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Autore: Oggetto: Fuori tema: Piccola storia delle religioni

Livello Greg Lemond
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  postato il 05/01/2010 alle 15:32
Nera luce, parte Ottava (XVI)

Se dio esiste in quanto Io, tutti i caratteri dell'Io devono essere presenti al massimo grado nell'Io divino: Io assolutamente attivo, senza residui di passività, di opacità corporea. L'Io in quanto Io non si descrive: si vive per autocoscienza quando è il mio, si incontra quando è altrui, in un rapporto Io-Tu. Ma quanto più questo Io, che incontriamo nel Tu, è attivo, tanto più ci mette in questione e ci chiama a sé in qualche modo e ci chiede la nostra vita e dio, naturalmente, porterà questo al massimo. Il suo modo di dire ad uno di noi "Io ci sono" è quello che si chiama *vocazione*, cioè: "Io voglio per me tutta la tua vita!"
Quindi il modo più esatto e reale di incontrare dio non è alla terza persona, come Essere necessario, ma piuttosto il subire la vocazione, in quanto non esisrte realmente un dio-oggetto, bensì solo un dio-soggetto. Non si parla di dio, si parla a dio
Koan: Occorre scegliere fra Lui-la cosa-dio *vs* Tu che mi chiami.

 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 06/01/2010 alle 14:28
Nera luce, parte Ottava (XVII)

D'altra parte, il Tu devozionale, psicologico, proiettivo, dato al dio partner dei mie pettegolezzi è fin troppo facile e abusato! Allora forse è meglio dedicare molto più tempo alla realizzazione dell'immanenza e fare il voto di non pensare mai a dio, senza interporre fra me e Lui l'universo.
Se è il creatore non è separabile da esso, ma un dio che non è più grande dell'universo non è dio e l'universo è più grande di ogni mia possibilità di immaginare e quindi il realismo respinge dio al di là di una distanza giammai da me valicabile e dio per me è ontologicamente ed insuperabilmente estraneo.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 07/01/2010 alle 14:54
Nera luce, parte Ottava (XVIII)

Dio sarebbe infinitamente appetibile e bello, almeno quanto a bellezza ontologica, intellettuale e morale etc. Pertanto il rapporto con lui dovrebbe essere affatto beatificante e dio, sapendolo, dovrebbe offrirlo con larghezza. Purtroppo nella nostra condizione terrena questo rapporto lo possiamo vivere solo in modo asserito e non esperito, non essendo il dio pensato/creduto oggetto di percezione. Deve essere amato senza riscontri *oggettivi*, senza contatti o parole, provenienti con certezza da Lui.
Non si può negare che il silenzio, l'assenza, il vuoto abbia per qualcuno un fascino straordinario, ma chi non è attratto da "sovrumani silenzi" e "profondissima quiete"?

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 09/01/2010 alle 14:26
Nera luce, parte Ottava (XIX)

Il bilancio dei vari koan che riguardano dio, ci sembra un vero e proprio naufragio del teismo della ragionevolezza. Dio è tutto un koan: è talmente irrappresentabile che tale aspetto tende a confondersi con l'inesistenza; è talmente impossibile che ... con l'inesistenza; è talmente astruso che esistenza ed inesistenza sembrano sinonimi.
La concettualizzazione più affermata nella teologia naturale occidentale, quella tomistica e cattolica ufficiale come "esse subsistens" risulta impraticabile e il dio personale dai ricchissimi attributi, che è il solo che serve all'anelito religioso dell'uomo, non si vede come possa escludersi che sia solo mito, archetipo, fabulazione, proiezione psicologica.
In sintesi si può concludere che il dio che si rivela (nelle varie tradizioni) comunica molto male col dio della ragione e il dio della ragione comunica molto male con la ... ragione.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 10/01/2010 alle 14:26
Nera luce, parte Ottava (XX)

Se l'esistenza di dio è uguale all'inesistenza, perché allora non passare senz'altro all'ateismo? Perché ostano le difficoltà delle ipotesi atee principali: mondo dal nulla, mondo da sempre. Agnosticismo allora? In un certo senso sì, ma non nel senso primo, ovvio, dello scetticismo, perché la ragione metafisica ha una propria forza, anche se limitata. Ma è proprio lei, proprio la sua forza, a riconoscere questi limiti. Ha preso atto di aver incontrato ciò che la supera, ma incontrarlo è ben diverso dll'incontrare un falso-problema, perché la storia del mondo, che ha davanti, è certamente accaduta ed allora più che uno pseudo-problema, abbiamo di fronte un qualcosa di estremamente problematico.
Non scetticismo quindi, ma, per così dire, un agnosticismo positivo, che non nega la parete che ha davanti, ne constata soltanto l'estrema difficoltà nel tentativo di superarla.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 11/01/2010 alle 15:41
Nera luce, parte Ottava (XXI)

Fideismo
Dove non giunge la ragione, può arrivare la fede; ad essa basta la certezza della non avvenuta dimostrazione della negazione. Alla fede basta ... (secondo Kant).
Nel nostro caso arriva uno che dà il Tu personalizzante all'oscuro Fondamento necessario, uno che adora e invoca intrepido sotto la raffica delle constatazioni che egli non veramente vede e non veramente sa. (Nota mia: ad es. l'oTTIMO )
Chi è costui: fede o credenza?
La ragione stenta ad identificarlo, perché la ragione non gli interdice di certo il passaggio, però non passa e non sa con certezza neppure chi è passato.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 12/01/2010 alle 15:36
Nera luce, parte Ottava (XXIII)

Minimalismo.
Molti koan provengono dal voler innestare il dio-persona sul dio puro; per dirla con Kant: il modo con cui il teismo sottopone il deismo.
Mentre il fideismo teista asserisce un massimo per via non razionale, la ragione potrebbe contentarsi di un supporto causale non contingente, senza caricarlo con troppa precisione né di un nome, né di attributi e soprattutto niente interazione con gli uomini.
I principali difetti del minimalismo deista sono forse tre:
a) lascia le cose nel vago e si limita ad affermare che deve esistere qualcosa come un assoluto causale, senza andare oltre
b) afferma cose scarsamente o per nulla verificabili e rappresentabili
c) afferma cose scarsamente interessanti.
Cerco di chiarire il punto c.
L'idea di un generico supporto causale dice poco su quel che possiamo sapere sul mondo e si distingue poco dalla negazione o inesistenza. E' soltanto quella cosa, con la quale o senza, tutto resta identico ed assomiglia invece moltissimo al nulla. Inoltre dal punto di vista morale, lascia il tempo che trova e allora non resta che scuotere la testa, neppure questa linea di pensiero ci sembra convincente.

