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Autore: Oggetto: Il bronzo di Mennea ha trentacinque anni

Livello Fausto Coppi




Posts: 2142
Registrato: Jun 2005

  postato il 21/08/2007 alle 19:22
C’era un tempo in cui all’atletica leggera veniva dedicato molto spazio in televisione.
E non solo per le gare olimpiche , gli Europei o la Coppa Europa ( la Coppa del Mondo e i Mondiali non erano stati ancora inventati), ma anche per i vari meetings che si disputavano un po’ dovunque.
Rieti e Viareggio sono, tra quelli disputati in Italia, i primi che mi vengono in mente, ma non erano i soli.
Poi c’era la Pasqua dell’atleta, all’Arena di Milano, e non mancavano i triangolari o quadrangolari tra le rappresentative nazionali

Come quello del 16 giugno 72, tra Italia , URSS, Belgio e Romania, disputato in notturna proprio all’Arena di Milano e trasmesso in diretta dalla Rai.

C’è molta attesa per Valeri Borzov, indiscusso leader della velocità europea , che si presenta sui 100 metri.
Per l’Italia un barlettano di vent’anni non ancora compiuti: Pietro Mennea.
Borzov è campione e primatista europeo sui 100 e 200 metri. Ha corso i cento metri in dieci netti nel 1969 e nel 72 ha conquistato anche il suo terzo titolo indoor .Viene dall’estremo occidente dell’Ucraina , quasi polacco, da quella Galizia contesa e divisa per secoli.
O forse, come dicono in molti, viene da qualche laboratorio segreto, una sorta di Terminator sovietico scelto e progettato per vincere la sfida con gli USA sulle distanze brevi.
Mennea è la speranza italiana nella velocità. Corre dai tempi della scuola, dopo un esordio da marciatore durato lo spazio di un mattino, ma il suo esordio nell’atletica che conta lo ha fatto l’anno prima , agli europei di Helsinki
Si parla già un gran bene di lui, e nella finale dei 200 metri arriva settimo, contribuendo poi alla conquista del bronzo nella finale della staffetta veloce.
Sono i campionati della vittoria di Arese nei 1500 metri e del secondo posto di Marcello Fiasconaro nei 400, ma l’esordio di Mennea è incoraggiante.
Se Borzov è l’uomo bionico, il pugliese è il ragazzo cresciuto a orecchiette , davanti al quale molti tecnici non avrebbero scommesso un soldo, vedendolo così gracile.
Ma ha lavorato sodo , e ha voglia di emergere.

Quella sera , all’Arena, si confronta con un mito.
Borzov ha solo tre anni più di lui, ma in Europa non ha rivali. Mennea , poi, preferisce i 200 metri, e gareggiare con l’ucraino nella gara più breve rappresenta un’incognita.
Ma è uno orgoglioso, Pietro di Barletta , e la sfida lo stimola.
In fondo ha già corso in 10”2, e ed il gran lavoro fatto a Formia non può che dare risultati migliori.
C’è molta attesa da parte degli addetti al lavori , e anche curiosità: per l’italiano è la prima gara importante nello spint puro.

C’è gran pubblico, all’Arena, e non c’è vento.
Mennea è in seconda corsia, Borzov in quarta, il “vecchio” Ennio Preatoni in sesta, ed è quest’ultimo che brucia lo starter: falsa partenza, bisogna ripetere.
Il secondo sparo è quello buono. Mennea parte bene , ma Borzov ai 50 metri è in testa.
Sembra che non ci sia storia. L’italiano è una promessa, ma l’atleta sovietico è di un altro pianeta.
Pietro, però, rimonta. Inizia una progressione fantastica, e non sarà l’unica della sua carriera.
Ai 60 metri guadagna terreno, ai 70 affianca Borzov: gli ultimi trenta metri sono corsi spalla a spalla.
L’entusiasmo è alle stelle. I due piombano appaiati sulla linea, con Mennea che per lo slancio finisce in fondo alla cancellata.
Il tempo è di quelli che restano nella storia: 10 netti! Primato europeo uguagliato!
Ci vuole il fotofinish per decretare il successo del campione d’oltre cortina , che adesso guarda Mennea con occhi diversi, e non più con quella sufficienza con cui lo guardava sulla pista di Formia, durante l’inverno.

Mancano poco più di due mesi alle Olimpiadi di Monaco di Baviera , e l’Italia ha trovato un campione.
Mennea compie vent’anni a fine giugno e a quell’eta è lecito sognare.
A Monaco ci saranno gli americani, è vero,ma quanti anni aveva Berruti quando colse il successo sotto il sole di Roma?
Però sono pur sempre le Olimpiadi e far correre tre prove a un ragazzo di vent’anni pare eccessivo.
Salterà i cento metri, concentrandosi sulla distanza doppia, e darà una mano alla staffetta 4x100.

Ci sono grandi aspettative per Mennea, inutile negarlo.
Sono passati dodici anni dalla vittoria di Livio Berruti e molti coltivano la segreta speranza che quel ragazzo possa emulare l’impresa del torinese.
Borzov è forte, fortissimo , ma sui duecento metri gli americani non sembrano, quell’anno, degli extraterrestri.
Poi i duecento sono la specialità di Pietro: se ha fatto 10 netti sui cento, perchè non potrebbe ripetere l’exploit sulla distanza doppia?
Nella sua città, il 21 luglio , ha stabilito il primato del mondo nella staffetta 4x200 .
Qualcuno critica la decisione di fargli saltare i 100 e , dopo quello che succede , c’è chi ci chiede :”e se ci fosse stato Mennea?”

Ma che è successo, sui 100 metri?
E’ successo un fatto incredibile.
Nel pomeriggio del 31 agosto sono previsti, alle ore 16, i cinque quarti di finale.
Peccato, però, che il terzetto americano sia convinto che la disputa delle gare sia prevista due ore dopo. Sono tranquilli in camera,riposano.Poi accendono la televisione e vedono gli atleti del primo quarto che si stanno preparando. In un attimo capiscono che l’indicazione dell’allenatore era sbagliata e si precipitano allo stadio
Hart e Robinson (accreditati entrambi di 9 e 9) sono sì dei fulmini,ma non arrivano in tempo e sono costretti a rinunciare al sogno olimpico. Taylor, invece , è più fortunato:arriva sui blocchi in tempo per la partenza del suo “quarto”.
C’è anche Borzov, che corre alla grande come mai gli capiterà in carriera , facendo registrare, con 10” 07, il record europeo.Taylor sarà secondo, in 10”16.
Il giorno dopo Borzov vincerà a braccia alzate,in 10”14, davanti a Taylor (10”24) e al giamaicano Miller (10”33).).
Dopo la gara , qualcuno azzarda: se c’era Mennea poteva giocarsela.
E’difficile rispondere , ma chi fa queste considerazioni guarda solo il dato cronometrico: Borzov ha vinto in 10”14, Mennea vale Borzov, quindi…… per il nostro poteva esserci un posto sul podio !
I dieci netti manuali fatti segnare a Milano valevano un 10”20 elettrico,i due americani più quotati erano assenti, e il trinidegno Crawford si era stirato in finale: quando gli capiterà una simile occasione?

