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Autore: Oggetto: Colonna Sonora & Gusti Musicali

Livello Fausto Coppi




Posts: 5641
Registrato: Nov 2005

  postato il 27/03/2007 alle 17:28
Originariamente inviato da Bitossi
E un po', Antonello, devo dire che sono rimasto sorpreso dal fatto che sembri quasi concordare sul fatto che negli ultimi decenni non ci siano state nuove tendenze nel jazz: non saranno rivoluzioni Copernicane, però negli ultimi 30 anni di novità ce ne sono state eccome, e mi permetterei di segnalarne alcune, visto anche che il jazz ha la fortuna di "sposarsi bene" con quasi tutte le musiche e soprattutto di tenere un forte rapporto di scambio intellettuale, formativo e di personalità con l'avanguardia.
Negli anni '80 c'è appunto un grande lavoro di approfondimento dei temi avanguardistici (Anthony Braxton, Art Ensemble of Chicago), unitamente al riuscito tentativo di fornire maggiori contributi Europei alla musica afro-americana, contributi che vanno ben oltre le esperienze di "third stream" dei decenni precedenti, e che sono stati ben rappresentati dall'etichetta tedesca ECM, ma non solo.
Negli anni '90 di nuovo una grande spinta avanguardistica dal movimento newyorkese, con artisti-simbolo come John Zorn (il jazzista che piace ai rockettari ), Tim Berne, Joey Baron, ecc. ; esperienze in cui il rock viene trasfigurato e frullato con altri ingredienti, in una modalità esecutiva e con un'ironia che un musicista rock tout-court semplicemente si sogna...


basta intendersi sul significato di nuove tendenze: tu stesso dici che Braxton e l'AAoC hanno approfondito i temi dell'avanguardia.
Ecco, appunto: non hanno aperto una nuova strada ma ne hanno esplorato a fondo (più a fondo di quanto fatto in precedenza) una già aperta da altri.
L'avanguardia non è nata con Anthony Braxton, Lester Bowie o Roscoe Mitchell.
Altrimenti anche quello che fa Uri Caine, cioè la rivisitazione in chiave jazz dei grandi della musica classica come Mahler, Wagner o Mozart, potrebbe considerarsi una novità.

 

[Modificato il 27/03/2007 alle 17:36 by antonello64]

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"L'uomo da battere è Gianni Bugno, e quasi certamente non riusciremo a batterlo" (Greg Lemond, Stoccarda, 24 agosto 1991)

"Il rock è jazz ignorante" (Thelonious Monk)

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 28/03/2007 alle 12:25
Originariamente inviato da antonello64 ...basta intendersi sul significato di nuove tendenze...
Altrimenti anche quello che fa Uri Caine, cioè la rivisitazione in chiave jazz dei grandi della musica classica come Mahler, Wagner o Mozart, potrebbe considerarsi una novità...

Hai ragione Antonello, basta intendersi... fermo restando che di "rivoluzioni" non ce ne sono state e credo/temo non ne vedremo per un po', anche l'ultimo esempio che fai mi sembra contribuire all'idea che il jazz sia tutt'altro che in disarmo e che, a saper cercare, di spunti stimolanti se ne trovano ancora parecchi.
Ribadisco il concetto che forse la "salvezza" del jazz sta proprio nella sua attitudine a contaminarsi in positivo con tutte le musiche del mondo, conquista relativamente recente (e quanto dobbiamo ringraziare Miles Davis anche per questo?), che testimonia ulteriormente la sua vitalità e "novità"...

PS: Azz, è il mio post n.° 200!

 

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"...Ogni volta che vedo un adulto in bicicletta, penso che per la razza umana ci sia ancora speranza..." (H.G. Wells)

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 30/03/2007 alle 18:21
sai che ti dico?
MACCHISSENEFREGA DELLE NOVITA'.

Nel jazz c'è talmente tanta roba da scoprire riguardante i decenni scorsi che probabilmente ci basterà per svariati decenni.

Il verbo "scoprire" in questo caso può assumere due significati e riguarda:
1) gli artisti che ancora uno non conosce, non ha approfondito o non ha ascoltato per intero (perchè, per quanto si possa essere appassionati, è materialmente impossibile conoscere tutto di tutti, sia per problemi di tempo che per motivi economici).
2) il materiale registrato e mai pubblicato: ce n'è una quantità impressionante.
Ascoltavo tempo fa in radio una discussione sulle registrazioni delle varie radio e tv: ebbene qualcuno asseriva che, se tutta la musica jazz conosciuta quantitativamente vale dieci, questo valore passerebbe rapidamente a dodici se venissero pubblicate tutte le registrazioni in possesso della sola radio italiana.

Quindi ce n'è di roba da ascoltare: possiamo benissimo fare a meno delle novità.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/04/2007 alle 01:08
Originariamente inviato da antonello64
Fondamentalmente sono d'accordo sul fatto che negli ultimi 30 anni non si è visto quasi nulla di nuovo nel jazz.


Però tutto sommato non mi riferivo all'assenza di novità, anche se mi rendo conto che avere usato un'espressione del tipo "furore creativo" da parte mia può avere tratto in inganno.
Espressività, calore, tensione esistenziale, io non li trovo nel jazz contemporaneo.
C'è invece tantissima padronanza tecnica, tantissima accademia avanguardistica, tanta routine patinata.
Per me.

Forse perchè il jazz ha ormai 100 anni di storia, mentre il rock ne ha 50, e c'è più terreno fertile dopo 50 anni che dopo 100.
Forse perchè i maggiori artisti di questo periodo hanno rifiutato il rischio di proporre qualcosa, preferendo l'adagiarsi su qualcosa di solido e sicuro: esempio su tutti Wynton Marsalis, uno dei maggiori talenti degli ultimi decenni, che non si è mai avventurato in nuove proposte (e probabilmente ha fatto scuola).
Forse perchè non esistono più i mecenati alla Norman Granz o alla Alfred Lion, che investivano for di quattrini per amore del jazz, perchè oggi tutto è in mano alle majors alle quali non frega molto dell'arte ma solo del profitto, e sono quindi poco portate a prendere rischi.


Descrizioni credibili, illustrano più o meno come stanno le cose, ma le inquadrerei più come conseguenze anch'esse, come sintomi, non come cause.

Forse perchè una volta il jazz era una musica che nasceva più spontaneamente, mentre oggi quasi tutti i jazzisti sono diplomati di conservatorio, con tutti i pro e i contro che questo comporta (cioè grande tecnica strumentale, ma poca originalità nella proposta artistica).
A tal proposito penso ad Erroll Garner, che è stato uno dei maggiori pianisti jazz del Novecento, ma non sapeva leggere la musica: dove mai potrebbe suonare oggi uno così?.


Io credo che proprio in questo punto si possa porre il centro della questione: il rock, fatta la tara alle sue derive più commerciali (da non confondersi con "commerciabili"), è tutt'ora un'espressione popolare.
Che sia arte o meno, l'intervento dell'autore si innesta nel patrimonio del passato ed è condizionato da quanto le budella del popolo vomitano e fermentano, specchio dell'oggi.
Il jazz lo è stato, ma non lo è più.
Ferdinand La Menthe si faceva chiamare "Jelly Roll" Morton, e il Jelly Roll era uno sorta di strudel, oggi chi mai si farebbe chiamare con un nome che suonerebbe come "Cazzone" Morton?
Bessie Smith cantava "nessuna in città sa cuocere un jelly roll migliore del mio", e la metafora era esplicita.

