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Autore: Oggetto: Pianeta Asta, fra tecnica e storia......

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 29/06/2005 alle 14:57
Vado di fretta e nell’attesa di rispondere ad alcuni interessanti quesiti qui posti, voglio aggiungere, anche per esaudire una mail, un tassello all’excursus sugli sport che su queste pagine sto portando avanti da tempo.
Stavolta si tratta di una specialità dell’atletica, piena di fascino e densa di quelle emozioni che il volo sa dare: il salto con l’asta. Non si tratta di un singolo post, ma di uno spaccato a più voci, che va dalla storia, in gran parte inedita di tempi e personaggi stellari, alla tecnica e all’avvio verso la disciplina. Chi avrà la voglia di leggersi tutto, troverà qualcosa che non ha letto sui giornali o su un singolo libro e scoprirà quanto sia indispensabile insegnare lo sport ai ragazzini, per renderli più completi nel loro eventuale futuro agonistico (battaglia della mia vita), nonché alla loro stessa formazione culturale. Tra l’altro scrivo queste poche righe, dopo aver discusso animatamente con un preside, sulla necessità vera e non di facciata di un ingresso dello sport nelle scuole. Dovrebbero nascere licei in questa direzione, invece si preferisce far proliferare scuole di indirizzo matematico, vero attentato alla crescita dei giovani e perfette congruenze con una società che ha bisogno di burattini.
Chiudo, nella speranza che questo lavoro possa piacere o interessare anche chi non è appassionato d’atletica. In fondo, molto spesso, la passione verso uno sport, o un segmento di questi, nasce da occasioni fortuite o inaspettate.


....Chi mi spinse a scrivere fu un’amica, ex giudice di atletica, ed è proprio da questa interlocuzione che voglio partire.....

Carissima ….. in considerazione della tua passione per il salto con l’asta, specialità che ti raffigura nel carattere, nella dinamicità e nel coraggio, ti faccio omaggio di due quadretti particolari.

Il primo, rappresenta la fase potrei dire propedeutica, di quei simpatici mattacchioni acrobati che regolavi in gara, con l’ammirazione e la partecipazione di chi ha nel sangue la grandiosità dell’atletica. Nelle tue esperienze, avrai visto quanto, un tempo, vi fosse, in questi ragazzi, una sincera amicizia, accompagnata dalla comune volontà di aiutarsi a superare le singole difficoltà tecniche. Lo dico per conoscenza diretta, per esser stato comunque vicino a loro. Ricordo quando organizzai, con lo scopo di propagandare l’atletica, una manifestazione nella piazza d’una cittadina, tutta votata sulle specialità dell’asta (allora solo maschile) e del lungo. Fu un’esperienza che mai dimenticherò. In quell’occasione, conobbi per la prima volta questi acrobati e fu un rapporto bellissimo: mi aiutarono nell’organizzazione, scherzammo come fossimo amici di vecchia data, passammo ore indimenticabili che trovarono il premio di una folla enorme. Non ho mai visto un gruppo così. Grazie a loro, portai dei grandi atleti anche nel lungo, come Fiona May (allora ancora britannica, campionessa mondiale junior, ma già ragazza di Gianni Japichino, uno degli astisti in voga e pure lunghista tricolore), Simone Bianchi (il più grande della specialità dopo Evangelisti, prima che uno spaventoso incidente stradale gli troncasse la carriera), Giuliana Spada, quella “gnoccolona” di Silvia Serra, Simone Sbaragli (altro ragazzo di grande valore, ma coi tendini fragili, quasi quanto quelli di Renato Dionisi), nonché diversi altri. Gli astisti, tutti gente a quei tempi fra i 5,50 e 5,70, risposero all’unisono anche in gara: dal citato Japichino, a Riccardo Orioli, da Andrea Pegoraro a Massimo Allevi, nonché decatleti come Donato Dotti e tanti giovani di belle speranze. Ne uscirono prove stupende che mi costarono, proprio in virtù del rapporto con gli astisti, una decina di prosciutti e dei rimborsi spesa reali che, sommati, non arrivavano neanche al milione di lire. Certo, oggi, poter dire di aver portato una campionessa come Fiona, in quella piazza fra quei ragazzini impazziti d’ammirazione, per un prosciutto allora da 50.000 lire, fa un certo effetto…… Miracoli e ricordi che mi lasciano un groppo in gola…

Il secondo quadretto, rappresenta il mio ritratto di un grande interprete della specialità a te cara: Robert (Bob) Seagren. Eri piccina quando lui saltava (dai pannolini agli strilli, dalla scuola materna ai primissimi anni delle elementari), quindi, forse, non lo ricorderai, a meno che tu non abbia visto dei filmati, ma era un grandissimo, te l’assicuro. Non mi era simpatico, richiamava troppo nei suoi interventi da yankee, la guerra nel Vietnam, una delle tante cruente e sanguinarie idiozie americane. Ma era un artista con dei valori supremi, ed è quello il volto che uno come me deve salutare e che gli piace raccontare…..