Il tempo delle recriminazioni dura solo un paio di giorni, perchè domenica tre settembre ci sono le batterie e i quarti dei duecento metri.
Mennea li supera senza problemi e si prepara per il grande giorno
Non ci sarà il confronto con Borzov in semifinale.
Il sovietico corre la prima e la vince . Il tempo non è di quelli da ricordare: 20”74, davanti agli americani Burton e Smith (solo omonimo di Tommy, quello di Mexico City) e al tedesco dell’est Schenke.
Mennea è nella seconda e non ha difficoltà a conquistare la sua prima finale olimpica.
Vince lo statunitense Black, in 20”36, ma Pietro corre in 20”52, conquistando la seconda piazza e distanziando i due tedeschi Zenk e Jellinghaus (rispettivamente con 20”63 e 20”75).
E’ in finale , quindi, e ha fatto meglio di Borzov!

L’attesa cresce, in quelle due ore e mezza prima della finale .
Mennea ha chiesto consiglio a Berruti su come passare il tempo, ma dentro è divorato dalla tensione. E’sul prato adiacente allo stadio olimpico , in compagnia degli altri finalisti
Quattrocento concittadini sono arrivati a Monaco, mezza Italia lo aspetta davanti al televisore.
La finale è prevista per le 17,40.
Mennea è in seconda corsia , tra Black, alla corda, e Smith. Borzov è in quinta
Chi ha assistito alla finale del 1960 cerca di intravedere qualche analogia con quell’evento.
Chi ne ha solo sentito parlare e si è dovuto accontentare dei filmati dell’epoca, si augura il bis.
Sono poco più di venti secondi , ma possono far entrare un atleta nella leggenda dello sport.

Chissà a cosa pensa Mennea , prima di prendere posto sui blocchi di partenza.
Forse non pensa a nulla,forse pensa al suo primo rivale –Pallammolla- che spesso lo batteva nelle sfide scolastiche, e al professor Autorino, il primo a credere in lui.
Pensa alla famiglia , ai quattro fratelli, al padre, che ha trovato un posto di usciere dopo avere fatto il sarto .
Pensa che lui, dopo tanti allenamenti è li, sul palcoscenico più importante del mondo.
Che ne è valsa la pena di essersi allenato anche a Capodanno.
Che Vittori è esigente , ma il lavoro paga sempre.
Sono attimi interminabili, sui blocchi.

Poi lo sparo:è buona la prima. Non ci sono i colombi di Roma, ma l’atmosfera è elettrizzante . Smith schizza in avanti che sembra una molla , Black gli è subito addosso, lo affianca e, a metà curva, lo supera .
Borzov è là davanti, sembra lontanissimo. Pietro stringe i denti, ma com’è dura una finale olimpica!
Sul rettilineo è quinto, e comincia a rimontare. Smith viene ripreso e lasciato sul posto:dopo un brillante avvio ha esaurito la benzina.
E’ quarto, Mennea, e insiste. Affianca Burton e lo supera., ma l’arrivo è troppo vicino e quei due davanti vanno come treni.
Borzov trionfa a braccia alzate , Black è secondo. Pietro dietro di loro.
Subito dopo il traguardo è avvicinato da un telecronista, ma Pietro non parla, guarda il tabellone e sembra deluso, e la sua delusione è la nostra , che abbiamo sofferto col fiato sospeso davanti alla televisione, illudendoci che ce la potesse fare.
Ha fatto un ottimo tempo, 20”30, ma l’impressione, a caldo, è che sperasse di fare meglio, che potesse giocarsela con Borzov, come quella volta a Milano.
Ma l’ucraino è volato: 19 secondi e 99(saranno poi arrotondati in venti netti) sono un gran risultato e sarà la sua gara più veloce di sempre.
E anche Black, con 20”19, non ha scherzato.
Vallo a spiegare , in quei momenti, che il terzo posto è un successo.
Titola bene un giornale, il giorno dopo: “A vent’anni, il bronzo di Mennea vale oro”
E anche Pietro , dopo aver smaltito lo stress della gara, se ne fa una ragione e lo dichiara.:”Andare sul podio di Monaco è come andare sulla luna”.
Ma è una dichiarazione per i giornali perché dentro di sé non è soddisfatto. Non festeggia e preferisce stare da solo con pochi amici della squadra.
Perché Pietro è fatto così, lui deve migliorarsi sempre, e non accontentarsi mai.

Non ci sarà spazio, nei giorni successivi, per analizzare la sua prestazione.
L’Olimpiade sarà bagnata dal sangue , ma continuerà.

Pietro corre ancora la staffetta veloce , come ultimo frazionista. Si spera che possa fare il miracolo,
e regalare all’Italia una medaglia. Riceve il testimone da Benedetti in ultima posizione,
si getta all’inseguimento ed acciuffa sulla linea il francese, ma il risultato non cambia.

Ritorna a Barletta con un bronzo, quello che è già definito “Pietro il Grande”, e quello di
Monaco sarà solo il primo importante capitolo di una vicenda sportiva interminabile.
Batterà Borzov, ci saranno vittorie e sconfitte, ritiri e ritorni, primati e polemiche, e quel bronzo diventerà oro.

Ma questa , per la Freccia del Sud, sarà un’altra storia.


L'arrivo dei 100 metri all'Arena di Milano



Borzov e Mennea dopo la magica serata dell'Arena

La sequenza delle fasi finali dei duecento metri di Monaco






 
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Livello Giuseppe Saronni




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  postato il 21/08/2007 alle 19:39
Complimenti per il racconto, una pagina di sport che non conoscevo e che mi ha emozionato leggerla
 
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Livello Fausto Coppi
UTENTE DELL'ANNO 2009
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  postato il 21/08/2007 alle 19:53
Il bronzo dell'immenso Pietro è vivo più che mai anche a 35 anni di distanza... Io ho la metà degli anni che ha quella medaglia, ma non si può non conoscere Mennea e quello che ha rappresentato per l'atletica degli anni '70 e '80...e che ancora oggi rappresenta (soprattutto per noi italiani!)
Il bronzo di Monaco ha 35 anni, ma va ricordato pure quello di Mosca '80, e soprattutto l'oro conquistato in quella stessa edizione olimpica!
Grande Pietro Paolo...

 

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« La superstizione porta sfortuna »
(Raymond Merrill Smullyan, 5000 B.C. and other philosophical fantasies, 1.3.8)


Fantaciclismo Cicloweb 2010

Piazzamenti sul podio:


Omloop Het Nieuwsblad Élite: 3°
E3 Prijs Vlaanderen - GP Harelbeke: 2°
GP Miguel Indurain: 1°
Ronde van Vlaanderen / Tour des Flandres: 3°
Rund um Köln: 1°
Liège-Bastogne-Liège: 1°
Giro d'Italia: Carrara - Montalcino: 2°
Tour de France: Sisteron - Bourg-lès-Valence: 1°
Tour de France: Longjumeau - Paris Champs-Élysées: 1°
Tour de France - classifica finale: 3°
Gran Premio Città di Peccioli - Coppa G. Sabatini: 1°

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Asso di Fiori

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 21/08/2007 alle 20:15
bravo Cancel
racconto che mi stuzzica visto che ho appena iniziato una piccola carriera come istruttore di atletica leggera.
Di Mennea ho ben vivo il ricordo della splendida rimonta a Mosca nell'80.quando si presento' sul rettilineo per ultimo o quasi e negli ultimi 60 metri li supero' tutti.ad uno uno...