 

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  postato il 13/01/2010 alle 15:59
Nera luce, parte Ottava (XXIII)

Apofatismo.
Non fideismo, perché non c'è affermazione del dio-persona dai molti attributi e non minimalismo perché non viene affermato neppure il dio-puro-fondamento. Non scetticismo, perché i poteri e i risultati della ragione vengono presi sul serio.
E' una linea nel prolungamento dell'agnosticismo positivo: dio non si conosce e nemmeno si invoca: si frequenta. Col silenzio, con il puro ammotulimento.
Apofatismo, come non nominare il Nome invano, come non poter dire nemmeno che dio è buono, come negare, fosse anche vero, tutto quello che viene detto. O meglio, invece che negare, lasciar cadere, scartare, non in quanto falso, ma perché vano, solo chiacchiera.
Il sottoscritto vede nell'apofatismo probabilmente la più seria intersezione di ragione e fede. E' la "fidens quaerens intellectum e non inveniens." E' la fede che prende sul serio la ragione fino in fondo, fino ad accettarne anche i risultati problematici o negativi.
Naturalmente non può non esserci nel silenzio apofatico, molto asserito, ma non capito. L'apofatico afferma più di quanto sa e sa più di quanto ammette di sapere.

 

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  postato il 14/01/2010 alle 13:56
Nera luce, parte Ottava (XXIV)

Misticismo alfa-teo.
In questo caso s'intende non negare dio, ma prescinderne (nota mia, Husserl direbbe: metterlo fra parentesi), intendendo l'alfa come, appunto, prescissivo. L'ateismo invece è speculare al teismo, è anch'esso un salto nel buio (nota mia, con però una maggiore probabilità che esista quel buio lì, rispetto all'altro ).
L'ateismo sembra realizzare la radicalità del non-essere di dio meglio di ogni atteggiamento credente. Infatti dire che dio non è materia, energia etc. non compie atti e e non è nulla di cui si possa avere esperienza somiglia molto più a dire che dio-non-è, piuttosto che al suo contrario ed appunto l'ateo gli ricorda in modo corretto tutti il non-essere di dio.
Sotto l'aspetto invece di formale, proposizionale negazione della verità dell'affermazione di dio, l'ateismo incontra le difficoltà già segnalate e quindi ... (segue)

 

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  postato il 15/01/2010 alle 13:38
Nera luce, parte Ottava (XXV)

L'alfa-teismo si distanzia sia dall'ateismo che dal teismo fideistico; è la decisione di astenersi dalla speculazione su dio. Decisione motivata essenzialmente nei due modi già presentati dal Buddha contro i brahmani:
1) essi non sono d'accordo gli uni con gli altri e sono ben lontani da arriivare a risultati conclusivi
2) essi "nulla secondo realtà realizzano".
La prima motivazione (logico-ontoligica) abbiamo già visto, sta alla base dell'agnosticismo positivo e dell'apofatismo, la seconda è molto più peculiare del buddismo e parte dall'esigenza di non buttare via insieme all'acqua sporca (teismo) anche il bambino (mistica). Insomma occorre conservare quest'ultima, appunto come mistica laica e, a questo riguardo illustrerò tre varianti di mistica alfatea in ordine di religiosità decrescente. (segue)

 

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  postato il 16/01/2010 alle 14:05
Nera luce, parte Ottava (XXVI)

La prima mistica alfatea è il buddismo: del dio della speculazione non abbiamo alcuna esperienza diretta, mentre possiamo lavorare sugli stati della nostra mente in vista di una illuminazione che porti con sé l'evidenza del proprio senso.
La seconda variante ha a che fare con l'idea di vocazione (confronta il dio-Tu) e quindi vivere secondo vocazione, prescindendo dall'intellegibilità e dalla stessa affermabilità di dio sul piano ontologico.
La terza variante è semplicemnete il risveglio all'essere, cioè la realizzazione intensiva di ciò che è. Che il mondo è, questo è il mistico e proprio questa radicale meraviglia dell'esserci qualcosa, piuttosto che il nulla, irradia stupore e, se meditato, trasforma l'animo umano.
Realizzare il mondo è una mistica laica poco frequentata, ma non per questo perdente, (anzi!) nel confronto con le mistiche religiose.

Per chi voglia conoscere meglio la mistica, può andare qui.

http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/meditare_occidente/puntate.cfm
http://www.radio.rai.it/radio3/elenco.cfm?Q_PROG_ID=562
http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/meditareinoccidente2007/index.cfm

 

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  postato il 17/01/2010 alle 14:32
Nera luce, parte Ottava (XXVIII)

Proprio la natura del problema dio convoglia l'attenzione su una classe di oggetti molto particolare: quella dei modi in cui stanno la cose a proposito dei grandi indecidibili. Si tratta di rendersi dunque conto che per ogni cosa reale c'è il modo esatto in cui sta, proprio quello fino all'ultimo dettaglio. E questo modo è unico e completamente determinato. Per l'universo reale c'è il modo del suo inizio, il suo rapporto con lo spazio, la sua immancabile evoluzione futura, e la sua fine (o non fine); c'è.
Propongo di denominare "i Ciò" questi modi in cui questi stati di cose ignoti, ma reali, e di includerli nella mistica realizzante accanto agli oggetti noti e indubitabili, come un filo d'erba, a cominciare dal "Ciò-dio" che può essere la sua inesistenza o no, un'essenza o una diversa essenza. Siccome la mistica è realismo, non ci rimane che un atteggiamento prescissivo, ma non rinunciatario de "i Ciò".

 

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  postato il 18/01/2010 alle 14:50
Nera luce, parte Ottava (XXIX)

A favore di questa mistica vuota, ma certa, vedo almeno quattro argomenti:
a) Il fatto che "i Ciò" sono ignoti nel contenuto e certi nell'esistenza conferisce loro un fascino, proprio del misterioso che per definizione, non può essere mai immaginario.
b) Meditare l'rrappresentabile presente, di cui non si conosce il "come" il "cosa" è come cogliere in purezza l'atto di essere, che secondo Wittgenstein è proprio il *mistico*.
c) Coltivare il pensiero sui "Ciò" è altamente educativo per la probità intellettuale; è forse lo specifico "training" etico dell'intelligenza, perché la configura al realismo, sua virtù propria, la dispone ad accogliere ciò che è, quale che sia. In altre parole a far cadere tutte le preferenze diverse da quella per il reale. (Nota mia: ad es. se volete conoscere la Politica reale, smettete di avere preferenza dIPIETRISTE )
d) Incontrare l'ignoto reale toglie la frustrazione dell'essere buttati indietro, del rinunciare; tocco qualcosa di assolutamente "solido".

 

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  postato il 19/01/2010 alle 14:23
Nera luce, parte Ottava (XXX)

Così applicata, la mistica alfatea (o laica) porta a sostituire l'oggetto dio con l'oggetto *stato reale di cose a proposito di dio* qualunque esso sia. Diversamente dall'apofatico credente non sa che "Ciò" è dio, gli basta l'esistenza/immanità di "Ciò".
Il Confronto con i koan-dio, porta alla conclusione che i soli atteggiamenti in accordo con la ragione realistica sono quelli del prolungamento dell'agnosticismo positivo come gnosi della non conoscenza.
Non è superfluo a questo punto sintetizzare che tra apofatismo credente (o no) e l'alfateismo prescissivo, le differenze di vissuto, di esperito sembrano ridursi molto, forse fino alla convergenza asintotica


[Nota mia:
La convergenza della serie asintotica può essere studiata agevolmente ricorrendo al criterio della radice o al criterio del rapporto.]

