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Autore: Oggetto: I "Cesare" del ciclismo.....

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 16/03/2005 alle 00:30
Ieri erano le “Idi di marzo”.... il giorno delle ventitre pugnalate a Caio Giulio Cesare..... Insomma, un po’ l’onomastico dei Cesari......

Anche il ciclismo ha i suoi Cesare, non grandissimi, ma pur sempre corridori che hanno lasciato tracce evidenti nel grande romanzo di questo sport.
Per ricordare la giornata, porto su queste pagine, brevi zoom sui tre più grandi. Si tratta di italiani, anche se sfogliando le pagine del pedale, troviamo dei Cesar di lingua ispanica o portoghese di discreto livello, ovvero spagnoli, colombiani e portoghesi che pure qualcosa di buono hanno fatto, ma nessuno, a mio giudizio, è giunto a raggiungere i tre nostri connazionali.
Rigorosamente in ordine di anzianità….

Cesare Del Cancia
Nato a Buti di Pisa il sei maggio del 1915, Del Cancia, assieme a Bizzi, ed ai più noti Bartali e Bini (a cui ho dedicato una puntata di Graffiti), formava il quadrilatero stellare del ciclismo toscano anteguerra.

Corridore compatto, di statura poco superiore al metro e settanta, si segnalava per la sua completezza e per l’istinto di combattente ardimentoso. Memorabili alcune sue vittorie da dilettante, quando riusciva ad incunearsi nella rivalità dalle tinte anche paesane, fra Bini e Bartali. Divenuto professionista nel 1936 con la Ganna, vinse subito due classiche allora di assoluto prestigio: la Milano Torino e la Tre Valli Varesine. Nell’anno successivo, aprì la stagione col botto più grande, andando a vincere con un’azione di forza iniziata ad una settantina di chilometri dal traguardo, la Milano Sanremo. Nell’occasione lasciò il secondo, Pierino Favalli, a 2’20”.

Sanremo '37 - Dal Cancia in fuga solitaria sulla discesa del Capo Mele
Nell’anno vinse poi la tappa di Campobasso al Giro d’Italia (chiuso al quinto posto), il Giro dell’Emilia e il G.P. Guzzi. Nel 1938, furono due le tappe conquistate nella “Corsa Rosa”: a Trieste e Varese. Vinse poi il Giro del Lazio e, di nuovo, il G.P. Guzzi. Nel ’39 e nel ’40 raggiunse diversi piazzamenti, senza però riagguantare quella vittoria che poi, con lo stop per la Seconda Guerra Mondiale, gli fu completamente preclusa. Nel 1946, riprovò fra i professionisti con un’altra squadra, la Welter, ma lo smalto dei bei tempi, apparve così lontano da indurre Cesare a lasciare l’attività.


Cesare Pinarello
Nato a Treviso il 5 ottobre 1932, consumò interamente la sua carriera su quei velodromi che, ai suoi tempi, esibivano dei veri e propri fenomeni, capaci di richiamare folle calcistiche. Cesare era un velocista, piccolino e compatto come tanti di quella epoca, ma con una potenza superiore ai più. Proprio per questa sua caratteristica fu avviato alla posizione motore del tandem, quella posteriore. Con Antonio Maspes come pilota, giunse alla Medaglia di Bronzo alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952. Nel 1953, vinse il tricolore della velocità, ma fu battuto nella finalissima ai campionati mondiali di Zurigo dal colosso Marino Morettini. Nel ’55 rivinse il tricolore della velocità e alle Olimpiadi di Melbourne ’56, in coppia con Giuseppe Ogna, riconquistò la Medaglia di Bronzo nel tandem.

