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Autore: Oggetto: Fuori tema: Piccola storia delle religioni

Livello Greg Lemond
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  postato il 09/09/2008 alle 09:45
Piccola storia delle religioni (Epitome liberamente tratta dal libro “La nostra specie” di Marvin Harris, antropologo defunto nel 2001). Prima puntata

Si possono rintracciare precedenti della religione anche nelle specie non appartenenti al genere umano se si accetta una definizione di religione abbastanza ampia da includere gli atteggiamenti cosiddetti superstiziosi. Gli psicologi del comportamento sanno da tempo che gli animali possono avere delle reazioni che associano per errore ad una determinata ricompensa. Per es. un piccione chiuso in una gabbia nella quale una macchina introduce pezzetti di cibo ad intervalli regolari, se per caso il boccone arriva, mentre si sta grattando, il pennuto comincerà a farlo più freneticamente. Se invece lo riceve, mentre sta battendo le ali, continuerà a sbatterle etc. Negli uomini ciascuno di noi conosce manie analoghe, come toccare ferro o altro, incrociare le dita e similia.
Nessuna di queste azioni ha un qualche rapporto reale con quello che si vuole ottenere od esorcizzare, ma tant’è; e ad esempio un cardiochirurgo ascoltava sempre musica leggera in sala operatoria da quando aveva perso un paziente, mentre sentiva musica classica
Se invece si adotta una definizione più ristretta e concordiamo con E. Tylor nel sostenere che il fondamento di ciò che è religioso sia l’animismo, ossia la credenza che gli uomini abitano il mondo con una popolazione di esseri straordinari, immateriali e in gran parte invisibili, che vanno dalle anime, ai santi, ai puri di spirito, agli amorini, ai demoni, ai geni, ai diavoli e agli dèi, allora possiamo pensare che la religione è propria soltanto della specie umana.
Taylor sosteneva che era possibile trovare credenze animistiche in tutte le società, comprese quelle che seguono il buddismo, perché se anche questa “religione” non presuppone la credenza nelle anime e negli dèi solo nei principi, perché i semplici credenti invece non hanno mai accolto le implicazioni ateistiche degli insegnamenti di Gautama. La corrente principale, persino all’interno dei monasteri, si raffigurò presto Buddha come una divinità suprema che si era poi incarnata, e che aveva spazzato via. Un intiero pantheon di divinità e di demoni secondari. E furono credenze del tutto animistiche le numerose correnti che si diffusero dall’India verso il Tibet, l’Asia sud orientale, la Cina e il Giappone.



 

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Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
...
e i barbieri il lunedì

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 09/09/2008 alle 09:47

 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 09/09/2008 alle 13:55
Lemond, se non ci fossi bisognerebbe inventarti

 

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Amarti m'affatica, mi svuota dentro
qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto
Amarti m'affatica, mi dà malinconia
che vuoi farci, è la vita... è la vita, la mia

(Non sono a favore del doping. Sono semplicemente contro l'antidoping)

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 10/09/2008 alle 09:27
Seconda puntata

I vari tipi di enti spirituali delle religioni moderne hanno prototipi analoghi o identici a quelli delle credenze delle società primitive prestatali. I mutamenti dai tempi neolitici ad oggi sono soltanto una questione di grado e di elaborazione. Per es. le popolazioni organizzate in bande e villaggi credevano in dei che abitavano sulla cima delle montagne o in cielo; solo chi è ... può non riconoscere il modello per le più recenti nozioni di esseri supremi. Per gli aborigeni australiani il nome dei loro dei non può essere pronunciato dai non-iniziati.

Mediatori fra il cielo e la terra sono quasi sempre i loro spiriti ancestrali e ciò che va sotto il nome di totemismo è in gran parte una diffusa forma di adorazione dell’antenato.

Quando dalla banda si passò ai “chiefdom” le “elites” dominanti cominciarono ad impiegare specialisti che avevano il compito di memorizzare i nomi degli antenati del capo (perché come si può dedurre dal nome, in queste nuove associazioni non c’era più l’egualitarismo tipico nei villaggi più antichi). I capi supremi fecero costruire tumuli e tombe elaborate che esprimevano e conservavano in forma evidente i legami fra le generazioni al comando. (Da qui derivano i nostri democratici cimiteri, chiamati anche camposanti) . Fu (detto per inciso) per la costruzione dei “moai”, le statue che rappresentavano capi tribù indigeni defunti, e che, secondo la credenza popolare, avrebbero permesso ai vivi di prendere contatto con il mondo dei morti, che furono distrutti tutti gli alberi (servivano per il trasporto del materiale) e la popolazione si estinse!

Infine, con la nascita di stati ed imperi, le anime dei capi furono inserite nel firmamento insieme agli dei più importanti e i loro resti mortali furono mummificati e sepolti in tombe e piramidi gigantesche, che soltanto un autentico dio avrebbe potuto innalzare!




 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 10/09/2008 alle 10:11
I Moai sarebbero le statue dell'isola di Pasqua, no? Specifica

 

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...E' il giudizio che c'indebolisce.

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 10/09/2008 alle 12:01
Originariamente inviato da Subsonico

I Moai sarebbero le statue dell'isola di Pasqua, no? Specifica


Sì, quei famosi monumenti che sono un richiamo molto forte per i turisti e che rappresentano una buona parte della sceneggiatura del film ( abbastanza noto) "Rapa Nui": nome dell'isola di pasqua in lingua locale.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 11/09/2008 alle 10:04
Tera puntata

Nei tempi più antichi, la credenza nell’esistenza di un mondo spirituale fece spesso nascere la speranza che gli esseri di quel mondo potessero venire indotti ad aiutare gli uomini ad avere una vita migliore e quasi ogni persona adulta possedeva la conoscenza dei rituali che servivano all’uopo. Tra gli eschimesi, ad es. ciascun uomo deve avere una propria canzone di caccia [ed ora Totti si segna prima di cominciare una partita ;-) ].

Dopo il “fai da te” in quasi ogni società conosciuta si affermano alcuni individui, chiamati sciamani (parola tratta dalle popolazioni di lingua tungusa della Siberia), che sembra abbiano una particolare attitudine nell’ottenere l’aiuto dall’altro mondo.

Noi ormai sappiamo che tutti gli sciamani hanno una borsa da prestigiatore che usano per impressionare i loro “clienti”, quelli siberiani ad es. tenevano/tengono le loro sedute dentro una tenda buia con gli angoli attaccati a lunghe cinghie, nascoste sotto la coperta che copre i loro piedi e quando arriva lo spirito, basta agitare le dita dei piedi per ottenere l’ondeggiamento della tenda!

Altri trucchi riguardano la presenza di spiriti maligni che provocano malattie e al relativo esorcismo;-). Potremmo continuare.



Anche dopo la nascita di “chiefdom” e stati, gli sciamani, i maghi e gli esorcisti hanno continuato ad essere un elemento importante della vita religiosa e molti, ancora oggi, continuano addirittura a fare lunghi viaggi (pellegrinaggi) a Lourdes, Petralcina o a …

I rituali religiosi nelle società moderne sono però anche altri, perché si è avuta la nascita di istituzioni amministrate da specialisti a tempo pieno, istruiti professionalmente: i primi sacerdoti e le chiese antiche. A differenza degli sciamani, vivono separati dalle persone normali, studiano astronomia, cosmologia e matematica, registrano le stagioni ed altri eventi del calendario e interpretano con infallibilità (a qualcuno può ricordare qualcosa?) la volontà dei grandi dèi adorati dalla classe dominante.


 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 12/09/2008 alle 08:36
Quarta puntata

Gli uomini si sono sempre rivolti agli dèi con una grandissima varietà di emozioni, motivazioni ed aspettative, ma per dirla con le parole di Ruth Benedict : ”La religione fu anzitutto una tecnica per raggiungere il successo” ;-). Infatti i benefici ricercati sono guarigione, profitto nelle operazioni commerciali, pioggia per l’agricoltura, vittoria in battaglia [o nelle gare ciclistiche come fanno tutti quelli che guardano in cielo, mentre alzano le braccia in segno di trionfo ;-) ]. Perfino quando i benefici ricercati consistono in un aiuto per agire e pensare in conformità con i desideri della divinità o per raggiungere la pace interiore è pur sempre un servizio quello che cerchiamo. Non credo ci sia mai stata una religione che non abbia richiesto agli dèi quel che essi potevano fare per gli uomini. Certamente le religioni istituzionali dei “chiefdom e degli stati più antichi lasciavano meno spazio ad equivoci, ad es. Noè offre ogni animale e uccello puro in olocausto al Signore, il quale sente la “soave fragranza” e promette di non mandare mai più un altro diluvio. ;-)
Quando le relazioni fra le “élites” al potere e i normali cittadini si fecero più gerarchizzate, lo scambio fra uomini e dèi divenne sempre meno equilibrato e quello che era cominciato come un dono dei primi ai secondi, finì per diventare una specie di tassa raccolta dalla chiesa e dallo stato.
Si può dire allora che i cittadini avessero fatto un cattivo affare? No, se avevano ragione i sacerdoti, secondo i quali gli uomini sarebbero morti di fame e la terra e tutto ciò che la abita sarebbero andati in rovina se essi non avessero nutrito per tempo degli dèi!
Benché quasi tutti gli esseri supremi siano onnivori, in tutte le antiche usanze, la carne rappresenta l’alimento essenziale nel ciclo dello scambio fra uomini e il mondo celeste, proprio perché la carne è il cibo più desiderato dagli uomini. Di conseguenza, uccisione degli animali e rituali vennero ad intrecciarsi durante lo sviluppo delle religioni istituzionali. Il libro del Levitico stabilisce con molta precisione quando, dove e come dovesse compiersi il sacrificio rituale e menziona almeno sette tipi diversi di offerte: l’olocausto, il sacrificio di pace, il s. espiatorio del peccato, il s. di riparazione, l’oblazione, le azioni di grazia e i s. volontari. Visto che naturalmente la carne non era lasciata a marcire, la descrizione dei banchetti come sacrifici nasconde il loro scopo pratico, parallelo a quello degli antichi banchetti re-distributivi (far mangiare chi aveva fame) diffusi in tutto il mondo.


 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 14/09/2008 alle 12:38
quinta puntata

Le antiche religioni istituzionali ricorsero spesso agli esseri umani per farne offerta agli dèi, ma la carne raramente serviva per la redistribuzione nei banchetti organizzati dalle classi dirigenti “generose”. Il sacrificio della nostra specie era quindi tale in senso stretto: un’offerta con la quale si sperava di ottenere il favore, grazie a queste severissime privazioni autoinflitte.

Nell’Antico Testamento è noto l’ordine che riceve Abramo e come Isacco è risparmiato. (ma non è sicuro, infatti, c’è una setta che crede ancora che si debba sacrificare il primo figlio per …)

Non fu così per i bambini fatti sacrificare durante i regni dei tre re scismatici (Acaz, Manasse e Acab) come si legge nel libro dei Re. In Geremia si possono vedere le parole del Signore sui figli di Giuda: “Hanno costruito l’altare di Tofet per bruciare nel fuoco i loro figli …” (Il Tofet era un recinto sacro, poco a sud di Gerusalemme).

Anche nei regni vicini a quello di Israele i bambini erano impiegati come vittime sacrificali e non è solo la bibbia a dircelo, ma anche ad es. gli scavi archeologici di Gerico confermano che i cananei, dopo averli offerti in sacrificio, li seppellivano sotto le fondamenta dei templi. Un’altra forma comune di vittime era costituita dai prigionieri di guerra. Infine la forma più diffusa di sacrificio umano è quella che accadeva in occasione della morte del re o di altri personaggi di stirpe reale. In questi riti la logica del sacrificio sta nella rinuncia del nuovo re ai più stimati cortigiani del vecchio, mandandoli così a servire in cielo il suo predecessore, sperando in questo modo di ottenere il favore degli dèi, amici dell’antenato così glorificato! Nello stesso tempo cos’altro avrebbe potuto incoraggiare di più le mogli e i servi a proteggere la vita del loro re della consapevolezza che se egli fosse morto … ?

Gli dèi accettavano i sacrifici umani, ma non se ne cibavano; perché? Il motivo mi sembra semplice: gli dèi mangiavano le stesse cose che piacevano agli uomini ed il loro rifiuto rifletteva semplicemente il prevalente disgusto degli uomini a mangiare individui della loro stessa specie.

Anche questa mi sembra una dimostrazione che sono stati, in antico, gli uomini a creare gli dèi non viceversa.

 

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  postato il 14/09/2008 alle 15:13
Continuo a leggerti con un piacere indescrivibile

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 15/09/2008 alle 09:09
sesta puntata

Vorrei poter affermare che il diffusissimo tabù del cannibalismo esprima un impulso etico volto a proteggere la vita umana, ma la storia ci racconta cose diverse e il cannibalismo è stato accertato da fonti archeologiche (grotta di Fontebregona nella Francia sud occidentale), oltre che da molti resoconti, comprese testimonianze dirette, come quella di Lumholtz sugli aborigeni del Queensland.

Le religioni istituzionali proibivano il cannibalismo, secondo me, perché era più semplice e soprattutto proficuo integrare nella propria forza lavoro le popolazioni sottomesse. Ogni contadino e lavoratore di una società organizzata in stato può produrre un “surplus” di beni e servizi, perciò più aumenta la popolazione di schiavi, più … sarà cospicuo il prelievo di tasse e tributi, dovuto alle classi di governo. Viceversa le società di banda e di villaggio non hanno la capacità di produrre più dello stretto necessario e quindi l’uccisione e il consumo dei prigionieri sono così il risultato più logico: se il loro lavoro non serve, sono più utili come cibo che come produttori dello stesso.

Per dirla con Marx “E’ la struttura che determina la sovrastruttura”.

Mi preme aggiungere che nessun gruppo umano ha mai considerato il cannibalismo economicamente favorevole al di fuori del contesto bellico. Gli uomini sono gli animali più difficili da catturare e addomesticare; ma se le popolazioni di banda e di villaggio combattevano fra loro, perché non avrebbero dovuto … ?

La religione pre-colombiana degli atzechi rappresenta la grande eccezione al non cannibalismo rituale degli stati. Diego Duran, un cronista molto importante, spiega in che modo i padroni-guerrieri divorassero i cadaveri delle vittime catturate e immolate: “Una volta estratto, il cuore era offerto al sole … e al tramonto si celebravano i banchetti”. I membri della spedizione di Cortès scoprirono che la più grande teca per teschi nella piazza principale di Tenochtitlan conteneva le teste di 136.000 vittime sacrificali.

Perché gli atzechi e i loro dèi mangiavano i prigionieri di guerra, a differenza di tutte le altre società di livello statale? La mia risposta è che gli atzechi non avevano ruminanti come le pecore, capre, i bovini, i lama e gli alpaca, che mangiano erba e foglie non commestibili per l’uomo e non avevano neppure i suini che erano di grande importanza negli altri luoghi come sciacalli domestici. Le loro fonti principali di carne non selvatica erano i tacchini e i cani, entrambi inadatti alla produzione di carne su grande scala in condizioni pre-industriali. I cani, essendo carnivori, sono in special modo inadatti per l’autoproduzione di carne in quantità sufficiente. Perché dare la carne ai cani per ottenerne di simile? Gli atzechi cercarono di selezionare una razza di cani che potesse essere alimentata e ingrassata con cibo vegetale cotto, ma …

Per concludere questo capitolo, penso si possa sostenere con ragione che l’alto valore che gli atzechi attribuivano al consumo della carne umana non era una conseguenza delle loro credenze religiose, piuttosto il contrario: la passione dei loro dèi per la cibo umano rifletteva l’esigua riserva nel loro "habitat" di animali per il bisogno degli esseri umani (ad eccezioni degli stessi uomini).