E certo anche che le differenze esperenziali sono minori di quelle proposizionali anche rispetto al vero e proprio *ateismo*; almeno come distruzione strenua dei "flatus voci" che invalgono, arroganti e gessosi, nei teismi assertivi.



 

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  postato il 20/01/2010 alle 14:07
Nera luce, parte Ottava (XXXI)

I più "bravi" avranno notato che non c'è opposizione tra razionalità e mistica; una mistica, s'intende, non teista assertiva, ma neppure in accordo con la non mistica dei razionalismi riduttivi. Trovarsi di fronte all'inconoscibile è una situazione veritiera e ci si deve allenare fino a familiarizzarsi con essa, perché il filosofo è un frequentatore dell'inaudito, non delle banalità-domestiche. Una mente libresca, timorata, domesticata non è adatta. Dire che i sacerdoti sono pastori che conducono le pecore agli ovili è un'assurdità, perché i veri *pastori* sono quelli che conducono le pecore *fuori* dagli ovili. Nel nostro caso verso l'inaudito.
Propongo allora un sillogismo.
Magg. Chi non può reggere l'esposizione all'indecifrabile, domesticherà l'essere e quindi non sarà un vero filosofo.
Min. Chi non è uomo portato all'esplorazione di sé, difficilmente potrà reggere l'esposizione all'indecifrabile.
Concl. Chi potrà essere vero filosofo?

 

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  postato il 21/01/2010 alle 14:15
Nera luce, parte Ottava (XXXII)

Etica laica, Etica religiosa


Per etica laica (nota mia: io direi laicista) s'intende quella fondata su argomenti tra i quali non rientra quello di autorità: un'etica senza rivelazioni e senza magisteri divinamente assistiti. Con etica religiosa, tutti sanno che s'intende. (nota mia: un ossimoro )
Stiamo riflettendo quindi sui rapporti fra etica ed "etica".
Noto subito che anche l'argomento di autorità può essere ragionevole se non si tratta di autoritarismo. Nel caso, ad es. del magistero pontificio ci sono argomenti pro e contro: i primi consistono nell'esperienza bimillenaria, con centinaia di specialisti del cui pensiero il papa può giovarsi; i secondi nella tenacia con cui sono state e sono sostenute posizioni superate dall'etica comune e anche da molti "credenti".
La conseguenza sintetica di ciò è, a parer mio, che accettare un'autorità in base a buoni argomenti personalmente controllati è atto dell'uomo ragionevole, accettare un'autorità perché si proclama tale, è atto del fanatico.

 

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  postato il 22/01/2010 alle 13:41
Nera luce, parte ottava (XXXIII)

Si può ritenere che ai laici(sti), come ai cattolici, possa interessare solo l'etica più vera (quella cioè più argomentata) e ad es. (con Possenti) devo sostenere che non esiste una bioetica laica(sta) contrapposta a quella religiosa, ma una sola bioetica. E quindi anche per i cattolici, deve valere il motto (un po' corretto) "Amicus Petrus sed magis amica veritas". Petrus è utile solo se concorre a scoprire l'etica umana universale; etica che nessuno ha già in tasca e che chiunque impara continuamente anche dagli altri. L'etica è un paesaggio fatto solo di tesi e argomenti.
L'etica universale si può, però, a ben guardare "frazionarsi", se si vuol includere (o no) in essa *dio*. La discriminazione non è più l'autorità del magistero storico, ma proprio l'esistenza di un dio. Così per Scarpelli laica(sta) è quella "etsi deus non daretur", ma non tutti sono s'accordo; ad es. Possenti ritiene dio accessibile alla ragione laica(sta) non riduttiva e quindi ritiene (come gli apofatici credenti) dio parte integrante dell'etica laica(sta) universale.

 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 23/01/2010 alle 14:45
Nera luce, parte Ottava (XXXIV)

Io tendo a pensare, diversamente da Scarpelli e Possenti, che dio non fornisca alcuna tesi e argomenti rilevanti in etica. L'essenza di dio è, lo abbiamo constatato, come un abisso, un buco nero per la ragione umana realistica. Ma anche chi si voglia arrogare il diritto di sostenere la propria capacità di veder chiaro in dio, dovrà concedere comunque che potrà trovare tale etica normativa solo nei rapporti con *LUI*.
Per il resto la ragione può desumere etica solo dall'antologia degli esseri con cui vive a contatto, dai loro bisogni costitutivi, dalla natura delle cose, dalla logica strutturale delle situazioni, nella luce che viene dall'intuizione commossa e discussione critica dei valori; dio non c'entra per niente.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 24/01/2010 alle 13:34
Nera luce, parte Ottava (XXXV)

Il dio (aporetico o koanico) della metafisica, qualora fosse riconosciuto dotato di senso ed esistenza, non potrebba mai considerarsi come fornitore di contenuti etici normativi: dio è troppo imperscrutabile perché gli si possa leggere dentro.
Arriverei perfino a dire che è irrilevante anche come origine, perché o comanda l'etica vera, quella che la ragione riconosce per virtù propria e allora meriterebbe obbedienza, ma è superfluo il suo intervento; oppure detta un'etica contraria ed allora è un tiranno etico, cui si dovrebbe disobbedire e si obbedisce, semmai, solo per paura.
Anche dio, se esiste, è misurato dalla legge eterna (ontologica, logica, etica) valida in sè e per sé e non perché lo dice qualcuno.
A dio può restare la funzione di giudice e remuneratore escatologico, puro braccio della *legge*.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 25/01/2010 alle 15:55
Nera luce, parte Ottava (XXXVI)

Tutte le religioni teiste si proclamano *rivelate* da dio stesso e quindi detentrici di un'etica valida autoritativamente (al di là degli argomenti).
Ma, possiamo rispondere che:
a) Occorrono argomenti di ragione (comunque) a favore dell'origine divina di questa o quella *asserita rivelazione* e tra gli argomenti non può certo mancare il valore universale della loro etica. (nota mia: è un po' il gatto che si morde la coda).
b) Tutte le religioni teiste asseriscono che il loro dio è quello eticamente perfetto e che quindi proprio la loro etica rivelata è *QUELLA*. E allora sarà facile, per loro, trovare argomenti di ragione che la confermino.
In definitiva il filosofo morale, credente o no, può tenere in considerazione le etiche "rivelate", ma come insieme di suggerimenti, perché neppure il credente (nota mia: pena altrimenti trasformarsi in credino) può accettarle in virtù del principio di autorità.
La fede, se è un atto umano, è sempre "sub iudice" e giudice ultimo, anche secondo la volontà di dio, non può essere che l'uomo.

 

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  postato il 25/01/2010 alle 16:12
è un 3D molto partecipato.

 

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un gran furbacchione e con
la bellissima Oriana che ha
il coraggio di dire ciò che
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(si vocifera che la casalinga
di Voghera impallidisca
al suo cospetto).

