il titolo dopo 3 difese non entusiasmanti a Vicente Saldivar, picchiatore messicano di grande classe, poi falli contro Ortiz nei leggeri, il tentativo mondiale due volte.
Mi viene in mente Emile Griffith, dopo la corrida contro Benny "kid"Paret, pure lui cubano . il loro terzo match conclusosi con l'assurdo comportamento dell'arbitro che non intervenne ad interrompere una devastante serie di Griffith all'angolo. Dopo la morte di Benny, Griffith cambiò modo di combattere. Dall'aggressivo puncher di inizio carriera , fini per trasformarsi in un pugile tecnico e dotato di grande abilità tattica. Insomma, non fu più il welter che diceva prima del primo match con Paret "posso fare tutto quello che fa Benny sul ring, ma più efficacemente e più velocemente. Lo metterò KO".
Chi ha conosciuto Griffith, uomo di grandissima umanità, campione raffinato, che ha combattuto per un mondiale più round di chiunque (339 mi pare..)e ha saputo diventaro ottimo maestro in palestra, sa che non era del suo carattere essere sbruffone, fare le scene un pò alla Ali. Griffith lo pensava veramente.... ed era vero, infatti. Cambiò completamente registro. restò il migliore pugile delle Isole Vergini, ma non fu più il killer che sembrava da giovane.
Mancini, Ramos e Griffith, dopo un mondiale tragico, non furono più improvvisamente loro. Il fantasma della tragedia ne condizionò la carriera in un modo o nell'altro.
il più giovane, Mancini, portò i match dai 15 tradizionali ruond agli attuali 12. Il risultato è che oggi un match , praticamente, non ha momenti morti, di studio. Nulla cambia in sostanza, perchè tutto cambi.
Ma la tragedia può sempre esserci. Basta che certi managers permettano ai loro pugili di scendere a livelli di peso insostenibili e la tragedia sarà sempre dietro l'angolo. Guardate Castillo e Corrales. Inutilmente intestarditi a fare i leggeri, mentre ormai sono a tutti gli effetti, welters. Tragedie dandosi colpi ci saranno forse sempre. Ma tocca a chi comanda fare regole tali da renderlo improbabile. e farle sempre rispettare.
Morris è uno sportivo a 360 gradi. Goodwood accomuna la passione per i guanton alla due ruote. soprt popolari, vissuti nel sudore e nel confronto. Più vicini di quanto possa sembrare a prima occhiata.

 

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pedala che fa bene.....

 
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Livello Bernard Hinault




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  postato il 07/06/2006 alle 00:27
parole sacrosante Jan. sottoscrivo tutto il tuo post, sia per quanto concerne la questione riguardante i rischi che si corrono tutt'ora nel mondo della boxe (con l'esempio di Correlas e Castillo hai centrato l'argomento), sia per quanto riguarda l'inevitabile contraccolpo che un pugile subisce nel momento in cui il suo diretto avversario riporta gravi danni permanenti in seguito al match.

anche in questo caso hai snocciolato 3-4 esempi correttissimi. aggiungerei pure Nigel Benn.
il britannico è stato forse nel recente passato il pugile più violento, scorretto e "animalesco" che abbia mai visto... una "bestia" del ring. era forte Benn, non fortissimo, ma faceva molto male. buon peso medio, ottimo supermedio ha demolito i nostri Nardello e Mauro Galvano, il primo un pugile "eccessivo", in tutti i sensi, il secondo dotato di buona tecnica, ottimo jab, ma pugno leggero e carisma inesistente.
nella sua carriera Benn ha subito pesanti ko, ma ne ha inflitti ancora di più terribili.

la carriera di Benn è terminata il giorno in cui ha trovato davanti a se Gerald McClellan, in assoluto il peso medio-supermedio con la classe e il talento più limpidi e cristallini del dopo Hagler. superiore, a mio avviso, anche al tanto decantato Roy Jones.
la carriera di Benn non terminò a causa di un ko subito da McClellan, ma il ko fu lui ad infliggerlo all'avversario.
raramente in vita mia ho provato odio sportivo nei confronti di qualche atleta, non ho problemi però ad ammettere che questo forte sentimento di disprezzo non solo sportivo ma anche umano, l'ho provato verso Nigel Benn che ricorrendo ad ogni tipo di trucco e scorretezza nel corso della 10 ripresa spedì diverse volte al tappeto McClellan sino al ko finale.

quel giorno terminò la carriera di un grandissimo pugile come Gerald McClellan, accasciatosi subito dopo la fine del match e da quel momento paralizzato in modo permanente; e terminò pure la carriera di Nigel Benn: questo a dimostrazione di come una tragedia nel ring viene vissuta, seppur con conseguenze ben diverse, da entrambi i pugili.... e questa legge non si piega neppure davanti a pugili che hanno fatto della violenza e della cattiveria sportiva il loro marchio di fabbrica.

 
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Livello Bernard Hinault




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  postato il 09/06/2006 alle 02:43
restando su quest'ultimo argomento, forse uno dei pochi casi in cui un pugile non ha subito il trauma relativo alla tragedia che si è abbattuta sul suo diretto avversario, riguarda il match tra Minter e il povero Angelo Jacopucci.
dopo quel match Minter continuò imperterrito a fare a botte sul ring, sempre e contro chiunque.

 
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