Forse perchè le ultime grandi innovazioni della musica jazz sono state anche espressioni del malessere sociale che attanagliava la gente di colore negli USA: il bebop venne alla luce nei primi anni 40 quando ormai anche nel jazz i bianchi occupavano i posti di rilievo (Benny Goodman, Glenn Miller), mentre il free jazz e l'avanguardia in generale furono anche una forma di espressione della protesta nera per i diritti civili che attraversò l'America per tutti gli anni 60.


Vero, ma il distacco dal ventre popolare era già avvenuto, nei ghetti che un tempo suonavano Louis Armstrong riecheggiarono nei sixties James Brown, Otis Redding e Marvin Gaye.
La mia è solo una possibile lettura, chiaramente.
Un saluto!

 

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Davide

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/04/2007 alle 01:20
Originariamente inviato da cunego

quindi davide tu poni sullo stesso piano per innovazione husker du e stones? sia ben chiaro , io vado pazzo per zen arcade!



Innovazione? Il rock è una storia di contaminazione progressiva che parte da alcune radici precise: il blues ed il rhythm & blues.
Dunque è la storia di un'attitudine, soprattutto, assai lontana da quella della musica lirica, dal melodico moderno dei crooner alla Sinatra, dal jazz mainstream.
Gli Husker Du sono un pilastro dell'espressività rock.
Li cita anche John Zorn tra i ringraziamenti in "Torture Garden".
Zen Arcade è meraviglioso (io sinceramente trovo un notevole divario tra questo capolavoro e tutti gli altri dischi del gruppo).
Ciao!

 

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Davide

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/04/2007 alle 01:50
Originariamente inviato da Bitossi
però, cercando di capire che cosa volesse dire, mi sembra che sostanzialmente si possa sintetizzare il concetto così: nel jazz c'è tutto quello che c'è nel rock (e di più, sempre a mio avviso), ma sviluppato su un piano diverso.


Capisco, in fondo anche nella nouvelle cuisine c'è tutto quello che c'è nella cucina tradizionale, ma sviluppato su un piano diverso.
A me la fiorentina di chianina, a te i cubetti di mango e cipollotto con guarnitura di bucce d'arancia fritte, ok?

Il rock è musica popolare, è musica dove puoi trovare la lussuria più libertina come l'amore platonico, la tensione mistica come il satanismo più feroce, il desiderio di progresso come il patriottismo più reazionario, l'ironia più illuminata come la stupidità più esilarante, il divertimento fine a se stesso come l'impegno politico.
Nel rock, e nella musica popolare, c'è anche la potenza dei testi, l'evocatività dei testi, anche quando sono infantili come be-bop-a-lula oppure tutti-frutti.
Nel rock ci sono le stupid song di Frank Zappa, gli slogan dei Ramones, i versi ermetici di Bob Dylan, l'epica proletaria di Springsteen e la poesia di Leonard Cohen...
Nel jazz no.
C'è dell'altro ovviamente, chi lo nega.

Stavo per scrivere più alto, ma mi sono trattenuto...


Male, invece il jazz è nato "basso", come il rock, di estrazione popolare, ma poi si è emancipato, forse perchè complessato come la borghesia nera della New Orleans degli albori del jazz, avendo premura di ricevere riconoscimenti accademici, evirandosi però.

Del resto, anche Arrigo Polillo arriva a definire il rock "un figlio spurio del jazz", inteso come sua estrema semplificazione, o meglio "ramificazione semplificata" delle comuni radici blues.


Mah..., il rock col jazz c'entra ben poco, ed il blues stesso è coevo e non precedente al jazz, non potendone essere dunque una radice, al più fu un'influenza parallela.
Del rock invece il blues è davvero radice.

Al giorno d'oggi inoltre il jazz si presenta come veicolo di sintesi tra quasi tutte le musiche del mondo (forse è la vera "world music")


Un pastone patinato di rara indigeribilità, questo jazz è un prodotto fighetto, studiato a tavolino per l'immaginario collettivo di una ristretta cerchia di neo-fricchettoni new-age in giacca e cravatta.

Ciao

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/04/2007 alle 02:05
Originariamente inviato da Admin
Certo, perché è anche una questione di moda, e di emozioni percepite: non c'è dubbio che i discografici abbiano pompato molto gli aspetti più intriganti del rock, facendo così in modo che la fascinazione duri nel tempo, anche dopo il certificato tramonto dell'epoca d'oro di questo genere.


Senza dubbio, ma credo che il segreto stia nel linguaggio del rock, nella sua immediatezza.
Il rock è anche capace di scrollarsi di dosso le mode, e lo sa chi ha vissuto gli anni ottanta, quando sembrava che i sintetizzatori avrebbero calato un velo sulle corde di chitarra maltrattate, tanto che imbecilli come Sting, tantricamente incapaci di eiaculare, sostenevano che il rock fosse morto.

Eppure vi dico una cosa: sto tenendo (nel mio piccolo, in una onlus della zona) un corso sulla storia del rock, e vedo adolescenti di 15, 16, 17 anni completamente rapiti da questi personaggi di cui finora avevano al limite solo conosciuto i nomi per sentito dire.


Quale modo migliore per illustrare quanto sia attuale, contemporaneo e vitale il linguaggio del rock?

La verità è che il rock è stato la colonna sonora della civiltà moderna occidentale, quella in cui i giovani sono venuti alla ribalta come entità a sé stante e non solo come "figli"; la civiltà in cui le minoranze hanno visti riconosciuti diritti per i quali si è lottato con vere e proprie rivolte di piazza, la civiltà in cui il sesso ha smesso di essere un tabù, e in cui le donne hanno conquistato un posto al sole (anche se il cammino è ancora lungo). Una civiltà in definitiva più libera.
Il rock non può quindi essere considerato "solo" un genere musicale, perché il suo ruolo nel nostro mondo va ben al di là di questo. E da ciò deriva la sua tuttora esistente fortuna, che fa sì che sembri addirittura normale che ragazzi nati nel 1990, arrivati oggi nel 2007 ascoltino dischi del 1967, di quarant'anni prima: e che - ironia della sorte! - li trovino più vicini a sé di quanto non siano per i loro genitori, che invece quell'epoca l'hanno pure vissuta in pieno. Ma si sa che crescendo ci si imborghesisce, mentre il rock resta sempre la musica della gioventù.


Eccellente! Condivido.
Però i Radiohead non mi convincono

 

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Davide

 
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  postato il 02/04/2007 alle 10:52
I Radiohead...mi convincono, e molto, in ALCUNI album..penso a pablo honey, ok computer etc. In altri sono davvero troppo ELETTRONICI e troppo RADIOHEAD, nervosi nevrotici logoranti a tutti i costi.
In compenso sono stati importantisimi, e lo sono ancora: basta ascoltare una canzone dei Muse e se ne trova subito l'influenza. (Io personalmente NON ascolto i Muse, ma tant'è..)

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/04/2007 alle 11:34
Originariamente inviato da aranciata_bottecchia
Capisco, in fondo anche nella nouvelle cuisine c'è tutto quello che c'è nella cucina tradizionale, ma sviluppato su un piano diverso.
A me la fiorentina di chianina, a te i cubetti di mango e cipollotto con guarnitura di bucce d'arancia fritte, ok?