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 26/01/2010 alle 10:23
Originariamente inviato da pacho

è un 3D molto partecipato.


francè , me fai morì.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 26/01/2010 alle 11:53
Nera luce, parte Ottava (XXXVII)

C'è forse un ultimo errore o equivoco da rimuovere: l'opinione oggi largamente condivisa, per es. da Engelhardt, che l'etica laica sia, per sua essenza, necessariamente "debole", limitata, "vuota", dubitosa, relativista, in una sola parola: non-cognitiva, e sia invece "forte", ricca di contenuti, sicura della propria verità, in un sola parola: cognitiva, l'etica filosofica teista.
Se quanto detto finora funziona, l'etica teista è quel che è, perché il dio filosofico non rivela nulla sul tema e a me la questione dio sembra, come sembrava al meraviglioso Levin della fine di "Anna Karenina", molto più oscura della questione etica.
Il pensiero laico (ista) dovrebbe essere sempre meno condizionato e ideologizzato specularmente dall'avversione per *un'autorità autoritaria* (sic) e non confondere la rigidità col rigore e quindi recepire i suggerimenti erogati con buone ragioni dalla parte avversa.
Le fazioni sono buone per arricchire di punti visti estremisticamente chiari la sintesi laica-universale che resta da compiere; non sono esse stesse la sintesi.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 27/01/2010 alle 14:13
Nera luce, parte Ottava (XXXVIII)

Serve dio in etica?



Riformulo in sintesi i due argomenti principali contro la molto diffusa opinione che dio serva.
Il primo trae le conseguenze dall'asserto che l'etica è un sistema di proposizioni dotate di verità/validità intrinseca in base al loro contenuto e quindi sembra, per essenza, sottratta ad ogni autorità. Il "logos", se esiste, lo è per necessità intrinseca, non perché lo pensa o lo crea qualcuno. L'esempio migliore è la matematica, che è la parte più ricca e più nota del logos protologico.
La matematica sarebbe quella che è sia se dio ... e neppure i più fanatici religiosi (nota mia: anche se si fa per dire, perché dai Binetti-Roccella-Buttiglione non si sa mai cosa ci si può aspettare ) asserirebbero che dio è il creatore libero e il signore onnipotente della matematica!
Dio, come il Re de "Il Piccolo Principe" può solo, nella sua saggezza, ordinare alla matematica di essere quella che è.
Le scritture sono irrilevanti in matematica e il logos protologico è "God-free e Bible-free" su questo dovrebbe eserci accordo generale.

(segue)


 

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  postato il 28/01/2010 alle 13:48
Nera luce, parte Ottava (XXXIX)

L'etica è invece frequentemente considerata anche da persone avvedute dal punto di vista scientifico e filosofico (nota mia: e da quasi tutti i politici ) come un territorio soggetto alla signoria di dio.
Per il "luogo comune" la credenza che dio condanni all'inferno i cattivi teologi (gli eretici) sembra molto meno bizzarra che se condanna alla stessa pena i cattivi matematici. Nessuno, nemmeno in Italia (sic) distinguerebbe fra una matematica "laica" e ... Non per questo essa è povera ed incerta, anzi è la sua ricchezza e forza. Lo stesso dovrebbe valere, a mio parere, per l'etica.
In altre parole, l'alternativa è una ed una soltanto:
a) Non esiste un'etica universale ed allora la verità etica *di dio* è solo una fra la tante (nota mia: come ad es. quella dell' (H)IV )
b) Esiste un'e.u. e allora dio, come tutti, può solo riconoscere quella stessa verità, senza nulla aggiungere o sottrarre.
Naturalmente può darsi che un particolare dio riveli l'etica vera, ma solo perché la sa, la conosce, non perché l'à resa vera lui.

(segue)

 

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  postato il 29/01/2010 alle 13:15
Nera luce, parte Ottava (XL)

Il secondo argomento, quello storico, è che ogni dio a noi noto tramite rivelazione ha fatto cose, sostenuto opinioni, irrogato (dopo averle comminate) sanzioni che contraddicono alcuni dei nostri più solidamente fondati valori e princìpi etici. Lo Y. del Pentateuco è inaccettabilmente spietato, conosce solo la pena di morte ed annuncia che se non saranno eseguiti (alla lettera) i suoi comandamenti, distruggerà i peccatori lui personalmente. Anche nei rapporti con i "gentili" è ... arrivando fino al genocidio
Anche il Gesù dei Vangeli, che rispetto all'antico testamento è avanti "anni luce", annuncia un'estrema severità in etica sessuale e nella giustizia, che prevede, per una serie impressionante di peccati commissivi ed omissivi, la pena dell'inferno eterno. Chi ritiene eticamente ingiustificabile una pena retributiva assoluta non potrà desolidarizzare, su questi punti importantissimi, dall'etica del nazareno.
Lo spirito santo del cattolicesimo romano è il garante dell'infallibilità del papa in materia di etica, essa ha ad. es. come cardine l'abbruciamento degli eretici (solennemente proclamato dai papi), ma che contrasta con i princìpi fondamentali di un'etica razionalmente giustificabile.
Se alla fine dei due argomenti si arriva alla conclusione che l'etica è "God-free", non rimane che accettare il fatto, con buona pace dei fondamentalisti, che le sole autorità vere, in etica, come in matematica, sono ... i buoni nargomenti.

 

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  postato il 30/01/2010 alle 14:07
Nera luce, parte Ottava (XLI)

Riassumenfo, sarei piuttosto scettico sulla possibilità di affermare dio come un qualcosa di reale, al di fuori, cioè, delle proiezioni mentali umane ed il mio orizzonte di sentimento di realtà si sta continuamente spostando verso un *a-teismo prescissivo*, non facilmente distinguibile dall'ateismo.
Rispetto a quanto detto in precedenza (anche se poche pagine fa, sono passati nove anni) non chiamerei più *minimalismo deista* l'atteggiamento teorico di chi afferma un assoluto non personale, oggi lo chiamerei (con riferimento a Zaehner) *monismo*.
Sempre in questo anno 2000 tendo a pensare che la linea divisoria importante non è fra chi nega e chi afferma, ma fra chi è conscio e chi no. Anche un teista può essere intelligente, basta che sia consapevole dei problemi enormi che il suo modo di pensare comporta ed allora si può anche "arruolare" fra gli apofatici, perché un virtuale manifesto apofatico risuonerebbe così :" Consci di tutto il mondo ... unitevi!"
Detto questo, non mi esprimo tuttavia a favore della parità fra le due posizioni (nota mia: cosa che fanno sempre e comunque i politicamente corretti ), perché ritengo che la scelta del versante a-teo/ateo sia preferibile in quanto più responsabilizzante, sia sul piano della ricerca teorica che su quello della riflessione etica, se è vero che dio è irrilevante in entrambi i casi.

