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Internet, legislazione e libertà di espressione
Admin - 12/02/2009 alle 13:56

http://zambardino.blogautore.repubblica.it/2009/02/12/google-italia-e-lemendamento-dalia-una-legge-ad-aziendam-che-colpisce-la-liberta/#comments Si sa che il governo (specie QUESTO governo) ha in uggia la grande libertà di espressione che vige sul web, e quindi giù vincoli, paletti, leggi, regolamenti, giri di vite sui contenuti che si trovano su internet e quant'altro. Dove arriva la libertà d'espressione e dove inizia invece l'arbitrio di chi dovrebbe controllare? Ma soprattutto, sarà effettivamente possibile una forma di controllo, o tutto si risolverà come al solito all'italiana? Qualche giorno fa, sul tema, avevo anche letto il contributo di Grillo sul suo blog: http://www.beppegrillo.it/2009/02/caro_beppee_da/index.html Che ne pensate? D'Alia è un cognome destinato a diventare e restare tristemente famoso, o gli interventi a gamba tesa sul web, siccome improntati a una filosofia diametralmente opposta a quella che regola la rete, saranno destinati a fallire miseramente?


Subsonico - 12/02/2009 alle 14:50

L'uomo che riuscirà a limitare la libertà in rete deve ancora nascere. E certo non è tra i bambacioni di questo governo, che in quanto a quoziente intellettivo non superano uno studente universitario. Censurate questo, imbecilli!


antonello64 - 13/02/2009 alle 00:10

controllare la rete è un utopia. Scrivere una legge è facile, applicarla è tutta un'altra cosa. Ma ho l'impressione che tanti parlamentari questo problema neanche se lo pongano: loro scrivono e poi pazienza se dal lato pratico quelle norme daranno più fastidi che vantaggi.


Salvatore77 - 13/02/2009 alle 08:30

Controllare internet è impossibile. Io vedo che i monopoli di stato non riescono ad oscurare tutti i siti di scommessi non certificati, e non credo che siano più di qualche centinaio, figuriamoci se mai si riuscirà a controllare internet che è composto e alimentato da milioni e milioni di siti ed operatori. Discorso diverso è invece produrre una legislazione specifica per ogni settore che ha poi una certa proiezione su internet. Mi spiego: come dicevo prima, occorre potenziare la legge che proibisce i siti esteri sui quali si può scommettere, ma questo serve ad eliminare il 90% del problema. occorre disciplinare per bene la legge sulle testate giornalistica e sull'editoria, così si evita il proliferare di siti che fanno informazione, senza avere un direttore responsabile iscritto all'albo dei pubblicisti o dei giornalisti, ma questo servirà ad eliminare parte del problema. Internet non verrà mai imbrigliato completamente dal controllo delle autorità, ne sono sicuro.


Admin - 13/02/2009 alle 16:39

[quote][i]Originariamente inviato da Salvatore77 [/i] occorre disciplinare per bene la legge sulle testate giornalistica e sull'editoria, così si evita il proliferare di siti che fanno informazione, senza avere un direttore responsabile iscritto all'albo dei pubblicisti o dei giornalisti, ma questo servirà ad eliminare parte del problema.[/quote] Tu parti da un presupposto che io non do per scontato, visto che sono per natura contrario ad albi, ordini e quant'altro trasformi un gruppo di professionisti in persone facenti parte di una casta (sì, lo so che ora il termine è abusato, ma facevo questi discorsi con queste parole anche 10 anni fa), con privilegi che secondo me non hanno nessuna ragion d'essere. [quote]Internet non verrà mai imbrigliato completamente dal controllo delle autorità, ne sono sicuro. [/quote] Mi pare che in Cina ci si riesca piuttosto bene...