Accetto la battuta, ma secondo la mia visione è il jazz ad essere la chianina... intesa come portata di "sostanza". Il mio "diverso" si riferiva soprattutto al tipo di approccio necessario sia al musicista sia all'ascoltatore, per produrre e recepire il jazz. Al rock posso riconoscere al massimo la virtù di "parlar chiaro" (ma in maniera a mio avviso troppo "basic"), invece i piani di lettura proposti dal miglior jazz (intendiamoci, sono il primo a sostenere che nel jazz c'è anche un sacco di paccottiglia) sono molteplici e sfaccettati, e questa complessità genera complessità di pensiero, di analisi di se stessi e del mondo, e col tempo affina la capacità di cogliere i "sapori" nascosti (anche in una bistecca di chianina...). Penso di non esporre un pensiero elitario se dico che chi ha gli strumenti per criticare un brano jazz quasi sicuramente li possiede anche per fare lo stesso con un brano rock, mentre il contrario è tutto da dimostrare... un po' come chi ha scalato lo Stelvio (aridaje!) dovrebbe farcela a scalare la Colletta di Arenzano: anche in questo caso non vale la proprietà commutativa...

Originariamente inviato da aranciata_bottecchia
Il rock è musica popolare, è musica dove puoi trovare la lussuria più libertina come l'amore platonico, la tensione mistica come il satanismo più feroce, il desiderio di progresso come il patriottismo più reazionario, l'ironia più illuminata come la stupidità più esilarante, il divertimento fine a se stesso come l'impegno politico.
Nel rock, e nella musica popolare, c'è anche la potenza dei testi, l'evocatività dei testi, anche quando sono infantili come be-bop-a-lula oppure tutti-frutti.
Nel rock ci sono le stupid song di Frank Zappa, gli slogan dei Ramones, i versi ermetici di Bob Dylan, l'epica proletaria di Springsteen e la poesia di Leonard Cohen...
Nel jazz no.
C'è dell'altro ovviamente, chi lo nega.

Intanto Davide, sappi che mi sei istintivamente simpatico... però questa è proprio brutta, e mi sento di fartelo notare, perché da persona intelligente capirai quello che intendo dire: altro che, nel jazz c'è l'universo mondo!. Solo che il suo messaggio è, come si diceva, più "criptico" (e abbisogna di una minima iniziazione). Esagero: in una sola nota (senza bisogno di parole... come in un quadro, in una scultura...) di un assolo di John Coltrane possono esserci riassunte tutte, ma veramente tutte le cose che nomini... solo che bisogna saperle cogliere in trasparenza, a volte in un gioco di dissimulazioni, rimandi, citazioni, dove il vero "veicolo di significato" è rappresentato dal suono. Ecco, nella vostra discussione precedente avete tralasciato l'elemento considerato ormai distintivo del jazz, e cioè il suono come centro nodale dal punto di vista espressivo, veicolatore di una della diverse sintesi di cui il jazz è capace: in questo caso l'identità e coincidenza tra significato e significante (cfr. Luca Cerchiari: Il jazz. Una civiltà musicale afro-americana ed europea). A proposito Antonello: il downbeat è il battere, mentre il levare (i tempi "deboli") è l'upbeat...

Originariamente inviato da aranciata_bottecchia
Male, invece il jazz è nato "basso", come il rock, di estrazione popolare, ma poi si è emancipato, forse perchè complessato come la borghesia nera della New Orleans degli albori del jazz, avendo premura di ricevere riconoscimenti accademici, evirandosi però.

Mah, questa è quasi razzista (scherzo, eh!). Il jazz si è emancipato per il suo intrinseco valore, quando anche la cultura più paludata è stata costretta ad ammettere la sua natura di linguaggio artistico completo, in grado di raggiungere tutte le vette espressive, semantiche e metasemantiche; cosa che ho paura il rock non potrà mai essere... o meglio, potrà al massimo ripetere (per mancanza di alternative) esiti già raggiunti nella sua "età dell'oro", che è durata a mio avviso i pochi anni di cui parlavo.

Originariamente inviato da aranciata_bottecchia
Mah..., il rock col jazz c'entra ben poco, ed il blues stesso è coevo e non precedente al jazz, non potendone essere dunque una radice, al più fu un'influenza parallela.
Del rock invece il blues è davvero radice.

Beh, anche questa è veramente strana... il jazz è sicuramente un prodotto del blues, inteso quest'ultimo come raffinamento e rimodellazione dei calls e dei cries e dei canti di lavoro; processo già a buon punto alla fine del XIX secolo (quello che tu definisci "coevo" alla nascita del jazz è il cosiddetto "blues classico", databile intorno al 1920...). Per quel che riguarda la frase di Polillo (io la condivido) ti rimando alla sua bibbia "Jazz" (Ed. Mondadori, si trova a € 9,90...).

Originariamente inviato da aranciata_bottecchia
Un pastone patinato di rara indigeribilità, questo jazz è un prodotto fighetto, studiato a tavolino per l'immaginario collettivo di una ristretta cerchia di neo-fricchettoni new-age in giacca e cravatta.

Beh, io casomai mi definirei un vetero-fricchettone , anche se spesso costretto in giacca e cravatta... però Davide, la tua è una definizione assolutamente apodittica, e come tutte le definizioni di questo tipo mi stuzzica a chiederti degli esempi... valga intanto come controdeduzione forte il fatto che se esiste musica "antinewage" per eccellenza questa è il jazz... la fuffa esoterica o pseudo tale è invece un ambito con cui il rock ha spesso "flirtato"...

Cordialmente in disaccordo quasi su tutto, ti confermo il rispetto e ti saluto...

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/04/2007 alle 12:27
La Classica è morta
il Jazz è morto
e anche il Rock non si sente tanto bene.

 
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  postato il 02/04/2007 alle 12:46
hehe...non la ricordavo esattamente così
 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/04/2007 alle 13:47
Originariamente inviato da Bitossi
Penso di non esporre un pensiero elitario se dico che chi ha gli strumenti per criticare un brano jazz quasi sicuramente li possiede anche per fare lo stesso con un brano rock, mentre il contrario è tutto da dimostrare...


la frase fila che è un piacere anche se sostituisci il verbo "criticare" con il verbo "suonare".

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/04/2007 alle 14:48
Originariamente inviato da Ottavio

La Classica è morta
il Jazz è morto
e anche il Rock non si sente tanto bene.

Il Liscio invece è vivo, e lotta insieme a noi!

 

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  postato il 02/04/2007 alle 14:56
Originariamente inviato da aranciata_bottecchia

Originariamente inviato da cunego

quindi davide tu poni sullo stesso piano per innovazione husker du e stones? sia ben chiaro , io vado pazzo per zen arcade!



Innovazione? Il rock è una storia di contaminazione progressiva che parte da alcune radici precise: il blues ed il rhythm & blues.
Dunque è la storia di un'attitudine, soprattutto, assai lontana da quella della musica lirica, dal melodico moderno dei crooner alla Sinatra, dal jazz mainstream.
Gli Husker Du sono un pilastro dell'espressività rock.
Li cita anche John Zorn tra i ringraziamenti in "Torture Garden".
Zen Arcade è meraviglioso (io sinceramente trovo un notevole divario tra questo capolavoro e tutti gli altri dischi del gruppo).
Ciao!


Si, per innovazione intendevo la capacità di fondere vari generi predecessori, attualmente se ne vede poca in giro.

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/04/2007 alle 19:27
Fiiuu ma questa bella discussione la dovevate fare proprio quando sono stato a Monaco di Baviera?? Mi è toccato rileggere tutto...