Andrea Pegoraro, medaglia d'oro ai mondiali militari nel 1993.


COME PREPARARE UN GIOVANE SALTATORE CON L’ASTA

A PREMESSA...
La complessità del salto con l’asta è vastissima, al punto di contemplare la difficoltà stessa nella selezione dell’atleta. Richiede, innanzi tutto, una capacità di apprendimento decisamente sopra la media, una coordinazione neuro-muscolare altrettanto rara, ottime caratteristiche di velocità nella corsa e d’abilità. L’iter didattico e tecnico è, giocoforza, particolare. Come per la ginnastica artistica, è necessario, per l’allenatore, possedere un’ampia se non perfetta conoscenza della metodologia d’allenamento e della tecnica del salto, come se lui stesso, fosse ancora perfettamente in attività. La trasmissione simpatetica, fra trainer e atleta, diviene infatti efficace solo se il primo sente con forte partecipazione interiore, le sensazioni che provocano i vari passaggi del salto, proprio come se le vivesse nel momento in cui cerca di trasferirle all’allievo o al gruppo di giovani. I percorsi didattici e le correzioni periodiche del gesto, vanno condensate in un lavoro tanto psicologico quanto tecnico: potremmo dire che l’allenatore deve considerarsi come uno specchio per il giovane atleta. Altro aspetto importantissimo: gli allenamenti devono svolgersi in condizioni di sicurezza ottimali, in quanto, un trauma, potrebbe giocare un ruolo molto negativo sulla psicologia degli allievi ed incidere sul prosieguo dell’attività. Esattamente quello che si verifica nella ginnastica artistica. Per i motivi citati, il rapporto maestro-allievo, nel salto con l’asta, è decisamente più forte o particolare rispetto alle altre specialità e non è un caso se, fra i due, si crea un legame destinato, spesso, a continuare anche dopo la fine della carriera dell’atleta.


L’AVVIAMENTO AL SALTO CON L’ASTA, CARATTERISTICHE NECESSARIE.

Il periodo migliore per avviare un ragazzino o una ragazzina al salto con l’asta, è quello che va dagli 11 ai 12 anni. A quella età, i giovanissimi, verso i quali è bene proporre diverse discipline dell’atletica, al fine di aumentare le loro basi di elasticità e comprensione dei movimenti, hanno raggiunto un ottimo livello di capacità coordinative e, soprattutto, d’apprendimento generale. Nello specifico del salto con l’asta, il fatto di arrivare sul campo, dopo qualche anno nella ginnastica artistica, rappresenta un rafforzativo di peculiarità indispensabili per la specialità: ovvero possedere un’ottima propensione per l’acrobaticità e per le attività più "spericolate". Altro aspetto importante è dato dalla forza, poco o per nulla sviluppata, non essendo ancora stato raggiunto, mediamente, lo sviluppo puberale. Ci si chiederà perché, in considerazione della spinta che serve per ergersi in volo in una disciplina come l’asta. Bene, la forza, a quella età, per i giusti approcci alla disciplina, paradossalmente, rappresenta un vero e proprio freno al corretto apprendimento, sia analitico che globale del salto. Il miglior avviamento, infatti, deve insistere maggiormente sulle sensazioni dei vari segmenti corporei, anziché su una soluzione "di potenza" del gesto tecnico. Il tempo per sviluppare il determinante parametro della forza, verrà col passare degli anni, in maniera sempre più puntuale e a diversi stadi di intensità. Andando avanti con l’età, il saltatore in erba, sarà chiamato a costruirsi, prima di tutto un’ottima base di velocità, gradualizzando la ricerca e concentrandosi, dapprima solo sulle brevi distanze (l’ideale sono i 40 metri), quindi su distanze anche molto maggiori, come ad esempio i 100-120 metri, fino ad un massimo di 150. Il tutto, deve abbinarsi ad un lavoro, da iniziare sin da subito, sulla ricerca di un’ottima tecnica di corsa.
Ma quali caratteristiche morfologiche sono ideali per un giovane astista? Diciamo che, prima di tutto, deve possedere una statura elevata. A parità di velocità d’entrata e impugnatura, più si è alti e più ampio è l’angolo che l’attrezzo forma col terreno, quindi più breve è il tragitto fra la verticale dell’asta e l’orizzontalità della pedana. Ovviamente, un altro vantaggio è dato dalla lunghezza delle braccia. Quindi, è necessario possedere una marcata mobilità del cingolo scapolo-omerale, importantissima durante la fase di stacco-entrata del salto che, per le ragioni testé sopra, potrà essere più facile, più lunga e più redditizia.
Servono inoltre, una buona reattività muscolare ed una mobilità articolare, già a questa età peculiari non solo per il salto con l’asta. Per un giovanissimo infine, sia per la specialità in esame che per tante altre, è consigliabile coltivare le prove multiple, poiché, come abbiamo già accennato agli inizi, è utile a liberare la mente, rendere più vario e motivante l’allenamento, sviluppare la flessibilità muscolare e portare su livelli decisamente maggiori le capacità coordinative. Lo sport intero, va concepito vario nell’età precedente e durante lo sviluppo puberale. E’ in questa fase, infatti, che una eccessiva monotematicità può creare le basi per la distruzione dei talenti. All’uopo, il calcio ed il ciclismo, concepiti come vediamo nell’odierno, sono un flagello.