 

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  postato il 31/01/2010 alle 10:42
Nera luce, parte Ottava (XLII)

C'è almeno un senso in cui l'a-teismo prescissivo sembra consigliabile proprio come più religioso, alla stesso credente in *Dio*.
Il modo più sicuro per conoscere un agente è conoscere i suoi atti, perché neppure il più onnipotente può aver fatto andare le cose diversamente da come sono andate. Ora, il modo più sicuro per sapere come sono andate le cose è la scienza e quindi, per sillogismo, il modo migliore per conoscere *Dio* è ...
Qualunque asserto teologico contraddetto da sicuri accertamenti scientifici, mènte, anche per il credente, su *Dio*. Tra il testo "sacro" e la scienza, se si contraddicono, il credente desideroso di sapere chi è realmente il suo dio, non può che scegliere la scienza. Un buon teologo è a-teo, nel senso che, per conoscere dio, prescinde il più possibile dalla teologia. Infatti la storia dell'interpretazione dei testi sacri, biblici e pontifici, è storia di un impressionante smantellamento e quindi è storia dell'ininterrotto progredire dell'a-teismo apofatico.

 

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  postato il 01/02/2010 alle 16:34
Nera luce, parte Ottava (XLIII)

Termino (nota mia: questa parte ottava) con una proposta semiseria di una teologia semiassiomatizzata, che chiamerei *Assenzialismo*.
Dato di fatto: Dio, se esiste, si comporta come se non esistesse, vedi ad es. Scienza, cancro, Auschwitz etc.
Dato di fatto mentale: l'idea di un essere onnipotente e perfettamente buono che ha creato il mondo e ora lo guida in modo che alla fine tutto torni è un'idea necessaria.
Combinando i due dati si ottiene che dio è altrettanto assente, quanto necessariamente presente. In altre parole dio è un grande assente, intendendo con questo nome uno che dovrebbe assolutamente esserci e non c'è. (nota mia: avete presente il dilemma di Moretti in "Ecce bombo": "Mi si nota di più ...."?). Come l'invitato importante ad un convegno, che telefona di non poter venire e tutti pensano a lui.
Dio quindi è il sommo presente per assenza, ma la sua assenza non è casuale, bensì essenziale (assente per essenza), così come pure presente per essenza (anche quando è assente). Si può inferire che l'esistere nel modo dell'essere-presente-per-assenza è il modo essenzialmente divino dell'esistere ed "ergo" dio è allora l'unico Alcunché in cui l'Assenza, l'Essenza e l'Esistenza coincidono.
Questo è appunto quello che chiamo *Assenzialismo*
Chi l'accetta si trova a raccogliere come pere mature tutti i fatti dell'esperienza: basta ammettere che dio non esiste materialmente, ma non può non esistere mentalmente e ogni cosa va a posto.

 

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  postato il 02/02/2010 alle 14:16
Nera luce, parte Nona (I)

Neuroni, Mente, Anima, Algoritmo: Quattro ontologie



Il segreto è qui con me, è me. Così reale che posso toccarlo anche in questo momento, basta che porti una mano alla testa, tocco la scatola ossea. Nella scatola sta chiuso quel piccolo cavolfiore di carne speciale; nel cavolfiore c'è la mia mente, in essa c'è il mondo.
E' stato lui a farmi scrivere questo libro.

Neuroni

Il cervello a prima vista non è molto diverso da un fegato, entrambi se il sangue non arriva ... Il fegato pesa il triplo del cervello, entrambi sono strutture e fanno cose altamente sofisticate, ma la differenza inconcepibile è che dalle cellule epatiche, oltre ai liquidi, non esce niente, mentre dalle cellule celebrali, oltre ai liquidi, esce qualcosa che non è osservabile in alcuna parte del corpo e dello spazio esterno, però ... Qualcuno la può chiamare soggettività, io, coscienza, mente, pensiero.
Il solo indizio che candidi i neuroni ad un rapporto privilegiato con la mente è che sono rintracciabili, sull'albero porfiriano, solo molto in alto e precisamente a partire dal livello dei viventi senzienti (cioè degli animali) e che la loro presenza aumenta in proporzione ai gradi di libertà di comportamento degli animali stessi. Nel cervello di alcuni mammiferi e dell'uomo i neuroni celebrano al più alto grado la loro unificazione reciproca e questa unità non può essere separato dalla complessità. Il cervello è forse il sistema più complesso dell'universo finora esplorato.
Nella storia della filosofia è problema ricorrente quello dell'unificazione del molteplice: ontologicamente è il più impressionante protendersi della materia plurale-dispersa-estesa a superare, con se stessa, se stessa. E lo fa quasi riflettendosi. Riuscirà nei secoli il cervello a capire completamente il cervello?
Ultima osservazione: nel cervello si può leggere attività interna, ma in nessun modo vi si può leggere mente. (Capiremo meglio quest'ultima asserzione, chiarendo appunto l'ontologia della mente).

 

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  postato il 03/02/2010 alle 14:23
Nera luce, parte Nona (II)

La mente, come si coglie per autocoscienza è un "quid" completamente diverso da qualsiasi oggetto accessibile alla fisica latamente intesa. Questo non scalfisce l'interesse delle linee di ricerca quali le neuroscienze, ma impone un dualismo fenomenologico.
L'immaterialità della mente può essere accertata almeno a quattro livelli:
a) sensi esterni: percezione
b) sensi interni: immaginazione-fantasia
c) intellezione: concetto, giudizio, ragionamento
d) autocoscienza.

La sensazione/percezione non è, in quanto sentita, un fatto fisico, ma intenzionale. Non ha estensione o figura o volume, è estranea alle scienze fisiche ed è inaccessibile agli strumenti scientifici. Solo la mente conosce la mente ed è fondamentale qui la differenza fra sensazione e registrazione, che questa sì è un fenomeno fisico accertabile dall'esterno della mente.

(segue)

 

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  postato il 04/02/2010 alle 13:24
Nera luce, parte Nona (III)

La caratteristica della immaginazione o fantasia è che io mi rappresento degli enti sensibili, anche in loro assenza: posso "vedere" ad occhi chiusi" o "udire" nel silenzio. Però l'immaginazione è solo di oggetti materiali, accessibili ad uno almeno dei sensi: ci possiamo fare immagini di oggetti fisici assenti o inesistenti, ma non abbiamo immagini di universali.
Se poi si va la di là della mente sensitiva e cioè al concetto, la tesi dell'eterogeneità si rafforza, perché il livello intellettivo supera essenzialmente tutti i sensi. Per fare un es. (la scrittura) è evidente che il segno grafico (significante) non ha niente a che vedere con il significato, il concetto è cosa totalmente diversa dal grafismo *CONCETTO*.
Al livello dell'autocoscienza o dell'io umani, l'eterogeneità, rispetto alla materia, si esalta ancora di più. La coscienza umana è:
a) trascendentale, nel senso che va al di là del mondo empiricamente dato, per quanto immane
b) riflessiva, nel senso che esercita azione non-transitiva su sé medesima.
Ergo la mente possiede tutta una serie di caratteristiche ontologiche opposte a quelle della materialità e, nel riassumerle, non vedo perché non usare il termine spiritualità.