Pinarello in una foto scattata a Melbourne '56
Passato professionista nel ’57 in seno all’Ignis, rimase fra i migliori della più grande generazione di velocisti che l’Italia abbia mai avuto, fino alla chiusura della carriera, avvenuta nel ’68, con la maglia dell’Amaro 18 Isolabella. Che dire: per un’Italia che in contemporanea poteva vantare velocisti (fra dilettanti e professionisti), come Maspes, Gaiardoni, Gasparella, Pesenti, Sacchi, Lombardi, Ogna, Bianchetto, Beghetto, Pettenella, Damiano e lo stesso Pinarello, non era facile per nessuno vincere, mentre era da urlo lo spettacolo per il pubblico. Un’epoca irripetibile, che dona ancora brividi al solo pensare che su quei velodromi, oggi dimora di topi, un tempo correvano questi assi scudieri del mitico Maspes. Ruote veloci che sono andate alla storia con un palmares più tenue del meritato....per il semplice motivo che erano troppi i divini a dividersi un posto solo.... E questo, Cesare Pinarello, potrà sempre dirlo ai pronipoti fino all’ultimo dei suoi giorni.


Cesare Cipollini
Quando nel ciclismo di una manciata di lustri fa, si poteva passare fra i professionisti solo al compimento dei 21 anni, ottenere una deroga dalla Commissione Tecnica Federale significava davvero avere qualcosa in più. In 15 anni solo due vi riuscirono: Giuseppe Saronni e Cesare Cipollini. Sì, proprio lui, il fratello maggiore di Re Leone.

Cesare Cipollini con Re Leone al G.P. Costa degli Etruschi 2004
Cesare, nato a Belfort in Francia, il 16 dicembre 1958, pareva davvero uno nato per correre da principe, eppure alla storia passerà come il fratello dimenticato di un iridato, ma potenzialmente ben pochi lo valevano. Nel 1977, a 19 anni, ancora da compiere fra l’altro, Cipollini vinse una miriade di corse, fra le quali un paio degne di nota: la Firenze Viareggio e il Giro delle Tre Province.

1977 - La vittoria di Cesare Cipollini nel Giro delle Tre Province
Soprattutto stupiva il numero di variabili che lo potevano portare al successo. Qualcosa di straordinario. Alla fine di quella stagione, ottenuta la deroga dalla FCI, passò professionista in seno alla Magniflex Torpado, ma ben presto si capì che la sua dedizione e concentrazione, non erano pari al suo incredibile talento. Cominciò così ogni anno a cambiare squadra, trovando sempre qualcuno convinto di una sua esplosione prima o poi. E che in lui vi fosse qualcosa di grande, lo si capì il 2 ottobre 1983, quando, finalmente, al Giro dell’Emilia, Cesare, mise la sua ruota davanti a tutte. Nemmeno quella vittoria però, lo svegliò dal suo torpore. Nel 1987 vinse il Prologo del Giro di Mendoza e poi più nulla, fino all’ottobre del 1990, quando mise la bicicletta al chiodo.
Con Cesare mi incontrai spesso a metà degli anni novanta. Trovai una persona cordiale e sorridente, con la quale si poteva parlare ad ampio raggio di ciclismo, ma si capiva che era sempre pronto per i suoi viaggi sul filo del vivere la vita come viene. A suo modo un personaggio straordinario. Di lui ho ben impresse le parole del celebre fratello: “Cesare è un gitano, poteva essere un grande campione ma non lo è stato, per me poteva essere un appoggio. Ma lui interpreta la vita in un modo tutto suo. Ho visto corridori con minori qualità diventare campioni. Forse gli è venuta un po' di frustrazione, ma gli è mancata la voglia di fare sacrifici, di impegnarsi. Mio fratello aveva grandi doti e non le ha sfruttate. E' stato un esempio: nel senso che ho imparato ad impegnarmi per ottenere risultati, altrimenti potevo finire come lui. Solo dopo potevo lasciarmi andare".


Morris

 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 1502
Registrato: May 2004

  postato il 16/03/2005 alle 15:31
Bellissimo come sempre l'articolo di Morris. Devo dire che la storia di Cesare Cipollini non la conoscevo, anzi non sapevo proprio che il Cipo avesse un fratello ex corridore... vabbè dai ero ancora all'asilo quando correva... sono giustificato...
 
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Non registrato



  postato il 16/03/2005 alle 17:28
Morris, il nostro "Cesare", il nostro imperatore... sei tu

Ave!