SVILUPPI E OBIETTIVI.
I primi raffronti agonistici nel salto con l’asta si svolgono nell’intorno dei 14 anni d’età, in corrispondenza con l’avvento della categoria “cadetti”. Lo scopo principale degli anni preparatori, è dunque quello di far apprendere e comprendere con globalità i gesti motori, con particolare riferimento, per un astista, alla tecnica di corsa e di stacco. All’uopo è necessario ricorrere frequentemente ad altre tipologie di salto, al fine di memorizzare la sensibilità al volo, nonché ad una costante presenza quotidiana della corsa ad ostacoli, utilissima all’acquisizione del ritmo e alla costruzione di una efficace meccanica di corsa. L’apprendimento del gesto tecnico, deve giungere partendo, innanzi tutto, dalla sua generalità, lasciando da parte in questa fase gli elementi analitici, quindi cercando di implementare uno schema di salto grezzo, comunque già abbastanza sicuro. Solo successivamente si potrà e dovrà intervenire sulle correzioni degli errori rilevati. Più tardi ancora, sullo sviluppo e sulla ossidazione della correzione appresa.
Come interpretare la correzione dell’errore?
-) Agendo con gestualità non solo tecnica.
-) Lavorando, anche a livello condizionale con l’insistenza che si deve, anche al di fuori dell’asta.
-) Usando, di fronte a certi particolari errori altre discipline dell’atletica come il salto in lungo.
-) Utilizzando la ginnastica artistica in particolare la “sbarra”.
Per quanto riguarda le capacità condizionali, ovvero resistenza, velocità, forza ecc. è meglio destinarsi verso il condizionamento e l’armonizzazione corporea globale.
Come già detto, a questa età, il giovane atleta possiede una struttura fisica ed un quadro fisiologico, sui quali può essere dannoso lavorare con insistenza. Forza massima o forza esplosiva, sono apogei da accantonare in questa fase. Sono quindi da escludere a priori, non ponderati allenamenti coi pesi. Il lavoro di potenziamento nella formazione di un astista in erba deve soprattutto rifarsi a:
-) Una forte quantità di stretching, ad esercizi di mobilità generale
-) Ad una ginnastica posturale, proiettata particolarmente su quei distretti muscolo-articolari, ovvero alle spalle, al bacino ed a quei piedi che rappresentano le fondamenta per un saltatore con l’asta.
Il rinforzo strutturale si dipanerà su un paio di direzioni. La prima la potremmo definire di “condizionamento generale”, in sostanza un lavoro di rafforzamento di tutte le zone del corpo, attraverso esercitazioni mirate a creare buone condizioni organiche e muscolari, con esercizi agli attrezzi, o speciali, con effetto sia condizionante che tecnico, non disdegnando pure un lavoro sulla resistenza. L’altra direzione, invece, si dovrà muovere sui distretti deboli, o quelli più sollecitati per un astista, attraverso esercizi che contemplino l’uso di cavigliere o cinture pesanti, palloni elastici e medicinali, aggiungendovi esercitazioni tipiche del ginnasta con speciali lavori di ginnastica forza.




IL LAVORO DI PROGRAMMAZIONE TIPO DI UN GIOVANE ASTISTA.

Il riferimento come già accennato si stabilirà sulla proiezione che va dagli inizi della scelta (11 anni), alla fine della categoria “cadetti” (15 anni). Il lavoro si dipanerà, con carichi diversi in base all’età, su quattro sedute d’allenamento settimanali, suddividendo l’intero piano annuale su tre cicli ben definiti: preparatorio, generale, agonistico.

1. Il periodo preparatorio va da novembre (inizio della stagione) e si protrarrà per 4-6 settimane. Lo scopo precipuo è la ricerca di una buona base, sia condizionale che tecnica. Saranno ovviamente previsti lavori specifici.

2. Il periodo generale attraverserà tutto l’inverno ed una parte di primavera. Qui, si inizierà gradualmente ad ottimizzazione il lavoro, aprendo le porte allo specifico e all’analitico. Il volume di lavoro diminuirà a vantaggio dell’intensità.