I re atzechi avevano sotto gli occhi la gente che raccoglieva le uova delle mosche e le ripuliva della melma verdastra del lago Texcoco e si interrogarono sul modo migliore per conservare la fedeltà dei loro sudditi e ... un colpo di genio produsse la loro religione ;-).

 

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  postato il 16/09/2008 alle 09:50
Settima puntata

I mille anni precedenti l’era volgare hanno visto la comparsa e l’ascesa di capi carismatici che condannavano i sacerdoti come assassini rituali. I nuovi profeti affermavano che le divinità non potevano lasciarsi incantare da doni materiali: i loro dèi pretendevano invece amore e gentilezza verso il prossimo ed anche nei confronti di ogni essere vivente.

Lo zoroastrismo è il primo credo non violento di cui si abbia testimonianza storica, fondato da Zoroastro che aveva avuto una visione di Ahura Mazda “signore di illuminazione” e che rappresentava il giusto pensiero, contrapposto ad Ahriman, che indirizzava verso quello malvagio.

Gli uomini erano liberi di scegliere da che parte stare: chi credeva in Ahura doveva rinunciare a sostanze inebrianti, abbandonare l’uso del sacrificio rituale ed astenersi in ogni modo dallo spargimento di sangue.

Il riformatore religioso successivo fu Mahavira “il grande eroe” perché era uscito vincitore da una lunga lotta combattuta per raggiungere la pace spirituale fuori e contro la tradizione vedica, dominante nel suo popolo. Il nome della religione da lui fondata è giainismo, da Jina “il vittorioso”.

Anche Gautama Siddharta (fondatore del buddhismo) si sottopose da giovane a severe penitenze per liberare la sua anima dal ciclo delle reincarnazioni e, come Mahavira, dichiarò la sua opposizione all’antica regola delle caste e dei sacrifici rituali ed annunciò un nuovo percorso: “L’ottuplice sentiero”, che prevedeva l’astensione dalle menzogne, dall’avidità, dall’uccisione di animali e uomini e dalle azioni che potevano recare danno agli altri.

In conseguenza dell’affermarsi di queste nuove religioni in India, anche quella vedica si evolveva in direzione del moderno induismo ed i brahmani divennero addirittura i più zelanti difensori della vita animale “tout court” e l’ahimsa (il rispetto per tutti gli esseri viventi) divenne il concetto fondamentale dell’induismo, non meno che per il buddhismo e il giainismo.

Il cristianesimo è stata la quinta religione di tipo etico ad apparire sulla scena del mondo (per quanto riguarda quelle di cui abbiamo sicure fonti storiche) e, come le altre quattro erano in relazione con le antecedenti indoiraniche basate sul sacrificio, così esso prese il via da un’altra religione dello stesso tipo: l’ebraismo.

L’antico testamento non parla di salvezza dell’anima e neppure dell’esistenza di un’altra vita, ma solo di progenie numerosa, salvezza dalle malattie, vittoria sui nemici etc.

Paolo di Tarso teorizzò invece l’abbandono delle offerte alimentari senza (forse) rendersi conto che ciò comportava la fine del consumo di carne nei banchetti redistributivi, che avevano costituito il substrato materiale dell’antico ciclo alimentare degli ebrei. Il banchetto tuttavia non sparì senza lasciare traccia ed, infatti, se ne può trovare il simbolo nell’attuale eucaristia (il più importante rito cristiano).

Nel prossimo capitolo cercheremo di spiegarci come fu possibile la scomparsa delle antiche religioni a ciclo alimentare redistributivo.


 

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  postato il 17/09/2008 alle 10:08
Ottava ed ultima puntata

Le religioni non violente si svilupparono come risposta al fallimento delle prime formazioni statali nel processo di redistribuzione dei beni mondani, promessi da re e sacerdoti. Sorsero appunto, quando quegli stati furono devastati da guerre feroci e dispendiose; allorché l’esaurimento delle risorse ambientali e la crescita della popolazione crearono scarsità di cibo e, di conseguenza, si irrigidirono le distinzioni di rango sociale e si diffuse su vasta scala la povertà fra la gente comune.

Ad es. nel primo secolo a.e.v. la Palestina era divenuta una colonia romana e presentava i classici sintomi del malgoverno: rapine fiscali, corruzione amministrativa e inflazione galoppante. La scarsità di animali domestici ostacolava ancor di più la pratica dei sacrifici rituali, con annessi banchetti redistributivi.

In queste circostanze, la promessa cristiana di una salvezza extramondana, esercitò un notevole fascino su uomini di regioni differenti e di diverso rango sociale.
Però, nonostante simile attrattiva, essa non sarebbe potuta assurgere a religione universale se non in ragione della sua (ANCHE E SOPRATTUTTO) capacità di giustificare e incoraggiare l’espansione militare e di favorire severe forme di repressione politica e di controllo.

Perché le religioni dell’amore hanno sempre attirato i fondatori di imperi e dinastie? I re erano preoccupati di mantenere la legge e l’ordine, condizione necessaria, anche se non sufficiente, per tenere lontano i nemici.

Le religioni non violente offrivano al nemico la rassicurazione che non sarebbero stati uccisi i prigionieri e perciò favorivano un’accettazione di un eventuale dominio straniero. Nello stesso tempo, se la vita sulla terra era piena di dolore e se la povertà avvicinava alla salvezza eterna;-), allora la classe di governo non era più obbligata ad offrire ricchezza e felicità per giustificare il suo diritto al comando! [Date a Cesare …]

Quanto all’uso delle armi e alla guerra, in flagrante violazione dei più sacri comandamenti, c’era sempre la giustificazione dell’autodifesa o di guerre giuste, buone e SANTE!

Cosa piuttosto curiosa: una volta scoperto che ammazzare per conto dello stato era conciliabile con le dottrine sulla sacralità degli esseri viventi, i seguaci delle nuove fedi risultavano leggermente superiori alla media dei soldati, perché andavano [e vanno ancora;-)] convinti che le loro anime sarebbero state ricompensate, se morivano per il s/Signore!

Per il cristianesimo, l’imperatore romano che per primo si accorse della grande utilità che poteva avere “pro domo sua” fu Costantino (per altro non credente). Una delle norme più importanti promulgate da costui fu la legalizzazione delle donazioni alla chiesa. Come pone in evidenza Robin Lane Fox, fu un provvedimento molto intelligente: in cambio i vescovi cristiani stabilirono che prendere in mano le armi quando l’imperatore lo ordinava fosse un obbligo cristiano;-).

Altra iniziativa di grande importanza fu il Concilio di Nicea (325 e.v.) che pose fine, per imperio, alle dispute fra le tante fazioni e sette cristiane.

A completare l’opera di Costantino nel 589 e.v. pensò Giustiniano, ordinando, a tutti quelli che rifiutavano di diventare cristiani, di abbandonare le loro proprietà e andare in esilio.

E qui posso anche fermarmi, perché quanto avviene dopo: Le crociate, Giodano Bruno, Galileo, Darwin, la sana laicità, l’anti-illuminismo, Piero Welby, Eluana Englaro etc.) più che storia, mi sembra cronaca.

P.S.

Grazie dell'attenzione ed aggiungo per gli estimatori , ai quali
è piaciuto questo compendio, che ho intenzione di inviarne uno molto più lungo, dal primo gennaio 2009: il calendario laico di Marcus Prometheus, della durata, come tutti, di 366 giorni.


 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 23/09/2008 alle 08:56
INQUISIZIONE E TRIBUNALI SPECIALI (Prima puntata)

Il fenomeno dell’Inquisizione va esaminato sotto gli aspetti della tutela dei diritti, del costume e della religione. Nella comparazione dei fenomeni bisogna rilevarne analogie e differenze.
L’Inquisizione appartiene alla famiglia dei tribunali speciali, costituendone però, per alcune sue caratteristiche, una specie a sé.
Il primo tribunale speciale religioso, istituito da Costantino nel IV secolo per perseguire le eresie, si uniformava al codice romano di Giustiniano, basato su un sistema accusatorio.
Dal 1200, il processo canonico della Chiesa, dei suoi tribunali speciali dell’Inquisizione, seguì invece il sistema inquisitorio.
Le dittature europee del XX secolo, dopo aver abbandonato la giurisdizione unica richiesta dagli stati liberali, per i suoi tribunali speciali, adottarono un metodo misto, con la figura del giudice istruttore inquisitore, che ricordava appunto il sistema inquisitorio, per il resto, il processo era accusatorio.
In Italia, nonostante la costituzione democratica, questo sistema misto, ereditato dal fascismo, è durato fino al 1989.
Esso conserva anche il procedimento indiziario, tipico dei processi inquisitori, perché non guarda alle prove, ma è ispirato dal sospetto, conserva anche una giurisdizione plurima, mentre quella democratica moderna dovrebbe essere unica.
I sistemi accusatori moderni in alcuni paesi hanno conservato in sé parte del processo inquisitorio, con la figura del giudice istruttore che, con la polizia giudiziaria, raccoglie le prove, proscioglie o rinvia a giudizio.
Il sistema accusatorio fornisce maggiori garanzie all’imputato, perché accusatore e accusato sono sullo stesso piano, il pubblico ministero deve fornire le prove e l’accusato può difendersi in contraddittorio tra le parti. Nessuno può essere punito per il suo pensiero o per un semplice sospetto, questo sistema era in vigore prima del 1200 e, grazie alla rivoluzione liberale, è ritornato ai nostri giorni.
Inquisire significa investigare, nel sistema inquisitorio o canonico medievale, introdotto da Innocenzo III nel 1198, giudice e accusatore erano fusi in un unico soggetto, come nelle inchieste e nei processi amministrativi. Anche Costantino e Teodosio I, che si accanirono contro ariani, eretici e pagani, avevano la loro Inquisizione, anche se aveva altro nome, però seguiva ancora il rito accusatorio e non quello inquisitorio, poi adottato dalla Chiesa.
Nel processo inquisitorio il giudice decideva autoritariamente le indagini da seguire, i testimoni da sentire e le prove di cui avvalersi; questo processo era rapido perché unificava la figura del giudice a quella dell’inquisitore o investigatore o accusatore e quindi imparziale era una parola vuota di significato. (Un esempio di simile processo molto interessante si può trovare nel film di di Milos Forman "L'ultimo inquisitore")
Cardini di tale sistema erano la delazione, il sospetto, il carcere preventivo, l’interrogatorio con la tortura, il segreto processuale, la repressione e l’intolleranza. Il giudizio era insindacabile e generalmente inappellabile e senza contraddittorio; era l’accusato che doveva dimostrare la sua innocenza e vi era disuguaglianza tra le parti.
Figure del processo inquisitorio erano il giudice inquisitore, il pubblico ministero, nominato dal giudice e senza autonomia, l’avvocato e il delatore; il processo era segreto e l’imputato non conosceva il nome dell'accusatore. Un difensore poteva parlare solo se autorizzato dal giudice e, se prendeva le difese dell’eretico, poteva anche essere accusato di favoreggiamento.
Dalla Chiesa la delazione era presentata come un dovere dei buoni cattolici, tutti erano invitati a farlo e le indagini su di esse si svolgevano in segreto; però si poteva cominciare un giudizio d’ufficio, vale a dire anche senza di esse.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 24/09/2008 alle 09:51
Inquisizione e ... (seconda puntata)

L’imputato, con la prigione preventiva, era invitato a "dichiarare" il vero, vale a dire: confessare la sua colpevolezza e, durante gli interrogatori, veniva torturato ed era chiamato reo, portando in testa il cappello dei pazzi. La tortura cessava solo con la confessione, ma, in ogni caso, le streghe (ad es.) sono sempre finite sul rogo.
Chi abiurava era condannato, per lunghi anni, a pene detentive o, se personaggi importanti come Galileo, al domicilio coatto, e subivano l’esproprio dei beni. Chi moriva sotto tortura, finiva ugualmente bruciato, non volendo che le ossa dei condannati fossero oggetto di venerazione da parte dei viventi.
Da notare che in Inghilterra, dove la tortura nei processi per stregoneria non era ammessa, le condanne erano pari al 50% , nel continente, dove era consentita, le condanne arrivarono al 95% , il che significa …
I tribunali speciali e il metodo inquisitorio, come quelli dell’Inquisizione, (abbiamo già detto) sono tipici delle dittature, mentre le democrazie, teoricamente, prevedono la giurisdizione unica; in altre parole sono senza tribunali speciali.
Tuttavia, in pratica, la democrazia italiana, non ha solo codice Rocco, legge sulla stampa, reati d’opinione, ma, vigente la costituzione democratica, fino a poco tempo fa, ha avuto un regime accusatorio spurio, con la figura del giudice istruttore; inoltre l’Italia ha ancora tribunali speciali e non una giurisdizione unica, cioè tribunali amministrativi, magistratura delle acque e commissioni tributarie, mentre i tribunali militari sono stati aboliti da poco, perché avevano più giudici che processati.
Per tutte queste ragioni e per altre, in Italia la giustizia continua a non funzionare.
La Chiesa pretese e ottenne dallo Stato anche una giurisdizione autonoma rispetto a quella dello Stato, che le consentisse di processare autonomamente i suoi preti anche per i reati comuni, e così li poteva assolvere anche per pedofilia. Ciò violava (ma sarebbe meglio dire vìola) il principio democratico della giurisdizione unica e sancisce la disuguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Le norme non sono più uguali per tutti: esiste una franchigia per alcuni, esattamente come nei regimi aristocratici e antidemocratici.