X Antonello: Ok, i Radiohead non sono un gruppo Jazz ma nemmeno Rock, nè elettronico, ecc...però prendono a piene mani da tutti i generi, senza escludere alcunchè della musica passata e moderna. La loro forza sta proprio nel non avere limiti di sorta. I Radiohead han fatto un pezzo sfacciatamente Jazz (Life in a glass house) ma nello stesso album ci sono tracce registrate al contrario (Like spinning plates) o elettronica criptica (Pulk/Pull removing doors) che segue una stupenda ballata di piano.
Insomma, i Radiohead, e qui estendo il discorso a tutto quello che si è detto fino ad ora, sono molto probabilmente dei precursori su un futuro musicale che per fortuna è ancora incerto, in un epoca, quella dalla fine del grunge a oggi, di transizione verso un nuovo genere.
Jazz, Classica, Rock non sono morti, ma si trasformano, si reincarnano come se la musica fosse Induista. Se nell'antichità il mezzo più usato di espressione dei sentimenti erano i fiati, dal '700 al 1950 il piano e da allora in poi la chitarra, chissà che domani non sia un oscillatore a rendere al meglio le nostre emozioni, e poi chissà che altre diavolerie inventeranno.
Ciò che non si ferma è la creatività: quella è inisita nell'animo umano e siamo ben lontani dall'aver scoperto tutto, quindi ne ha ancora da vivere.

Tornando sulla terra, è un grosso luogo comune la forte influenza dei Radiohead sui Muse: può star bene per qualcosa del primo album, ma se li si ascolta attentamente in tutte le tranche si nota una maggiore influenza dal rock americano anni '80 e '90 (Sonic Youth e rage against the machine in particolare come ascolti, ma anche Jeff Buckley): per questo e per la loro antitesi col brit-pop spesso e volentieri vengono definiti 'eretici del rock UK', dal quale, oltre ai sovracitati Radiohead prendono solo qualcosina nello stile vocale di Freddie Mercury. Ma la maggiore, e reale influenza in quel che poi è il riconoscibilissimo Muse-Style, va cercata molto più lontano, nella musica classica: Liszt, ma soprattutto il pianista russo Sergei Rachmaninoff. Chi conosce sia lui che i Muse, può notare in parecchie tracce con parti di piano la tremenda somiglianza degli accordi del russo con quelli di Bellamy, che evidentemente deve esserne rimasto affascinato negli studi giovanili. E' importante, perchè Bellmay i pezzi li scrive al piano.

 

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...E' il giudizio che c'indebolisce.

 
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  postato il 02/04/2007 alle 22:01
Mmmm....non scomodiamo Buckley per parlare dei Muse. Non mischiamoli, per favore
Io ti dico solo questo: prova a mettere di fianco Electionering e una qualsiasi canzone degli ultimi 2 album dei Muse. Il cantante canta allo stesso modo di Yorke (ascolta qualsiasi brano, è irritante anche in brani molto diversi, vedi "No surprises"). Gli accordi sono molto simili. Gli arrangiamenti anche. I nervi-a-tutti-i-costi anche.
Che l'influenza dei Radiohead sui Muse sia un luogo comune...beh, mi risulta difficile crederlo. Anche perchè i Muse sono incensati come il più grande gruppo rock del quinquennio, e nessuno li tocca. Difatti non ho mai sentito o letto di qualcuno che parlasse di ispirazione o plagio o citazione.

A me personalmente da' molto fastidio ascoltarli, ben conoscendo (e da molto tempo) i Radiohead. A proposito.. il jazz non c'entra nulla con loro. C'entrano il rock e l'elettronica (il sig. T.Y. si diverte spesso e volentieri con una mezza dozzina di sintetizzatori), non c'entra molto il pop (non è musica popolare) e tantomeno il brit (ce li vedi inseriti nell'eterna disputa tra Blur e Oasis?). L'unico appunto che posso fare loro è di eccedere a volte con elettronica e idee cervellotiche (v. Kid A)

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 03/04/2007 alle 11:23
Originariamente inviato da Subsonico
Ma la maggiore, e reale influenza in quel che poi è il riconoscibilissimo Muse-Style, va cercata molto più lontano, nella musica classica: Liszt, ma soprattutto il pianista russo Sergei Rachmaninoff.


oddio, Liszt ha scritto talmente tanta roba per pianoforte, e talmente tanto varia, che è quasi impossibile, quando si scrive un brano per pianoforte, non trovarvi tracce della sua influenza.
Lo stesso Rachmaninov, in alcune sue composizioni, si rifà esplicitamente a Liszt.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 03/04/2007 alle 14:53
Originariamente inviato da desmoblu

Mmmm....non scomodiamo Buckley per parlare dei Muse. Non mischiamoli, per favore


Nessuno li mischia: è lo stesso Bellamy a parlare di Buckley come fonte d'ispirazione.
E cmq (dei radiohead) mai sentito 'Life in a glass house'? Se non è quello nemmeno minimamente Jazz....

 

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  postato il 03/04/2007 alle 15:00
Beh, non basta fare un pezzo con sonorità Jazz per essere una band jazz.

E in quanto a Bellamy...lui può dire quel che vuole, ma Buckley rimane su un altro pianeta. Senza offesa per nessuno.
Poi si sa che i musicisti quando devono parlare di se stessi asgerano sempre un po', e spesso vanno a scegliere genealogie più o meno credibili. Se senti ad esempio le vibrazioni che dicono di ispirarsi a Bob Dylan Beatles Stones e Zeppelin, tu che dici?
Spesso poi "fa cultura" scomodare certe figure, anche se di influenza reale ce n'è poca..

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 03/04/2007 alle 15:14
Originariamente inviato da desmoblu

Beh, non basta fare un pezzo con sonorità Jazz per essere una band jazz.

E in quanto a Bellamy...lui può dire quel che vuole, ma Buckley rimane su un altro pianeta. Senza offesa per nessuno.
Poi si sa che i musicisti quando devono parlare di se stessi asgerano sempre un po', e spesso vanno a scegliere genealogie più o meno credibili. Se senti ad esempio le vibrazioni che dicono di ispirarsi a Bob Dylan Beatles Stones e Zeppelin, tu che dici?
Spesso poi "fa cultura" scomodare certe figure, anche se di influenza reale ce n'è poca..


E chi ha parlato di band Jazz? io ho detto che han fatto del Jazz, punto. Anche se è una canzone (e qualche sprazzo sparso) e non un album.

 

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  postato il 03/04/2007 alle 15:19
appunto: hanno suonato un pezzo con sonorità jazz, ma non hanno suonato jazz. E' una differenza che altri utenti certamente più preparati di me sapranno spiegarti bene. In ogni caso mi sono espresso in modo incompleto, hai ragione.
 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 03/04/2007 alle 18:58
Bastaaaa! ci siamo arenando su delle fesserie

Skrezi a parte, ultimo ascolto: "Requiem" dei Verdena. Ci sono gruppi che copiano altri e gruppi che prendono per creare: i Verdena fanno parte della 2° specie. In "Reqiuem" ci sono, oltre ai soliti accostamenti coi Nirvana, grossi echi di White Stripes prima maniera, qualche accordo alla Muse ma sopratutto ampi passaggi di progressive (2 canzoni fiume: bella 'Il gulliver', 'sotto prescrizione del dottor huxley' molto meno) e altre aperture agli anni '70, con tanto di Pagani all'organetto. I testi come al solito incomprensibili, anche se l'album è un mezzo concept sulla morte (in chiave ironica) ci sono riferimenti un po' meno velati ('Canos' sa di ecologismo, 'Don Calisto' di attacco alle crociate, passate e moderne. Ultimo ma non ultimo, 'Non prendere l'acne, Eugenio'. Si può fare una canzone sull'acne scrivendo :"Un volo nel pus/in testa a godzilla/tra le sue ciglia?"
Analisi: Verdena, folli, ma piacevoli. Un album che richiede però parecchi ascolti.