3. Il periodo agonistico, ovvero quello delle gare, in cui l’allenamento poggerà soprattutto sulla rifinitura e la correzione degli errori.


E’ necessario, in questa fase della costruzione dell’astista, non esasperare gli impegni agonistici e la preparazione a questi. Al massimo 7-8 gare a stagione, ed una continua concentrazione su un lento, ma redditizio, lavoro di costruzione tecnica. D’altronde, la relatività agonistica di questo periodo di “iniziazione”, non necessita di grande preparazione e nemmeno di grandi “scarichi”.

La periodizzazione dell’allenamento qui sotto prospettata, è indicativa. Non ha, ovviamente, tenuto conto delle esigenze dell’allievo e nemmeno di quelle dell’allenatore. Rappresenta comunque un quadro guida che potrebbe pure essere “sposato in toto”.

PERIODO PREPARATORIO

Lunedì:
- Tecnica di asta (scuola / salti 2-4 passi / rincorse max 7-8 passi)
- Corsa media (esercitazioni: 3x120-150m)

Martedì:
-Tecnica di corsa (analitica / dinamica)
-Tecnica di stacco (analitica /alto/lungo/balzi)
-Potenziamento generale e di zone deboli (max 180- 200 esercizi)

Giovedì:
-Tecnica di asta (come lunedì)
-Corsa con l’asta (esercitazioni: 5x60m)

Venerdì:
-Giochi sportivi
-Preacrobatica / attrezzistica / flessibilità (esercitazioni generali)
-Ginnastica-forza (max 90-100 esercizi)


PERIODO GENERALE

Lunedì:
-Tecnica di asta (scuola / salti 4-6 passi / rincorse 10-12 passi)
-Corsa media (esercitazioni: 60-80-100m)

Martedì:
-Tecnica di corsa (analitica / dinamica)
-Tecnica di stacco (anche con asta / rincorse in pista)
-Pot. generale e di zone deboli (max 160 es.)

Giovedì:
-Tecnica di asta (come lunedì)
-Corsa con asta o con ostacoli (0.76m) (esercitazioni: 4x50m)

Venerdì:
-Preacrobatica / attrezzistica / flessibilità (esercitazioni generali e speciali)
-Ginnastica-forza (max 60-70 es.)


PERIODO AGONISTICO

Lunedì:
-Tecnica di asta (scuola / salti 6 passi / rincorse 12-14 passi)
-Velocità (esercitazioni: 5-6 x30m)

Martedì:
-Tecnica di corsa (dinamica)
-Tecnica di stacco (anche con asta / rincorse in pista)

Giovedì:
-Tecnica di asta (come lunedì)
-Corsa con asta o con ostacoli (0.76m) (esercitazioni: 4-5x40m)

Venerdì:
-Riscaldamento preparatorio (in caso di gara)
-Preacrobatica / attrezzistica / flessibilità (esercitazioni speciali)


Morris

 

____________________
"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 29/06/2005 alle 15:15
BOB SEAGREN, L'ACROBATA DI POMONA

Dopo Serghei Bubka, Bob Seagren, può essere considerato il più grande saltatore con l’asta della storia. A livello d’innovazione e ricerca, forse, addirittura il migliore in assoluto. Tanto meticoloso quanto coraggioso (la prima asta in fibra fu testata proprio da lui), sapeva interpretare la gara sul piano psicologico come nessuno. Difficilmente sbagliava un grande appuntamento e la sua tecnica di scavalcamento era sublime. Un personaggio, un po’ snob e narciso, ma un interprete sopraffino del suo sport. Figura nobile dell’atletica intera, prima dell’avvento degli ormoni.


I TRATTI SALIENTI DELLA SUA CARRIERA.