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 17/03/2005 alle 01:04
Zillo, la storia dello sport è piena di talenti inespressi per motivi il più delle volte interni al loro universo.... Su Graffiti ho portato l'esempio eclatante di di Romeo Venturelli e ne porterò altri...
Su Cesare posso dirti che i suoi stigmi erano primari, sicuramente superiori a quelli del fratello e di tanti che hanno vinto di tutto, da classiche a grandi giri. Ma quando nei centri nervosi non ci sta una determinazione degna del puro talento, finire ridimensionati rappresenta una conseguenza certa. In altre parole, il grande artista dello sport, lo si crea tanto nelle gambe, quanto nell'insieme delle vocazioni e degli istinti contenuti nel cervello. Non riuscire non significa mancanza di intelligenza, ma qualcosa di più complesso....
Se ti ho fatto scoprire un personaggio nuovo, ne sono contento.
Ciao!

Mario, io sono l'imperatore che di imperiale ha solo quelle carenze che mai vuole correggere. Un uomo fuori dal tempo che non ha, per questo motivo, smesso di sognare, ma che si rovina da solo, ben oltre i normali livelli che la vita nasconde.....
A luglio, se sarò ancora al mondo, compirò 50 anni, ma continuo ad inseguire fantasmi ......di ciò che non ho vissuto.
Ed ho sempre la pretesa di sentire i lunghi capelli al vento, come quando me ne stavo su una collina a dipingere dentro la cornice del cuore, il fascino dell'orizzonte.....Ma di aria non si campa, in un mondo grigio fumo....
Un abbraccio!

Morris

 
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Non registrato



  postato il 17/03/2005 alle 01:13
Di aria non si campa, ma senza non si respira...

Continua pure a sentire i tuoi capelli al vento, e se il mondo vende fumo grigio sappi che in questo Forum, al tuo capezzale, hai uno stuolo di fedeli e sempre più appassionati lettori che ti ammira tra le righe di quello che scrivi per la grande persona che sei.

Caro Morris, se a luglio saremo tutti ancora vivi mi piacerebbe festeggiarti come si deve... magari insieme a quel fantasma che tanto ami, che noi tutti amiamo, e che ameremo per sempre anche grazie alle tue verità ed alle tue spiegazioni.

Ave Morris

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 17/03/2005 alle 11:52
Caro Mario, la vita è un’ellisse......ed anche lo sport la raffigura....

......Il lancio del giavellotto rappresenta, per chi scrive, il massimo della bellezza e del profondo richiamo dell’intera atletica leggera. Su un libro che scrissi nel 2000, mi lasciai andare all’emotività che, da sempre, quel gesto mi produce, anche quando le risultanze metriche, non giungono ad avvolgere le note delle penne matematiche. Quel lancio, è la rappresentazione figurata del nostro segmento di vita: dalle speranze iniziali ed innocenti d’un bambino, che cresce nella purezza della ricerca con spirito e volontà, all’adulto, che trova lungo le altezze della conoscenza, della scaltrezza e della furbizia, il vento migliore dei compagni di viaggio, la tranquillità del proprio potenziale e la forza per ergersi a continuo. Infine all’anziano, il cui scopo più palpabile è quello di dimenticare gli anni, le forze che calano e il bisogno di tradursi nella saggezza, per essere il meno ricurvo possibile.
Raramente, incontriamo in natura delle raffigurazioni cosi fedeli alla nostra proiezione come il gesto ellittico del giavellotto, scagliato dal protagonista atleta, un essere umano proprio come noi. Ne esce una pittura naif, la cui cornice sta nell’orizzonte, il parametro immaginario che ci accompagna da sempre. E’ perfezione. (....)

....E quando terra sopraggiunge
provi gli ultimi fuochi
gli istmi di coda
che sfiorano quel che rimane dei petali
per allontanare lo spettro del buio......

Morris (tratto da “Janis Lusis, il mitico sussurro di Latvia” – Graffiti 1)


 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 3567
Registrato: Jul 2004

  postato il 17/03/2005 alle 14:36
....beh caro Maestro se veramente questa bellissima similitudine fosse propria del vivere di ognuno,stanne sicuro che i lanci di Zelezny impallidirebbero al paragone con la splendida ellisse della tua vita....


(p.s.nonostante sia tutt'altro che completa....)

 

[Modificato il 17/03/2005 alle 19:41 by Pirata x sempre]

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Giuseppe Matranga

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