 

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"La gerarchia della Chiesa pensa solo a se stessa come una qualunque altra lobby di potere,e come una qualunque altra lobby è dilaniata da lotte fratricide all'interno"

Il Papa il potere e il veleno dei cardinali, di Vito Mancuso

4 Febbraio 2010 -

Fonte La Repubblica

SARÀ vero che il documento calunnioso sul direttore di Avvenire è stato consegnato al direttore del Giornale niente di meno che da Giovanni Maria Vian, direttore dell' Osservatore Romano, dietro esplicito mandato del Segretario di Stato vaticano cardinale Bertone, numero due della gerarchia cattolica a livello mondiale? E che l'insigne porporato si è servito di Vian e di Feltri per colpire il direttore di Avvenire in quanto espressione di una Conferenza Episcopale Italiana a suo avviso troppo indipendente e troppo politicamente equidistante? E che quindi il vero bersaglio del cardinal Bertone era il collega e confratello cardinal Bagnasco? Sarà vera la notizia di questo complotto intraecclesiale degno di papa Borgiae di sua figlia Lucrezia? Come cattolico spero di no, ma come conoscitore di un po' di storia e di cronaca della Chiesa temo di sì. Del resto fu l'allora cardinal Ratzinger, poco prima di essere eletto papa, a parlare di "sporcizia" all'interno della Chiesa (25 marzo 2005).

Qualcuno in questi cinque anni l'ha visto fare pulizia? Direi di no, e forse non a caso proprio ieri egli ha parlato di «tentazione della carriera, del potere, da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di governo nella Chiesa». Quindi è lecito pensare che la sporcizia denunciata dal Papa abbia potuto produrre l'abbondante dose di spazzatura morale di cui ora forse veniamo a conoscenza.

Naturalmente come siano andate davvero le cose è dovere morale dei diretti interessati chiarirlo. Con una precisa consapevolezza: che gli storici un giorno indagheranno e ricostruiranno la verità, la quale alla fine emerge sempre, chiara e splendente, perché non c'è nulla di più forte della verità. Le bugie hanno le gambe corte, dice il proverbio, e questo per fortuna vale anche per il foro ecclesiastico.

Siamo in un mondo che è preda di una devastante crisi morale. Le anime dei giovani sono aggredite dalla nebbia del nichilismo. Parole come bene, verità, giustizia, amore, fedeltà, appaiono a un numero crescente di persone solo ingenue illusioni. La missione morale e spirituale della Chiesa è più urgente che mai. E invece che cosa succede? Succede che la gerarchia della Chiesa pensa solo a se stessa come una qualunque altra lobby di potere,e come una qualunque altra lobby è dilaniata da lotte fratricide all'interno. Certo, nulla di nuovo alla luce dei duemila anni di storia e di certo nessun cattolico sta svenendo disilluso. Rimane però il problema principale, e cioè che oggi, molto più di ieri, il criterio decisivo per fare carriera all'interno della Chiesa non è la spiritualità e la nobiltà d'animo ma il servilismo, e che la dote principale richiesta al futuro dirigente ecclesiastico non è lo spirito di profezia e l'ardore della carità, ma l'obbedienza all'autorità sempre e comunque. Eccoci dunque al tipo umano che emerge dalle cronache di questi giorni: il cosiddetto "uomo di Chiesa". È la presenza sempre più massiccia di persone così ai vertici della Chiesa che mi rende propenso a credere che le accuse alla coppia Bertone-Vian siano fondate.

Impossibile però non vedere che nella storia ecclesiastica misfatti di questo genere contro gli elementari principi della morale ne sono avvenuti in quantità. Anzi, che cosa sarà mai un foglietto calunnioso passato al direttore di un giornale laico per far fuori il direttore del giornale cattolico, rispetto alle torture e ai morti dell'Inquisizione? È noto che il potere temporale dei papi si è basato per secoli su un documento falso quale la Donazione di Costantino, attribuito all'imperatore romano e invece redatto qualche secolo dopo dalla cancelleria papale.

Che cosa concludere allora? Che è tutto un imbroglio? No, il messaggio dell'amore universale per il quale Gesù ha dato la vita non è un imbroglio.

L'imbroglio e gli imbroglioni sono coloro che lo sfruttano per la loro sete di potere, per la quale hanno costruito una teologia secondo cui credere in Gesù significa obbedire sempre e comunque alla Chiesa. Secondo l'impostazione cattolico-romana venutasi a creare soprattutto a partire dal concilio di Trento la mediazione della struttura ecclesiastica è il criterio decisivo del credere. Lo esemplificano al meglio queste parole di Ignazio di Loyola rivolte a chi «vuole essere un buon figlio della Chiesa»: «Per essere certi in tutto, dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica». Ne viene che il baricentro spirituale dell'uomo di Chiesa non è nella propria coscienza, ma fuori di sé, nella gerarchia. I "principi non negoziabili" non sono dentro di lui ma nel volere dei superiori, e se gli si ordina di scrivere la falsa donazione di Costantino egli lo fa, e se gli si ordina di torturare gli eretici egli lo fa, e se gli si ordina di appiccare il fuoco alle fascine per il rogo egli lo fa, e se gli si ordina di passare un documento falso egli lo fa. Ecco l'uomo di Chiesa voluto e utilizzato da una certa gerarchia. È questa la sporcizia a cui si riferiva il cardinal Ratzinger nel venerdì santo del 2005? È questo il carrierismo denunciato ieri da Benedetto XVI? Il messaggio di Gesù però è troppo importante per farselo rovinare da qualche personaggio assetato di potere della nomenklatura vaticana. Una fede matura sa distaccarsi dall'obbedienza incondizionata alla gerarchia e se vede bianco dirà sempre che è bianco, anche se è stato stabilito che è nero. Né si presterà mai a intrighi di sorta "per il bene della Chiesa". La vera Chiesa infatti è molto più grande del Vaticano e dei suoi dirigenti, è l'Ecclesia ab Abel, cioè esistente a partire da Abele in quanto comunità dei giusti. In questa Chiesa quello che conta è la purezza del cuore, mentre non serve a nulla portare sulla testa curiosi copricapo tondeggianti, viola, rossi o bianchi che siano.