 

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  postato il 25/09/2008 alle 09:26
Inquisizione ... (terza puntata)

La Chiesa non tollerava che il popolo si scegliesse le proprie credenze, lo voleva obbediente alla fede da essa proclamata; era ostile alle novità scientifiche, alla ragione e si schierava sempre a difesa dei pregiudizi: condannò anche Galileo (1564-1642) e lo costrinse ad abiurare e Lorenzo Valla (1406-1457), che aveva dimostrato la falsità della donazione di Costantino, fu accusato davanti all’inquisizione e si salvò soltanto perché era protetto. Lutero ebbe la stessa fortuna perché aveva l'aiuto dei principi tedeschi.
Le entrate dell’Inquisizione provenivano dalle proprietà confiscate, perciò essa operò per rendere duratura l’istituzione. Gli inquisitori domenicani, ebbero in affidamento l’Inquisizione, e, come già detto, erano investigatori e accusatori, oltre che giudici. Il processo era segreto, però massima pubblicità era data alla sentenza ed alla sua esecuzione, allo scopo di ammonire e terrorizzare il popolo. Generalmente le sentenze erano eseguite la domenica, giorno di festa, la scomunica di questi eretici prevedeva la confisca dei beni e, finché rimanevano in vita, erano dichiarati incapaci di testare e di ricoprire cariche pubbliche.
Nel 1478 i domenicani, sotto Sisto IV, contro ebrei e mori, rilanciarono in Spagna il tribunale supremo dell’inquisizione e nel 1542 i gesuiti ripeterono l’operazione anche a Roma. A causa dell’Inquisizione, tanti ebrei furono massacrati e alcune ordinanze ne imposero la reclusione nei ghetti. Contro gli eretici albigesi si allestì anche una crociata che fece migliaia di morti.
I domenicani dirigevano l’Inquisizione ed erano i consiglieri di corte; con la controriforma, sarebbero stati sostituiti dai gesuiti in questo ruolo.
A causa della lotta per il potere e per interesse, le fazioni o partiti, all’interno e al di fuori della Chiesa, accusavano i nemici d’eresia. Per far funzionare l’Inquisizione, la Chiesa si avvalse del braccio secolare: in Italia l’inquisizione arrivò anche a Milano, Napoli, Firenze, Venezia e fondò confraternite. L’ordine francescano fu sospettato d’eresia e fu costretto a fare ritrattazioni, i valdesi (o poveri di Lione) furono richiamati, altri furono costretti ad abiurare; tanti italiani, per sfuggire all’inquisizione, si rifugiarono in Germania ed in Svizzera, tra loro erano i valdesi.
Dalla parte “protestante” nel 1582 Elisabetta I d’Inghilterra affermò che era tradimento far passare i sudditi alla religione cattolica, costituì un tribunale speciale anticattolico accusando i gesuiti di istigare alla disobbedienza, fece dei martiri tra i cattolici e nel 1585 espulse i gesuiti dal paese. Sempre Elisabetta I fece decapitare, per tradimento, la cattolica regina di Scozia, Maria Stuart, in rapporto con il duca di Guisa di Francia, con Filippo II di Spagna e con Sisto V; Maria era sostenuta dal partito cattolico inglese che la voleva regina d’Inghilterra.

 

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  postato il 26/09/2008 alle 13:37
Inquisizione e ... (quarta puntata)

Nonostante il conflitto teologico, l’ostilità e la concorrenza, tra domenicani e gesuiti, occorre ricordare che pure i domenicani, che dirigevano l’inquisizione, avevano avuto i loro martiri per mano della stessa istituzione: il domenicano Girolamo Savonarola, voleva una riforma della Chiesa e nel 1498 fu giustiziato a Firenze, il domenicano Giordano Bruno, filosofo panteista, contrario al papa, nel 1600 fu bruciato vivo a Roma, il domenicano napoletano Tommaso Campanella era contro Aristotele e voleva una società comunista, fu incarcerato e morì nel 1639.
I tribunali dell’inquisizione erano sottratti all’influenza dello Stato ed erano inviolabili, i giudici erano ministri della Chiesa, ma le loro sentenze dovevano essere applicate ciecamente dallo Stato ed i decreti dell’inquisizione entrarono nella raccolta delle leggi secolari.
Domenicani e gesuiti approfittarono per arricchirsi, con ricatti ed estorsioni: furono perseguite persone a scopo di sfruttamento, papi ed inquisitori trasformarono le pene in ammende a loro vantaggio. Per trent’anni i vescovi di Albi lottarono contro la corona francese per il bottino ricavato dal massacro degli albigesi: diventare, in pratica i loro eredi.
Delatori, boia, taglialegna, tutti avevano diritto ad una percentuale dei beni dei condannati, assieme a monaci, vescovi e prìncipi.
Una volta riconosciuto colpevole, l’eretico era invitato a ritrattare ed a pentirsi, se non lo faceva era consegnato all’autorità secolare, con la raccomandazione formale di non ucciderlo, in realtà, se n’esigeva l’esecuzione. Era la solita ambiguità della Chiesa; ritualmente e ipocritamente pregava lo Stato di risparmiare l’eretico, però scomunicava l’autorità che non provvedeva all’esecuzione.
Galileo fu accusato anche di aver scritto in italiano, invece che in latino, dimostrando così di non volersi limitare ad una discussione accademica, riservata ai dotti, ma di auspicare il coinvolgimento del popolo. Ecco a cosa serviva il latino e la diffidenza della Chiesa verso la traduzione della bibbia!
Nel 1564 l’Inquisizione condannò Andrea Vasali, fondatore della moderna anatomia, perché, sezionando un cadavere, aveva scoperto che all’uomo non mancava la costola da cui era nata Eva.
La Chiesa fece papi diversi inquisitori e nel 1867 santificò Pietro Arbues, crudele inquisitore di Spagna, il quale evitava sempre le discussioni con gli avversari, preferendo le proprie sentenze!
La congregazione agì anche come polizia segreta al servizio delle lotte di potere all’interno della Chiesa ed operò prima contro eretici, ebrei e streghe, dal 1542 anche contro i protestanti.
Per Gregorio IX gli scomunicati erano tali fino alla settima generazione, così la vita economica divenne incerta, perché soci e debitori, se erano accusati d’eresia, potevano essere espropriati a danno dei creditori, inoltre, il commercio con gli scomunicati era vietato.
Forse fu a causa di questi fatti che "i traffici emigrarono" dall’Italia a vantaggio dell'Inghilterra e dei Paesi Bassi, dove l’Inquisizione era meno conosciuta.
Per reazione, tanti inquisitori furono assassinati dal popolo, poi però furono fatti santi dalla chiesa.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 29/09/2008 alle 09:10
Inquisizione e ... (Quinta puntata)

Nel 1482 in Spagna l’inquisitore Torquemada mandò al rogo più di 10.000 eretici e le corti di giustizia divennero tribunali non itineranti, ma fissi.
Nel 1492 un decreto impose, per gli ebrei spagnoli, l’esilio o la conversione. Quell’anno coincideva con la scoperta dell’America, era stato conquistato il regno musulmano di Granada e la Spagna era stata unificata.
Nel 1502 si fece un decreto analogo contro i musulmani. Con l’espulsione, c’era la pena accessoria della confisca dei beni.
Gli ebrei di Spagna erano accusati di essere usurai, di assassinare i bambini, di profanare le ostie come le streghe, di avvelenare i pozzi e di essere alleati all’Anticristo che doveva venire. Gli spagnoli lottavano contro gli individui che avevano nelle vene “mala sangre”, cioè sangue ebreo, moro o eretico.
I papi alimentarono l’antisemitismo: Innocenzo III, Onorio III e Gregorio IX (secolo XIII) avevano tutti dei programmi antisemiti e nel 1288 anche Nicolò IV, il primo papa francescano, esortò i sovrani a procedere contro gli ebrei.
Dopo la riforma di Lutero, chi proveniva da paesi protestanti, correva il rischio di essere portato davanti ai tribunali dell’Inquisizione.

Nel nono secolo anche nell’Islam esisteva l’Inquisizione contro gli eretici, chiamata Minha.
I monaci sufi furono mistici perseguitati dall’Inquisizione, torturati e messi a morte; alcuni di loro erano comunisti, come i primi cristiani.
Anche in Israele è esistita una forma di Inquisizione con le sue pene simili a quelle islamiche, per esempio, nei casi di apostasia e adulterio. Dopo la cattività babilonese (586-538 a.c.) gli ebrei tornarono in Palestina e, diretti da Esdra e Neemia, fecero una riforma religiosa, combattendo la degenerazione della loro religione e l’idolatria. Emisero sentenze di morte e, poiché temevano che i matrimoni misti minassero la bontà della loro fede, costrinsero i giudei a ripudiare le mogli straniere.
Nel nono secolo il califfo abasside Al-Mamun lanciò un’Inquisizione contro il pensiero libero: voleva che si accettasse il corano così com’era.
L’Islam conserva ancora alcune pene corporali tipiche della caccia alle streghe dell’Inquisizione cristiana e la dottrina ufficiale ad es. sostiene il dogma che il corano è increato e quindi eterno e il suo originale è in cielo.
Nell’Islam furono considerati eretici i dualisti persiani, quelli che credevano alla metempsicosi, e quelli che non credevano alla religione rivelata e seguivano un ascetismo d’influenza buddista. Chi era giudicato eretico era decapitato o crocefisso.

 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Moreno Argentin




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  postato il 29/09/2008 alle 14:22
ciao, molto molto interessante questo thread, che seguo con attenzione.

ho avuto modo, quest'estate, di leggere un romanzo di Neal Stephenson: Snow Crash, nel quale tra mille spunti (va letto con un'enciclopedia vicino...) si parla anche di una sorta di ciclicità tra concezione elitaria e popolare della religione. sinceramente non ho ancora approfondito questo lato (ho iniziato a spulciare un po' le teorie economiche che vengono descritte, come l'anarco-capitalismo ), ma ho più o meno capito, nella parte più vicina al mio vissuto, che lo scrittore tratteggia la venuta di Cristo come una sorta di rivoluzione rispetto alla religione dei farisei e delle leggi, passando anche dalla semplificazione dei comandamenti-norma (il decalogo) nell'unico comandamento-azione (ama!). tra l'altro le famose lingue di fuoco vengono viste - nel contesto del romanzo, che si basa su una specie di virus neurolinguistico - come una specie di ritorno alla comunicazione tra popoli attraverso un'unica lingua.

cosa ne pensi di questa contrapposizione tra religione 'elitaria' e 'popolare'? il cristianesimo probabilmente all'inizio e durante il periodo delle catacombe era molto poco elitario (pur essendo 'limitato'). poi dopo l'organizzazione della chiesa e delle gerarchie (sostanzialmente quando ha ereditato la struttura dell'impero) forse è diventato meno 'popolare', per poi subire una vera e propria scossa con lutero. non so, forse ho perso un po' il filo del discorso...ma sono i limiti della comunicazione scritta o_0

 

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saluti a tutti
Vittorio

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 29/09/2008 alle 15:58
Originariamente inviato da dedalus

ciao, molto molto interessante questo thread, che seguo con attenzione.

ho avuto modo, quest'estate, di leggere un romanzo di Neal Stephenson: Snow Crash, nel quale tra mille spunti (va letto con un'enciclopedia vicino...) si parla anche di una sorta di ciclicità tra concezione elitaria e popolare della religione. sinceramente non ho ancora approfondito questo lato (ho iniziato a spulciare un po' le teorie economiche che vengono descritte, come l'anarco-capitalismo ), ma ho più o meno capito, nella parte più vicina al mio vissuto, che lo scrittore tratteggia la venuta di Cristo come una sorta di rivoluzione rispetto alla religione dei farisei e delle leggi, passando anche dalla semplificazione dei comandamenti-norma (il decalogo) nell'unico comandamento-azione (ama!). tra l'altro le famose lingue di fuoco vengono viste - nel contesto del romanzo, che si basa su una specie di virus neurolinguistico - come una specie di ritorno alla comunicazione tra popoli attraverso un'unica lingua.

cosa ne pensi di questa contrapposizione tra religione 'elitaria' e 'popolare'? il cristianesimo probabilmente all'inizio e durante il periodo delle catacombe era molto poco elitario (pur essendo 'limitato'). poi dopo l'organizzazione della chiesa e delle gerarchie (sostanzialmente quando ha ereditato la struttura dell'impero) forse è diventato meno 'popolare', per poi subire una vera e propria scossa con lutero. non so, forse ho perso un po' il filo del discorso...ma sono i limiti della comunicazione scritta o_0


Leggerò anch'io codesto romanzo e poi cercherò di risponderti con maggior precisione. Per il momento ti posso solo scrivere che l'unica religione elitaria è l'ebraismo (oltre a qualche setta, che però non conosco e quindi ...), mentre le altre cercano di fare proseliti, pertanto, da questo punto di vista, sono popolari. Però io complessivamente direi che sono più populiste/demagogiche e quindi, nella sostanza, antipopolari. Ciao e grazie delle tue parole.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 29/09/2008 alle 16:32
Originariamente inviato da lemond
Nell’Antico Testamento è noto l’ordine che riceve Abramo e come Isacco è risparmiato. (ma non è sicuro, infatti, c’è una setta che crede ancora che si debba sacrificare il primo figlio per …)


Non fu così per i bambini fatti sacrificare durante i regni dei tre re scismatici (Acaz, Manasse e Acab) come si legge nel libro dei Re. In Geremia si possono vedere le parole del Signore sui figli di Giuda: “Hanno costruito l’altare di Tofet per bruciare nel fuoco i loro figli …” (Il Tofet era un recinto sacro, poco a sud di Gerusalemme).


Non riesco a comprendere perchè Acaz, Manasse e Acab vengono definiti "scismatici". Mi sebra che il regno fosse stato frazionato in due parti (Israele/Samaria e Giuda/Gerusalemme) già prima di questi personaggi, la cui giusta definizione credo che sarebbe quella di "empi" o "eretici", appunto perchè abbracciarono la religione dei fenici (c'erano anche degli accordi matrimoniali in funzione di alleanza politica con le principesse delle città fenice).
Il "tofet" dovrebbe essere appunto il luogo dove i fenici sacrificavano i primogeniti.

 

[Modificato il 29/09/2008 alle 16:40 by aranciata_bottecchia]

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Davide

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 29/09/2008 alle 22:27
Originariamente inviato da lemond
..Per il momento ti posso solo scrivere che l'unica religione elitaria è l'ebraismo (oltre a qualche setta, che però non conosco e quindi ...), mentre le altre cercano di fare proseliti, pertanto, da questo punto di vista, sono popolari. Però io complessivamente direi che sono più populiste/demagogiche e quindi, nella sostanza, antipopolari.

Per amore di precisione, andrebbe forse detto che la definizione di "elitarismo" (inteso come religione che non si può abbracciare, o alla quale non ci si può "convertire") va riservata all'ebraismo considerando solo le religioni monoteiste "classiche".
In effetti sono molteplici al mondo le religioni delle quali "non si può" diventare seguaci, come ad esempio l'induismo e lo shintoismo.
Vuoi per ragioni etnico/geografiche, vuoi per la diversa sfumatura data al termine di seguace, che in alcuni casi non richiede professioni di fede particolari: nel caso dell'induismo (o come vogliamo chiamare quel coacervo di filosofie parallele che buona parte degli abitanti del subcontinente indiano segue), ogni persona che segua il proprio cammino senza ritenerlo superiore a quello altrui, senza cercare di convertire al proprio credo, senza discriminare, può essere definita induista.
Da questo importante aspetto deriva in parte anche la recente ondata di "antipatia" verso il cristianesimo che ha causato i gravi incidenti degli ultimi mesi in India.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 30/09/2008 alle 08:36
Originariamente inviato da aranciata_bottecchia

Originariamente inviato da lemond


Non fu così per i bambini fatti sacrificare durante i regni dei tre re scismatici (Acaz, Manasse e Acab) come si legge nel libro dei Re.


Non riesco a comprendere perchè Acaz, Manasse e Acab vengono definiti "scismatici".


Penso che tu abbia ragione, anche perché, dal punto di vista lessicale, la parola scisma in italiano è riferita solo al cristianesimo. Però R. Harris (o il suo traduttore) scrive così ed io mi ero adeguato, senza troppe "nuances" [(non trovo il termine appropriato. ]

P.S.

Chiedo a Bitossi se sa qualcosa in più.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 30/09/2008 alle 09:31
Non sono un grande esperto in materia, però vedo che il termine scisma viene usato in molte fonti anche per quel che riguarda il regno di Israele, valga per tutte il programma dei Corsi dell'ISSR (Istituto Superiore di Scienze Religiose) di Mantova: http://www.issrmantova.it/materie1.shtml (vedi punto 3.5 del Corso "Introduzione alla Sacra Scrittura).