Nato il 17 ottobre 1946 a Pomona, in California, Robert “Bob” Seagren, fu un talento precocissimo. Dotato di una grande velocità di base (correva i 100 metri in 10”70) e di una forza non comune, a soli 20 anni appena compiuti, vincendo il titolo universitario statunitense, migliorò il primato mondiale del connazionale Fred Hansen, Olimpionico a Tokyo, saltando 5 metri e 32 centimetri. Fresno, la località dell’evento, accolse il record come un positivo colpo di scena, perché la specialità, che aveva negli Stati Uniti da sempre la scuola principe, poteva vantare già due interpreti ben più accreditati di Bob e considerati imbattibili: il detronizzato Hansen e quel John Pennel, col quale Seagren, in seguito, duellerà a lungo, fino a vivere verso il collega, un’ammirazione-rivalità che superò i confini delle pedane.
Il sempre determinato giovane californiano, l’anno seguente, si impose ai Giochi Panamericani, una rassegna che, in quell’edizione, si dimostrò come non mai annunciatrice di future star.
Nel frattempo però, Pennel gli aveva tolto il record mondiale portandolo a 5 metri e 34. Lo “schiaffo”, mal sopportato dal giovane di Pomona, fu regolato a San Diego il 10 giugno ’67, quando, addirittura alla prima prova, Seagren saltò 5 metri e 36. Pochi giorni dopo a Bakersfield, un altro giovane della sconfinata scuola americana, Paul Wilson, mise a tacere i due “litiganti” John e Bob, migliorando il record mondiale di due centimetri.
Il californiano accolse il risultato del nuovo rivale ed amico con un sorriso, dicendo che si sarebbe rifatto con gli interessi ai Trials per le Olimpiadi di Città del Messico, dove avrebbe vinto l’Oro, con tanto di nuovo primato mondiale. Le sue parole furono profetiche, perché ad Echo Summit, nelle selezioni americane, vinse, portando il record del mondo a 5,41 metri, mentre sull’altura della capitale messicana, in un pomeriggio afoso di smog e con una temperatura caldissima, volò a 5 metri e 40 centimetri, prendendosi così tutto quello che aveva annunciato. Pennel, nella gara più importante finì quarto, superato oltre che dal “nemico”, anche dal tedesco dell’ovest Claus Schiprowski e da quello dell’est, Wolfgang Nordwig. John, ai bordi della pedana, indifferente della medaglia di legno, giurò al connazionale-rivale che gli avrebbe tolto nuovamente quel record. E l’anno seguente, il 21 giugno, a Sacramento, il sicuro Pennel, batté Bob e stabilì con 5 metri e 44, il nuovo primato mondiale. Stavolta fu Seagren a rivolgersi al rivale, per dirgli che l’avrebbe battuto nelle gare importanti e gli avrebbe soffiato nuovamente, anche con ampio margine, il record mondiale. Fu un’affermazione in realtà pensata, perché l’uomo volante di Pomona, aveva capito che l’evoluzione della specialità si sarebbe poggiata su un’asta di fibra ben diversa, più difficile da caricare, ma in grado di consentire una frustata così forte, da modificare la velocità nell’esecuzione stessa dello scavalcamento dell’asticella. Seagren si preparò in silenzio, meticoloso come sempre, lasciando le sue partecipazioni alle gare solo negli appuntamenti che riteneva importanti. Vinse i campionati nazionali nel ’69 e ’70, battendo quella che era ancora la più forte scuola di astisti del mondo, in particolare i rivalissimi Pennel e Wilson. Ma a fine anno, in allenamento, cadendo male sui cuscini, non poté evitare l’impatto con la pedana ed il ginocchio destro si fracassò.
Il giudizio degli specialisti che lo visitarono fu disarmate: secondo loro era perduto per l’attività agonistica. Bob si eclissò, aggiungendo la prova più importante ai suoi programmi, quella di smentire tutti. Recuperò pian piano l’arto, sacrificandosi con la più ferrea delle volontà, fino ad allargare gli occhi dell’ammirazione, nel coach di sempre, Vern Wolfe.
Di Seagren non parlava più nessuno, era dato per finito anche dall’osservatorio. In pochissimi sapevano degli sforzi che stava sostenendo, fra lo stupore di taluni specialisti.
“Per recuperare – diceva – devo scordarmi del dolore, dell’operazione al ginocchio e devo provare a saltare con la nuova asta, come se nulla fosse successo. Non ho alternative se voglio vincere ancora”.
Lui s’allenava con una certa intensità, senza mai dimenticare l’uso compagno di quell’attrezzo che l’aveva fatto cadere un anno prima, quando era ancora da testare compiutamente. Uno strumento che, poi, era stato portato in gara con grandi risultati dallo svedese Kjell Isaksson, divenuto nel frattempo il nuovo primatista del mondo. Seagren, che era stato il primo a provarlo, sapeva quanto sul nuovo attrezzo vi fosse ancora da lavorare, non già in termini di collaudo, bensì nel modificare tutto l’impianto del salto, per sfruttare al meglio le nuove potenzialità. La nuova asta era di fiberglass, ovvero fibra di vetro del diametro di 10 micron, fuse in resine plastiche (epoxi-polisteri), ma Bob sapeva pure che per arrivare a quelle misure che sentiva possibili, era necessario allungare la lunghezza dell’attrezzo. Il suo, dunque, era un allenamento totale: di recupero fisico dopo l’intervento e di sperimentazione e studio sulla nuova asta e sulle possibile elaborazioni. Nel suo genere e nel silenzio, Seagren stava partorendo una rivoluzione geniale di cui tutti gli astisti, poi, attingeranno i benefici.