 

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non li senti?...questo e' il mio mondo..devo andare.

M.Rourke.THE WRESTLER.

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 21/08/2007 alle 22:13
Gran bel ricordo di uno dei migliori atleti italiani di sempre.
Non un grande talento, ma un lavoratore come se ne sono visti pochi, forse nessuno.
La sua sfrenata ambizione gli faceva sopportare allenamenti che avrebbero ammazzato un cavallo: il suo allenatore Vittori era un cultore del lavoro e della fatica, ma lui in questo lo superava decisamente.

Non era molto rapido in partenza, e difatti i suoi migliori risultati li ha ottenuti sui 200.
Era ossessionato dalla prestazione monstre: nel 1979 si recò in Messico per le Universiadi solo per poter ottenere tempi di rilievo a 2000 m d'altitudine; nel 1980, subito dopo l'oro olimpico, inseguiva gare su gare per poter nuovamente correre sotto i 20" (ci riuscì solo a Roma, nel Golden Gala).
Ha vinto praticamente tutto: gli sono mancati solo un successo in Coppa del Mondo (nel 1977 perse per una ingenuità sul filo di lana; nel 1981 a Roma non avrebbe avuto rivali, ma si era ritirato alla fine dell'anno precedente) ed un titolo mondiale, perchè questa manifestazione fu creata nel 1983 quando Mennea si era già ritirato e poi era tornato a correre.
Indimenticabili la doppietta agli Europei 1978, a Praga, naturalmente la rimonta di Mosca, e l'ultima frazione di staffetta dei Mondiali 1983, che permise all'Italia di agguantare l'argento alle spalle degli imbattibili americani.

 

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"L'uomo da battere è Gianni Bugno, e quasi certamente non riusciremo a batterlo" (Greg Lemond, Stoccarda, 24 agosto 1991)

"Il rock è jazz ignorante" (Thelonious Monk)

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/08/2007 alle 02:02
Originariamente inviato da antonello64

Gran bel ricordo di uno dei migliori atleti italiani di sempre.


Già uno dei migliori atleti di sempre, tuttavia, potrei anche sbagliarmi perchè in passato a parte 100, 200,400 e lungo non è che seguissi tanto l'atletica ma a parte Mennea e Sara Simeoni non è che ci sia stata grande visibilità per gli altri atleti...
E nemmeno lo stesso Baldini, con tutto quello che ha vinto finora, ne ha avuta tanta...
Come mai? O forse mi sbaglio...

 

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Il procuratore aggiunto di Catania Renato Papa: Nel 2003 è stato abrogato un comma della legge che permetteva l'arresto dei diffidati recidivi, e di chi non si presentava alla firma. E questo è stato un grave gesto di debolezza.
Uno nessuno centomila! Un libro di Pirandello? No! I castelli di Kessler secondo Bulba...
All'ombra del cavaliere oscuro (la biografia di G. Fini)
La regola del fallo di mani nel calcio? Superata, oramai si gioca con 11 portieri come la lotteria istantanea - ponzi ponzi po po po
Baci riddler/Massimo

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/08/2007 alle 12:20
Mennea è stato senza dubbio uno dei più grandi atleti italiani di sempre. In campo maschile forse fra i primi tre, dopo Berruti e Consolini. In campo femminile la Simeoni, off course è la più grande. Mennea con Berruti, Consolini, Lievore, Pamich, Dordoni, Damilano, Ottoz, Morale, Frinolli, Mori, Gentile, Arese, Bordin, Cova, Antibo, Mei, Panetta, Baldini, Fiasconaro, Ortis è stato in grado di rivaleggiare coi migliori del mondo. A Mosca approffittò dell'assenza degli americani (mica uno scherzo...) ed il suo oro è meno "assoluto" di quello di Berruti, ma la sua lunga durata ne fa un grandissimo. 3 a Monaco, 4 a Montreal e primo a Mosca sempre nei 200 e primatista mondiale a lungo.(19"72). A me non era particolarmente simpatico. Ombroso e dotato di verve polemica, il barlettano è stato fra quegli atleti che parevano vivere solo di atletica. Incapace di smettere in tempo, era un maniaco dell'allenamento e della vita monastica. Tutti pregi, a ben vedere, ma che lo privavano di quella carica di simpatia che era di atleti come la Simeoni o lo stesso Berruti. Il suo grande rivale europeo (Borzov) era accusato di essere un atleta costruito, mentre fra i due, proprio Mennea era quello più dipendente dalla preparazione maniacale e dall'allenamento certisino e continuo. 11 anni ai massimi livelli, era una cosa inusuale per qualunque velocista. a 25 anni, si diceva allora, si era finiti, per la velocità (Borzov stesso a 26 anni e mezzo si ritirò, dopo il bronzo di Montreal).
erano altri tempi. Poi vennero i Lewis e i Christhie, i Johnson capaci, dopo i 30 anni , di fare i record personali. Ma è un'altra storia . Triste, per molti versi. E , quella si, legata al doping sistematico. Eppure nessuno accosta l'atletica al doping........
Tecnicamente forse Mennea avrebbe potuto dire qualcosa di più nei 400 metri, ma la distanza non l'amò mai. i 200 erano per lui tutto. Non aveva l'handicap della partenza lenta e poteva mettere sul piatto la sua resistenza alla massima velocità. Nei 200 metri, normalmente vince chi , dopo i 150 metri, cala meno. E Mennea era un "rimontatore". Nei 400 fece alcune ottime prove in staffetta, ma forse mancava un pò di potenza e di falcata per essere anche li ai vertici, anche se fu campione europeo indoor della distanza..
Un grande insomma, per il quale, però, non tifai mai in modo appassionato. Non riuscivo proprio a farmelo essere simpatico. Nei 200 gli preferivo certamente il giamaicano Don Quarrie, sempre allegro ed espansivo e suo grande rivale storico.

 

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pedala che fa bene.....

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/08/2007 alle 13:14
Originariamente inviato da janjanssen

Mennea è stato senza dubbio uno dei più grandi atleti italiani di sempre.


E Howe pensi che si potrà piazzare tra i primi tre di ogni epoca?

 

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Il procuratore aggiunto di Catania Renato Papa: Nel 2003 è stato abrogato un comma della legge che permetteva l'arresto dei diffidati recidivi, e di chi non si presentava alla firma. E questo è stato un grave gesto di debolezza.
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/08/2007 alle 13:20
Originariamente inviato da riddler

Originariamente inviato da janjanssen

Mennea è stato senza dubbio uno dei più grandi atleti italiani di sempre.