Salvatore77 - 13/02/2009 alle 21:26

Anch'io in effetti sono abbastanza contrario agli albi anche se per la natura del mio lavoro sono costretto a farne parte. Al di là dell'esempio del giornalismo che trova davvero tante eccezioni su internet, credo che il presupposto ora (forse domani no) è che per fare informazione è necessario fare parte di quegli albi sopra citati e quindi è necessario garantire coloro che si sono adeguati a tali dettami, non sia danneggiato da chi senza il rispetto delle normative vigenti, svolge l'attività di giornalismo. L'editoria cartacea ha determinati vincoli, forse troppi a mio avviso, ma dopo tutto di quello che è su carta rimane traccia ed è più facile risalire a chi ha scritto e l'editore, quindi in caso di querele, magari per notizie false che possono danneggiare le persone, la legge ha degli strumenti per risalire ai responsabili e sanzionare le loro azioni. Su internet invece posso divulgare notizie magari false o semplicemente gonfiate, poi dopo alcuni minuti far perdere le tracce di ciò che avevo scritto. Credo che questo non sia giusto, ma non so come si può arginare tale fenomeno. Mi chiedo: quali solo le notizie che un giornalista può scrivere e un cittadino qualunque no? Quello dell'editoria, come dicevo prima, è solo un esempio. Io come utente cerco di informarmi tramite sito in base a mie sensazioni personali, lo stesso vale per l'intrattenimento ed altro ancora, se tutto il resto di cui non mi interessa è "monnezza" poco mi tange. Ma nel mondo non siamo mica poi tutti razionali in egual misura e sapere che in certi siti si può accedere a cose a cui non si dovrebbe, non è una bella tentazione?


UribeZubia - 24/04/2009 alle 02:08

Credo che sarebbe ormai ora di abolire l'albo e l'ordine dei giornalisti. 'Abusivo': a giudizio il giornalista antimafia Repubblica — 31 marzo 2009 pagina 8 sezione: PALERMO GIORNALISTA antimafia, ma senza tesserino. L' otto maggio sarà processato per esercizio abusivo della professione giornalistica Pino Maniaci, 56 anni, conduttore di Telejato, minacciato più volte dalla mafia di Partinico, dove ha sede la tv. «Chi mi ha denunciato? Qualche collega invidioso» dice ridendo Maniaci, e preannuncia che «sarà un processo molto breve. Il 10 luglio scorso sono stato assolto con formula piena a Palermo per la stessa accusa, e non si può essere processati due volte per il medesimo reato». Maniaci quel tesserino non ce l' ha davvero: «Non ho mai avuto il tempo per andare all' esame, ma a febbraio scorso vennero i vertici nazionali dell' Ordine dei giornalisti e della Federazione nazionale della stampa, e Guido Columba, presidente dell' Unione dei cronisti, mi ha dato la tessera da membro onorario». Maniaci ride anche sulle querele ricevute - «Sono più di 165. Un centinaio le abbiamo vinte, ma sono comunque troppe» - e promette: «Non arretreremo di un passo nell' impegno contro la mafia». E anche se uscirà vincitore dal prossimo processo, Maniaci resta nel mirino di Cosa Nostra che aveva progettato di ucciderlo. Tra le varie reazioni di sdegno per il processo in arrivo, anche quella della Fnsi, che in una nota, esprime «preoccupazione e scalpore. Che la magistratura abbia scoperto il segreto di Pulcinella, e cioè la non iscrizione all' ordine nell' elenco dei pubblicisti di Pino Maniaci, ci pare grottesco: come se si volesse far passare il nostro collega alla stregua di persona inaffidabile e millantatrice. Ci auguriamo che il rinvio a giudizio a questo punto si concluda con un nulla di fatto. Chiediamo comunque all' Ordine territoriale di valutare la possibilità di iscrivere Maniaci nell' elenco pubblicisti». - g.i.