Nella primavera dell’anno olimpico arrivò in allenamento a saltare 5,30, una buona misura, soprattutto per verificare che il suo potenziale atletico era per gran parte recuperato. Decise così di venire in Italia, a Formia, per provare in gara i suoi valori, convinto che il meeting italiano gli potesse dare delle indicazioni importanti per sé, oltre a verificare il valore di avversari di nota e possibili favoriti per le Olimpiadi. L’undici maggio dunque, nella cittadina laziale, lasciando a bocca aperta l’osservatorio, gareggiò, portando al pubblico i suoi echi di olimpionico della specialità e, pur esibendosi con la vecchia asta, saltò 5,40 alla terza prova, ad un solo centimetro da quel personale che, quattro anni prima, gli era valso l’ennesimo record del mondo. Dopo l’esibizione di Formia, anche i più scettici capirono che il californiano poteva superare i Trials e giocarsi nuovamente i massimi risultati possibili ai Giochi di Monaco. Il primo a provarlo, fu proprio Kjell Isaksson, il quale in una gara a Los Angeles, non era stato capace di lasciarselo alle spalle nonostante i 5,50 saltati. L’arrivo del record americano e ovviamente personale, per Bob non rappresentava altri che una tappa di avvicinamento per il Trials di Eugene, dove, a suo giudizio, avrebbe potuto sparare quelle che per lui erano le potenzialità della nuova asta. Ancora una volta, l’uomo volante di Pomona, aveva visto giusto e nella città dell’Oregon, là dove si vede in lontananza la maestosità dell’oceano Pacifico, andò a toccare il cielo, con un salto di 5,63 metri, nuovo primato del mondo.
Aveva seppellito John Pennel, l’amico rivale, come gli aveva promesso, di ben 19 centimetri!
Era tornato il re, ma stavolta, su di lui, si concentrarono le attenzioni dell’osservatorio, a dispetto di tanti grandi di altre specialità dell’atletica. Bob tra l’altro, rafforzò non poco l’interesse per una dichiarazione che stupì gli stessi tecnici: “A Monaco porterò il record mondiale a 5,70, una misura che ho già saltato in allenamento.”
Effettivamente, chi lo conosceva, non metteva dubbi sulla veridicità delle sue parole, ma tutto questo portò la IAAF ad una valutazione approfondita delle entità della nuova asta.
Col ruolo di favorito principe, si presentò così alle Olimpiadi a difendere il suo titolo, ma il giorno prima delle qualificazioni, l’organizzazione mondiale di atletica, vietò il nuovo strumento, lasciando comunque omologato il primato del mondo che Bob aveva raggiunto a Eugene. Una decisione assurda, che lasciò Seagren letteralmente a piedi: non aveva portato a Monaco nessuna vecchia asta! Anche altri colleghi s’erano visti impossibilitati a gareggiare col nuovo strumento, ma tutti avevano portato tra gli attrezzi di riserva delle vecchie versioni. Solo Bob non ne aveva nessuna. Fu così costretto ad andare in prestito e a mendicare un’asta. Quando, finalmente ne trovò una, capì che tutto il lavoro svolto era perduto: lo strumento rimediato, era più corto di quello che normalmente usava e non aveva il tempo di provarlo adeguatamente. Le qualificazioni divennero per lui l’unico allenamento prima della gara e con quell’unica asta senza ricambio doveva reimpostarsi, proprio nell’appuntamento più importante. Assurdo!
Costretto ad entrare in gara a misure più basse, ben sapendo che a causa dell’infortunio non poteva proporsi un numero di salti come gli altri, fu ugualmente bravissimo e con l’attrezzo di fortuna, riuscì a raggiungere la Medaglia d’Argento. Vinse il tedesco Wolfgang Nordwig, saltando 5,50, esattamente la misura che Seagren aveva scelto come “l’entrata in gara” con la sua vera asta! Il californiano, con quel vecchio strumento rabberciato alla meglio e con l’imposizione di modificare, improvvisando, l’impugnatura, la rincorsa e la tecnica di stacco, si fermò a 5,40, ma aveva dimostrato, ai palati fini del salto con l’asta, chi era effettivamente il più forte.
Deluso e arrabbiato, all’indomani delle tristi giornate bavaresi, il grande acrobata di Pomona, a soli ventisei anni, abbandonò l’atletica. Era stato un grande interprete per le risultanze e per lo studio dell’evoluzione dello strumento. I suoi avversari, tutti, compreso Nordwig, abbracciarono la sua asta facendola divenire compagna abituale, ma non riuscirono mai a superare o avvicinare il suo 5,63, tanto più quel 5,70 che Bob aveva saltato in allenamento.
Robert “Bob” Lloyd Seagren, era stato di un altro mondo e per superarlo, arrivò da un altro pianeta, quasi tre lustri dopo, un extraterrestre ancor più immacolato, Serghei Bubka.