E Howe pensi che si potrà piazzare tra i primi tre di ogni epoca?


mai, credo....

 

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...E' il giudizio che c'indebolisce.

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/08/2007 alle 13:23
Howe è molto giovane. Diamogli tempo. I mezzi e l'eclettismo li ha, la sua specialità è in piena transizione. Sara Simeoni aveva avversarie straordinarie come la Mayfarth, la Ackermann. Mennea aveva Borzov, Quarrie, Wells....La grandezza di un atleta si misura nella durata della carriera, nelle vittorie e negli avversari. Oggi Howe è lontano dai salti migliori. Deve ancora raggiungere Evangelisti o Gentile , per restare nei salti. Come velocista non lo vedo a livelli assoluti. Neanche nei 200 metri, che erano fino all'anno scorso un pò specialità in crisi. E' una promessa. Non carichiamolo di eccessive attese...

 

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Livello Giuseppe Saronni




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  postato il 22/08/2007 alle 13:42
Originariamente inviato da Subsonico

Originariamente inviato da riddler

Originariamente inviato da janjanssen

Mennea è stato senza dubbio uno dei più grandi atleti italiani di sempre.


E Howe pensi che si potrà piazzare tra i primi tre di ogni epoca?


mai, credo....


Ragazzi, ha 22 anni e ha già dimostrato qualcosa, o no?
Certo che criticare i nostri atleti di casa è proprio lo sport nazionale...
Cmq ringrazio cancel58 per il thread sull'atletica.
Ci avviciniamo ai Mondiali, con qualche buona speranza, penso alla Di Martino e allo stesso Howe, e a Schwazer (quest'anno il miglior tempo sulla 50 km di marcia è suo, un 3h36' che vale un oro)

 

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Il ciclismo è uno sport sano e alla portata di tutti,contro la vecchiaia e le malattie, ma soprattutto conferisce grande lucidità ed efficienza sul lavoro [...]
Voglio anche dire che mi fanno pena e schifo gli impiegati che vengono in ufficio in macchina
e che la sera corrono a rinchiudersi in quelle scatole di sardine invece di farsi una bella sgambata fuori città...
(Visconte Cobram, da "Fantozzi contro tutti")

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/08/2007 alle 13:55
A proposito di carichi di risponsabilità, io penso che Howe sarà il nostro portabandiera a Pechino, l'unico a insidiarlo potrebbe essere solo il Mago in caso di qualificazione dell'Italia...
Per quanto riguarda gli avversari, è vero nei 200 mt. non ha chance, ma nel lungo ha parecchie chance e penso che sia Saladino che soprattutto Phillips (che in questi ultimi tempi è tornato in grande forma) siano avversari di grande caratura e se li dovesse battere beh allora entrerebbe nella storia dell'atletica (ammesso che già non c'è con i risultati fin qui ottenuti)

 

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All'ombra del cavaliere oscuro (la biografia di G. Fini)
La regola del fallo di mani nel calcio? Superata, oramai si gioca con 11 portieri come la lotteria istantanea - ponzi ponzi po po po
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/08/2007 alle 14:48
Originariamente inviato da riddler
Già uno dei migliori atleti di sempre, tuttavia, potrei anche sbagliarmi perchè in passato a parte 100, 200,400 e lungo non è che seguissi tanto l'atletica ma a parte Mennea e Sara Simeoni non è che ci sia stata grande visibilità per gli altri atleti...
E nemmeno lo stesso Baldini, con tutto quello che ha vinto finora, ne ha avuta tanta...
Come mai? O forse mi sbaglio...



secondo me non ti sbagli.
Ancor'oggi quando gli atleti più conosciuti sono Mennea e la Simeoni: eppure ci sono stati i Cova, i Bordin, i Baldini, Fiona May...

Mi sbaglierò, ma l'atletica aveva più spazio in televisione quando c'erano due soli canali che oggi; allora si era obbligati a guardarla, oggi si cambia canale e via: la guardano solo i veri appassionati.

 

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Livello Octave Lapize




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  postato il 22/08/2007 alle 15:00
Originariamente inviato da antonello64

Originariamente inviato da riddler
Già uno dei migliori atleti di sempre, tuttavia, potrei anche sbagliarmi perchè in passato a parte 100, 200,400 e lungo non è che seguissi tanto l'atletica ma a parte Mennea e Sara Simeoni non è che ci sia stata grande visibilità per gli altri atleti...
E nemmeno lo stesso Baldini, con tutto quello che ha vinto finora, ne ha avuta tanta...
Come mai? O forse mi sbaglio...



secondo me non ti sbagli.
Ancor'oggi quando gli atleti più conosciuti sono Mennea e la Simeoni: eppure ci sono stati i Cova, i Bordin, i Baldini, Fiona May...

Mi sbaglierò, ma l'atletica aveva più spazio in televisione quando c'erano due soli canali che oggi; allora si era obbligati a guardarla, oggi si cambia canale e via: la guardano solo i veri appassionati.


Dopo il ciclismo, l'atletica è lo sport che + mi piace, anche se ultimamente lo seguo poco in quanto è un po' lasciato nel dimenticatoio dalla tv.
Come diceva jan, mennea non mi ha mai entusiasmato troppo, anche se lo ritengo un ottimo atleta.
Ricordo il suo rientro con la storia del "brainpower" o una roba simile, non rammento esattamente, che mi sembrava + che altro una trovata pubblicitaria.
Pure Howe non mi entusiasma, lo vedo competitivo solo nel lungo.
In ogni caso arrivare tra i primi tre non sarebbe cosa da poco.
gall

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/08/2007 alle 15:00
Originariamente inviato da riddler

A proposito di carichi di risponsabilità, io penso che Howe sarà il nostro portabandiera a Pechino, l'unico a insidiarlo potrebbe essere solo il Mago in caso di qualificazione dell'Italia...
Per quanto riguarda gli avversari, è vero nei 200 mt. non ha chance, ma nel lungo ha parecchie chance e penso che sia Saladino che soprattutto Phillips (che in questi ultimi tempi è tornato in grande forma) siano avversari di grande caratura e se li dovesse battere beh allora entrerebbe nella storia dell'atletica (ammesso che già non c'è con i risultati fin qui ottenuti)


io preferisco che il nostro portabandiera sia un atleta di grande esperienza tipo baldini o lo stesso bettini oppure la vezzali...

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/08/2007 alle 15:14
Beh Baldini ammesso che partecipi...

