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Autore: Oggetto: Aneddoti, inediti e curiosità...

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 03/05/2009 alle 07:40
Quello che possono fare i gregari…

Una storia vera, che non posso raccontare diversamente. Può essere presa come un quiz, ma non sarò conseguente in caso di domande, sempre per ovvi motivi.
Dal racconto di un corridore al sottoscritto.


Sai, il caldo soffocava, l’orizzonte si muoveva più che sull’incontro con quel Terribile, sulla preoccupazione che ci teneva stretti verso di Lui, giovane e già dedito al lamento come fosse una forma di difesa. Avevamo lavorato come i servi della gleba, per tenere unito il gruppo, prima del Terribile. Lui non stava bene, ma facevi fatica a capire se era vero, o se si trattava dell’ennesima forma di difesa sotto forma di lamento. Quel nostro tirare, era stato stupido più che doveroso: ci eravamo sfiancati, senza lasciare un grammo di energie per quel che ci aspettava. Ma per che cosa? Per quale motivo, visto che tutti gli avversari aspettavano il fendente finale. Ma erano domande che non servivano più: l’avevamo fatto e tanto bastava. Purtroppo, spettava a me difenderlo fino allo stremo, non già per ordini del capo, ma perché, dopotutto, era il tacito sapere di ogni compagno. Sì, ero l’unico che poteva farlo, ed io mi chiedevo, cosa avrei potuto raggiungere se fossi stato ancora capitano. Lui, intanto, era lì, a lamentarsi, come un disco incantato, ed i compagni sfiniti s’erano fatti assorbire dalla pancia del gruppo, quando ancora non avevamo percorso cento metri del Terribile.
L’arrivo delle pendenze, trasformò il lamento del “Ragazzone Capitano, dalle flebili e noiosissime parole, a quel suono che oggi si sente sui campi da tennis: era insopportabile e tutti se ne accorsero. Inevitabilmente partì il Passero, ma si sapeva che sarebbe scattato comunque e non era pericoloso. Con lui però, se ne andò anche l’Avversario, ed il fatto che fosse partito così presto, era la prova che i suoni di sofferenza del “Somaro” che assistevo, erano una telefonata, uno sprone, un ““Vai” che sono un’oca a dirtelo!”. A quel punto, tirai come nei miei giorni migliori, sciogliendomi, ma non avevo ancora scoperto dove stava il mio fondo di energie. Come mi rialzai, perché sentivo Lui sull’orlo del crepaccio, da come suonava angoscia e sofferenza, partirono anche l’Intellettuale Mancato, l’Occhialuto, Ciao Mama, La Bomba, il Talentuoso Carcerato, ed il Baronetto. Ovviamente rimasi con Lui e gli altri, sempre più sfilacciati. I primi due non li vedevamo più e manco potevo sentire il chiasso dei tifosi lassù, dove presumibilmente si potevano trovare, perché accanto a me, avevo un “Signore sotto tortura” che mi impediva di distinguere altri suoni.

(Aligi Sassu - ciclisti
Il gruppettino degli ultimi scattati, invece, erano neanche cento metri avanti, perché forse, tanta birra in corpo, non l’avevano. I metri, nonostante tutto, passavano, ed io non ce la facevo più. A quel punto pensai di mollare, ma Lui con un lamento che pareva l’urlo del travaglio d’una donna che sta per partorire, mi donò insperate energie, che consumai in gran parte a reagire. “Basta! Smettila! Col tuo belare hai fatto partire tutti. Svegliati, tira fuori i coglio.ni, perché non commuovi nessuno, ed anche i sassi sanno che sei quello che sta meglio, qui!”. Nell’arrabbiarmi m’ero quasi spento, ma lui tornò a lamentarsi, parlando. Era un passo in avanti. A quel punto, raccolsi tutto quello che avevo rimasto, gli diedi la borraccia ancora abbastanza fresca e piena, gliene porsi un’altra a metà, che era poi quella che volevo tenere per me, e con quell’acqua gli feci prendere la stenamina.
Finite le operazioni, lui mi guardò senza lamentarsi, ed io più arrabbiato che mai, gli dissi: “Adesso io mollo e tu se non vai a prendere almeno il gruppetto della Bomba, a tappa finita, ti prenderò a calci nel sedere e continuerò a farlo, fino a quando non mi sarò consumato il piede. Hai capito bene?. E guai a te se una volta raggiunti quelli davanti, proverai a lamentarti o a piangere come un bambino col ciuccio! Sappi, che a me, quelli davanti, me lo diranno!”. Cercai un po’ d’aria perché non potevo più e vedendolo silenzioso e titubante, raccolsi quel briciolo di forza e gli urlai: “Che fai! Sei ancora qui? Ti devo dare un cazzotto adesso?”. A quel punto, il “Somarone” partì, ed a fine tappa, quando dopo una decina di minuti arrivai anch’io, seppi, che non solo aveva ripreso quelli del gruppetto, ma una buona metà li aveva pure staccati. Soprattutto, non avevamo perso quello che non volevamo perdere. Insomma, ci salvammo e Lui poi fece quello che sai….
(Morris )