Admin - 08/05/2009 alle 09:38

Spesso mi capita di pensare a come sarà fra 10 anni, e mi dico che fra qualche tempo guarderemo a quest'epoca di grande libertà su internet con l'enorme rimpianto di chi sa di aver vissuto in prima fila una stagione fantastica e purtroppo irripetibile. I segnali per farmi essere più che pessimista si moltiplicano. Data ormai per assodata la ferma volontà dei governi nazionali di limitare la libertà di espressione sul Web, ora arriva anche questa notizia di Murdoch che segnerà una svolta decisa e purtroppo, a mio modesto parere, negativa: quanto ci metteranno i più grossi ad uniformarsi alla politica del tycoon australiano? E poi tutti gli altri? Mi chiedo sempre perché il mondo debba essere la riserva di caccia privilegiata di questi squali dell'alta finanza. Che tristezza :( *** Il magnate dell'editoria pensa a un notiziario gratuito Ma molti contenuti dei giornali non saranno più "free" online [b]La svolta firmata Murdoch "I nostri siti presto a pagamento"[/b] "Il peggio è passato, cominciano ad esserci segnali incoraggianti" dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI LONDRA - Sul suo impero di carta e di antenne non tramonta mai il sole: dagli Stati Uniti all'Europa all'Australia, Rupert Murdoch possiede giornali, radio, televisioni e relativi siti internet ovunque. Che siano o meno d'accordo con lui, nel settore dei media stanno tutti ad ascoltarlo, quando questo ultrasettuagenario magnate dell'editoria prende una decisione: e quella che ha annunciato in una video-conferenza potrebbe segnare una svolta nella storia dell'informazione del ventunesimo secolo. Murdoch ha dichiarato che potrebbe presto far pagare un abbonamento ai lettori che vogliono accedere ai siti dei quotidiani britannici del suo gruppo, il Times, il Sun e le loro versioni domenicali, il Sunday Times e il News of the World, come ha già cominciato a fare, con crescente successo, per il sito del Wall Street Journal, la più recente e più prestigiosa acquisizione della sua scuderia giornalistica. "La stampa sta attraversando un epocale dibattito sull'opportunità di dare accesso ai propri siti gratis o a pagamento", ha detto l'editore di origine australiana. "Dalla nostra esperienza al Wall Street Journal è ovvio che è possibile far pagare. Ora stiamo esaminando la possibilità di farlo anche per i nostri giornali nel Regno Unito. E' una mossa che potremmo fare entro i prossimi dodici mesi". Ed è probabile che la farà, stando alle sue ultime parole sul tema: "L'era attuale di internet", ovvero di un web in cui l'informazione giornalistica viene data per lo più gratuitamente, "sarà presto finita". Se lo dice lui, è possibile che accada, perché le iniziative di Murdoch hanno spesso influenzato il resto dei media, dal giornalismo gridato dei tabloid alla grafica e ai talk show di Fox Channel, la sua tv di news negli Stati Uniti, dalla rivoluzione nell'informazione e nello sport introdotta da Sky tv in molteplici paesi al nuovo formato e al giornalismo più "popolare" del Times di Londra, che era stato a lungo, in passato, il giornale di qualità più autorevole del mondo. Quando parla di monetizzare quello che finora viene fornito gratis, Murdoch non vuol dire che per accedere a un sito bisognerà abbonarsi: il sito del Wall Street Journal offre un ampio notiziario gratis agli utenti che vi si collegano. Ma per leggere il grosso degli articoli che appaiono sull'edizione di carta del Journal, più disporre di una serie di servizi speciali riservati agli abbonati, occorre pagare. Gli esperti hanno finora ritenuto che questa formula possa avere successo, raccogliendo un gran numero di abbonamenti, soltanto in un quotidiano finanziario come il Wall Street Journal, che si rivolge a un pubbico specialistico, selezionato e particolarmente interessato a ottenere subito, in qualsiasi parte del mondo si trovi, notizie che possono servire a fare investimenti, acquisti o vendite. Ma una squadra di dirigenti della News Corporation, la società che controlla tutti i media di Murdoch, sembra giunta, secondo le indiscrezioni circolate oggi, alla conclusione che questo modello, ossia il giornale online a pagamento, sia destinato a diventare la formula accettata e dominante anche per i giornali di informazione generalizzata, come il Times o il Sun. Del team a cui Murdoch ha affidato la decisione fanno parte tra gli altri James Murdoch, figlio di Rupert, responsabile delle operazioni per la News Corporation in Europa e in Asia; Les Hilton, ex-capo della News Corporation nel Regno Unito e ora al vertice della Dow Jones, il gruppo che controlla il Wall Street Journal; e Jonathan Miller, assunto in aprile per dirigere tutto il settore digitale del gruppo. La questione del "far pagare" quello che molti lettori si sono abituati a ricevere gratis è ampiamente dibattuta nel mondo dei giornali. Ognuno risponde a suo modo, e talvolta in modo contraddittorio, come il New York Times, che dapprima ha fatto pagare l'abbonamento al giornale online, poi lo ha dato gratis e ora sembra intenzionato di nuovo a farlo pagare. Varie proposte circolate negli ultimi mesi hanno indicato la necessità di trovare il modo di dare un prezzo alle news, come unica soluzione al declino della carta stampata, messa in crisi dalla concorrenza dell'informazione digitale su internet, oltre che ora dalla recessione globale che fa diminuire la pubblicità. A tutti quelli che considerano inevitabile il tramonto o la fine dei giornali, Murdoch replica con caratteristico ottimismo, sia per quanto riguarda la crisi ciclica, ossia derivata dalla recessione dell'economia; sia per quanto riguarda la crisi strutturale, ossia derivata dalla competizione con l'informazione gratuita di internet. "Non sono un economista e tutti sappiamo che gli economisti sono stati creati per far fare bella figura a chi fa le previsioni del tempo", afferma l'editore con il suo abituale senso dell'umorismo, "ma è sempre più chiaro che il peggio", inteso come il peggio della crisi economica, "è passato". E quanto alla crisi dei giornali, aggiunge: "Ci sono segnali incoraggianti nel nostro business che i giorni del precipitoso declino volgono al termine e che le cose cominciano ad avere un aspetto più salutare". Murdoch è infine intervenuto sul nuovo tipo di e-reader presentato dalla Amazon, il Kindle DX, più grande del lettore per libri finora messo sul mercato e secondo gli esperti con il potenziale per diventare un ideale mezzo per la diffusione digitale dei giornali, l'equivalente per la carta stampata dell'iPod per la musica. "Non daremo i diritti dei nostri contenuti alla brava gente che ha creato il Kindle", dice l'editore, indicando tuttavia che la News Corporation svilupperà una propria strategia digitale: forse un'allusione a un altro tipo di e-reader o un altro modo di permettere agli utenti di scaricare i giornali su un lettore digitale. Vari giornali americani, come il New York Times e il Washington Post, stanno invece offrendo un servizio di abbonamento attraverso il Kindle della Amazon, definito stamane dal Daily Telegraph "un giornale che si aggiorna continuamente da sé". Il Kindle, venduto negli Stati Uniti per 489 dollari, sarà introdotto in Europa entro la fine dell'anno. Gli analisti stimano che la Amazon ne abbia venduto 500 mila nel corso del 2008, e calcolano che l'e-market, il mercato dei lettori digitali arriverà a un valore di 1 miliardo di dollari nei prossimi cinque anni. Tra quotidiani online (parzialmente) a pagamento e informazione digitale scaricabile sugli e-reader, il futuro dei giornali, dei giornalisti e del giornalismo non sembra più così nero. (Repubblica.it)