Scisma prima politico e poi religioso, a quanto ricordo... con costruzione di un nuovo tempio per le tribù settentrionali.

Quando poi alcuni regni (che potremmo definire "post-scismatici") abbracciano addirittura religioni diverse, allora si deve effettivamente parlare di abiura.

Morale: in un certo senso avete ragione tutti e due...

 

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  postato il 30/09/2008 alle 10:26
Tutto molto interessante. Avrei 'voluto' (che pretese! ) leggere qualcosa di più sull'elemento naturale nelle religioni arcaiche e animiste. Interessante ad esempio la mitologia celtica, molto simile per certi aspetti alle credenze di popolazioni ben diverse, anche dalla parte opposta del globo (e questo conferma che non è stato dio a creare l'uomo, ma viceversa.. ).
 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 30/09/2008 alle 11:26
Originariamente inviato da desmoblu

Tutto molto interessante. Avrei 'voluto' (che pretese! ) leggere qualcosa di più sull'elemento naturale nelle religioni arcaiche e animiste. Interessante ad esempio la mitologia celtica, molto simile per certi aspetti alle credenze di popolazioni ben diverse, anche dalla parte opposta del globo (e questo conferma che non è stato dio a creare l'uomo, ma viceversa.. ).


Se hai un po' di pazienza ... dal primo gennaio invierò il calendario laico di Marcus Prometheus che spazia per migliaia di anni e poi, se ... cercherò io di spedire qualcosa sulle religioni più antiche.
P.S.

Sul fatto che (d)io si dovrebbe scrivere senza la d, sono affatto d'accordo

 

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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 03/10/2008 alle 08:12
Inquisizione e ... (ultima puntata)

L’Inquisizione, soprattutto in Europa, si accanì anche contro streghe, accusate di aver fatto un patto con il diavolo, erano anche sospettate di profanare l’ostia consacrata. Le streghe erano spesso levatrici ed erboriste, esperte di medicina empirica e praticavano aborti. Furono perseguitate fino al 1750.
Per estensione, furono accusati di stregoneria gli eretici, gli ebrei, i valdesi, i catari e i templari. (Per quest'ultimi si può vedere nella serie intitolata "ipse dixit" perché il numero 13 porti male)
Nel 1484 Innocenzo VIII iniziò lo sterminio: furono accusate di stregoneria anche le levatrici. Nelle chiese fu collocata una cassetta per le denunce anonime: la presunta strega era invitata a confessare ed abiurare il demonio, se non lo faceva era torturata, quando confessava era bruciata. Gli eretici che confessavano spesso si salvavano, invece le streghe finivano lo stesso sul rogo.
Strumenti di tortura erano il cavalletto, gli strumenti per slegare le ossa, le tenaglie, il fuoco sotto i piedi. Il supplizio durava a discrezione dell’inquisitore; spesso, per il dolore, si confessava la propria colpevolezza, anche se innocenti.
Nel 1487 il “malleus maleficarum”, opera di domenicani tedeschi, costituì il modello per il programma di repressione dell’Inquisizione contro le streghe, voluto da Innocenzo VIII. L’opera era divisa in tre parti: la prima dimostrava l’esistenza della stregoneria e della magia, la seconda descriveva le varie forme, la terza forniva istruzioni su come interrogare, processare e punire le streghe. Per il malleus, le donne erano più inclini degli uomini alla stregoneria, per quei domenicani, tutto aveva cominciato ad andare storto con Eva.
Nel 1600 c’erano dei personaggi che giravano per i villaggi, dicendo d’essere capaci di riconoscere le streghe a colpo d’occhio e si facevano pagare per ogni strega condannata.
Per la caccia alle streghe si arrivò a distruggere dei villaggi e furono accusate d’essere responsabili anche della carestia.
Nel 1500 in Friuli alcuni contadini, detti benandanti, erano accusati di stregoneria perché curavano le persone cadendo in "trance". Si credeva che fossero benandanti tutti i bambini che “nati con la camicia”, cioè coperti dalla placenta!
Nella ricerca delle prove di colpevolezza, dall’Inquisizione fu adottata l’ordalia germanica o giudizio divino, con la prova del fuoco, del ferro rovente, dell’acqua e dell’olio bollente. Ad es. quella dell’acqua fredda: chi annegava era considerato innocente!
Nell’ordalia germanica, diversamente che nell’inquisizione cattolica, il giudice era al disopra delle parti.

Uno dei casi più clamorosi fu quello di Salem (Massachusetts) nel 1692. Fu istituito un vero e proprio tribunale, incarcerate e giustiziate 20 persone tra cui donne, uomini e bambini. Tra questi solo Giles Corey non venne impiccato: l'ottantenne non si lasciò processare, e per tale ragione venne schiacciato sotto lastre di pietra. Morirono ancora 4 persone in carcere. L'isteria generale si concluse nell'autunno del 1692 e il 12 ottobre 1693 il governatore Phips sciolse il tribunale creato per processare le streghe e istituì una Corte di giustizia che, dopo aver preso in esame 52 casi, assolse 49 detenuti e commutò la pena di 3 condannati a morte.

Fonti:
“L’inquisizione spagnola” di S. Turbeville - Feltrinelli Editore,
“La chiesa che censura” di Pierino Marazzani – Editore Erreemme,
“ Il libro nero del cristianesimo” di Fo, Tomat, Malucelli – Editore Nuovi Mondi,
“Chiesa e stato in Italia”- di Arturo Carlo Jemolo – Einaudi Editore,
“I papi contro gli ebrei” di David Kertzer – Rizzoli Editore,
“Storia dell’antisemitismo” di Gerard Messadié – Piemme Editore,
“ I papi storia e segreti” di Claudio Rendina – Newton Editore,
“Verità e menzogne della chiesa cattolica” di Pepe Rodriguez – Editori Riuniti,
“Storia criminale del cristianesimo” di Karlheinz Deschner –Ariele Editore,
“Perché non sono musulmano” di Ibn Warraq – Ariele Editore,
“Storia della città di Roma nel medioevo” di F. Gregorovius- Einaudi Editore,
“ Storia dei papi” di Leopold von Ranke – Sansoni Editore,
“I fratelli siamesi – lo stato e la religione” di Nunzio Miccoli.




 

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  postato il 03/10/2008 alle 13:32
Con riferimento alla richiesta di Desmoblu, per ora ho trovato questa storiella(che non è né animista, né celtica, ma arcaica sì)

Come nacque la Bibbia (prima puntata)
di David Donnini
http://www.nostraterra.it/

Indagine critica sulle radici storiche del Vecchio Testamento
"Dio non avrebbe mai scritto un libro come questo"

1 - UN FARAONE PARTICOLARE.
Una ventina d'anni fa, mentre rovistavo nella vecchia libreria di mio padre, fra scaffali nei quali facevano bella mostra di sé le eleganti costole rilegate in tela di volumi degli anni trenta e quaranta, mi capitò fra le mani un testo di Sigmund Freud: "Mosè e il monoteismo".
Rimasi stupito del fatto che Freud si fosse occupato di quell'argomento; ero abituato a titoli come "Psicopatologia della vita quotidiana", o "L'interpretazione dei sogni", e pensavo che il padre della psicanalisi non si fosse mai interessato di questioni storiche o religiose. Iniziai a leggerlo e, devo confessare, fu un impatto travolgente; rimasi talmente affascinato da ciò che scoprii che mi domandai com'era possibile che certi significativi incontri dipendessero da circostanze così casuali. E se non ci fosse stato questo libro nella casa dei miei genitori? L'avrei mai letto?
Sigmund Freud era ebreo di nascita. Egli apparteneva ad una stirpe che, in seguito alla plurisecolare persecuzione subita da parte dei cristiani, ha sviluppato per reazione un fortissimo senso della propria identità e trasmette ai propri figli un orgoglio fiero, composto ma deciso, capace di lunga rassegnazione, ma anche di uno spirito di autodifesa e di combattimento com'è difficile trovarne in altre realtà etnico-religiose.
La prima parte del libro faceva spesso riferimento ad un faraone egiziano della XVIII dinastia, Amenofi IV. Costui fu il protagonista di una eccezionale riforma politico-religiosa del sistema egiziano. L'occidente cristiano non ha la benché minima idea di quanto sia debitore, nelle caratteristiche della propria identità culturale, al faraone Akhenaton e ai contenuti della sua riforma.
Sarà bene procedere con calma e ordine, cominciando da una brevissima premessa sulla situazione dell'Egitto nel periodo che precedette l'ascesa al potere di questo singolare faraone.
Sotto il regno di Amenofi III (negli anni dal 1405 al 1377 a.C.), quando Tebe era la città reale, una fortissima casta sacerdotale, custode e amministratrice del culto del dio Ammon, aveva sviluppato, in connubio con l'aristocrazia del paese, un grande potere, ed era entrata in una posizione conflittuale con l'egemonia della corte faraonica. Per questo motivo, ma anche per una propensione caratteriale e ideologica, allorché succedette ad Amenofi III il figlio che costui aveva avuto dalla regina Tiye, Amenofi IV (intorno all'anno 1377 a.C.), l'Egitto fu protagonista del suo più grande sconvolgimento, quale nemmeno le precedenti invasioni degli Hyksos avevano potuto produrre.
In breve tempo, a partire dalla sua nomina al trono, il nuovo faraone rivoluzionò la religione di stato, spodestò la classe sacerdotale, sostituì il molteplice panteon egizio con una curiosa fede monoteistica. Si trattava forse del primissimo esempio nella storia di monoteismo di stato, incentrato sul culto del disco solare, che era chiamato Aton. Anche la capitale fu spostata ad Akhet-aton, più a nord rispetto a Tebe, e il sovrano mutò il proprio nome da Amenofi ad Akhenaton, o Ekhnaton (amato da Aton).
Nell'insegnamento di Akhenaton possiamo notare la insistente ricorrenza del termine "maet" (verità), ed egli stesso si definiva "vivente nella verità", al punto da sovvertire la tradizione che, nelle opere d'arte, era solita presentare il sovrano in una forma stereotipata, coerente col formalismo celebrativo, e si faceva ritrarre in scene di vita familiare, mentre insieme alla moglie Nefertiti e alle figlie passeggiava e faceva offerte al dio sole.
Fu, probabilmente, un faraone dal volto umano; sappiamo che perseguì una politica pacifista, riducendo le spese militari e rinunciando alla difesa ad oltranza dei territori fuori dall'Egitto. Possiamo ragionevolmente ipotizzare che ciò comportasse una diminuzione del prelievo fiscale; possiamo anche avanzare l'idea che il popolo percepisse, nella figura del suo bizzarro faraone, qualcosa di meno lontano da sé di quanto non fossero stati i precedenti sovrani e sacerdoti. Ma queste, ci tengo a chiarirlo, sono speculazioni arbitrarie, senza un fondamento nelle prove storiche.
E' abbastanza immediato pensare che un sistema del genere difficilmente avrebbe potuto funzionare a lungo. Infatti gli hittiti premevano ai confini orientali del regno e sfruttarono la circostanza per espandere il loro dominio a spese dell'Egitto. Molti fra i sacerdoti spodestati e gli aristocratici intuirono i pericoli della circostanza e tramarono per preparare una restaurazione del precedente regime e riconquistare i privilegi perduti. Allorché Akhenaton morì (intorno al 1362 a.C.), la moglie Nefertiti si adoperò per far salire al trono il giovanissimo genero Tut-ankh-aton, ma, alla morte della stessa Nefertiti, sacerdoti ed aristocratici approfittarono della situazione instabile e dell'inesperienza del nuovo faraone, per iniziare una rapida controriforma e per rimettere in piedi gli antichi poteri e la religione tradizionale dell'Egitto. La città di Akhet-aton fu abbandonata e la capitale fu ristabilita a Tebe. Anche il nome del faraone fu opportunamente corretto in Tut-ankh-amon, coerentemente col culto restaurato del dio Ammon. Tutti conosciamo il famoso faraone, è l'unico di cui è stata scoperta la tomba intera, inclusa la mummia, e questo ritrovamento è stato l'evento più spettacolare dell'archeologia egiziana.
E' ovvio che, con l'avvento della restaurazione, una parte della società egiziana, che si era sviluppata alla corte di Akhenaton, visse un pesante tracollo. Possiamo facilmente immaginare in quale difficile situazione si siano trovati i suoi ex funzionari e sacerdoti, improvvisamente esautorati e, probabilmente, perseguitati.
Ora, come spesso succede in questi casi, se sono i grandi poteri a stabilire certe tappe importanti del cammino storico, sono alcuni poteri meno appariscenti (oserei dire occulti) a dirigere il cammino definitivo della storia, anche se a lunga scadenza. Infatti è assolutamente certo che l'esperienza del regno di Akhenaton aveva lasciato una traccia profonda, non solo negli interessi politici e nei rancori di quanti erano stati colpiti dalla controriforma, ma anche, e forse soprattutto, nell'inconscio collettivo, grazie all'idea di una teologia monoteistica, che sostituiva le figure fantasiose delle numerose divinità col concetto affascinante di un principio creatore unico ed universale, irrimediabilmente superiore a quello delle immagini dall'aspetto antropomorfico o animale, simboleggiato dal disco solare; in cui chiunque riconosce istintivamente la paternità di ogni manifestazione della vita terrestre.
Sebbene non ci siano elementi per riportare alla luce, dall'oblio in cui sono stati definitivamente sepolti, i movimenti e le trame di coloro che, per interesse o per adesione ideologica, simpatizzavano con le concezioni dell'ormai sconfitto sistema politico-religioso di Akhenaton, possiamo essere certi che questo desiderio di ritorno alle novità di cui l'Egitto aveva avuto un assaggio, non ha mai più abbandonato almeno una parte della società di questo paese, e ha giocato un ruolo non indifferente nella dinamica delle conflittualità interne.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 05/10/2008 alle 10:32
Come nacque la Bibbia (seconda puntata)