 

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Uno nessuno centomila! Un libro di Pirandello? No! I castelli di Kessler secondo Bulba...
All'ombra del cavaliere oscuro (la biografia di G. Fini)
La regola del fallo di mani nel calcio? Superata, oramai si gioca con 11 portieri come la lotteria istantanea - ponzi ponzi po po po
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  postato il 22/08/2007 alle 16:03
Ragazzi su rai sport satellite di atletica se ne vede molta, e non dimentichiamoci che sabato iniziano i campionati del mondo a Osaka in Giappone...
 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 22/08/2007 alle 19:29
Originariamente inviato da simone89

Originariamente inviato da riddler

A proposito di carichi di risponsabilità, io penso che Howe sarà il nostro portabandiera a Pechino, l'unico a insidiarlo potrebbe essere solo il Mago in caso di qualificazione dell'Italia...
Per quanto riguarda gli avversari, è vero nei 200 mt. non ha chance, ma nel lungo ha parecchie chance e penso che sia Saladino che soprattutto Phillips (che in questi ultimi tempi è tornato in grande forma) siano avversari di grande caratura e se li dovesse battere beh allora entrerebbe nella storia dell'atletica (ammesso che già non c'è con i risultati fin qui ottenuti)


io preferisco che il nostro portabandiera sia un atleta di grande esperienza tipo baldini o lo stesso bettini oppure la vezzali...

La Vezzali se lo meriterebbe, con tutto quello che ha vinto...

 

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(Raymond Merrill Smullyan, 5000 B.C. and other philosophical fantasies, 1.3.8)


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Ronde van Vlaanderen / Tour des Flandres: 3°
Rund um Köln: 1°
Liège-Bastogne-Liège: 1°
Giro d'Italia: Carrara - Montalcino: 2°
Tour de France: Sisteron - Bourg-lès-Valence: 1°
Tour de France: Longjumeau - Paris Champs-Élysées: 1°
Tour de France - classifica finale: 3°
Gran Premio Città di Peccioli - Coppa G. Sabatini: 1°

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 22/08/2007 alle 19:33
Va beh se è per quello ci sarebbe anche Filippo Magnini supercandidato ad alfiere, però penso dopo la Kostenr a Torino, che magari si voglia pensare ai giovani...

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 23/08/2007 alle 20:58
Senza voler snaturare il bellissimo thread di Cancel, volevo chiedere: come facciamo in occasione di eventi importanti apriamo una finestra adeguata, per i mondiali di Osaka useremo questo thread o un altro?

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 26/08/2007 alle 21:32
Mennea è stato probabilmente il più grande campione partorito dall’intero sport internazionale, per abnegazione, disponibilità totale verso l’allenamento, ed una capacità di soffrire unica. Il suo talento però, rappresenta uno dei più bassi fra gli atleti che sono stati capaci di costruirsi una grande carriera. Questa è la prima riflessione che, per onestà, è giusto evidenziare, a rendiconto del suo tratto nello sport. Possiede dei record ben difficilmente superabili a livello maschile, ad esempio è stato l’unico velocista che ha corso quattro finali in quattro Olimpiadi diverse, ed ha partecipato ad una quinta (a livello femminile, invece, l’eterna Merlene Ottey ha superato assai questi numeri); ha mostrato una continuità nella longevità di nota, assai più credibile di Carlina, Johnson e Christie, che, pure, lo soffocavano di talento: quanto basta, insomma, per scolpire la storia dell’atletica leggera e prendersi gli onori e il coinvolgimento anche di chi, come me, predilige, da sempre, i possessori di sangue blu da vendere, i “bad boys”, gli intensi di intuito ed istinto.

Caratterialmente, da atleta, il Pietro da Barletta - “Freccia del sud”, non era per niente facile. Introverso e cocciuto, spesso inconsapevolmente incapace di ascoltare le obiezioni, o le semplici interlocuzioni degli altri: ne sa qualcosa il compianto Paolo Rosi, ex grandissimo rugbista, poi telecronista senza eguali per competenza, schiettezza e capacità di trasportare lo spettatore senza urlare. Come uomo, nel dopo carriera, non lo voglio giudicare: non mi lascio trasportare dalla lunga collezione di lauree e dall’aver costruito un’attualità di nobili scopi, attraverso una specifica Fondazione e nemmeno mi lascio infastidire dal fatto che sia sceso in politica dalla parte avversa alla mia e che sia giunto a chiedere voti all’organizzazione nella quale vivevo. Pietro Mennea, ha dunque fatto (e fa) vedere, da civile, il suo essere non comune, ed il miglior modo per me di rispettarlo è, appunto, quello di non giudicarlo. Non mi compete e non mi interessa.

Il bel racconto di Cancel però, pone dei quesiti e stimola assai un ingrandimento su quel lasso dell’atletica, primi anni settanta, che conosco bene e che mi ha coinvolto parecchio, dopo, come dirigente e come osservatore.
Non ho tempo per approfondire, ma qualche consistenza è giusto evidenziarla e si circoscrive all’unica medaglia olimpica che, in virtù delle circostanze, Mennea si è veramente giocato: i 100 metri di Monaco ’72.

Tutti i perché stanno all’interno di ciò che succedeva in quel periodo nel mondo dell’atletica degli States, che cercherò di analizzare sommariamente e nella maniera più stringata possibile.

“The american track & field”, prima del fattaccio dell’errore degli orari che costò l’eliminazione di Eddie Hart e Rey Robinson, aveva già visto una sottile eliminazione di validissimi atleti, in particolare velocisti di pelle nera. Avery Brundage, forse il più grande dittatore mai apparso sullo sport, non era solo il presidente del CIO, ma, di fatto, il massimo riferimento tecnico (addirittura) e politico dello sport americano, specie nell’atletica. Il guanto nero di Tommie Smith e John Carlos, il basco nero dei quattrocentisti Lee Evans, Larry James, Ron Freeman e Vince Matthews, lo avevano segnato, incentivando non poco il suo razzismo. Per questo motivo, i grandi contestatori, nonché grandi atleti dell’Olimpiade messicana e la loro cerchia di amici o simpatizzanti, furono osteggiati anche su aspetti banali (per modo di dire), come la scelta delle corsie, spesso fuori da ogni criterio di scelta o dall’imprevedibilità di un sorteggio, fino all’isolamento presso le rispettive Università.

Così, dopo Mexico ’68, fra i velocisti e i quattrocentisti (considerati il covo della contestazione), se ne andarono verso il football americano (scelta in parte voluta, ed in parte favorita dal clima), un mostro come Tommie Smith (classe 1944), i suoi amici Jim Hines (classe 1946, oro a Mexico ’68 e primatista mondiale dei 100), Ronnie Ray Smith (classe 1949, oro in staffetta ed in questa primatista mondiale), Larry Questad (classe 1943, finalista olimpico sui 200 nel ’68 con un personale di gran valore 20”28), mentre il “vecchio Mel Pender (classe 1937 oro in staffetta e primatista mondiale nella specialità) e il quattrocentista Ron Freeman (classe 1947 oro nella staffetta del miglio ed ivi primatista mondiale, nonchè bronzo olimpico nella gara individuale), lasciarono (Mel solo per un paio d’anni) per dedicarsi all’umile lavoro di assistente coach. John Carlos (classe 1945), l’altro grande del guanto nero messicano, dopo un ‘69 e ’70 dove fu nettamente il miglior sprinter mondiale sia sui 100 che sui 200, stufo delle angosce continue della sua condizione di sospettato e, di fatto perseguito, passò nel ’71 anch’egli al football, senza provare i Trials dell’anno successivo, per giungere a quei Giochi di Monaco, che avrebbe vissuto a 27 anni, ed ancora con le forze per primeggiare. Accanto a lui, inoltre, nella stessa situazione di insopportabilità, si trovarono a vivere in difficoltà, il fortissimo Charlie Greene (classe 1945, bronzo sui 100 a Mexico ’68 e oro in staffetta dove era primatista mondiale, nonché ex recordman sui 100) e degli ottimi talenti come Jim Green (classe 1947, terzo tempo mondiale nel ’71), Oliver Ford (classe 1947) e Mel Gray (classe 1948), tutti velocisti che “scoppiarono” prima del ’72, passando al solito football o ad altre attività.