 

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  postato il 03/04/2007 alle 22:26
i Verdena sono anche in copertina sul numero di aprile di rumore.
Ci sono sabato in un locale qui vicino: che faccio, vado?

 
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  postato il 03/04/2007 alle 22:42
Ma si vai, non sono male. E soprattutto sono molto meno sponsorizzati di altri, meno validi ma più mtv-style.
 
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  postato il 04/04/2007 alle 11:23
Originariamente inviato da desmoblu

Ma si vai, non sono male. E soprattutto sono molto meno sponsorizzati di altri, meno validi ma più mtv-style.


Da quel che ho letto poi, live rendono bene ed il batterista non sbaglia niente.

 

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  postato il 04/04/2007 alle 15:04
ma la musica classica (e/o lirica)?
Non piace a nessuno?
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  postato il 04/04/2007 alle 15:26
Originariamente inviato da antonello64

ma la musica classica (e/o lirica)?
Non piace a nessuno?
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Lirica no.
Classica ascolto volentieri Beriloz, anche se non so se si scrive così

 

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  postato il 04/04/2007 alle 16:27
Anch'io la lirica la digerisco poco... mi sembra molto artefatta e anacronistica. Ascolto invece musica classica, non di frequentissimo, ma..
 
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  postato il 04/04/2007 alle 16:47
Originariamente inviato da Subsonico

Originariamente inviato da antonello64

ma la musica classica (e/o lirica)?
Non piace a nessuno?
(a parte il solito Bitossi)


Lirica no.
Classica ascolto volentieri Beriloz, anche se non so se si scrive così

Piccolo anagramma: Berlioz (Hector... immagino ti piacciano la Sinfonia Fantastica e Harolde en Italie).
Per quel che riguarda Rachmaninoff, ho persino due dischi dove suona lui stesso... tra cui il terribile (in senso tecnico) "Rach 3" (Concerto per piano e orchestra n. 3) reso famoso dal film "Shine".
In quanto alla lirica, non è proprio la mia prima scelta, però consiglio a tutti di fare qualche piccolo sforzo e provare ad ascoltare almeno le opere maggiori: ad esempio quelle di Puccini (Tosca, Turandot) sono musicalmente di una modernità straordinaria.

E, per dimostrare che la musica non ha confini, terminiamo in bellezza coi Verdena: se vi interessa, c'è una recensione anche sul numero di aprile di Blow Up (una rivista per me quasi illeggibile... ).

 

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  postato il 04/04/2007 alle 16:48
e lucean le stelle
ed olezzava la terra
stridea l'uscio dell'orto
un passo sfiorava l'arena
entrava ella fragrate
mi cadea tra le braccia

o dolci baci o languide carezze
mentr'io fremente
le belle forme disciogliea dai veli
svanì per sempre il sogno mio d'amore
l'ora è fuggita e muoio disperato
e muoio disperato
e non ho amato mai tanto la vita
tanto la vita


 
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  postato il 04/04/2007 alle 16:57
Originariamente inviato da Ottavio

e lucean le stelle
ed olezzava la terra
stridea l'uscio dell'orto
un passo sfiorava l'arena
entrava ella fragrate
mi cadea tra le braccia

o dolci baci o languide carezze
mentr'io fremente
le belle forme disciogliea dai veli
svanì per sempre il sogno mio d'amore
l'ora è fuggita e muoio disperato
e muoio disperato
e non ho amato mai tanto la vita
tanto la vita


Una romanza straordinaria, in uno tra i capolavori musicali del '900... anzi forse era proprio dell'anno 1900 esatto, no?

 

[Modificato il 04/04/2007 alle 17:01 by Bitossi]

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  postato il 04/04/2007 alle 17:16
Originariamente inviato da Subsonico

Originariamente inviato da antonello64

ma la musica classica (e/o lirica)?
Non piace a nessuno?
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Lirica no.
Classica ascolto volentieri Beriloz, anche se non so se si scrive così


Berlioz e basta?

 

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  postato il 04/04/2007 alle 17:31
Originariamente inviato da Bitossi
Piccolo anagramma: Berlioz (Hector... immagino ti piacciano la Sinfonia Fantastica e Harolde en Italie).
Per quel che riguarda Rachmaninoff, ho persino due dischi dove suona lui stesso... tra cui il terribile (in senso tecnico) "Rach 3" (Concerto per piano e orchestra n. 3) reso famoso dal film "Shine".
In quanto alla lirica, non è proprio la mia prima scelta, però consiglio a tutti di fare qualche piccolo sforzo e provare ad ascoltare almeno le opere maggiori: ad esempio quelle di Puccini (Tosca, Turandot) sono musicalmente di una modernità straordinaria.



Puccini non è tra i miei favoriti.
La mia preferita è la Norma di Vincenzo Bellini.
Poi Verdi (Traviata e Rigoletto), Rossini (Barbiere di Siviglia e, strepitoso, il Guglielmo Tell) e Mozart (Le Nozze di Figaro, anche se nelle opere mozartiane ci sono troppi recitativi).
Un grande compositore, che mi piace molto ma che non riesco mai ad ascoltare come si dovrebbe, è Wagner: le sue opere sono lunghissime ed i versi in tedesco di certo non aiutano l'ascolto.
Anni fa comprai il cofanetto della Tetralogia e ancora non sono riuscito a sentirmelo come si deve.
Infine il Fidelio di Beethoven: l'ho ascoltato una volta sola, mi piacque, ma sinceramente non me lo ricordo.

 

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  postato il 04/04/2007 alle 17:32
Bitossi,
La Tosca (prima rappresentazione 1900) è la mia opera preferita, ma mi piace in generale molto Puccini, oltre alle opere di Verdi e Mozart.

Sono un pò refrattario alla musica sinfonica e cameristica, ma più per scarsa conoscenza che per questione di gusti. Infatti per poter apprezzare la musica ho bisogno di approfondirne la conoscenza, come ho fatto per rock e jazz e non per la classica.
Comunque mi piace Mozart (il Requiem e la Jupiter su tutte), le sinfonie di Beethoven, ovviamente, e i concerti per piano di Chopin.
Ho poi una vera passione per Satie, anche se so che alcuni "pasdaran" della musica classica lo snobbano.

Inoltre aver ascoltato per anni mia sorella fare esercizi al piano per diplomarsi al Conservatorio, non mi ha aiutato!

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 04/04/2007 alle 23:39
Originariamente inviato da antonello64

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Originariamente inviato da antonello64

ma la musica classica (e/o lirica)?
Non piace a nessuno?
(a parte il solito Bitossi)


Lirica no.
Classica ascolto volentieri Beriloz, anche se non so se si scrive così


Berlioz e basta?


E' difficile per me trovare piacere in un po' tutta la musica classica, sia perchè essendo ripresa spesso nella modernità perde di freschezza, sia perchè amo tantissimo le percussioni e quasi non riesco a concepire la musica senza.
la lirica la ascoltavo da Piccolo per via di una raccolta della Callas fatta dal Corriere della Sera...non ho mai avuto in simpatia la canzone lirica (peccato perchè alcune operette di Puccini son carinissime): per me è come il body buliding, un astrazione più dannosa che utile voluta dalla mente sul corpo umano. Sulla musica vale il discorso della classica.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 05/04/2007 alle 00:23
Originariamente inviato da Bitossi

E, per dimostrare che la musica non ha confini, terminiamo in bellezza coi Verdena: se vi interessa, c'è una recensione anche sul numero di aprile di Blow Up (una rivista per me quasi illeggibile... ).