 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 03/05/2009 alle 07:53
Parigi Tours 1965: la trovata di Felix Levitan e la grande vittoria di Gerben Karstens.

Come tutti gli immensi, Felix Levitan (su cosa abbia significato per corridori, Tour e intero ciclismo questa nobile figura può leggersi http://www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=5789 ), ha lasciato nella sua storia una pagina stonata. Quando a monte però, c’è un grande personaggio, è facile che la stonatura faccia storia e, sovente, sia pure prodiga di tangibili risultanze. A metà degli anni sessanta la Parigi Tours, s’era consolidata come classica dove lo sprint finale a ranghi pressoché compatti, era divenuto una costante.

Felix Levitan
Il vento e le poche asperità, non riuscivano a fare nessun tipo di selezione e quei “volatoni” avevano spinto Levitan a cercare un rimedio. Non potendo modificare il percorso con l’inserimento di qualche salita perché non c’erano i presupposti, pensò ad una svolta che non ha pari nell’era moderna del pedale: tornare all’antico. In fondo, la “Classica dei Castelli della Loira” (come il sottoscritto l’ha definita), la cui prima edizione s’era svolta nel 1896, al pari della “Roubaix”, fra le classiche, aveva solo la Liegi Bastogne Liegi come più anziana, ed era un patrimonio che ben si collimava con quel sapore eroico che Felix voleva in qualche modo riproporre. Guardando i mezzi a disposizione dei corridori che, proprio in quei mesi, iniziavano ad arricchirsi di ruote libere portanti il “rivoluzionario “13” e confrontandoli con quelli di cui, da ragazzino aspirante ciclista, vedeva e provava nell’intorno del Velodromo dell’Hiver a due passi dalla casa in cui nacque, pensò che forse, prima ancora delle asperità, proprio la rivoluzione avvenuta sulla bicicletta, fosse la causa principale di quei continui arrivi in volata. Di lì, la folgorazione: proporre l’edizione 1965 della Parigi Tour, obbligando l’uso di biciclette prive di deragliatore. In sostanza, mezzi con due moltipliche e due sole ruote libere sul posteriore, usabili dal corridore, attraverso la fermata e la conseguente operazione, a mano, dello spostamento della catena sul rapporto fino a quel momento non usato. Si trattava di far tornare indietro il ciclismo di quasi mezzo secolo, pur considerando la doppia moltiplica! L’unica alternativa, per non sporcarsi le mani, poteva essere il cambio di bicicletta, ma a costi di tempo forse superiori...
Volendo fare un confronto con altri sport, i corridori erano costretti a fermate sul tipo del cambio gomme o del rabbocco di benzina, tipiche nella Formula Uno.
Ovviamente, tutto questo imponeva ai ciclisti delle azzeccate scelte dei rapporti a monte. Per fare qualche esempio: Jacques Anquetil montò, per le fasi iniziali, il 52x16 e per il finale il 49x13, Tom Simpson il 52x16 e il 52x14, Raymond Poulidor il 51x17 e il 51x15; Gerben Karstens (colui che poi vincerà), optò invece per il 53x16 e il 53x15, che andò ad azionare a 25 km dal traguardo.
La corsa, nonostante la trovata, si consumò a passo speditissimo, movimentata dalla fuga, poi vana, di un drappello con Lucien Aimar, Henri Anglade, Tom Sompson e Willy Monty.
A cinque chilometri dall’arrivo, il ventitreenne tulipano figlio di un notaio, Gerben Karstens, olimpionico a Tokyo nella 100 km a squadre e al primo anno fra i professionisti, nel bel mezzo di uno sciame di scaramucce atte ad evitare il volatone, sciorinò una fucilata che resterà uno dei più bei gesti tecnici degli anni sessanta.