L’UOMO SEAGREN E IL SUO “DOPO CARRIERA”.
Stereotipo dell’americano che vede gli USA al centro del mondo, in posizione superiore o principesca. Nel 1967, affermò che era stupido laurearsi a Berkeley e che era molto più produttivo, per il futuro d’America, andare in Vietnam a combattere (lui però non vi andò mai). Amante della cura del corpo e pure narciso, si trasformò ben presto in attore, fino a costruirsi una tangibile carriera nel mondo delle soap opera (avesse saputo recitare bene, vista la sua prestanza fisica, sarebbe diventato un divo di Hollywood). Col tempo, ha poi incentivato i suoi rapporti nell’ambito dell’Università della California, sia come divulgatore che come curatore d’immagine. Notevole il suo impegno nell’organizzazione di eventi di grande richiamo come la Maratona di Long Beach. Impegnato praticamente da sempre nel marketing, è oggi uno degli uomini-immagine della Puma.

IL SUO CURRICULUM.
- 4 Record Mondiali (1966-’67-’68-’72)
- 6 Primati statunitensi (nel 1966 due volte, nel ‘67, nel ’68 e tre volte nel ’72)
- Campione Olimpico nel 1968
- Argento Olimpico nel 1972
- Vincitore dei Giochi Panamericani nel 1967
- Tre volte Campione USA (1966-’69-’70)



UN RICORDO PERSONALE: IL MEETING DI FORMIA 1972.
Agli inizi della stagione olimpica ’72, mentre la stella di Pennel si stava afflosciando naturalmente, il redivivo Bob, fra lo stupore generale, venne in Italia per partecipare al meeting di Formia. La cittadina laziale, ancor oggi sede del miglior centro d’atletica d’Italia, a quei tempi, sapeva radunare attorno alla propria manifestazione, una bella fetta dei big mondiali. Per i colori nazionali, l’evento del ’72, doveva essere la prova del nove per verificare le condizioni di due azzurri possibili di medaglia olimpica: l’italo-sudafricano Marcello Fiasconaro e Renato Dionisi. Sul primo, si temeva un sovraccarico di lavoro, in considerazione dell’intensa stagione invernale di allenamenti e gare, svolte al caldo del Sudafrica. Qui, oltre ai 400 metri, contro il parere dei tecnici azzurri, aveva provato con grandissimi risultati, quella che poi si rivelerà la sua vera specialità, gli 800 metri. Era riuscito a battere Daniel Malan, un fortissimo specialista del mezzofondo breve, il quale, essendo cittadino sudafricano, per la politica di aparthaed del suo paese, non avrebbe potuto partecipare ai Giochi di Monaco. Aldilà della superattività di “March” Fiasconaro, in Italia, proprio non si vedevano per lui sbocchi al di fuori di quei 400 metri dove, l’oriundo, per essere ai vertici mondiali, avrebbe dovuto migliorarsi di un secondo. Sulla distanza doppia, invece, anche una capra poteva predirgli un radioso futuro. Il non ancora diciassettenne sottoscritto, tifosissimo di March, dopo essersi trasformato in un topo d’ufficio, per trovare nelle edicole i risultati del beniamino in Sudafrica, sperò fino all’ultimo in un suo passaggio agli 800, in barba ai tecnici azzurri. La cosa non avvenne e Formia, purtroppo, segnò una tappa non positiva per la carriera olimpica di Fiasconaro. L’oriundo gareggiò sui 400 vincendo in 45”6 manuale, un tempo che non diceva nulla a livello mondiale, ma, nell’occasione, batté Curtis Mills, un mastodontico americano di colore, coi basettoni ed i lineamenti del cantante dei Mungo Jerry (un complesso inglese, poi divenuto meteora, in voga in quei tempi per la celeberrima “In the summertime”). Lo statunitense era un tipo fortissimo per i notevoli personali sia sui 400 che sulle 440 yard, ma era venuto a Formia per il gettone e per fare allenamento. Fatto sta, che la vittoria di March, contro un illustre (anche se poi egli stesso meteora come il sosia dei Mungo Jerry), sciolse anche la piccola speranza di un suo passaggio, con effetto immediato (in previsione olimpica), al mezzofondo veloce. E, come volevasi dimostrare, Fiasconaro, dopo qualche settimana, di fronte ad un appannamento della forma di dimensioni notevoli, si fece pure male. Così, quella che poteva essere una possibilissima medaglia sugli 800, finì per vivere le Olimpiadi come un’illusione.
Renato Dionisi, invece, si presentò a Formia, in condizioni di spirito ben diverse: lui, da predestinato campionissimo del salto con l’asta, aveva passato anni a lottare coi suoi tendini di talco che lo avevano tenuto lontano dalle pedane, ma da qualche settimana, grazie ad una cura del professor Oliva (che poi risulterà illusoria), aveva lasciato i luccichii della sua Laverda 700, per prendersi la luce personale degli allenamenti. Quel meeting, doveva rappresentare la prova dei suoi eccelsi valori, all’alba dell’anno della sua terza Olimpiade, a soli 25 anni, magari stavolta da protagonista. Renato, era veramente un fenomeno, forse il più grande, potenzialmente, dall’atletica italiana d’ogni tempo in una specialità tecnica. A soli 17 anni, aveva stabilito il primato italiano assoluto, ed aveva saltato a Tokyo ’64. Poi, quei tendini, quei maledetti tendini, l’avevano fatto tribolare, lanciandolo nel motociclismo e nelle piroette che, su quel mezzo, nel sua Riva del Garda, svolgeva per dare incanto a quelle stimmate costrette all’esilio dall’amata pedana. In tutti quegli anni dove pure era riuscito a partecipare a Mexico ’68, era riuscito, grazie a qualche frammento di dolore sopportabile, a svolgere qualche allenamento ridicolo, pur sempre sufficiente però, per portarlo dai 4,50 del ‘suo primo record nazionale nel ’64, ai 5,35 dell’ultimo, nel ‘70. Cifre e dati che, da soli, facevano venire i brividi, tanto più al cospetto di una incredibile constatazione: a Dionisi, ogni anno, bastava una sola gara conclusa, per portarlo ad una delle prime dieci misure del mondo. Pazzesco!