Beh, complimenti se "quasi" riesci a leggerla: a mio avviso servirebbero un paio di lauree per riuscire a decifrare gli articoli

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 05/04/2007 alle 01:50
Originariamente inviato da Bitossi
Penso di non esporre un pensiero elitario se dico che chi ha gli strumenti per criticare un brano jazz quasi sicuramente li possiede anche per fare lo stesso con un brano rock, mentre il contrario è tutto da dimostrare...


É un tuo pensiero, dunque tu lo definirai élitario solamente se considererai te stesso parte di una élite.
Io non baratterei un brano di Billie Holiday con tutta la discografia di Miles Davis, dunque faccio sicuramente parte di una élite.
In verità non baratterei nemmeno un blues di Sleepy John Estes con tutta la discografia di Miles Davis, dunque sono strettamente élitario, molto probabilmente l'élite della quale faccio parte si riduce a me medesimo, circostanza della quale non me ne frega niente.

Ecco, nella vostra discussione precedente avete tralasciato l'elemento considerato ormai distintivo del jazz, e cioè il suono come centro nodale dal punto di vista espressivo


Ma và, è falso, il suono è il perno centrale del rock, non lo è più da tanto tempo per il jazz, che invece è perso nel suo segaiolo e nauseante fraseggio, con un suono sempre più "world" e paradossalmente "classicamente europeo".
Mille volte meglio il vecchio King Oliver che la massa di merdoni togati di un jazz tenuto in vita dagli assessori delle località turistiche.

Beh, anche questa è veramente strana... il jazz è sicuramente un prodotto del blues, inteso quest'ultimo come raffinamento e rimodellazione dei calls e dei cries


Ma no, suvvia, la francofona e cattolica New Orleans non proibì mai, a differenza di quanto fecero gli agricoltori protestanti, la conservazione dei riti religosi e del linguaggio poliritmico tipico delle coste africane (nelle quali i cries sono assenti). Congo Square fu per secoli un laboratorio di elaborazioni di tradizioni poliritmiche africane, applicate poi alle marce europee.
La realtà del Mississippi, del Texas, del Tennessee, dell'Alabama, delle pendici meridionali degli Appalachi, fu radicalmente diversa.
Diversa era anche l'origine degli schiavi: sudanici quelli che ritroviamo nelle piantagioni protestanti, costieri quelli della Lousiana francese.

La nascita del blues è collocabile tra il 1890 ed i primi del 1900.
Negli stati protestanti, sotto pressante richiesta delle comunità di mormoni, l'evangelizzazione degli schiavi cominciò nei primi dell'800.
Gli schiavi del sud per quasi due secoli furono privati di qualsiasi veicolo d'espressione religiosa.
New Orleans non visse questo problema, divenne la terra del voodoo, commistione di cristianesimo e paganesimo, vide la nascita quasi immediata di una borghesia creola (liberti figli di padroni bianchi e schiave nere), spesso colta e residente nel vieux carré della città.
Contesti differenti, musiche differenti: blues e jazz, coevi.

Un salutone!

 

[Modificato il 05/04/2007 alle 02:09 by aranciata_bottecchia]

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Davide

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 07/04/2007 alle 14:16
credo che l'avrete senz'altro nominata...se nn lo avete fatto lo faccio io

l'inno dello sport HEROES di David Bowie

 

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"Qui devi spingere con le tue gambe vecio" Davide Cassani a Gilberto Simoni alla ricognizione di Plan De Corones

"Signori non c'è ne sono più" Gilberto Simoni ad Aprica 2006

Il mio nome è Roberto che fa rima (guarda un pò che caso) con Gilberto

30 maggio 2007 ultima vittoria al giro sullo Zoncolan. 30 Maggio 2010 la fine di un lungo sogno duranto 15 anni fatto di tante gioie e tante delusioni, grazie di tutto Gibo!



 
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  postato il 07/04/2007 alle 18:53
Subsonico: ascoltato il nuovo singolo dei Verdena, mi convince non moltissimo.... sembra E-pro di Beck!
 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 07/04/2007 alle 19:14
A ragà, i NOT MOVING! peraltro miei concittadini!
 
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  postato il 08/04/2007 alle 17:54
Ma quì nessuno ascolta Progressive, Techno, Trance, Hardtrance, Hardstyle, Schranz, Hardcore?...
 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 08/04/2007 alle 18:41
Originariamente inviato da desmoblu

Subsonico: ascoltato il nuovo singolo dei Verdena, mi convince non moltissimo.... sembra E-pro di Beck!


Il singolo, in effetti, c'entra poco col resto dell'album...però è molto orecchiabile, nonostante sia una canzone dei verdena.

 

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  postato il 09/04/2007 alle 00:32
Originariamente inviato da aranciata_bottecchia
Io non baratterei un brano di Billie Holiday con tutta la discografia di Miles Davis, dunque faccio sicuramente parte di una élite.
In verità non baratterei nemmeno un blues di Sleepy John Estes con tutta la discografia di Miles Davis…

Devo dedurne che non ti piace Miles Davis?

Vedi Davide, dalla nostra simpatica discussione mi pare di capire che ci riferiamo a fonti differenti, e che forse usiamo alcuni termini con sfumature diverse…

Per esempio in questo caso:

Ma và, è falso, il suono è il perno centrale del rock, non lo è più da tanto tempo per il jazz, che invece è perso nel suo segaiolo e nauseante fraseggio, con un suono sempre più "world" e paradossalmente "classicamente europeo".

Il grande musicista jazz (a maggior ragione perché il jazz è musica in parte interpretativa) si distingue precipuamente per la personalità ed originalità del “suo” suono… Se ci fosse un “suono jazz” a cui riferirsi, questo assioma diventerebbe una contraddizione in termini; se non ci fosse la variabile suono, nell’esecuzione di uno standard probabilmente non riuscirei a distinguere Paul Desmond da Fausto Papetti (cavolo, che esempio!!!), e via dicendo…

E mica lo dico io: “L’estetica jazzistica poggia sostanzialmente sul parametro timbrico: il suono diventa ed è senso, superando e annullando la distinzione posta dalla semiotica generale…”
oppure
“L’importanza attribuita al timbro nella musica jazz è tale da rappresentarne un attributo prioritario: prima ancora del fraseggio, del senso ritmico e o melodico, delle doti compositive, si tende ad identificare il suono..."
(L. Cerchiari, “Il Jazz - ecc.”, Ed. Bompiani 2005)

Quindi, se questo è vero, quello che tu tanto denigri (aspetto sempre degli esempi) non è jazz !
Più seriamente, queste considerazioni mi sembrano valere a maggior ragione al giorno d’oggi: proprio perché non ci sono correnti trainanti, nuove scuole o teorie, i grandi musicisti jazz odierni (ah, già, ma non ne esistono…) si distinguono anche e forse soprattutto per la cura e la personalità del suono.
Perché poi tu lo contrapponga al “fraseggio”, come se la presenza di uno annullasse automaticamente l’altro, mi suona proprio oscuro…
Non capisco pure come si possa parlare del suono (almeno nell’accezione di cui parlo) come prima preoccupazione del rock… a me sembra (nella media, come sempre) che invece il suo punto focale principale sia la ricerca di una certa immediatezza sonora, spesso a carattere espressionistico, che va a scapito di altre componenti espressive… Al massimo si può parlare di “sound” riconoscibile generato da alcune band o musicisti, ma non della cura della “propria voce”…
Certo, nella storia del rock qualche esempio diverso c‘è stato (mi vengono in mente i Faust, Zappa, qualcosa della scuola di Canterbury), ma da qui a dire che il suono sia il suo punto nodale…

E veniamo alla questione blues:
La nascita del blues è collocabile tra il 1890 ed i primi del 1900.
Negli stati protestanti, sotto pressante richiesta delle comunità di mormoni, l'evangelizzazione degli schiavi cominciò nei primi dell'800.
Gli schiavi del sud per quasi due secoli furono privati di qualsiasi veicolo d'espressione religiosa.
New Orleans non visse questo problema, divenne la terra del voodoo, commistione di cristianesimo e paganesimo, vide la nascita quasi immediata di una borghesia creola (liberti figli di padroni bianchi e schiave nere), spesso colta e residente nel vieux carré della città.
Contesti differenti, musiche differenti: blues e jazz, coevi.
Un salutone!