Il quadro statunitense prima di Monaco però, aveva ancora delle frecce non da poco, nonostante che, per diversi di quelli che mi accingo a menzionare, vi fossero uguali motivi per vivere in sofferenza.
Una doverosa parentesi, nella velocità “made in Usa” di quel periodo, la merita il velocista bianco Ben Vaughan (classe 1948), uno sprinter che vidi un paio di volte e che mi impressionò per la bellezza di corsa, paragonabile a quella di Berruti, ma più potente. Ricordo il commento del grande Paolo Rosi: “Bèh, questo Vaughan, non è solo la speranza bianca della velocità americana, ma uno veramente forte”. Già, un talento che nel biennio ’69-’70, finì terzo nelle graduatorie mondiali, sia dei 100 che dei 200, ma la sua poca disponibilità a lavorare duro sul campo e la consapevolezza di essere chiuso dall’imbattibile Carlos, lo spinsero ad anticipare il suo passaggio all’attività di designer.
Gli altri sprinter di nota di quel lasso, in gran parte “ammazzati” dai Trials e che potevano ambire al podio olimpico di Monaco sui 100, erano…

Willie Turner (classe 1946) - Un tipo che se azzeccava la partenza, e se stava bene muscolarmente (il suo grande limite), poteva competere, nel lasso storico che va dal ’67 (dove fu oro in staffetta ai Panamericani) al ‘74, proprio con tutti, esclusi Tommie Smith e John Carlos. Tentò la carta dei Trias anche nel ’76, ormai completamente rotto, ma non riuscì a qualificarsi. Oggi è un grande coach.

Yvory Crockett (classe 1948) – Piccolino quanto Charlie Greene, a differenza dell’occhialuto, possedeva uno stile da sogno e poteva andare molto bene anche sui 200. Il suo difetto: l’incostanza. Arrivò ai Trials del ’72 in condizioni precarie e non si qualificò, ma a testimonianza del suo valore indiscusso, nel ’74, corse le 100 yard (91,44 metri) in 9” netti, ancora oggi primato mondiale. Nel ’75, passò per un breve periodo al football per poi divenire un imprenditore che, col tempo, s’è trasformato in generoso benefattore dei più bisognosi. Un personaggio.

Marshall Dill (classe 1952) – Più precoce di Mennea: a diciannove anni correva sia sui 100, che sui 200, su tempi migliori. Schiacciato dal peso dell’emergente Steve Williams (classe 1953) e, nei primi tempi, limitatamente ai 200, dalla meteora Mark Lutz (1951), non riuscì mai ad ottenere quello che poteva. Fosse nato in un altro Paese, dove non esistevano i Trials, forse sarebbe giunto ad una medaglia olimpica. Possedeva una bella progressione e la sua corsa era molto composta. Ai Trials di Eugene, nel 1972, sfiorò la qualificazione sui 200, battuto dal modesto e scellerato Chuck Smith (classe 1948) e dall’altrettanto modesto occhialuto Larry Burton (1951), uno che poi sparì completamente dalle scene. Lo batté, ovviamente anche Larry Black, ma aldilà delle enormi differenze di fama, fra i due non ci stava che un decimo al massimo. Sui 100, fu bloccato dal nervosismo e dal più grande talento assieme a Williams, che gli Stati Uniti abbiano sfornato negli anni settanta, Reynaud Robinson (classe 1952).

Steve Williams (classe 1953) – Nel giugno del 1972, prima dei Trials di Eugene si mise in grande evidenza e piacque subito. Stile perfetto, giusto equilibrio fra falcata e potenza, struttura ideale per un velocista. Non superò i Trials, ma aprì un ciclo all’indomani dell’Olimpiade di Monaco. Amato in Europa, dove l’insistenza dei cronometraggi manuali, mortificò assai le sue prestazioni, attraverso l’effimero di un’infinità di 9”9 sui 100, considerati ancora al tempo come primati mondiali, era invece osteggiato negli States, per la sua lingua spesso critica, in cui non lesinava frecciate ad una dirigenza che favoriva, apertamente, taluni neri omologatissimi: il comunque modesto Bill Collins su tutti. Anche nel ’76, i Trials gli furono fatali, ma solo per quei tanti infortuni che lo hanno accompagnato. Vi riuscì nell’80, ma il suo sfortunato destino si compì: il boicottaggio, gli impedì di correre le Olimpiadi. Eppure, quando scendeva in pista, quasi sempre vinceva. Fosse stato italiano, o francese, dove sarebbe arrivato? Mah…comunque se dovessi scegliere fra lui e Mennea, con ambedue al “top”, andrei dritto verso l’americano. Ha corso senza stimoli in 19”8 col vento contrario e in 10”07 nelle medesime condizioni. E che fosse malvisto in patria, lo dimostra il suo dopo..... Oggi lavora presso una radio della California, senza lode né parte. Uno sfortunato che meriterebbe pagine….

I qualificati nei 100 per Monaco ‘72

Gerald Tinker (classe 1951) – Nero d’ebano, come il futuro collega Emmit King, trovò la sua stagione d’oro nel ’72, l’ultima. Fu beffato di un’unghia ai Trials da Taylor per il posto utile alla gara olimpica sui 100, ma si rifece con una grande frazione di staffetta. All’indomani di Monaco passò al football, dove per quattro stagioni si fece valere.

Robert Taylor (classe 1948) - Il più scarso di tutti e nemmeno di poco, trovò le circostanze a mo’ di “filotto”, per prendendosi un argento e un oro in staffetta alle Olimpiadi di Monaco. Come a dire che la fortuna esiste, eccome! Resta il più insignificante di quella generazione, a testimonianza di quanto gli albi d’oro, siano spesso falsi. Dopo il ’72, passò ai 400, ma non brillò, come era prevedibile.

Eddie Hart (classe 1949) – Bello stile, ottima progressione, potenza non eccelsa. Un mix che l’ha fatto emergere presto, sia sui 100 che sui 200, ma non ha mai dato l’impressione di poter aprire un’era. Nel ’72 comunque, sia per il record mondiale manuale sui cento, sia per la crescita che aveva dimostrato a ridosso delle Olimpiadi, era in grado di vincere l’oro sulla distanza preferita. Poi, la tragicomica dell’errore dello staff americano sugli orari del programma di giornata, lo mise KO. Nella gara di staffetta, si trovò in ultima frazione al cospetto di Borzov e a dover rispondere al suo tentativo di rimonta, ma non perse niente, portando i compagni al record del mondo. Per me il Borzov imbattibile di Monaco, non era quello dei cento, ma quello dei duecento. L’ho sempre pensato e quando ne potei parlare con valenti allenatori, trovando conferme, l’ho definitivamente messo sotto cemento.