GLI EBREI IN EGITTO.
A questo punto, nel nostro discorso, possiamo innestare la realtà dei popoli semitici che erano penetrati in Egitto, pur non essendo egiziani, in una condizione che troppo spesso è semplicisticamente rappresentata dal termine "schiavitù".
Già in precedenza i rozzi nomadi semiti avevano preso di mira, con le loro migrazioni di massa, altre grandi civiltà sedentarie, attratte dallo straordinario sviluppo tecnologico di cui queste erano depositarie, e della loro imponente organizzazione urbanistica e sociale. Mi riferisco ai sumeri, che furono letteralmente schiacciati da questa corrente migratoria. I semiti in questione erano gli accadi. Un grande condottiero di questi uomini (siamo intorno all'anno 2450 a.C.), protagonista di una clamorosa vittoria sui sumeri, fu Sargon. Di lui la leggenda accadica narra che era stato abbandonato dalla madre nelle acque del fiume, in un canestro di giunchi, per poi essere raccolto da un acquaiolo, su indicazione della dea Ishtar, che lo aiutò a diventare un re potente. E' una storia che già conosciamo, anche se con altri protagonisti.
Adesso, nell'Egitto degli ultimi faraoni della XVIII dinastia, e dei primi della XIX, succedeva qualcosa di somigliante a ciò che era successo nel paese dei sumeri mille anni prima; e che succede ancora oggi nei paesi opulenti dell'occidente cristiano. Le popolazioni circostanti, etnicamente diverse, socialmente e culturalmente meno evolute, economicamente più povere (potremmo considerarli gli extracomunitari dell'epoca), entravano in Egitto e qui si stabilivano in cerca di fortuna. Gli stessi Egiziani tolleravano la loro presenza perché, non ostante gli evidenti svantaggi del fenomeno immigratorio, questa gente offriva forza lavoro a basso costo, e poteva svolgere gli innumerevoli compiti che i contadini egizi non avrebbero potuto né voluto svolgere. La Bibbia li rappresenta come un popolo che aveva già maturato una sua identità nazionale, chiamandoli ebrei. Ma questa è pura leggenda. Infatti le popolazioni che si erano introdotte in Egitto per lavorare erano molte e diverse, così come oggi, da noi, sono diversi i marocchini dai senegalesi, gli albanesi dagli slavi...
E' probabile che, ad un certo punto, questa parte della varia umanità che componeva il tessuto sociale egiziano, abbia acquistato un certo peso e una certa coscienza di sé, maturando il bisogno di acquistare anche un senso della propria identità che, ovviamente, fino a quel momento non esisteva perché si trattava di un gruppo eterogeneo per lingua, razza e culti religiosi, in cui, probabilmente, prevaleva una componente semitica.
L'opinione di Freud, che egli illustra con grande chiarezza nel libro che abbiamo citato in precedenza, è quella che le conflittualità interne alla società egiziana e, in particolare, le opposizioni nei confronti della classe dominante, costituita dai faraoni della XIX dinastia e dalla classe sacerdotale fedele al culto restaurato del dio Ammon, abbiano potuto concentrarsi intorno alla nostalgia per la perduta riforma voluta da Akhenaton.
E' probabile che il monoteismo incentrato sulla figura divina del sole offrisse l'idea di un concetto universalistico che si prestava alle istanze di quanti, in seno alla società egiziana, erano collocati in una posizione fortemente emarginata e subordinata. Ed è anche probabile che gli ex funzionari e sacerdoti di Akhenaton, o i loro discendenti, abbiano trovato nelle popolazioni semitiche, che vivevano in Egitto in una condizione di pesante asservimento, una comunità disposta ad ascoltarli, interessata a seguirli, a dare loro peso e importanza. Si sarebbe così determinata una simbiosi fra la parte dissidente della società egiziana, costituita da quanti avevano subito il tracollo del sistema di Akhenaton, e le popolazioni immigrate, le quali, fino a quel momento, non erano state capaci di darsi né una identità né una forza come gruppo.
Freud si è spinto fino ad avanzare l'idea che l'uomo che noi conosciamo come Mosè fosse stato un ex funzionario di Akhenaton, anche se ciò dà adito a qualche obiezione. Una di queste, per esempio, riguarda i tempi; infatti una delle probabili datazioni dell'uscita delle popolazioni semitiche dall'Egitto è intorno al 1250 a.C., durante il regno del faraone Ramsete II. Sono passati cento anni dalla restaurazione del culto di Ammon e Mosè non potrebbe essere stato un protagonista in prima persona dell'esperienza del sistema di Akhenaton. Anche se, in realtà, la datazione dell'esodo è quanto di più incerto ci sia e non è possibile porre questa obiezione come decisiva. Personalmente non credo affatto che determinare una datazione certa per il cosiddetto esodo sia molto importante, ai fini del nostro discorso; infatti non è così fondamentale che Mosè sia stato, oppure no, un funzionario del faraone Akhenaton. A noi importa soprattutto introdurre un'idea: quella che gli egiziani accomunati da un interesse nostalgico per il sistema di Akhenaton e per la sua concezione monoteistica, da un lato, e la componente emarginata della società egiziana che aveva avuto origine nei trascorsi flussi immigratori, dall'altro lato, avessero trovato un'intesa che li poneva in serio conflitto con le classi dominanti e che li aiutava a maturare una identità di gruppo.
Ora, gli interpreti di questo più che verosimile processo possono essere stati sia gli ex protagonisti del sistema di Akhenaton, in un'epoca immediatamente successiva alla restaurazione (fra il 1350 e il 1300 a.C.), sia i loro discendenti (fra il 1300 e il 1200 a.C.), ovverosia all'epoca in cui siamo soliti ambientare l'esodo biblico.

 

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  postato il 05/10/2008 alle 11:09
Per ora molto interessante.
La mia domanda/proposta era più incentrata su un passaggio culturale precedente, ancora basato sul politeismo.
Il riferimento alla 'religione' (meglio, mitologia) celtica non era esclusivo, è semplicemente un buon termine di paragone con- ad esempio- la religione nell'antica Creta o di popolazioni dell'Asia e dell'Oceania.
Fondamentale il riconoscimento a grado di 'divinità' dell'elemento naturale, nel caso celtico del singolo elemento: questa o quella montagna, questa o quella roccia, questo o quell'albero (anzi, gli alberi erano considerati entità femminili, e difatti ancora adesso in certe zone del Piemonte si parla di 'albere': curioso come anche in latino la maggior parte degli alberi abbiano nome femminile), questo o quel fiume. Su questa credenza 'locale' si inserisce il culto delle divinità, sempre legate all'elemento anturale. Ad esempio Morrighan, che si trasforma in corvo e 'procrea' a cavalcioni di un fiume: è la dea della guerra e della vittoria (ma anche della sconfitta: nasce con la 'militarizzazione' della popolazione celtica). E stranamente (ma nemmeno troppo ) è madre di Brigit, la dea della saggezza e protettrice dei fabbri, degli artigiani e dei poeti (tra le righe: dopo la conquista militare, le tribù diventano STANZIALI) . C'è anche il culto degli eroi, della stirpe. E ci sono riferimenti a una 'dea madre' (origine danese?) che sembra quella cretese, appunto.
(fonte iniziale: scuolamanzoni.it)

Insomma, è solo uno spunto di riflessione che ho buttato lì e potrebbe essere interessante

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 05/10/2008 alle 11:23
Sono d'accordo, almeno a me interessa molto. Sulla dea originaria, ho letto alcune cose, ma non rammento granché (a parte il discorso di presentazione di Albino Luciani, che poi forse fu ucciso, ma non credo per questo)

 

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  postato il 05/10/2008 alle 19:40
Ah...dimenticavo: la foto postata- tratta da scuolamanzoni.it- rappresenta la Dea Madre (o dei serpenti) di Creta.
 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 06/10/2008 alle 08:33
Come Nacque la bibbia (terza puntata)

MOSE' EGIZIANO?
C'è un aspetto estremamente importante che Freud sottolinea con argomentazioni puntuali e, direi, piuttosto ineccepibili. Si tratta del fatto che Mosé sarebbe stato un egiziano e non, come si crede comunemente, un ebreo. Una delle basi di questa opinione risiede nel nome stesso: "...E' importante notare che il suo nome (il nome di questo capo), Mosè, è egiziano. Esso è semplicemente la parola egiziana "mose" che significa "fanciullo", ed è la contrazione di forme nominali più complesse, quali ad esempio "Amon-mose", che significa "Amon un fanciullo", o "Ptah-mose", che significa "Ptah un fanciullo", i quali nomi sono a loro volta abbreviazioni della forma piena "Amon ha donato un fanciullo", o "Ptah ha donato un fanciullo". L'abbreviazione "fanciullo" presto divenne una forma rapida più conveniente dell'ingombrante nome completo, ed il nome Mose, "fanciullo", non è infrequente sui monumenti egizi. Il padre di Mosé senza dubbio prefisse al nome del figlio quello di un dio egizio, quale Amon o Ptah, e questo nome divino si perdette gradualmente nell'uso corrente, finché il fanciullo venne chiamato "Mose"" [Citazione da History of Egypt, di J.H.Breasted, in Freud, Mosè e il monoteismo, Pepe Diaz, Milano, 1952].
"...nella lingua [egiziana] "Mosè" equivaleva a "bambino", "figlio", "discendente", sia in senso letterale che metaforico..." [J.Lehmann, Mosè l'egiziano, Garzanti, Milano, 1987].
E ancora: "...non ci resta perciò che il nome, il quale, malgrado la spiegazione giudaica "tratto dalle acque", riallaccia Mosè ai nomi egiziani Tutmosi o Ramesse (Rah-mose)" [F.Castel, Storia d'Israele e di Giuda, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (Mi), 1987].
C'è poi un'altra importante considerazione da fare. Il Mosè biblico ha un abito del tutto leggendario, a sostegno dell'idea che la sua identità sia il frutto di una operazione artificiale finalizzata a rappresentarlo come il padre nazionale degli ebrei . Infatti il racconto della sua nascita, coerentemente con le leggende semitiche, è la copia esatta del racconto che riguarda la nascita del grande Sargon di Accad, che fu abbandonato nelle acque e poi salvato per diventare, infine, un grande re. Evidentemente, allorché fu redatta la storia del popolo che era sfuggito dall'Egitto, si voleva che il suo condottiero possedesse i requisiti che lo rendevano meritevole, a pieno titolo, di quella dignità. Il racconto non fu scritto da storici, animati da uno spirito scientifico di cronaca, ma da apologeti, che dovevano contribuire alla creazione di una coscienza nazional-religiosa.
Ora, esistono altri elementi di sostegno alla tesi del Mosé egiziano, seguace della teologia di Akhenaton: uno è il nome che gli ebrei utilizzano spesso per riferirsi al loro dio, al posto del termine tabù (indicato comunemente dal tetragramma YHWH) che nessuno poteva pronunciare ad alta voce. Si tratta della parola Adonai, che ha la stessa radice (Adon) del dio solare di Amenofi IV (Aton). I glottologi sanno bene che le lettere t e d sono del tutto intercambiabili nelle radici etimologiche, pertanto Adon e Aton sono esattamente lo stesso nome. Si osservi quanto afferma ancora Sigmund Freud: "Il credo ebraico, come è noto, recita: "Schema Jisroel Adonai Elohenu Adonai Echod". Se la somiglianza del nome dell'egizio Aton alla parola ebraica Adonai e al nome divino siriaco Adonis non è casuale, ma proviene da una vetusta unità di linguaggio e significato, così si potrebbe tradurre la formula ebraica: "Odi Israele il nostro Dio Aton (Adonai) è l'unico Dio"" [Sigmund Freud, Mosè e il Monoteismo, Milano, 1952].
L'altro elemento è l'aspetto della famosa "arca dell'alleanza" , che, nel racconto biblico (Es 25, 10-22), Dio aveva ordinato a Mosè di edificare e che, in seguito, sarebbe stata conservata nel tempio di Salomone fino all'invasione assira. Essa riproduce la "barca degli dei" dei templi egizi, anch'essa coi cherubini ad ali spiegate.
Ma c'è un altro elemento, senza dubbio quello di maggior peso: Mosè è comunemente considerato il padre del monoteismo, ma dobbiamo ammettere che la sua idea ha un precedente molto vicino nello spazio e nel tempo, e molto analogo, nella teologia di Akhenaton, pertanto ci rimane difficile credere che la sintesi monoteistica di Mosè non abbia alcun debito nei confronti della rivoluzione religiosa del faraone Amenofi IV.
Riassumendo:
1 - Mosè predica in Egitto, come Akhenaton 50 o 100 anni prima, una teologia monoteistica;
2 - Mosè ha un nome egiziano;
3 - Mosè ha, nel racconto biblico, una nascita assolutamente leggendaria;
4 - Un nome del dio ebraico (Adonai), ha la stessa radice del dio solare (Aton) di Amenofi IV;
5 - L'arca dell'alleanza degli ebrei è quasi identica alla "barca degli dei" dei templi egizi.

 

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  postato il 07/10/2008 alle 08:26
Come nacque la bibbia (quarta puntata)

UN POPOLO ETEROGENEO.
Ci troviamo davanti ad importanti constatazioni: le genti che uscirono dall'Egitto, attraverso quel processo che la Bibbia rappresenta nel libro dell'Esodo, erano costituite, per una componente, da una parte della società egiziana, quella dissidente, erede della riforma politico-religiosa di Akhenaton, fedele alla teologia monoteistica, e, per l'altra componente, da un insieme variegato di tribù, in prevalenza semitiche, che avevano trascorso in Egitto molti decenni, trovando interessi da condividere. Si trattava comunque di genti che parlavano lingue o dialetti diversi, con tradizioni religiose diverse, legate agli dei tribali. Non si trattava affatto di un popolo omogeneo, che potesse riconoscersi sotto il nome di ebrei. Ed è per questo che il racconto biblico ci testimonia la grande difficoltà di tenere unito questo insieme di persone ma, soprattutto, la difficoltà di Mosè a mantenere una egemonia su queste genti. Si ricordi a questo proposito il ritorno di Mosè dal monte Sinai, col popolo che, in sua assenza, aveva iniziato ad adorare il vitello d'oro, restaurando, chi lo sa, qualche culto tribale.
E' molto verosimile che la componente egizia di questo insieme di genti, ovverosia gli eredi del sacerdozio di Aton, fossero quelli che la tradizione ebraica chiama "Leviti" e che Mosè ne fosse il capo.
Volendo mantenere un atteggiamento storicamente onesto, noi dobbiamo dissociarci dall'immagine biblica e riconoscere che, all'epoca dell'esodo, non esistevano affatto, o ancora, gli ebrei, intesi come un popolo che potesse essere considerata tale a tutti gli effetti, ovverosia con una sua omogeneità etnica, linguistica, culturale e religiosa, e con una storia comune oltre al fatto di avere condiviso uno stato di emarginazione e di subordinazione in Egitto. Quello che la Bibbia ci rappresenta come il momento in cui gli ebrei realizzarono il loro riscatto dalla schiavitù egiziana è, in realtà, il primo momento in cui gli ebrei iniziano ad inventarsi come popolo. Mosè fu il loro punto di riferimento, come Maometto, 1800 anni più tardi, fu il punto di riferimento per la nascita di una nazione araba. Allora possiamo quasi affermare che la Bibbia non fu un prodotto degli ebrei ma, al contrario, furono gli ebrei un prodotto della Bibbia, nel senso che i principi teologici della Bibbia furono concepiti col fine primario di offrire una base adatta a creare e consolidare l'identità etnico-religiosa di quell'insieme di tribù che si era voluto far diventare popolo.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 08/10/2008 alle 08:56
Come nacque la bibbia (Quinta puntata)