 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 05/02/2010 alle 14:00
Nera luce, parte NOna (IV)

Avvertenza


Riguardo la definizione di mente, devo precisare che il punto cruciale è non tanto la consapevolezza come oggetto separato, quanto le esperienze consapevoli. Un sonno senza sogni, una pulsione inconscia, un comportamento abitudinario (come camminare, parlando) sono non-mente; l'accorgersi del fuoco o del leone, da parte della gazzella vigile, che sceglie una linea di fuga, è invece mente. Quindi ai nostri fini c'è consapevolezza anche in assenza dell'io che riflette o, in altre parole, c'è coscienza, anche senza autocoscienza e quindi si può attribuire mente anche agli animali superiori. Non solo: non è nemmeno sicuro che la coscienza più "alta" sia la più "iica" (o riflessiva); proprio le "peak experiences" (Maslow) estetiche, ontologiche, erotiche, contemplative, sapienziali vengono regolarmente descritte come accompagnate da una minimizzazione dell'egoità.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 07/02/2010 alle 12:21
Nera luce, parte Nona (VI)

L'essenza dell'anima si desumerà esattamente e necessariamente dalle argomentazioni che portano ad asserire la sua esistenza: una sostanza spirituale immortale, inestesa, indivisibile etc. Ma abbiamo di fronte un reale oggetto di pensiero quando teorizziamo tutto ciò? Non è certo un caso che della mente non si dubiti, ma dell'anima sì. Mi limiterò ad enunciare alcuni koan o rompicapi che il pensiero dell'anima fa nascere. Sussiste, ovviamente, una certa analogia con i koan suscitati dal pensiero di dio.
1) Un'entità così grandiosa, un colosso tale da sopravvivere all'intiero universo, non esiste per l'esperienza, proprio non c'è.
2) Com'è fatto uno spirito? E' inesteso nel senso di puntiforme o di infinito? O è inesteso nel senso che non ha niente a che fare con la precedente alternativa?
3) Se l'anima è semplice, come si distinguono le sue facoltà, per es. il conoscere e il volere?
4) Come si distingue uno spirito dall'altro? Qual è il principio dell'individuazione dell'immateriale?

(segue)

 

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  postato il 08/02/2010 alle 13:48
Nera luce, parte Nona (VII)

5) Dove si trova l'anima separata? Se è fuori dalla spazio, che significa questo *fuori* che non può essere di natura spaziale?
6) Se le anime sono immortali, ognuna avrà durata infinita. Ma se si ritiene che vengano create al momento della generazione del corpo, ci saranno anime più longeve di altre e quindi infiniti leggermente più lunghi? E che differenza ci sarà fra la durata infinita, ma con punto di partenza e quella infinita di dio?
7) Come diviene e "cresce" ciò che non è associato ad un corpo? Come può avere una storia ciò che non ha uno sviluppo e un ambiente? Ma che vita è una vita senza storia?
Fin qui ho esposto alcuni koan riguardanti l'anima come sostanza spirituale indipendente dal corpo (l'anima dopo la morte), Non meno numerosi sarebbero i koan riguardanti i rapporti di una sostanza spirituale con un corpo ed un mondo materiali. Rinuncio ad esporli, solo per brevità ed anche perché sono molto simili a quelli suscitati dal rapporto mente-materia, che l'anima dovrebbe risolvere.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 09/02/2010 alle 14:47
Nera luce, parte Nona (VIII)

Proviamo a tracciare un bilancio del ricorso all'ipotesi anima:

1) L'anima è un concetto che nulla aggiunge alla conoscenza esperenziale di noi stessi: l'esperienza incontra mente e corpo ("tertium non datur" ).
2) L'anima è un difficilmente rinunciabile postulato escatologico e diceologico.
3) L'anima "risolve" le difficoltà che suscita l'attribuzione di una mente alla materia estesa.
4) L'anima "risolve" questa difficoltà in modo puramente assertorio, cioè tautologico.
E allora qual è il bilancio, prevalgono gli attivi 2/3 o i passivi 1/4?
La mia risposta è, come sempre quando ci si trova di fronte a un problema reale, la cui soluzione impone un aggetto di pensiero quasi "assurdo", che l'atteggiamento intelletualmente corretto è l'apofatismo, ossia il silenzio informato.

 

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  postato il 10/02/2010 alle 16:00
Nera luce, parte Decima (I)

Nel testo ci sono venti pagine (da 254 a 274) su algoritmo e mente, che per me sono troppo complicate e quindi mi astengo dal sintetizzarle.

Parte decima

Le religioni del dogma, le religioni dell'esperienza e il loro avvenire.

In questa serata sta accadendo l'inesplicato, per non dire l'inesplicabile: il fatto è che un organismo materiale (il mio corpo) genera in sé dei significati e questi appaiono fuori di lui, sotto forma di onde sonore, le quali con questi significati non hanno, ontoligicamente, niente in comune. E questi fenomeni in qualche luogo del cervello sono trasformati in sensazioni, cosa che nessun registratore sa fare (il registratore non li sente). C'è qui il primo salto non spiegato e poi (secondo salto) il suono sentito si trasforma in comprensione di significati (se uno conosce la lingua).
Nessuno sa com'è fatta la mente e come è collegata con il cervello, né come il cervello fa ad accorgersi di produrre significati, quindi l'unico invito sensato che posso farvi è quello verso la contemplazione dell'evento, insieme con la comprensione dei significati.
La cosa più eccitante sono gli avvenimenti personali che si svolgono in questo momento per la storia dell'universo.

 

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  postato il 11/02/2010 alle 14:15
Nera luce, Parte decima (II)

Parleurismo



Se la religione è esperienza di un sacro che fa ammutolire, allora l'uso della parola è irreligioso. Parlare di religione, a rigore, sarebbe un voyeurismo fonico, un parleurismo. D'altra parte nella situazione attuale lo stesso regime religioso di mercato, succeduto agli antichi monopoli, toglie sempre più spesso l'effettiva essenza del religioso per diventare conformismo o coazione psichica. A livello individuale, anche chi ha conferito alle pratiche e idee religiose un significato in qualche misura autentico, finisce con vivere e decidere in base a tutta una serie di sincretismi complessi, nei quali il religioso (appunto) si combina con criteri di altra natura.
Pertanto, direbbe qualcuno, una domanda sorge spontanea: Il religioso è ancora utile?
Ai vecchi tempi, l'impetrazione religiosa veniva ritenuta efficace sui fenomeni naturali e storici, ad es. per combattere pestilenze e carestie o far prevalere un esercito sull'altro.
Oggi, davanti al progresso dell'intelligenza scientifica ...

 

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  postato il 12/02/2010 alle 08:13
Nera luce, parte Decima (III)

Il confronto fra due tipi ideali



Premesse le riserve, di cui sopra, sulla religiosità, procedo al confronto fra quelli che mi sembrano i due tipi fondamentali oggi rivaleggianti per l'ascendente sull'animo umano:
a) religioni ad asserti ontologici "veri"
b) religioni a stati coscienziali "alti"
Entrambe offrono una risposta alla domanda sul significato ultimo e dell'esistenza umana nel mondo; le religioni del primo tipo rispondono con rivelazioni su soggetti e scenari ultraterreni, quelle del secondo con indicazioni su come conseguire, a livello terreno, stati mentali recanti con sé l'evidenza della loro superiore significatività.
Possiamo dire che le prime sono basate sul dogma, le seconde sullo spirito e potremmo anche chiamarle rispettivamente ontologiche ed etiche, dando ad etica il senso lato di direttiva del comportamento in vista di un risultato (in questo caso spirituale e immanente).
La tipologia suggerita è trasversale agli schiertamenti religiosi storici, tuttavia è chiaro che ci sono quelle più vicine all'uno o all'altro tipo: tra le prime i monoteismi, tra le seconde le religioni asiatiche nelle quali l'escatologia ha un'importanza trascurabile.