Reynaud Robinson (classe 1952) – Secondo Donald “Don” Quarrie (Giamaica, classe1951), di cui parlerò dopo, che lo conosceva bene perché studiava negli States, Rey era il vero grande avversario di Borzov per la gara sui cento. Gli riconosceva un talento sublime. La facilità di corsa, l’accelerazione e quell’enorme testone di capelli cotonati coi baffi, ne facevano un seminole nero. Rey, infatti, della Florida era figlio in tutto, anche nel carattere deciso e, all’occorrenza, senza peli sulla lingua e sui comportamenti. Nel ’72, la sua carriera era appena iniziata e sognava. Sapeva di valere tanto. A Eugene, nei Trials, giunse di un unghia secondo dietro Eddie Hart, con lo stesso tempo di 9”9, che valeva il primato mondiale eguagliato, ma sapeva che l’aspetto caratterizzante di quella prova, era di finire fra i primi e staccare il biglietto per i Giochi. Infatti, negli ultimi metri, vista la sicurezza della qualificazione, rallentò: era deciso a dare tutto a Monaco. Un ventenne, brioso ed eccentrico, dunque, ma pure solido nei suoi voleri. All’Olimpiade, le prime verifiche delle batterie e dei quarti confermarono appieno il suo ruolo di probabile vincitore, o di pressoché certo al podio. Ma la beffa era alle porte. Il clima dentro la squadra americana pagava, come già scritto, gli echi del ’68: era una polveriera. Brundage, era sempre alle porte, più attento che mai, specie dopo l’esclusione della Rhodesia (l’attuale Zimbabwe) e del Sudafrica, indigeribili per un razzista-nazista come lui (poi, dopo l’attentato del 5 settembre e la morte di 11 atleti israeliani, farà vedere il resto della sua malvagità). Alle 16,15 del 31 agosto, erano in programma i quarti dei 100, ma Eddie Hart e Rey Robinson non si presentano, mentre Robert Taylor arrivò all’ultimo minuto. Perché? La prima spiegazione giunta all’esterno, fu che i due atleti avevano sbagliato orario e se ne stavano tranquillamente a letto. Ma non reggeva, perché ad un’Olimpiade, anche la delegazione più scalcinata, cerca di supportare gli atleti, perlomeno su logistica, orari di gara e quanto altro. Scese allora in campo il loro allenatore, Stan Wright (un grande tecnico, per inciso), che dichiarò di aver letto male l’ora di gara prevista, confondendo le 16,15 con 6,15 e siccome negli Stati Uniti, le 6,15 a giorno inoltrato, sono le 18,15, lui considerava quella come l’ora dei quarti. Fu Hart ad accorgersi dell’errore, quando vide in televisione i suoi avversari che si stavano preparando. Lui e Robinson partirono, ma le loro gare erano troppo vicine, mentre Taylor, il cui quarto era l’ultimo, riuscì per il rotto della cuffia a schierarsi. Ad onor del vero, non si sa ancora oggi, se le cose siano andate veramente così. Resta il fatto che Robinson, dei tre, fu poi l’unico a non essere schierato in staffetta, dove gli fu preferito, per la frazione di curva, Larry Black (argento sui 200). Il motivo: una sua non ben accennata condizione precaria (non si era vista nelle batterie!) e la maggior abitudine di Black a correre in curva. Anche qui, la verità appare molto diversa. Dopo oltre 30 anni, il dichiaratosi colpevole Wright, pare scagionato da una serie di “mezze ammissioni” che danno al capo delegazione americano, la colpa della confusione sugli orari e della conseguente circolazione dell’errore all’interno della squadra di atletica. Non è finita, perché è diventata molto forte la tesi, un tempo flebile, di un Robinson che, tra le vittime, fosse quello che reagì in maniera scomposta e persino violenta e che, per questo motivo, fu escluso dalla staffetta. Le stesse dichiarazioni di Rey alla morte di Wright (dopo Monaco fu sostituito), paiono confermarlo: “Stan era un grande e non l’ho mai incolpato per avermi fatto perdere una medaglia olimpica, le responsabilità stanno altrove ed io lo so bene, ma oramai è inutile parlarne”. Chi è stato dunque? E cosa significa quel “io lo so bene”? Quel che è certa fu la sua condotta molto strana dopo i Giochi: non si schierò per anni alle gare, si laureò a pieni voti, si ripresentò per sfizio sui campi nel 1978 e un lustro di inattività agonistica, fece registrare i medesimi tempi dei suoi meravigliosi vent’anni. Come dire: il mio talento è sempre uguale. Un paio d’anni dopo, con sole 28 primavere alle spalle, era già un allenatore di vaglia. Oggi, è l’Head Coach dell’Università della Florida e sa trasmettere agli atleti come pochi. Anche qui un talento, proprio come quello, mostruoso, che non ha mai potuto esprimersi compiutamente sulle piste. Ha sempre gli stessi baffi, ed anche se i suoi capelli non formano più il pallone di un tempo, sotto, mostra sempre quegli occhi vispi che ricordano i Seminoles.

Donald “Don” Quarrie (1951) – Inserisco qui due note sul grande giamaicano che studiava negli States, un atleta che meriterebbe un libro…Ancor protagonista tra l’altro, perché dopo esser stato uno statista nella sua isola è oggi uno dei consulenti più in vista dei cinesi, nell’organizzazione delle Olimpiadi di Pechino. Don, nel ’72, dopo aver dovuto disertare, diciassettenne, Mexico ’68 a causa di un infortunio, per lo stesso motivo, finì per ritirarsi anche ai Giochi di Monaco. La sua defezione, quando era il numero uno al mondo sui 200 metri, ed uno dei più forti sui 100, rese davvero triste il cast reale, della finale sulla classica distanza della velocità. Non aggiungo altro, perché mozzare in poche battute la carriera infinita di Quarrie, sarebbe un delitto. Dico solo che, dopo Tommie Smith, Don Quarrie è stato il più grande duecentista della storia e non ho problemi ad anteporre entrambi, a Michael Johnson. Chi ama i tempi e le statistiche, considererà le mie preferenze come bestemmie, ma non me ne frega un tubo.