DAVID, L'UNTO DI YHWH.
I fuoriusciti dall'Egitto, governati da una casta egiziana e da un capo che aveva riciclato il monoteismo di Akhenaton, ebbero vita difficile e peregrinarono in cerca di una casa finché non giunsero nei pressi di quella striscia di territorio che sta tra il fiume Giordano e il mar mediterraneo. In quel contesto di deserti infuocati (Sinai, Negev, penisola arabica...), dove in estate il sole, picchiando sulle rocce e sulle sabbie nude, produce comunemente temperature di 50 e persino 60 gradi che arrostiscono ogni creatura vivente, le colline della palestina, che sfiorano i mille metri d'altitudine, arrestano il vento che viene dal mare e facilitano le piogge, creano un ambiente assolutamente idilliaco. Clima temperato, boschi verdeggianti, erba adatta al pascolo, stambecchi che scorrazzano, sorgenti di acqua fresca e terra fertile.
Chi non avrebbe pensato che quella sorta di oasi incredibile era un giardino preparato apposta dal creatore come dote per un popolo che godeva di una sua particolare simpatia?
Ma, ahimé, altre genti occupavano questo suolo. Tribù che non erano molto intenzionate ad accettare l'intromissione di questa nuova banda di nomadi.
Certamente i fuoriusciti dall'Egitto ebbero da affrontare prove molto dure, come del resto è chiaramente testimoniato dal racconto biblico relativo al tutto il lungo periodo che separa Mosè da David (due o tre secoli). Un periodo di lotte interne e di conflitti esterni in cui queste genti, oltre a combattere con gli indigeni che trovavano sul loro cammino, dovevano anche combattere contro quella crisi di identità che non poteva non affliggere coloro che tentavano di comportarsi come popolo, pur essendo un miscuglio molto bastardo. Ed è per questo che la società di Israele ha sempre conservato nella sua struttura una molteplicità che, nei fatti, si è espressa nella suddivisione in dodici tribù.
Ovviamente, le vicende e i disagi che questo insieme di genti ha dovuto vivere nei due o tre secoli successivi all'uscita dall'Egitto, ha influito profondamente sulla maturazione della loro concezione religiosa. Infatti, sebbene l'eredità teologica della concezione monoteistica di Akhenaton fosse il concetto di un creatore unico per tutto l'universo e per tutti gli esseri, fu impossibile evitare che queste tribù, impegnate in una dura lotta per la sopravvivenza, non sviluppassero un'immagine del dio come "proprio" dio, un dio che amava intervenire a favore del suo popolo prediletto, un dio che determinava gli esiti delle battaglie e veniva definito per questo "dio degli eserciti".
Questa, filosoficamente parlando, è senz'altro una involuzione del monoteismo pacifista di Akhenaton, che sembrava accarezzare l'idea incredibilmente moderna di una religione universale, legata all'immagine di dio non come signore tribale, ma come signore della natura, depositario di quella potenza che elargisce e governa la vita di tutte le creature. Ma è anche vero che Akhenaton, in giovane età, come principe ereditario, si è trovato senza fatica sul trono di una antica e splendida civiltà. Per lui è stato facile immaginare una religione universale e pacifica, e non possiamo dimenticare che la sua politica idealista, in fin dei conti, è stata abbastanza rovinosa per l'Egitto.
Il dio unico di Israele non è più quel sole equanime che splende per tutti, i cui raggi scendono sulla terra come mani amorose che accarezzano tutte le creature. Il dio di Israele diventa molto partigiano, intende sterminare coloro che non vogliono essere suoi fedeli, incarica un popolo prediletto di farsi esecutore impietoso di questo piano finalizzato al risanamento spirituale dell'umanità. Questa è ovviamente la proiezione narcisistica eseguita da un gruppo umano che, a differenza di Akhenaton, non ha ereditato lo splendore di un antico e ricco paese, bensì non ha ancora una terra, non ha una storia comune, non ha altro che povertà, nemici ostili e crisi di identità collettiva.
Che altro può fare, un gruppo umano come questo, se non inventarsi un orgoglio nazional-religioso, anzi, una missione spirituale, un patto privilegiato col creatore, colmare il proprio immaginario collettivo con l'idea di essere, fra tutti i popoli, il favorito del creatore e di legittimare il proprio interesse promuovendolo al rango di una causa di giustizia universale? Non solo è una idea necessaria, ma si tratta di una idea geniale, assolutamente vincente e, sebbene il presunto favore di dio sia solo una invenzione narcisistica, chi, in Israele, avrebbe osato metterlo in dubbio? Ed è così che l'idea di un monoteismo di stato, presa in prestito da Akhenaton, che non si era rivelata utile per il vecchio Egitto, si rivelò utile per il giovane Israele; adattando però una parte della sua filosofia alle necessità di questo popolo nascente e assumendo tinte di spiccato nazionalismo.

 

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Livello Greg Lemond
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  postato il 08/10/2008 alle 09:41
Inchiesta sul cristianesimo (Recensione di Raffaele Carcano, Circolo UAAR Roma)

Corrado Augias, Remo Cacitti. Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione. Milano, Mondadori 2008, pp. 276, € 18,50. ISBN 8804583037





Inchiesta su Gesù, scritto da Corrado Augias insieme a Mauro Pesce, fu accolto con un autentico tiro infuocato da parte cattolica (cfr., per esempio, le Ultimissime del 30 novembre 2006 e del 1° marzo 2007), benché il testo non contenesse certo tesi estremistiche o ascientifiche e, anzi, non fosse alieno da una certa fascinazione per il personaggio-Gesù. L’irritazione delle gerarchie ecclesiastiche scaturiva, molto probabilmente, da una ragione molto più terrena: il grande successo ottenuto dal libro, che sarà peraltro ulteriormente amplificato proprio dalle loro reiterate critiche. Due anni dopo Augias torna alla carica con una nuova opera, che rappresenta il logico proseguimento di quel volume: un’inchiesta sulla religione fondata da Gesù. O da Paolo, come sostengono in molti.



L’impostazione è la stessa di Inchiesta su Gesù: Augias nel ruolo di chi vuole saperne di più e uno storico del cristianesimo, in questo caso Remo Cacitti, che risponde alle sue domande. Rispetto a Pesce, Cacitti ha a che fare con un compito apparentemente più facile, perché le fonti disponibili sono progressivamente più numerose man mano che la nuova religione (molto lentamente) si diffonde: anzi, a partire dal secondo secolo cominciano a essere disponibili anche fonti non cristiane, mentre per tutto il primo altro non c’è che le tre-righe-tre lasciate da Giuseppe Flavio, oltretutto frequentemente oggetto di discussione.



In tal modo lo storico, anche se parte da un’impostazione cristiana, finisce però inevitabilmente per contrapporsi a quella vulgata che, benché in ambito scientifico sia rappresentata ormai solo da una minoranza di studiosi confessionalmente orientati, continua a essere promossa dalle gerarchie ecclesiastiche, supportata acriticamente dalla maggioranza dei mezzi di informazione e, conseguentemente, presa per oro colato dall’opinione pubblica. Non sorprende pertanto che gli italiani, e in particolar modo i cattolici, continuino a essere così all’oscuro di tanti aspetti di quella fede in cui pur dicono di credere. La Verità cattolica è del resto instillata in loro fin da piccoli: un docente di religione, ricorda Cacitti, non può raccontare a scuola che Gesù, stando a quanto riportano gli stessi Vangeli, aveva quattro fratelli e alcune sorelle, perché rischierebbe il posto di lavoro, che “deve” al benestare del suo vescovo. Augias e Cacitti, consci di questa situazione, prendono esplicitamente le distanze dalla «restaurazione cattolica» tentata in prima persona da Benedetto XVI con il suo Gesù di Nazaret, il cui obiettivo dichiarato era «di tornare molto indietro, a prima degli studi storico-critici su Gesù».



Per contro, l’Inchiesta sul cristianesimo ricorda, tra l’altro, che quasi sicuramente Gesù non affidò alcuna missione universale agli apostoli; che probabilmente Pietro non venne mai a Roma; che il pantheon romano, formato da tante divinità ognuna con un proprio compito, si riprodusse pari pari nel cristianesimo con la proliferazione dei santi; che il dottore della Chiesa Agostino, per formulare le sue «tragiche» teorie sul peccato originale e sulla conversione coatta, ha rielaborato alcuni passaggi evangelici in maniera molto “creativa”; che il cristianesimo «non ha portato rilevanti novità neppure nell’emancipazione della donna»; che il celibato ecclesiastico è «il portato di una tradizione senza fondamento biblico né dottrinale».



Il cristianesimo non era affatto un monolite già in età apostolica: esistevano anzi molti cristianesimi, e per quanto sia difficile farlo sapere all’opinione pubblica, in ambito scientifico la circostanza è considerata quasi un dato di fatto (cfr. per esempio I cristianesimi perduti, di Bart D. Ehrman). Di quei cristianesimi una sola versione ha trionfato, e solo grazie a quello che Cacitti definisce «un ragionamento elementare» di Costantino, una sua valutazione politica. Sarà poi Teodosio a dare l’impulso definitivo, stabilendo che l’impero avesse una sola religione, il cristianesimo (nella variante cattolica): un monoteismo che, come si ricorda nel testo, proprio in quanto tale portava necessariamente con sé i germi dell’intolleranza. La Chiesa non spese mai parole per impedire questa deriva: un uomo come Lattanzio fu per esempio lestissimo nel trasformarsi da fautore della libertà religiosa a sostenitore della religione di Stato, una volta che il cristiano Costantino ebbe preso il potere. Ma il vero e proprio cardine della politica cristiana nel IV secolo fu Ambrogio, che seppe abilmente sfruttare il proprio ascendente su imperatori o troppo deboli, o troppo pii.



«Il cristianesimo di oggi», scrive Augias, «in particolare il cattolicesimo, è prevalentemente l’erede, la conseguenza, del “constantinismo”, cioè del ruolo che quell’imperatore ha fatto assumere alla fede cristiana». Nel IV secolo, molto probabilmente il cristianesimo non avrebbe trionfato senza l’appoggio del potere politico. Così come anche oggi, senza l’appoggio del potere politico, la Chiesa cattolica non potrebbe orientare a proprio piacimento le scelte di governo di Paesi come il nostro. Questo libro, lontanissimo da suggestioni anticlericali, è un valido strumento per portare al grande pubblico notizie, studi e riflessioni che non ha ormai più occasione di conoscere altrimenti.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 08/10/2008 alle 09:51
Originariamente inviato da dedalus

ciao, molto molto interessante questo thread, che seguo con attenzione.

ho avuto modo, quest'estate, di leggere un romanzo di Neal Stephenson: Snow Crash, nel quale tra mille spunti (va letto con un'enciclopedia vicino...) si parla anche di una sorta di ciclicità tra concezione elitaria e popolare della religione. sinceramente non ho ancora approfondito questo lato (ho iniziato a spulciare un po' le teorie economiche che vengono descritte, come l'anarco-capitalismo ), ma ho più o meno capito, nella parte più vicina al mio vissuto, che lo scrittore tratteggia la venuta di Cristo come una sorta di rivoluzione rispetto alla religione dei farisei e delle leggi, passando anche dalla semplificazione dei comandamenti-norma (il decalogo) nell'unico comandamento-azione (ama!). tra l'altro le famose lingue di fuoco vengono viste - nel contesto del romanzo, che si basa su una specie di virus neurolinguistico - come una specie di ritorno alla comunicazione tra popoli attraverso un'unica lingua.

cosa ne pensi di questa contrapposizione tra religione 'elitaria' e 'popolare'? il cristianesimo probabilmente all'inizio e durante il periodo delle catacombe era molto poco elitario (pur essendo 'limitato'). poi dopo l'organizzazione della chiesa e delle gerarchie (sostanzialmente quando ha ereditato la struttura dell'impero) forse è diventato meno 'popolare', per poi subire una vera e propria scossa con lutero. non so, forse ho perso un po' il filo del discorso...ma sono i limiti della comunicazione scritta o_0


Oggi mi è arrivato il romanzo di Neal Stephenson e fra un mesetto spero di saperti dire qualcosa, però leggo nella copertina che è un "profeta della fantascienza".

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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  postato il 08/10/2008 alle 10:10
Notizie Radicali
martedì 07 ottobre 2008


Papa Ratzinger: por qué no te callas? [cheti ]


di Valter Vecellio
A Hugo Chavez che si produceva, per l'ennesima volta nel suo carosello di
scempiaggini e corbellerie, il re di Spagna Juan Carlos rivolse un secco:
"Por qué no te callas?". E' quanto bisognerebbe dire a Benedetto XVI.

Il panico - e la speculazione - hanno travolto Wall Street e le maggiori
borse del mondo. A Milano si è perso in una botta solo l'8,24 per cento; è
stata la seduta peggiore degli ultimi 21 anni; si sono bruciati 445 mld
nelle solo piazze europee, migliaia in quelle del resto del mondo. Il
commento di papa Ratzinger, in apertura dei lavori del sinodo dei vescovi
sulla Bibbia? "Vediamo adesso nel crollo delle grandi banche che i soldi
scompaiono, sono niente, e tutte queste cose che sembrano vere in realtà
sono di secondo ordine". Lo deve ricordare chi "costruisce solo sulle cose
sono visibili, come il successo, la carriera, i soldi.Solo la parola di Dio
è una realtà solida".

La "riflessione" (chiamiamola così) di Benedetto XVI è partita dal brano
evangelico sulla casa costruita "sulla sabbia o sulla roccia": "Costruisce
sulla sabbia la casa della propria vita chi costruisce solo sulle cose
visibili e toccabili, come il successo, la carriera, i soldi. Apparentemente
queste sono le vere realtà, ma questa realtà prima o poi passa: vediamo
adesso nel crollo delle grandi banche, che scompaiono questi soldi, che non
sono niente.Di per sè tutte queste cose che sembrano la vera realtà sono
solo realtà di secondo ordine e chi costruisce su questo costruisce sulla
sabbia.Solo la parola di Dio è fondamento della realtà e cambia il nostro
concetto di realismo: realista è chi riconosce la realtà nella parola di
Dio".

Negli Stati Uniti, e in tante altre parti del mondo, ci sono migliaia di
persone, di nulla colpevoli se non di essersi fidate dei consigli di altre
persone ritenute "esperte" e fidate, che in pochi giorni, poche ore, hanno
perso tutto: risparmi di una vita di lavoro, il posto di lavoro stesso, la
casa, il credito, e tutto quello su cui si poggia la vita e la vita della
propria famiglia; e quello che passa per "papa teologo" non ha niente di
meglio da dire che "il crollo delle grandi banche" dimostra che "i soldi
scompaiono, sono niente, e tutte queste cose che sembrano vere in realtà
sono di secondo ordine"?

Ogni giorno ci tocca di sorbire - debitamente amplificate dai mezzi di
comunicazione - le scempiaggini che a ritmo quotidiano vengono da
oltretevere: è dell'altro giorno, per esempio, la condanna dei preservativi
anche quando possono servire a limitare malattie terribili come l'AIDS o ad
avere gravidanze non desiderate; e la teorizzazione che l'amore ha - e deve
avere - per unico scopo e funzione quella riproduttiva; e pazienza se grazie
anche al "crescete e moltiplicatevi", ogni anno milioni di persone sono
condannate a morire per fame, denutrizione, malattia. Quella di ieri, però,
rischia di essere la "madre di tutte le corbellerie. Sarebbe troppo facile
chiedere a quale "realtà", in tutti questi anni, ha creduto lo IOR. E del
resto basta tornare a sfogliare "La Questua" di Curzio Maltese, Carlo
Pontesilli e Maurizio Turco: ".Rispetto la fede e non identifico le
gerarchie, soprattutto quelle abituate a maneggiare affari e politica, con i
valori del cattolicesimo. Dopo tutto, non è difficile da dimostrare che dai
tempi di Giuda Iscariota fino a Paul Marcinkus, passando per Sindona e
Calvi, i discepoli cui era stata affidata "la cassa" non hanno quasi mai
ripagato la fiducia che era stata riposta in loro. E' però sospetto il
fastidio (e la censura) con cui la chiesa reagisce ogni volta che si toccano
gli aspetti materiali dei suoi privilegi.". A volte, la realtà diventa di
primissimo ordine, insomma. Ma alla fine il problema non è tanto o solo
costituito da Benedetto XVI e dalle corbellerie che vengono spacciate come
distillati di sapienti riflessioni, quanto il fatto che non c'è quasi
nessuno che urla: "Por qué no te callas?