Gerben Karstens
Il gruppo non rimase sul posto, ed inseguì con ardore, ma a tre chilometri dal traguardo, Jacques Anquetil, capì che il giovane olandese non sarebbe stato ripreso e tentò la sua carta, producendosi in un allungo degno di Monsieur Chrono. Ad un centinaio di metri dall’ultimo chilometro però, quando l’olandese aveva ancora sui sei-sette secondi di vantaggio e pareva imprendibile anche per lui, lo sforzo giocò un brutto scherzo a Jacquot, che sbagliò completamente una delle ultime curve, facendosi riassorbire dal grosso. Gerben Karstens vinse a braccia alzate, anticipando di 8” il gruppo regolato da Gustav Desmet, dopo aver percorso i 247 km della prova, alla media di 45.029 km/h, nuovo record della Parigi Tours. Un primato che restò tale per altri 27 anni!
Levitan, capì che anche senza l’uso del deragliatore, la Tours, rimaneva una corsa per velocisti o finisseur e l’ esperienza insolita finì lì.
Morris

 

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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 03/05/2009 alle 07:57
Lo sapevate che...

Raffaele Di Paco, uno dei più grandi talenti puri mai saliti su una bicicletta, ed autentico personaggio, per stravaganza, poca dedizione alle condotte che si vogliono per l’atleta, ed amante della vita, aveva tifosi perfettamente sincronici ai suoi orizzonti.

A loro, infatti, risale il primo incitamento verniciato sul fondo stradale a favore del proprio beniamino, dell’intera storia del ciclismo. Il primo “W Di Paco”, apparve in una delle rare strade asfaltate dell’epoca, durante il Giro d’Italia del 1936. L’originale idea, s’è poi diffusa dappertutto, specie lungo le salite.
(Morris

 

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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 03/05/2009 alle 08:02
La pubblicità....

Durante l’ultima tappa del Tour de France 1981, vinto facilmente da Bernard Hinault, madame Edwige Avice, all’epoca Ministro francese dello Sport, seguì la tappa finale dei Champs Elysées e si disse colpita da quella che definiva la Fiera Commerciale del Tour de France, che non finiva con la carovana, ma proseguiva con le maglie dei corridori. “Il gruppo dei ciclisti – disse - è un secondo caravan pubblicitario e ne sono colpita. Occorrerà modificare il Tour, forse con un ritorno a squadre nazionali”.

Le sue affermazioni crearono imbarazzi negli organizzatori ed in Levitan in particolare; al di qua delle Alpi, anche all’ancor giovane sottoscritto. A quell’epoca facevo politica di professione, ma ero allo start di quella divisa militare, giuntami su spalle e mutande all’improvviso, quando le mie condizioni famigliari presagivano ragionevole congedo illimitato. Lessi le dichiarazioni della compagna socialista Avice, il giorno dopo, in mensa, dove prestavo servizio. Non so ancora cos’abbia detto mentre leggevo quella robaccia, so solo che mi sono svegliato da quello status, per la risata dei miei commilitoni, mediamente un lustro più giovani di me. Andando avanti con la lettura scoprii che Levitan, stordito, s’azzardò a porre a madame la domanda: “Illustrissima, ma chi finanzierà il Tour e le squadre?”. La risposta del Ministro: “Lo Stato ed i suoi contribuenti!”. All’epoca, già mal sopportavo quel nazionalismo nello sport che, con gli anni, s’è trasformato in idiosincrasia. Fortunatamente, l’ipotesi non è stata raccolta e di Madame Avice, nello sport, si son perse le tracce. Tanti anni dopo, quando Giovannina è diventata Ministra del medesimo ramo in Italia, non ho potuto non pensare alla sua collega transalpina.
I fatti poi, han dimostrato che pur con visioni opposte, le due, han vissuto sullo massimo comun divisore…..Quale sia questo massimo, non è il caso di dirlo....
(Morris )

 

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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 03/05/2009 alle 08:15
La tragedia del Parco dei Principi....