super cunego - 08/05/2009 alle 14:19

Francamente mi scoraggia questa cosa. Però ragionandoci su è anche vero che con Internet i giornali perdono clienti paganti, ma alla fine le notizie al giornalista le devono pagare lo stesso e in egual misura. Anch'io vorrei avere l'informazione gratis, ma so che qualcuno la deve fare ed è giusto che per questo venga pagato...si tratta di trovare un compromesso. Alla fine sono comunque sicuro che benchè i siti maggiori possano divenire a pagamento, altri minori resteranno gratuiti e probabilmente diventeranno sempre più grandi.


UribeZubia - 08/05/2009 alle 18:11

Che io sappia la parte degli introiti di un giornale derivante dalle vendite non copre neanche le spese. E'con la pubblicita' e, in Italia,con i finanziamenti statali che arriva la maggioranza (e che maggioranza) dei soldi. Quindi in realta' non esiste il nesso -pagare i giornali per pagare i giornalisti-.


super cunego - 08/05/2009 alle 21:55

[quote][i]Originariamente inviato da UribeZubia [/i] Che io sappia la parte degli introiti di un giornale derivante dalle vendite non copre neanche le spese. E'con la pubblicita' e, in Italia,con i finanziamenti statali che arriva la maggioranza (e che maggioranza) dei soldi. Quindi in realta' non esiste il nesso -pagare i giornali per pagare i giornalisti-. [/quote] Senza dubbio, ma se togli anche quei pochi...


desmoblu - 08/05/2009 alle 22:40

Infatti. Gli introiti maggiori per una testata sono dati dagli inserzionisti, quindi non è importante quanta gente PAGA ma quanta gente legge- o meglio: si presume possa leggere. Ecco perchè i più prestigiosi giornali statunitensi stanno facendo degli abbonamenti sotto-sotto costo, a volte anche al 20% del prezzo di vendita: così possono avere una base certa di vendite, e dire agli inserzionisti "noi valiamo 10 mila copie, noi valiamo 30 mila copie, noi..". Soprattutto, copie CERTE. A quel punto le pubblicità ripianeranno le spese di stampa e le paghe dei dipendenti, non certo i 2 o 4 dollari del lettore occasionale. Paradossalmente funziona così: potrebbero anche mandare tutto al macero e non far arrivare nemmeno una copia nelle edicole, forse gli converrebbe addirittura..