 

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  postato il 09/10/2008 alle 08:40
Come nacque la bibbia (sesta puntata)

- IL REGNO DI DIO.
Uno dei momenti più gloriosi della sua storia Israele l'ha vissuto quando, a seguito di brillanti vittorie contro i popoli indigeni della palestina, si è trasformato in un regno, prima sotto Shaul, capo della tribù di Beniamino, e subito dopo sotto David, un umile pastorello della tribù di Giuda, che era andato in sposa alla figlia di Shaul.
Shaul era riuscito a riunire sotto lo stesso regno solo tre tribù e non aveva stabilito una capitale, mentre David, un individuo affascinante, abile, spregiudicato, anzi, decisamente cinico, seppe riunire tutte e dodici le tribù sotto un grande regno. E poiché si trattava del regno di un popolo che aveva ormai maturato la convinzione di essere depositario di una missione affidatagli direttamente da dio, o meglio, che era cresciuto e aveva vinto proprio perché aveva trovato la sua identità e la sua forza inventandosi tale convinzione, quel regno non poteva essere altro che il "regno di dio". E il suo compito era quello di splendere davanti a tutti i popoli della terra come luce di verità.
David fu l'unto del signore, messia (mashiah in ebraico, che si traduce christos in greco e cristo in italiano). Le sue umili origini devono in qualche modo essere promosse e la Bibbia ci racconta del profeta Samuele che va a Betlemme (città natale di Davide) e, ispirato da dio, lo riconosce come colui che regnerà su Israele e lo cosparge con l'olio dell'unzione.
David esprime un disegno ambizioso: dare una capitale grandiosa al regno di dio e erigervi un tempio monumentale, che potesse competere con la memoria degli splendori egiziani, sumeri, babilonesi... E' sua la scelta felice di Gerusalemme come capitale, sopra uno dei colli più fortunati della palestina, fra i boschi, a ottocento metri di altitidine, dove i nemici non possono sorprendere con attacchi imprevedibili, dove zampillano sorgenti rigogliose e dove il clima estivo è quello, delizioso, di una località di vacanze di mezza montagna.
Ma David dovette anche affrontare un problema che non era per niente risolto e che dimostra, in modo inequivocabile, quanto eterogeneo fosse questo popolo e come fosse difficile tenerlo unito. David dovette superare gravi difficoltà interne, fra cui una ribellione voluta da uno dei suoi figli, Assalonne, che egli non esitò a far uccidere.
E così David non riuscì a edificare il tempio, sarà uno dei suoi figli, Salomone, che egli ebbe da Betsabea, a realizzare questa ambizione, ma i costi di tale impresa furono talmente elevati, in termini umani e fiscali, da far precipitare il problema della coesione interna, che non poteva non essere sempre minaccioso in un popolo che si era inventato tale, appiccicando insieme tribù diverse e dalle origini più varie.
E così il sedicente "regno di dio" si sfasciò troppo presto sotto il proprio peso e si trasformò in due regni: quello di Israele, nelle regioni della attuale Samaria (palestina centro settentrionale), e quello di Giuda, nelle regioni a ovest del Mar morto (palestina centro meridionale). Il regno di dio durò meno di un secolo, né mai più trovò il suo antico splendore. Furono uomini come quello che Pilato fece crocifiggere alla vigilia di una festività pasquale che, mille anni dopo David, tentarono di replicarne l'impresa, ma fallirono e finirono puntualmente i loro giorni con le mani e coi piedi inchiodati.

 

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  postato il 09/10/2008 alle 08:54
Notizie Radicali
mercoledì 08 ottobre 2008


Affermazioni reazionarie e banali, quelle di papa Benedetto XVI


di Danila Celant
Personalmente sono credente, ma sinceramente non ne posso veramente più di
Ratzinger. E mi complimento con Valter Vecellio ("Notizie Radicali" 7
ottobre) per aver avuto il coraggio di dire una semplice verità che nessuno,
in quest'epoca di ipocriti baciapile,"atei devoti", politici incapaci di
difendere il sacrosanto principio della laicità dello Stato, ha mai osato
dire. Ratzinger fa affermazioni non solo reazionarie, ma di una banalità
sconcertante. Certe volte viene da chiedersi se viva su Marte, è
completamente avulso dalla realtà. Quanto poi al recente intervento sulla
contraccezione e sulla finalità procreativa del matrimonio, che dire...
Saprete certamente che le posizioni dei padri conciliari erano più aperte
alla discussione, ed ultimamente è venuto alla luce un documento sulla
"procreazione responsabile" di cui Paolo VI volutamente non tenne conto
nell'enciclica "Humanae Vitae". Si tratta di un documento che avrebbe potuto
aprire finalmente un serio dibattito, anche all'interno della Chiesa, sulla
contraccezione.

Ad ogni modo, se le gerarchie credono, attraverso l'uso politico della
religione, di rafforzare la posizione della Chiesa, credo che facciano dei
calcoli completamente sbagliati. Intanto, quest'anno un consistente numero
di cittadini non ha più destinato l' 8 per mille alla Chiesa Cattolica (io
da tre anni lo destino alla Chiesa Valdese); in secondo luogo una parte
dell'associazionismo cattolico sta diventando sempre più insofferente verso
questo pontificato e le sue scelte. Si sta creando una frattura latente tra
due parti del mondo cattolico - prima o poi essa emergerà con tutta
evidenza,è solo questione di tempo. Se Giovanni XXXIII aveva invitato la
Chiesa a confrontarsi con la modernità, Ratzinger la sta trasformando
proprio in quel "museo
di antiquariato" che Roncalli voleva evitare che diventasse. Una Chiesa
senz'anima, un'istituzione pienamente "secolarizzata" (alla faccia delle
prediche) perchè completamente immersa nella difesa dei suoi interessi
materiali. Che tristezza!

 

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  postato il 10/10/2008 alle 08:40
Corriere della Sera 26.9.08
E i lingotti salvano il Vaticano dal «rosso»

Il Vaticano sembra potersi permettere, in questi tempi inquieti, di
guardare con una certa serenità e distacco alla crisi dei mutui e
alle tempeste finanziarie che stanno scuotendo il resto del mondo:
sta infatti seduto - rivela il settimanale britannico Tablet - su
una «roccia d'oro» perché già nel 2007, e su consiglio di abili
consulenti finanziari, aveva trasformato i suoi investimenti azionari
in lingotti, oltre che obbligazioni e contanti.
La rivista del Regno Unito ha fatto esaminare a un analista economico
i dati contenuti nel rapporto annuale sulla gestione delle finanze
vaticane relativa allo scorso anno, preparato dalla Prefettura degli
Affari economici della Santa sede e reso pubblico già nel luglio
2008. Non si tratta di cifre nuove, ma dalla lettura degli esperti
emerge ora che la Santa sede, sapientemente consigliata, aveva
fiutato in anticipo i venti avversi del mercato e convertito i propri
investimenti azionari, come un novello «re Mida», in tanto metallo
prezioso. La Santa sede possiede attualmente una tonnellata di oro
che può valere circa 19 milioni di euro. Il Tablet ironizza: «La
roccia di Pietro, su cui è stata fondata la Chiesa, si è trasformata
in una roccia d'oro». E da quale posto migliore osservare quanto sta
accadendo in queste ore nelle tumultuose acque dell'economia mondiale?
Il settimanale riporta l'opinione di un esperto finanziario, di cui
non fa il nome, secondo il quale la Santa sede «appare
finanziariamente ben posizionata per raccogliere profitti, anche
nell'attuale tempesta finanziaria». «Complessivamente - aggiunge - la
Santa sede è stata ben consigliata e non ha probabilmente perso molto
nella crisi. Hanno abbandonato man mano le azioni e nel tempo si sono
concentrati su investimenti obbligazionari e monetari».
Secondo i dati contenuti nel rapporto finanziario del 2007, il
Vaticano disporrebbe di 340 milioni di euro in valuta, di 520 milioni
in obbligazioni e in poche azioni, insieme ai 19 milioni in oro più
molti altri in preziosi. Una quota più che ragguardevole per un
piccolo stato come quello pontificio. La roccia tuttavia è più
traballante di quello che appare. «I risultati del primo periodo del
2008 sono preoccupanti e non inducono all'ottimismo», dice il vescovo
Vincenzo Di Mauro, segretario della Prefettura degli Affari
economici. «Si rende sempre più necessario - aggiunge - il richiamo
alle Amministrazioni della Santa sede a operare con prudenza e con la
massima oculatezza nella gestione operativa delle spese e
nell'assunzione di nuovo personale».
In ogni caso, questo è certo, il Vaticano si avvale dei migliori
consulenti disponibili sul mercato, che finora non lo hanno tradito.
Solo una decina di anni fa avvenne un curioso incidente, mai reso
noto. Il «portafoglio» personale del Papa era affidato a una grande
banca internazionale e se ne occupava un funzionario che aveva il
compito di investire nel modo migliore il denaro raccolto nell'Obolo
di San Pietro e di essere pronto a smobilizzarlo a ogni occorrenza
per le opere di carità. Era però in vacanza mentre Papa Wojtyla, in
Brasile nel 1997, staccava un assegno per la costruzione di un
orfanotrofio a Rio de Janeiro. Assegno risultato «scoperto»: un
errore tenuto nascosto a cui però fu poi dato rapido rimedio.


Corriere della Sera 8.10.08
Le finanze della santa sede e la grande crisi del `29
Risponde Sergio Romano

Da racconti dell'epoca, mi risulta che il Vaticano uscì indenne dalla
crisi del 1929, anzi ne trasse vantaggi.
Anche nell'odierna bufera che investe i mercati, a detta di un
quotidiano inglese, i banchieri di Dio si sono messi anticipatamente
in salvo investendo in beni rifugio. Invece di leggere le cronache
finanziarie, sarebbe stato probabilmente più utile aver sottoscritto
un abbonamento all'Osservatore
Romano.
Adriano Ponti

Temo che i «racconti dell'epoca » abbiano diffuso una idea alquanto
sbagliata del modo in cui le finanze della Santa Sede uscirono dalla
grande crisi finanziaria del 1929. Per capire ciò che accadde occorre
fare un piccolo passo indietro al febbraio del 1929, quando Mussolini
e il cardinale Gasparri firmarono i Patti lateranensi. L'Italia
liquidò il debito assunto con la Legge delle guarentigie e versò allo
Stato pontificio un miliardo e 750 milioni, di cui un miliardo in
consolidato 5% al portatore e 750 milioni in contanti. La Chiesa non
poteva vendere immediatamente il consolidato (se lo avesse fatto
l'Italia avrebbe corso il rischio di una crisi finanziaria), ma
disponeva di una somma che, tradotta in euro, ammonterebbe oggi a 534
milioni. Per investirla e trarne frutto, Pio XI creò una
Amministrazione speciale e chiamò a dirigerla uno dei più abili e
intelligenti finanzieri di quegli anni. Si chiamava Bernardino
Nogara, era stato dirigente della Banca Commerciale Italiana, aveva
rappresentato l'Italia in alcuni dei maggiori negoziati economico-
finanziari degli anni precedenti ed era per più (aspetto molto
importante agli occhi di papa Ratti) un cattolico lombardo, membro di
quelle famiglie della buona borghesia milanese che Paolo XI aveva
conosciuto e apprezzato negli anni in cui era stato Prefetto
dell'Ambrosiana e arcivescovo della «capitale morale». Per bene
amministrare questo nuovo patrimonio vaticano, Nogara si servì dei
suoi contatti internazionali e distribuì la somma prudentemente fra
diversi investimenti: oro, valuta, azioni di società ferroviarie e
titoli pubblici dei Paesi più affidabili, con una preferenza per
Svizzera, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Secondo lo storico
inglese John Pollard, autore di un libro sulle finanze vaticane
apparso anche in Italia presso Corbaccio («L'obolo di Pietro. Le
finanze del Papato moderno 1850-1950»), il portafoglio avrebbe dovuto
fruttare ogni anno più di 87 milioni di lire. Rassicurato da queste
previsioni e dai buoni risultati della fase iniziale, Pio XI si
lanciò in un ambizioso programma edilizio per rinnovare la Città del
Vaticano, restaurare Castel Gandolfo, promuovere la costruzione di
nuove chiese e realizzare le opere pubbliche (fra cui una stazione
ferroviaria) necessarie alle esigenze del nuovo Stato.
Le opere vennero in parte realizzate, ma la fonte dei redditi, nel
1931, cominciò a inaridirsi.
Nogara dovette spiegare al Papa che il crollo della sterlina,
l'insolvenza delle banche e il fallimento di alcune grandi imprese
avevano duramente colpito le finanze vaticane. Per uscire dalla crisi
dovette in primo luogo convincere Pio XI a ridurre le dimensioni del
suo programma edilizio e decise in secondo luogo di puntare
soprattutto su due investimenti: l'oro e il mercato immobiliare.
Riuscì a salvare in tal modo una parte consistente del patrimonio, ma
il reddito del capitale fu considerevolmente ridotto. Sembra che il
Papa, poco esperto di cose economiche, abbia capito con un certo
ritardo la gravità della crisi. Quando ne fu consapevole disse che
era «la più grande calamità umana dopo il Diluvio».