Secondo me dobbiamo distinguere almeno tre significati del termine blues:
- Il primo legato al genere (che credo sia la causa del nostro fraintendimento): i due generi (blues “classico” e jazz “classico”) si formano e camminano parallelamente, nel corso dei decenni tengono qualche punto di contatto, ma sostanzialmente sono ambiti facilmente distinguibili.
- Il secondo legato alla forma compositiva: il blues AAB e derivati (che trova origine in una sorta di forma canzone, di origine non chiara, un “lamento” più laico ed individualista, qui hai ragione, dei canti religiosi e di lavoro), è un tipo di composizione usatissimo nel jazz (ad anche spesso nel rock). Tanto per fare degli esempi concreti, “Freddie Freeloader” e “All blues” (ma va?) del tuo amico Miles Davis sono dei blues…
- Il terzo (che io intendevo come contributo alla creazione e alla definizione del jazz), lo potremmo definire “stile” o “periodo” del jazz. In altre parole, prima di contribuire a far nascere i due “generi”, il blues, non ancora genere, incontra tutti gli altri elementi costitutivi del jazz e crea un abbozzo di jazz “pre-ragtime”.

Ancora Cerchiari, addirittura in una tabella (pagg. 162/163 del medesimo saggio), data lo stile in questione tra il 1850 e il 1900.
Del resto lo conferma in altra parte del volume “Quanto detto sottolinea il carattere di stretta continuità tra il blues e il jazz, avvenuta anche – come passaggio intermedio - grazie alla fase del blues jazzistico…”
Franco Fayenz: “Le forme sintetiche e finali del folclore musicale nero americano che precedono il jazz (siamo già, a questo punto, nella seconda metà dell’ottocento) sono il blues e il ragtime…"(La musica jazz, Il saggiatore, 1996)
E infine la Bibbia: “In verità nel blues, più ancora che in altri folk songs neri, sono evidenti alcune caratteristiche costanti (...) che costituiscono i presupposti della musica jazz..." (Arrigo Polillo, Jazz, Mondadori 1975).

Questo non per citazionismo (ce ne avrei molte altre…), ma spero per contribuire a rimettere le cose a posto.

Mille volte meglio il vecchio King Oliver che la massa di merdoni togati di un jazz tenuto in vita dagli assessori delle località turistiche.

Ecco, anche questa frase mi fa pensare che tu nel jazz, almeno quello odierno, identifichi musicisti come Wynton Marsalis e affini: il jazz è invece soprattutto (anche oggi) storia di musicisti preparati e originali, sottopagati ed incompresi, di attenzione mediatica pressoché nulla: attitudine in cui l’Italietta dei giorni nostri naturalmente eccelle (mentre non sa di possedere tra i migliori musicisti del pianeta).
Penso proprio che di “assessori di provincia” ce ne dovrebbero essere di più…

Naturalmente ricambio i saluti!


PS: grande Ballan!

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 09/04/2007 alle 03:55
Originariamente inviato da Bitossi
Devo dedurne che non ti piace Miles Davis?


In questi giorni sto ascoltando Black Beauty.


Il grande musicista jazz (a maggior ragione perché il jazz è musica in parte interpretativa) si distingue precipuamente per la personalità ed originalità del “suo” suono…


Questi sono termini generici, riferibili al jazz nel suo intero corso e non alla sua versione contemporanea in particolare.
Oltretutto anche un rocchettaro di poca esperienza dopo un po' riconoscerebbe la personalità e l'originalità di chitarristi come Keith Richards piuttosto che John Fogerty o Pete Townshend.
Altro discorso è parlare dell'"emissione jazzistica" del suono.

La formazione jazzistica del suono ed il fraseggio jazzistico sono antitetici. Nel vecchio New Orleans jazz esisteva un modo di fraseggiare che corrispondeva ancora in larga misura alla musica europea popolare e da circo. D'altro canto era molto ben pronunciata la tipica formazione jazzistica del suono. In nessuna fase della musica jazz vi è stato un solo musicista importante che avesse avuto una formazione puramente europea del suono, tuttavia la formazione jazzistica del suono e la formazione del suono della musica europea si sono avvicinate. Invece il fraseggio jazzistico andava acquisendo sempre maggiore importanza. Grazie ad esso il jazz moderno è tanto distante dalla musica europea quanto quello vecchio per la formazione del suono.
Joachim Berendt - Il nuovo libro del jazz, 1953-1992, Vallardi £28000 (incluso nella bibliografia del libro "Jazz" di Arrigo Polillo, copia che pagai £22000).

Mi ritrovo in questa esposizione: non nego affatto che quello contemporaneo sia jazz, ho cercato di spiegare cosa del jazz contemporaneo non mi piace ed ho cercato di spiegare il valore che per me hanno le influenze non tanto della tradizione in termini generici (una tradizione può essere anche accademica, di conservatorio), ma l'importanza della tradizione popolare, il cui peso è riscontrabile, per il caso in questione, soprattutto nella formazione del suono più che nel fraseggio, mentre quest'ultimo contraddistingue le forme moderne e soprattutto contemporanee di jazz (altra cosa è la personalità del suono: esso può essere personale anche esclusivamente per il fraseggio).
Ovviamente ho cercato di spiegarlo con i miei mezzi limitati, non può essere diversamente.

Quanto a questa citazione:
“L’importanza attribuita al timbro nella musica jazz è tale da rappresentarne un attributo prioritario: prima ancora del fraseggio, del senso ritmico e o melodico, delle doti compositive, si tende ad identificare il suono..."

sembrerebbe dare ragione a me: la stragrande maggioranza del jazz contemporaneo, anteponendo il fraseggio alla formazione del suono, produrrebbe un jazz di serie B.
In verità mi sembra una definizione parecchio limitante, castrante direi.

Secondo me dobbiamo distinguere almeno tre significati del termine blues:


No no no, non ci siamo, di questo passo dovremmo accettare il fatto che i Radiohead suonano jazz.

Il terzo (che io intendevo come contributo alla creazione e alla definizione del jazz), lo potremmo definire “stile” o “periodo” del jazz. In altre parole, prima di contribuire a far nascere i due “generi”, il blues, non ancora genere, incontra tutti gli altri elementi costitutivi del jazz e crea un abbozzo di jazz “pre-ragtime”.


Ti ho spiegato perchè definizioni di questo tipo non mi convincono affatto, le trovo sempliciotte perchè sono differenti i contesti nei quali si sviluppa il jazz e nel quale si sviluppa questo proto-blues (spirituals, work songs, negro ballads, hollers, presumo).
Tradizioni differenti, premesse differenti, strumenti differenti, sviluppi differenti (il jazz per esempio si accorgerà delle blue-notes solo con la "flatted fifth" del be-bop).