Ora, dopo questa disamina veloce (nonostante la lunghezza ), sulla realtà della velocità americana fra le Olimpiadi del ‘68 e quelle del ‘72, torno al punto da cui ero partito, riferendomi all’errore che gli italiani fecero, nello schierare Mennea ai Giochi di Monaco, sui soli 200 metri. Sia chiaro, era un rischio far correre ad un ragazzo di 20 anni, due prove che avrebbero contemplato, nel caso di una certa positività, almeno sei turni, ma è pur vero che le attenzioni prima delle Olimpiadi sui soli 200 metri, furono una forzatura e, alla luce del dopo, un errore. Nel racconto di Cancel, il momento fulcro di Pietro, prima dei Giochi, è rappresentato dalla grande serata all’Arena di Milano sui 100 metri. A quel tempo, Mennea, era diverso da quello che abbiamo impresso nelle memorie. Aveva 20 anni e non si era ancora votato completamente, o meglio, non aveva ancora alle spalle anni ed anni di carichi di lavoro, molti dei quali di forza, necessari per tenere al meglio la sua progressione naturale sulla forza centrifuga della curva, ovvero il suo grande difetto sui 200. Tutta questa abnegazione nell’allenamento, col tempo, gli tolse esplosività allo sparo e le sue partenze si fecero progressivamente più lente. Erano di un’evidenza che, se ogni singola gara, fosse stata accorciata nell’osservazione ad un solo terzo, per poi riaprire gli occhi dieci o venti secondi dopo, nessuno avrebbe creduto possibile una vittoria di Mennea.

Alla Pasqua dell’Atleta ’72, Pietro, partì bene, come in tutta quella stagione (già nel ’73 cominciò a mostrare ritardi) e, grazie a questo, rese possibile e tangibile la rimonta su Borzov. Il tempo finale di quella gara, con cronometraggio manuale, fu di 10” netti, ovvero, secondo le stime della IAAF (che ci ha studiato sopra per anni), un 10”24 elettrico. In quel momento, la Freccia del Sud aveva il terzo tempo dell’anno al mondo sui 100 (dietro Hart e Robinson), in coabitazione con Borzov e Taylor, mentre sui 200,al Quarrie (di cui non si poteva sapere l’infortunio) gli stavano davanti Borzov e Black, e gli stavano pari Burton e, nelle comunque sbagliate considerazioni dei tecnici del tempo, anche Chuck Smith. Guardando la mera statistica delle probabilità, erano più favorevoli i cento. Prima ancora delle motivazioni dettate dal carico agonistico, a far pendere la bilancia verso i 200, fu la convinzione presente nella Nazionale, di un Mennea maggiormente competitivo del “metro scelto” Valery Borzov, sui 200, anziché sui 100. L’idea di fargli fare le eliminatorie sulla distanza più breve e, poi, decidere nel corso dell’Olimpiade, se schierarlo o meno anche sui 200, non sfiorò i tecnici azzurri e fu un errore.

La defezione per infortunio di Quarrie (che era un potenziale 9”9 manuale) e quelle interrogative di Hart e Robinson, avrebbero messo Pietro, nella condizione di giocarsi l’oro, coi due che erano a pari tempo con lui prima dei Giochi: Borzov e Taylor. Una simile determinazione, si sarebbe potuta leggere e vedere già dai quarti. Inoltre, il Borzov dei 100, che corse in semifinale il suo miglior tempo dei Giochi (e della carriera) in 10”07 (un centesimo in più di Bob Hayes sulla tenninsolite di Tokyo ’64!), non era, ripeto, quello battibile solo da Tommie Smith e Don Quarrie dei 200, ed anche se era fuori portata di Pietro, il resto, era superabile per il Mennea dell’Arena (una pista più lenta di quella di Monaco, tra l’altro…). A rendere queste considerazioni legittime, la consapevolezza di una finale molto chiara, con un Borzov vincente in 10”14, un Taylor secondo in 10”24, ed il vecchio giamaicano Lennox Miller, terzo, in 10”33. Fu fatta la scelta dei 200, dove a far da scudiero di un Borzov strepitoso, finì il non impossibile Black e Pietro, ebbe il suo bel daffare per anticipare l’occhialuta non alata meteora, Larry Barton. Scelta, che nella carriera olimpica abbastanza fortunata della Freccia del Sud, appare oggi, come allora, contestabilissima. E poi, per un giovane puntiglioso ed orgoglioso come Pietro, partire con un argento, era proprio il massimo anche per il futuro “ravvicinatissimo” di quella Olimpiade…..

Morris

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 15/11/2007 alle 23:43
ATLETICA: MORTO A 59 ANNI, ROBERT TAYLOR, OLIMPIONICO A MONACO '72

Atletica in lutto: è morto, a 59 anni per arresto cardiaco, lo statunitense Robert Taylor, campione olimpico della 4x100 e medaglia d'argento nei 100 metri alle Olimpiadi di Monaco 72 dietro Valery Borzov. Si era sentito male lunedì scorso, mentre teneva una lezione presso una scuola di Missouri City. Trasportato in ospedale, l’olimpionico e' morto nella notte tra martedi' e mercoledi'. Non era un fenomeno, di lui ho parlato con ingenerosità come qualcuno avrà a dire, nel thread sopra. D’altronde, il confronto era con dei fenomeni….
L’incancellabile resta: un oro ed un argento alle Olimpiadi, sono sempre un certificato di qualità. Per quanto fosse il velocista che mi piaceva di meno di quella generazione, i suoi valori tecnici ed umani (è sempre rimasto modesto, ed ha passato tutto il dopo carriera, ad insegnare ai ragazzi), sono indiscutibili e ne han fatto una figura nobile dell’atletica americana.
Gli sia lieve la terra.

 

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Esordiente




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  postato il 12/04/2008 alle 16:10
Originariamente inviato da Morris

Mennea è stato probabilmente il più grande campione...Il suo talento però, rappresenta uno dei più bassi fra gli atleti che sono stati capaci di costruirsi una grande carriera. ...

Affermazione contestabile, anche se affettuosa. Non era "bello" come atleta, aveva un fisico strano e ben lontano dai canoni del velocista classico, ma il suo talento era immane. Anzi, proprio per questo era ancor più grande.
Non confondiamo.
Reattività delle fibre "veloci", mobilità delle articolazioni, capacità di plasmare il gesto, capacità di modificare la tattica in corsa, carattere vincente, capacità di durare 12 anni nella velocità a livello mondiale ( Borzov è scomparso nel giro di 5 anni) ...che si può chiedere di più?
Se teniamo conto , inoltre, che le sue basi non erano state costruite in un college di L.A. o in un laboratorio di Mosca, ma nella simpatica e provinciale Barletta, possiamo solo arguire quale sarebbe stato il suo potenziale in ben altre condizioni.
In ogni modo, credemi sulla parola: quando si correva nelle gare da ragazzi, tra Pietro e gli altri c'era l'abisso.
Nessuna speranza, nessuna discussione, nessun pronostico. Si correva solo per arrivare secondi e non prendere più di dieci metri. Nessuno arrivava neanche alla spalla di Pietro, in tutta la regione.
Se questo non è talento....
Voglio fare un paragone per esser più chiaro: a Novella Calligaris mancavano 10 cm di altezza e 10 kg di muscoli. Ma non il talento!

PS.Mi accorgo solo ora che questa mia arriva con qualche mese di ritardo...pazienza. Un abbraccio a tutti i fan dello sport VERO.

 
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