Renato Dionisi
Formia, dunque, poteva e doveva aiutarlo a parlare quel suo sublime linguaggio acrobatico, là, nell’alto del cielo primaverile, in mezzo agli aliti di vento tirrenico. Prima ancora degli avversari, stavolta avrebbe dovuto lottare con un’altra versione di se stesso, per convincersi di essere guarito.
Ad attendere Renato, c’era un piccoletto biondino svedese di 24 anni, Kjiell Isaksson, alto solo 1,74 metri ed ex ginnasta, ma astista faro del momento, perché nell’aprile di quell’anno, nelle dimore americane sue solite per studi, aveva abbattuto la barriera dei 5,50, portando il record mondiale, dapprima a 5,51 ad Austin e, poi, una settimana dopo, a Los Angeles, a 5,54 metri. Lo svedese, sulla carta, non lasciava spazio a Dionisi, anche se il ragazzo di Riva del Garda, in una giornata senza dolori poteva battere tutti e raggiungere anch’egli il record del mondo. I giornali parlarono a lungo della sfida italo-svedese, dimenticando, non senza colpe, il campione olimpico, quel Bob Seagren che, alla chetichella, senza che nessuno negli Stati Uniti lo sapesse, s’era presentato al Meeting. L’arrivo del grande californiano, non impensieriva né Renato né Isaksson. Al pari degli organizzatori, era sì visto nel suo gran nome, ma nelle vesti di un Brumel dell’asta. Come il leggendario sovietico saltatore in alto, infatti, lo si considerava un mito alla disperata ricerca, dopo il grave infortunio, di riportarsi su misure appena decenti, per mantenere il ricordo delle grandezze d’un tempo finito e non più raggiungibile. Ma il californiano di Pomona sapeva bene quello che voleva e valeva.

Seagren oggi
Iniziò superando i 5,10 alla prima prova, idem i 5,20 e i 5,30. Poi, quando in gara erano rimasti, oltre a lui, l’ispiratissimo Dionisi e il primatista mondiale Isaksson, riuscì ad incollarsi, ancora una volta a costoro, superando i 5,35, alla seconda prova. Lo stupore si sciolse in un lago d’emozione quando, con la volontà ferrea dei supremi, scavalcò alla terza prova la medesima misura che gli aveva dato l’oro a Città del Messico: 5,40. Era al rientro dopo esser stato dato per morto all’atletica, eppure, davanti a lui, solo per minor numero di errori, erano finiti il vincitore Renato Dionisi, giunto all’ennesimo primato italiano e il numero uno del momento, Kjell Isaksson. Nel guardarli saltare con l’attenzione massima che viene dall’ammirazione, si capiva che l’italiano e il californiano erano divini anche se rappezzati. Isaksson non li valeva. Poi, Renato si sciolse nei soliti tendini di talco e Bob andò incontro alla nuova gloria, mozzata fino all’uccisione psicologica, da un’assurda decisione della IAAF, proprio nella gara che gli avrebbe donato l’immortalità e la leggenda, le Olimpiadi di Monaco.
Formia, senza pretese, aveva sentenziato con acume l’olimpo delle sublimi bellezze di questa specialità, ma per i due grandi, evidentemente, la sorte voleva adagiarsi ancora una volta, sull’antipatia. Un peccato, un peccato davvero, perché, Bubka a parte, i miei occhi non hanno mai più visto saltatori-acrobati come Seagren e Dionisi.


Morris

 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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