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

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Livello Greg Lemond
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  postato il 10/10/2008 alle 08:50
Come nacque la bibbia (settima ed ultima puntata)

- UN LIBRO SACRO CHE RACCONTI LA NOSTRA GLORIOSA STORIA.
L'ideale monoteista, in associazione con la convinzione di essere toccati da una scelta di dio, e quindi di essere gli affidatari di una missione spirituale e i destinatari di una terra promessa, è l'ideologia che ha consentito agli ebrei di inventarsi come popolo, di svilupparsi, di risolvere i suoi problemi di sopravvivenza, di mantenere una difficile coesione, per quanto traballante essa sia stata. Ed è per questo che gli ebrei, ad un certo punto della loro storia, fra le tante altre cose geniali che hanno fatto, hanno deciso di darsi come punto di riferimento delle scritture.
Naturalmente una buona parte dei contenuti che tali scritture avrebbero dovuto esprimere era già preesistente alla loro stesura in forma grafica e, come è normale nei popoli antichi, la loro conservazione e trasmissione era stata affidata ad una tradizione orale di cui i saggi erano i depositari. Ma una scrittura da leggere in pubblico, le cui frasi fossero da imparare a memoria e da ripetere innumerevoli volte, intorno alla quale la gente si sarebbe potuta incontrare, avrebbe offerto al popolo qualcosa di assai più concreto e tangibile che non la sapienza custodita da una ristretta elite di iniziati.
Quand'è che questa necessità si presentò con una urgenza irrinunciabile? La risposta è senz'altro all'epoca della formazione del regno, quando David tolse alla tribù di Beniamino l'egemonia per darla alla tribù di Giuda e scelse, o impose, Gerusalemme come capitale. E' questo il momento in cui gli scribi si sono rimboccati le maniche e hanno redatto i primi libri. Come minimo è questo il momento in cui diventano bianco su nero le storie di Abramo e di Isacco e, forse, molte altre cose.
Ovviamente gli scribi del "regno di dio" appena nato, sono spinti da una serie di esigenze molto precise. La coesione fra le genti del regno è precaria, la scrittura deve eliminare questo vizio congenito di Israele, essa non solo deve raccontar loro che essi sono figli dello stesso dio, ma figli di uno stesso padre umano, e Abramo, figura di cui non sapremo mai se è prodotta dalla fantasia o dalla storia, vince questo ruolo. A lui dio chiede delle prove molto dure, infine lo sceglie per dare origine al popolo a cui sarà affidata la missione.
Nel redigere queste scritture gli scribi compiono una sintesi colossale e fanno man bassa di tutto il materiale che possono raccogliere per rendere la loro opera nobile, grandiosa, venerabile, prestigiosa, autorevole. Oggi la Bibbia ci si presenta come parola di dio perché i suoi redattori furono spinti dalla necessità ideologica di farla apparire tale al giovane popolo di Israele.
Una parte abbondante della mitologia del vicino oriente confluisce in questa sintesi, non solo quella accadica, ovverosia quella dei popoli che condividevano con Israele la radice semitica, ma anche quella sumera, una etnia completamente diversa, con cui gli accadi avevano avuto a che fare a lungo. E così il quadro della genesi si apre con una scena assolutamente sumera, ovverosia con il racconto della trasgressione primordiale compiuta da Adamo e Eva nel giardino dell'Eden. E poi continua con il racconto del diluvio, che è letteralmente sottratto all'epopea sumera di Gilgamesh, poi ripresa dai babilonesi, in cui Noè si chiamava Ziusudra, Uta-napishtim, Atrahasis. Ed anche il racconto della torre di Babele ha come punto di riferimento gli ziggurat mesopotamici, mentre la confusione delle lingue sta senz'altro a rappresentare il disagio dovuto all'imbastardimento della società sumerica in seguito alla consistente infiltrazione accadica.
Un presupposto di grande importanza è la creazione fittizia di una continuità, o meglio, di una linearità. Una delle principali mistificazioni prodotte da questa esigenza è, per esempio, il fatto che gli ebrei avessero questa radice etnica unitaria e fossero un popolo prima ancora delle vicende dell'esodo. Sarebbero stati un popolo già in Egitto, un popolo schiavo e prigioniero da raffigurare con una buona dose di vittimismo ma, a parte il fatto che gli immigrati e gli emarginati della società egiziana non avranno certamente avuto vita facile né molto privilegi da condividere, si tratta di una rappresentazione del tutto falsata. Infatti non si trattava di un popolo omogeneo; né il loro stato poteva definirsi schiavitù secondo quella accezione del termine a cui siamo stati abituati dall'immagine latina, ovverosia dello schiavo inteso come oggetto subumano, che è proprietà privata del suo padrone, su cui quest'ultimo ha pieno diritto di vita e di morte. Abbiamo una subordinazione del tutto diversa, che non rispecchia questo cliché romano.
Al fine di ottenere l'effetto della continuità storica, le scritture abbondano di lunghi elenchi di patriarchi i quali, posti in fila in lunghe paginate, offrono una efficace suggestione didattica. E molti imparano a memoria, e ripetono all'infinito questi elenchi, finché essi realizzano un condizionamento psicologico che infonde nell'immaginario collettivo l'idea di appartenere ad un popolo che ha radici antiche, che ha una messaggio da trasmettere, che ha una eredità da salvaguardare.
Dopo avere costruito la figura chiave del padre della razza, Abramo, è necessario costruire quella del padre della nazione, Mosè. Ed è così che l'egiziano diventa ebreo, gli si innesta artificialmente la mitologia accadica del "salvato dalle acque", lo si fa salire sul monte Sinai per incontrare personalmente il dio dell'universo e prendere da lui le tavole della legge. E, sebbene una componente considerevole della teologia di Mosè abbia una derivazione dal monoteismo di Akhenaton, questa radice è completamente recisa e abbandonata nell'oblio. Esattamente come mille anni dopo, quando dal monoteismo ebraico, attraverso la sintesi sincretistica di San Paolo, si stacca la fede cristiana, che recide il suo cordone ombelicale e rinnega l'ebraismo, pur avendo derivato da quello una mole fondamentale del suo bagaglio teologico e scritturale.
Il leit motiv di questa base dell'identità etnico religiosa di Israele deve essere, senza mezzi termini, la continua regia di dio dietro le quinte del teatro storico. E così è, attraverso i suoi frequenti interventi. Quando manda le piaghe in Egitto, quando apre le acque del mar rosso, quando fa scendere la manna, quando ferma il sole in pieno cielo durante una battaglia, o guida la mano del pastorello David a colpire il gigante Golia.
I protagonisti umani che svolgono un ruolo fondamentale in questa storia sono quasi sempre ammantati da una cornice miracolosa, le loro nascite sono annunciate, le loro madri partoriscono pur essendo sterili, le loro gesta non sono completamente umane. Il prodigio è la chiave di autentificazione della scrittura, il sigillo di riconoscimento dell'autorità.
Le figure di Abramo e di Mosé si completano con quella di David, il padre politico, il messia, il costruttore del "regno di dio".
Anche in seguito, dopo lo scisma dei due regni che avvenne alla morte di Salomone, e quando il paese iniziò a subire un plurisecolare destino di dominazioni straniere, sotto gli assiri, i babilonesi, i persiani, i greci e i romani, le scritture sono caratterizzate da un fine primario: salvaguardare l'eredità nazionale, continuare a dimostrare che Israele è sempre, malgrado tutto, il popolo di dio, che il suo futuro gli riserva un riscatto. Il profetismo messianico, ovverosia l'attesa di un liberatore che ripeta la figura di David e ricostruisca il "regno di dio", diventa un motivo ricorrente, finché si trasforma in autentica ossessione e porterà, sotto la dominazione romana, ad una crisi fatale. L'imperatore Tito, interprete della esasperazione romana nei confronti di questo popolo, visto come affetto da una patologia teocratica maniacale, farà strage e rovina degli ebrei e della loro capitale, ed essi ricadranno improvvisamente nella condizione in cui si trovavano in Egitto, come emarginati vittime di una diaspora penosa.
E' il momento in cui l'eredità monoteistica di Akhenaton, che aveva subito una prima grande trasformazione con la sintesi biblica, subisce una seconda grande trasformazione con la sintesi cristiana. Occorreranno ancora cinquecento anni perché maturino in medio oriente le condizioni per la terza sintesi: quella coranica.
Adesso non vorrei essere accusato di ambizioni profetiche, perché è solo la ragione, e non la visione mistica, che mi suggerisce quando sarà la prossima tappa del monoteismo: quando il sistema commerciale globalistico avrà mostrato in modo drammatico la stridente contraddizione che esiste fra la promessa del benessere tecnologico e la crescita inarrestabile dei problemi planetari (demografici, economici, politici ed ecologici), facendoci vivere tragedie di dimensioni bibliche che oggi non abbiamo nemmeno il coraggio di immaginare. Allora nascerà una nuova sintesi religiosa e potrebbe addirittura darsi che l'essere supremo sia di nuovo rappresentato come un disco solare, circondato da una corona di raggi che scendono sulla terra e terminano con mani affettuose che carezzano le creature. E' una visione non lontanissima da ciò che accadrà realmente, nel millennio che ...
Io, personalmente, sono già pronto. Ma il momento è ancora prematuro.

 

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  postato il 11/10/2008 alle 14:17
Madre Teresa di Calcutta (prima puntata)

Mi sono procurato una copia del libro "La posizione
della missionaria" di Chris Hitchens (Minimun Fax,1997).
È un testo del 1995 dedicato alla teoria e alla pratica di Madre
Teresa di Calcutta, che nel mercato anglosassone suscitò vivaci
polemiche. In Italia invece è stato subito osteggiato dalla
chiesa cattolica, risultando per anni praticamente irreperibile.
Tengo a precisare che Hitchens è un saggista di grande successo
negli Usa, dove scrive anche per Vanity Fair e The Nation.
Comunque il libro è documentatissimo, attendibile e sempre
preciso nelle citazioni... e mi ha colpito profondamente.
Vista la sua importanza, ho pensato di fare un breve riassunto.

1- MADRE TERESA: LA SUA FILOSOFIA
In un dialogo che è stato addirittura filmato, Madre Teresa si
rivolge ad un malato terminale che sta soffrendo terribilmente,
rantola e si contorce. MT (per brevità, ndr) prima descrive la
malattia, poi si rivolge al moribondo dicendo: «Stai soffrendo
come Cristo in Croce, di sicuro Gesù ti sta baciando». Il povero
le risponde: «Per favore digli di smettere di baciarmi».
Nel precedente colloquio viene fuori tutto il messaggio di MT:
l'ossessione per il dolore e la sofferenza, la tracotante
supponenza e soprattutto la ferma volontà di NON lenire
realmente le sofferenze dei poveri, ma bensì di dare loro
unicamente un appoggio spirituale. NON volle mai combattere
realmente la povertà e l'ingiustizia, ma anzi si augurava che
nascessero sempre più poveri per aumentare il numero dei
possibili proseliti e, quindi, il suo prestigio religioso.
Infatti fu sempre violenta oppositrice di aborto e
contraccettivi, e allo stesso tempo amica di dittatori che
producevano miseria e sopruso. Si definiva "povera tra i
poveri", in realtà voleva fare carità non per riconoscere
l'altro ma per umiliarlo e correggerlo.
All'entrata delle sue case di carità c'era scritto: "Chi ama il
sapere ama la correzione". Nella camera mortuaria invece un
cartello recitava: "Oggi vado in Paradiso". MT dichiarò: «I più
poveri costituiscono il mezzo per esprimere il mio amore per
Dio». Un'occasione per esercitare la pietà cristiana, non per
migliorare le loro condizioni di vita. In un'altra occasione
pontificò: «E DOVESSI SCEGLIERE FRA GALILEO E L'INQUISIZIONE, MI
SCHIEREREI CON L'INQUISIZIONE».

 

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  postato il 12/10/2008 alle 08:00
(Seconda puntata)
- MADRE TERESA E LA CURA DEI MALATI
È il capitolo più sconvolgente e rivelatorio.
Nel 1994 R. Fox (direttore di The Lancet, la più importante
rivista medicaa livello mondiale) visitò a Calcutta un Centro di
MT. Ecco cosa scrisse in proposito:«Ci sono dei medici che si
fanno vivi di tanto in tanto, ma di solito le suore prendono le
decisioni come possono. (...) Ho visto un giovane con la malaria
le cui condizioni andavano aggravandosi. Qualcuno non avrebbe
potuto fare prima gli esami del sangue? Gli esami, mi risposero,
sono raramente permessi. E perchè non usare semplici algoritmi?
Ancora una volta no. GLI APPROCCI SISTEMATICI SONO ESTRANEI
ALL'ETICA DELLA CASA. ALLA PIANIFICAZIONE M. TERESA PREFERISCE
LA PROVVIDENZA. (...) La notizia che la loro farmacopea non
comprende nessun analgesico forte mi ha turbato. Insieme alla
negligenza delle diagnosi, la mancanza di antidolorifici forti
contraddistingue i metodi di MT».
Mary Loundon, ex-volontaria nel Centro di MT a Calcutta, aggiunge:
«Tutti i pazienti avevano la testa rasata. Non c'erano sedie,
solo barelle. Nemmeno un cortile. (...) I malati non ricevevano
molte cure. Non ricevevano antidolorifici oltre all'aspirina;
non avevano sufficienti fleboclisi. USAVANO E RIUSAVANO GLI AGHI
ALL'INFINITO. Ogni tanto una suora lavava gli aghi sotto l'acqua
fredda. Le chiesi perchè non li sterilizzasse in acqua bollente,
ella rispose: "Non c'è motivo, non c'è tempo." (...) Vidi un
ragazzo 15 enne che aveva un semplice problema renale, che si
era aggravato a causa dell'incuria delle suore. Bastava portarlo
con un taxi al vicino ospedale per operarlo, ma le suore si
rifiutarono di farlo».
Elgy Gillespie, ex infermiera nel Centro MT di S. Francisco:
«Tutti i malati erano molto depressi, non potevano guardare la
Tv né ricevere amici, nemmeno quando erano moribondi. Un
guatemalteco gravemente malato cercava di scappare perchè non
voleva morire senza morfina».
Susan Shields, ex-suora per 9 anni per MT:
«A S. Francisco fu messo a disposizione dal comune un convento a
3 piani con stanze spaziose e ben arredato. Le suore si
sbarazzarono immediatamente dei mobili indesiderati, buttarono
materassi, divani, tende e tutte le sedie. La gente era
sbalordita. Il riscaldamento rimase chiuso tutto l'inverno,
nonostante la forte umidità; e molti si ammalarono di TBC».
«Nel Bronx c'era il progetto di aprire una casa per i
senzatetto. Il comune donò un palazzo per 1 dollaro, la
normativa ministeriale imponeva un ascensore per disabili. Madre
Teresa non ne volle sapere: un ascensore per gli handicappati
era per lei inaccettabile. Dopo molte trattative IL PROGETTO FU
ABBANDONATO».
Ma tutte queste criminali incurie avvenivano a causa delle
ristrettezze economiche? NO!!! Immense somme di denaro donate da
persone di tutto il mondo giacevano in conti bancari esteri. Le
suore non avevano il permesso di spendere quei soldi per aiutare
i poveri.
Sempre Susan Shields:
«Le donazioni arrivavano continuamente in gran quantità, ma non
avevano alcun effetto sulla nostra vita ascetica né tanto meno
su quella dei poveri che dovevamo aiutare. Per MT ciò che
contava era il BENESSERE SPIRITUALE DEI POVERI.
MT insegnava alle suore come BATTEZZARE DI NASCOSTO I MORIBONDI
(anche indù e mussulmani). Questi battesimi venivano estorti con
l'inganno».

 

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  postato il 13/10/2008 alle 09:35
Terza puntata
MADRE TERESA, L'ABORTO E LA CONTRACCEZIONE
In materia sessuale MT fu reazionaria e fondamentalista. Ecco
alcune sue illuminanti dichiarazioni.
Nel 1979, quando ricevette il premio nobel per la pace (cosa
fece lei per la pace rimane un mistero), dichiarò: «Secondo me
oggi la pace è minacciata dall'aborto, che è una vera propria
guerra di una madre contro il suo bambino. L'aborto è il male
peggiore. (...) Molti si preoccupano dei bambini che muoiono in
Africa in massa per la fame, ma altri muoiono intenzionalmente
per volontà delle proprie madri».
Nel 1992 in Irlanda durante una messa all'aperto disse: «Non
esiste nesso tra le condizioni di povertà e miseria e la
mancanza di un controllo demografico. (...) Promettiamo alla
Madonna che tanto ama l'Irlanda che in questo paese non
permetteremo mai un solo aborto. E NIENTE CONTRACCETTIVI».
Nel 1979, durante un discorso fatto a Washington, disse: «Mi
sembra che l'AIDS sia la giusta condanna per una condotta
sessuale impropria».
Durante un'intervista, a chi le faceva notare che forse in India
il controllo delle nascite era un problema, rispose: «Dio
provvede sempre. Provvede per tutte le cose del mondo. I bambini
sono la sua vita. Non potranno mai essercene abbastanza».

 

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