(segue)

 

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  postato il 13/02/2010 alle 14:00
Nera luce, parte Decima (IV)

Nel primo gruppo evidenzierei, per sviluppo dogmatico talmente alto, il cattolicesimo romano, la cui teologia si ramifica in varie dottrine basate sul dogma e che sono: triadologia, cristologia, mariologia, sacramentologia, josephologia, diceologia, escatologia, ecclesiologia e sacramentologia. Ognuna di esse è fondata su definizioni autoritative emanate da soggetti magisteriali giuridicamente investiti di competenza, accessoriate di anatemizzazioni e munite, in condizioni storiche di potere, di spaventose sanzioni a carico dei ...
(Nota mia: ad es. la legge 40 e il decreto "Englaro", per non scomodare l'Inquisizione).
Nel secondo gruppo evidenzierei lo yoga e il buddismo più asciutto quanto a dèi, demoni e personaggi elargitori di grazie (ivi compreso lo stesso Buddha). Ho in mente lo Zen e le tradizioni tantriche tibetane, più decisamente volte alla realizzazione della "vacuità e compassione" indipendentemente da presupposti mitici.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 14/02/2010 alle 13:46
Nera luce, parte Decima (V)

Nel testo, alle pagine 280/81 c'è uno schema, che non posso né sintetizzare, né copiare, per questo motivo ho chiesto aiuto ad un mio amico e quindi ... resto in attesa.

 

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  postato il 15/02/2010 alle 09:42
Nera luce, parte Decima (V)

Meglio di così, non viene, se qualcuno volesse vedere la tabella, mi mandi il suo indirizzo elettronico ed io lo spedisco come allegato.

Tipo ideale AOV SCA

La risposta alla domanda sul significato ultimo:






L’origine della risposta:

Il bene più alto:


I comportamenti positivi:





I comportamenti negativi:






La natura della legge:




La sanzione dei compor-tamenti negativi:



La scienza più alta:


Le virtù religiose:











Le controversie interne ti-piche:













La natura dell’autorità:









La struttura della
“Chiesa”:




Il rapporto con gli altri:

esiste un Dio personale, di infinita potenza e santità, legislatore etico e remune-ratore escatologico. La vita dell’uomo è immortale



è stata rivelata

la beatitudine eterna


la fede in Dio secondo l’ortodossia teologica, la conformità della vita ai suoi comandamenti, la pre¬ghiera, l’offerta, i riti sacri

l’eterodossia teologica, la violazione dei comanda-menti, la trascuratezza nella preghiera e nei riti prescritti: il peccato mor-tale

divinamente posta, positi-va; estrinseca; imperativo che richiede atteggiamen¬to obbedienziale

la pena temporale irrogata dal potere politico teocra-tico, la pena eterna irroga-ta da Dio

la teologia dogmatica


la fede come assenso a un credo e come fondazione della vita sulla parola di Dio;
la speranza come fiducia
nella grazia divina;
la carità come unione con Dio e come dedizione al prossimo in vista della sua unione con Dio


se la terza Persona della Trinità divina proceda solo dalla prima, o anche dalla seconda; se proceda o sia generata;
se la madre del Salvatore sia rimasta vergine solo prima, o anche durante e dopo il parto;
se sia stata concepita già immune dal peccato origi-nale o ne sia stata liberata successivamente, per i me-riti del figlio

clericale
di ruolo
di investitura formale
di definitività dogmatica
di sacramento
di comando e giurisdizione di rivestimento solenne presuntiva
asserita

gerarchica, piramidale
minerale (“su questa pie-tra”) (urbe)
con potere giuridico e fisico


noi–loro
fedeli–infedeli

credenti–miscredenti

dentro–fuori
con–contro
correligionari–avversari
esiste uno stile di vita (e-tico, ascetico, contempla-tivo) che propizia l’attingi-mento della coscienza su-prema. Non occorre sapere se la vita è mortale o im-mortale

e stata scoperta

l’attingimento della co-scienza suprema

il lavoro sul corpo e sulla mente, centrato e culmi-nante nella meditazione



l’errore o la trascuratezza nella pratica destinata a propiziare l’attingimento della coscienza suprema: il controproducente


increata, naturale; intrin-seca; stato di cose che ri-chiede atteggiamento spe-rimentale–esperienziale

il non attingimento della coscienza suprema



la teoria della prassi sa-pienziale

la fede come “slancio ver-so l’indicibile” e come certezza della fruttuosità del cammino sapienzale;
la speranza come tenacia
nell’attraversare i tempi di oscurità, di aridità, di non–trasformazione;
la carità come desiderio che tutti gli esseri attinga-no la mente suprema

se sia più efficace concen-trare l’attenzione sul re-spiro o sull’alzarsi e ab-bassarsi dell’addome du-rante il respiro;
se sia più efficace coltivare gli assorbimenti contemplativi con oggetto o senza oggetto;
se giovino maggiormente a propiziare la liberazione gli assorbimenti contem-plativi o la vigile consa-pevolezza

spirituale
personale
di conseguimento
di santità
di trasformatività
di esemplarità
di nudità
effettiva
percepita5

dispersa, silvale/erbale
vegetale (“lo spirito semi-na dove vuole” (āśrama) senza potere giuridico e fisico

non “noi”, non “loro”
non “fedeli”, non “infede-li”
non “credenti”. non “mi-scredenti”
non “dentro”. non “fuori” non “con”, non “contro” forse: progrediti–arretrati

 

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  postato il 15/02/2010 alle 14:35
Nera luce, parte Decima (VI)

Alcune valutazioni

Vantaggi delle religioni dogmatiche


Offrono di più nell'Al di là, mentre nell'Al di qua si ha una "partnership" con il grande Consolatore e con personaggi minori più accessibili all'immaginazione. Tutelano dai sensi di assurdo o di vuoto dell'universo e nei rapporti umani mortali. Sostituiscono il reale con caschi virtuali che si muovono con la testa (del tipo della caverna platonica) e nei quali tutto torna. Antropomorfizzano e domesticano il mistero.

Svantaggi

Rischio massimo, spaventoso: l'esistenza può portare alla beatitudine eterna in dio, ma anche all'inferno eterno. Nel dubbio, sembrerebbe doveroso astenersi dal fare figli, maledicendo l'incoscienza dei propri genitori.
Rischio minore, che il pensiero del rapporto con Personaggio invisibile preso sul serio, nasconda il visibile e atrofizzi a poco a poco la conoscenza esplorativa di sé e del mondo fatta con i sensi, i sentimenti etc. delegandola al clero e con il connesso rischio di supplizi, stermini e oppressioni a base religiosa.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 16/02/2010 alle 08:25
Originariamente inviato da lemond

Nera luce, parte Decima (V)

Nel testo, alle pagine 280/81 c'è uno schema, che non posso né sintetizzare, né copiare, per questo motivo ho chiesto aiuto ad un mio amico e quindi ... resto in attesa.


Ecco Carlo, meglio di così...

 

[Modificato il 16/02/2010 alle 08:41 by Bitossi]

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"...Ogni volta che vedo un adulto in bicicletta, penso che per la razza umana ci sia ancora speranza..." (H.G. Wells)

 
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