UribeZubia - 08/05/2009 alle 22:47

[quote][i]Originariamente inviato da desmoblu [/i] Infatti. Gli introiti maggiori per una testata sono dati dagli inserzionisti, quindi non è importante quanta gente PAGA ma quanta gente legge- o meglio: si presume possa leggere. Ecco perchè i più prestigiosi giornali statunitensi stanno facendo degli abbonamenti sotto-sotto costo, a volte anche al 20% del prezzo di vendita: così possono avere una base certa di vendite, e dire agli inserzionisti "noi valiamo 10 mila copie, noi valiamo 30 mila copie, noi..". Soprattutto, copie CERTE. A quel punto le pubblicità ripianeranno le spese di stampa e le paghe dei dipendenti, non certo i 2 o 4 dollari del lettore occasionale. Paradossalmente funziona così: potrebbero anche mandare tutto al macero e non far arrivare nemmeno una copia nelle edicole, forse gli converrebbe addirittura.. [/quote] E' esattamente cosi'! :yes:


super cunego - 09/05/2009 alle 14:03

Ok, ad ogni modo credo che perdano ugualmente. Cioè il banner (o come diavolo si chiama) non credo dia gli stessi soldi di un'inserzione o di un articolo pagato.


Monsieur 40% - 11/06/2009 alle 01:03

[b]I bavagli veri passano, mentre la rete si gingilla con la falsa notizia del D’Alia approvato[/b] Un bavaglio alla rete lo metteranno ma non è quello denunciato dal frate cappuccino, che nessuno conosce, all’agenzia Agi ieri pomeriggio. Il bavaglio lo denuncia Guido Scorza, giurista e ”advocate” di rete: col testo che passa oggi con la fiducia alla Camera, quello sulle intercetttazioni telefoniche, arriva anche per i “siti informatici” - e quindi in prospettiva per i blog - l’obbligo di rettifica entro 48 ore e in mancanza di tale adempimento una pesante pena pecuniaria. Il post di Scorza è questo. Ora di questa misura si potrà discutere e si dovrebbe. Anche perché arriva nel quadro di un vero, pesante bavaglio di ricatto economico posto su tutta la stampa libera, come documenta Giuseppe D’Avanzo su Repubblica di oggi: sanzioni pecunarie gravissime sugli editori perché vigilino e censurino i giornalisti alle prese con le inchieste della magistratura. E invece, da giorni e settimane, veniamo spammati dal falso allarme del “bavaglio” a internet che proverrebbe dall’approvazione dello “emendamento D’Alia” nell’ambito del decreto sicurezza. Qui si è invano tentato, già parecchi giorni fa, di dire che si tratta di un errore. Perché l’emendamento D’Alia, che prevedeva gravi sanzioni per una serie di comportamenti di rete, era stato sì approvato al Senato, ma in seguito cancellato da un voto “bipartisan” alla Camera. Come confermato direttamente all’autore di questo blog da deputati dei due principali gruppi parlamentari. E invece no. L’appello del frate cappuccino circola, passa da un’agenzia e grazie a qualche automatismo perfido si guadagna perfino la presenza sui giornali on line, sulla Stampa si indigna Giacomo Galeazzi. E, com’è a questo punto ovvio, spopola sugli agggregatori. Con richiami a testi parlamentari che sono stati superati dai fatti e ad appelli su facebook i cui autori non si sono preoccupati di documentare il “cessato allarme”. E allora ecco il testo integrale del decreto sicurezza così come è stato approvato. E speriamo che questa volta ci se ne faccia una ragione: andate all’articolo 60, che era quello che recepiva l’emendamento D’Alia, e vedrete che accanto ai diversi paragrafi, nella colonna di destra c’è scritto per 5 volte di seguito e per tutto l’articolo: soppresso. Il bello - e il tragico - di questa vicenda è che non solo coincide con un momento drammatico per la libertà di espressione, che la rete sta ignorando alla grande, ma realizza un effetto di “al lupo al lupo”, che renderà impossibile poi l’informazione corretta quando i disegni di legge realmente censori della rete, che alcuni esponenti della maggioranza hanno nel cassetto, arriveranno in discussione in parlamento. Coraggio, cari blogger e utenti di Facebook, con la stessa puntualità con la quale avete riportato l’allarme, ora si dissemini la correzione di questa notizia falsa. Devo un ringraziamento ad Alessandro D’Amato che ne ha scritto nelle prime ore di stamattina e ad Alessandro Gilioli che ha già raccolto il mio appello a realizzare informazione corretta su questo punto. Fonte: http://zambardino.blogautore.repubblica.it/2009/06/10/i-bavagli-veri-passano-mentre-la-rete-si-gingilla-con-la-falsa-notizia-del-dalia-approvato/ Altro link utile: http://www.guidoscorza.it/?p=821