E infine la Bibbia: “In verità nel blues, più ancora che in altri folk songs neri, sono evidenti alcune caratteristiche costanti (...) che costituiscono i presupposti della musica jazz..." (Arrigo Polillo, Jazz, Mondadori 1975).


Nello stesso libro, nel capitolo sulla New Orleans d'inizio secolo, Polillo scrive:
pare che debba essere riconosciuto a Bolden (e anche, secondo alcuni, al chitarrista Charlie Galloway, suo coevo), il merito di avere utilizzato per primo, nelle esecuzioni orchestrali, materiale tratto dal folklore musicale negro-americano.

Lo stesso capitolo è illuminante per capire come nulla di quanto accadde a New Orleans fosse paragonabile ad altre realtà geografiche, che ovviamente in breve tempo subirono invece l'influenza di questa scuola.
Vi si legge come fosse nell'aria la nascita della musica improvvisata, ma si legge anche che gli spirituals e le negro ballads (non i blues, che nascevano in quegli stessi anni tra Yazoo e Mississippi) non erano repertorio consueto, dunque popolare, ma furono introdotti per iniziativa di un qualche musicista!
Gli spirituals furono usati come canovaccio per le prime improvvisazioni a New Orleans esattamente come accadde con il ragtime o le marce italiane o francesi o inglesi. L'improvvisazione e la formazione del suono non derivano dal blues, dunque, ma sono un parto genuino dei fermenti di New Orleans.
Il blues invece nacque con le leggi "Jim Crow" sulla segregazione razziale, quando le carceri si riempirono e cominciarono i grandi flussi migratorii dal sud verso il nord, tra 1890 e 1910, praticamente coevo all'epoca nella quale a New Orleans nasceva il jazz.
Trovo corretto affermare che blues e jazz non sono consequenziali ma hanno una parte delle radici in comune (nemmeno tutte).
Altro discorso è osservare come si siano intrecciati e incrociati i due generi musicali. Charlie Parker è contemporaneamente immenso jazzista e immenso bluesman.

Ciao

 

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Davide

 
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Livello Fausto Coppi




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Registrato: May 2006

  postato il 12/04/2007 alle 02:28
Originariamente inviato da aranciata_bottecchia
In questi giorni sto ascoltando Black Beauty.

Notevole disco, anche se tendo a preferire leggermente la formazione di qualche mese dopo, con Keith Jarrett.
Bella la rielaborazione del materiale dei primi tre dischi del Davis elettrico; mi piace in particolare l’incedere di “Spanish key”, da cui Robert Wyatt “prese in prestito” il ritmo, nel brano “To mark everywhere” del magico e coraggioso “The end of an ear”.


La formazione jazzistica del suono ed il fraseggio jazzistico sono antitetici…

Ah ecco, era Berendt… mah… comunque sta parlando del jazz a lui contemporaneo; essendo stato scritto nel 1953 il testo identificherebbe quindi un processo già terminato a quel tempo… ma forse comincio a capire… perciò anche musicisti come Davis, Rollins e Coltrane (giusto per fare degli esempi di musicisti “moderni”) rientrerebbero nel novero dei jazzisti che “fraseggiano” a scapito della “purezza” del suono folclorico originario…
Se è così, non nego che la frase mi potrebbe anche convincere.

Secondo me dobbiamo distinguere almeno tre significati del termine blues:
No no no, non ci siamo, di questo passo dovremmo accettare il fatto che i Radiohead suonano jazz.

Come non ci siamo, dai… e poi mo’ che c’entrano i Radiohead?
Comunque non intendevo certo fondare un nuovo culto della SS. Trinità: dando per scontato che la parola definisce sia un genere musicale ancora attuale, sia una forma tipica di composizione, leggo poi in tutti i testi storico/critici di influenze “co-fondative” del blues rispetto al jazz (le citazioni che riportavo, ma ce ne sono altre…). E allora la domanda è: ma perché tutti (ho scelto solo i più famosi, almeno in campo italiano) scrivono più o meno la stessa cosa? Quali sono le loro fonti?
Perché Polillo esprimerebbe un concetto simile? Evidentemente si rifà a fonti americane, o vogliamo pensare fosse un disinformato?

Ti ho spiegato perchè definizioni di questo tipo non mi convincono affatto, le trovo sempliciotte…

Saranno sempliciotte, ma, ripeto, sono parole di storici, critici e saggisti affermati.
Intendiamoci, non che tutto sia trattato con assoluto rigore scientifico… il meccanismo di alcuni “incontri” e reciproche influenze tra culture/tradizioni musicali diverse è a volte lasciato all’immaginazione… ma non credo in materia sia possibile fare diversamente, vista la non facile ricostruzione dei “giochi”. Non sono nemmeno necessariamente tutti autori con cui sento particolari consonanze (anzi, ad essere sinceri “a pelle” Fayenz mi sta proprio antipaticuzzo…), ma tant’è…
Alla fin fine, quello che è secondo me ipotizzabile è una sorta di costante latenza del blues, sia a livello formale, sia a livello di “approccio”, che interagisce con altre forze (inizialmente più visibili), e permea la storia del jazz degli albori…

Tradizioni differenti, premesse differenti, strumenti differenti, sviluppi differenti (il jazz per esempio si accorgerà delle blue-notes solo con la "flatted fifth" del be-bop).

Beh, però le blue-notes dovrebbero essere (rapportate al nostro sistema tonale) quelle sul 3° e 7° grado, che i proto-bluesman, facendo per istinto riferimento ad una scala pentatonica africana, facevano fatica a “percepire” nel canto e tendevano ad abbassare (a volte centrando un “tono di mezzo” non presente nel nostro sistema)…

Nello stesso libro, nel capitolo sulla New Orleans d'inizio secolo, Polillo scrive:
pare che debba essere riconosciuto a Bolden (e anche, secondo alcuni, al chitarrista Charlie Galloway, suo coevo), il merito di avere utilizzato per primo, nelle esecuzioni orchestrali, materiale tratto dal folklore musicale negro-americano.

Appunto, scusa, due righe più sotto si dice: “A lui comunque la tradizione attribuisce la paternità dell’hot blues, e cioè del blues eseguito orchestralmente, con variazioni improvvisate”.
Quindi?

Comunque, non dimentichiamo che questa parte della discussione trova origine (almeno per me) in questa frase (così riassumiamo un po' il discorso...):

Mah..., il rock col jazz c'entra ben poco, ed il blues stesso è coevo e non precedente al jazz, non potendone essere dunque una radice, al più fu un'influenza parallela.
Del rock invece il blues è davvero radice.

Certo che il rock col jazz c’entri poco (stiamo parlando di generi, ma anche forse di diversi “punti di vista”, non solo musicali…); però Polillo lo definisce “un derivato spurio del jazz” (sono andato a rivedermi la frase, pag. 289), proprio alla luce delle comuni origini blues e della condivisione delle armonie blues e r&b (pag. seguente).

Termino col confermarti l’interesse e la serietà di questo dibattito, però sento anche lo scrupolo di non annoiare nessuno (a maggior ragione in un forum di ciclismo!).
Penso pure che il gusto personale sia "sacro" e che in questo campo non siano produttive posizioni assolute.
Quindi prometto, come nella migliore tradizione delle scuole rabbiniche, di provare a sostenere anche una posizione diversa; perciò il mio prossimo intervento sarà dedicato ad un disco rock degli ultimi anni che mi abbia colpito veramente…

 

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"...Ogni volta che vedo un adulto in bicicletta, penso che per la razza umana ci sia ancora speranza..." (H.G. Wells)

 
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