La tappa finale del Tour de France 1958, che si concludeva a Parigi, nel Velodromo del Parco dei Principi, resterà perennemente impressa per una tragedia che, per la sua dinamica, ha dell’incredibile.
Il gruppo, praticamente compatto giunse sull’anello, per disputare uno sprint che aveva in Andrè “Dedé” Darrigade il favorito, per due motivi: era cresciuto in pista proprio come velocista e nel già tanto vinto prima di quel sabato 19 luglio 1958, le prove più importanti le aveva colte su finali simili; inoltre, era in gran forma, avendo vinto due giorni prima a Besancon la sua quinta tappa in quel Tour.
La volata si stava consumando nella direzione voluta dal francese delle Lande, detto anche il “basco saltellante”, quando il “giardiniere”, nomignolo col quale Constant Wouters passerà alla storia, penso di intervenire. Chi era costui? Di origine belga in quanto nato a Deurne, nelle vicinanze di Anversa, il 26 ottobre 1889, Wouters era cresciuto a Parigi, ed aveva passato decenni al servizio del Velodromo del Parco dei Principi, la sua vera casa. Il giardiniere, effettivamente, era stata sua mansione agli inizi, ma nel 1958, già da anni ricopriva ben altro ruolo: era infatti il Segretario Generale dell’impianto. Un uomo di cui si conoscevano dedizione, dinamicità, generosità e quegli slanci che poi, furono essenzialmente la causa della tragedia. Probabilmente preoccupato per i fotografi che si stavano ammassando in posizione pericolosa sul rettilineo d’arrivo, Wouters, dal campo si precipitò ai margini dell’anello, ad una quindicina di metri dalla curva, gesticolando affinché i quegli uomini si appostassero in posizione più interna. Nella foga, non s’accorse che era lui ad aver superato la superficie terrosa, fino ad inserirsi all’interno dell’anello, in quella che viene definita la “fascia di riposo”. Lì stava sopraggiungendo a non meno di 60 kmh Darrigade, che era stato bravo a guadagnare la corda ed a guadagnare un vantaggio che gli avrebbe sicuramente garantito il successo. L’impatto violentissimo fu inevitabile e le conseguenze terribili.
Due fotogrammi dell'incidente


Trasportati immediatamente al vicino ospedale di Boucicaut, entrambi senza conoscenza, Dedé, seriamente ferito alla testa, rinvenne dopo circa mezzora e se la cavò con un mese abbondante di cure e terapie. Ritornò alle gare a fine ottobre nella “3 giorni di Morvan”. Per Wouters, le conseguenze furono letali: non riprese mai conoscenza, ed il 31 luglio morì. Fu sepolto al cimitero di Bagneux, l’8 agosto.
Quella tappa fu vinta da Pierino Baffi sul francese Jean Graczyk e agli italiani Gastine Nencini e Arrigo Padovan. Il Tour andò a Charly Gaul

Morris

P.S. Altri aneddoti, inediti e curiosità, nei prossimi giorni...

 

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Livello Greg Lemond
Utente del mese Gennaio 2009
Utente del mese Giugno 2010




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  postato il 03/05/2009 alle 08:47
Originariamente inviato da Morris

P.S. Altri aneddoti, inediti e curiosità, nei prossimi giorni...


Grazie

 

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Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
...
e i barbieri il lunedì

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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Moderatore
Utente del mese Aprile 2009, Febbraio 2010 e Luglio 2010




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  postato il 03/05/2009 alle 08:54
U-A-U

 

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Un uomo comincerà a comportarsi in modo ragionevole solamente quando avrà terminato ogni altra possibile soluzione.
Proverbio cinese

Jamais Carmen ne cédera,
libre elle est née et libre elle mourra.

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Ottobre 2009




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  postato il 03/05/2009 alle 09:12
Che spettacolo!
Ma non si può sapere neanche il decennio in cui è ambientata la prima storia?

 

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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 03/05/2009 alle 11:23
Originariamente inviato da Lore_88

Che spettacolo!
Ma non si può sapere neanche il decennio in cui è ambientata la prima storia?


Posso solo dirti che è antecedente la tua nascita...

P.S.
Colgo occasione per scusarmi per i refusi presenti nei testi, ma ho la tastiera del portatile che, spesso, porta il cursore dove vuole lei...

 

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Livello Federico Bahamontes




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  postato il 03/05/2009 alle 11:31
che belle storie
ma la prima è negli anni 50?

 

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« Gli invisibili unicorni rosa sono esseri dotati di grande potere spirituale. Sappiamo questo perché essi sono capaci di essere invisibili e rosa allo stesso tempo. Come tutte le religioni, la fede negli invisibili unicorni rosa è basata sia sulla logica che sulla fede. Noi crediamo per fede che siano rosa; e per logica sappiamo che sono invisibili, perché non possiamo vederli. »

Fantaciclismo Cicloweb 2009
Vincitore del Giro d'Italia
1 tappa e 9° nella generale al Tour de France

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Marzo 2009
Utente del mese Giugno 2010




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  postato il 03/05/2009 alle 11:41
altra bella iniziativa di Morris, le sue conoscenze sono quasi (?) infinite

 

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"Qui devi spingere con le tue gambe vecio" Davide Cassani a Gilberto Simoni alla ricognizione di Plan De Corones

"Signori non c'è ne sono più" Gilberto Simoni ad Aprica 2006

Il mio nome è Roberto che fa rima (guarda un pò che caso) con Gilberto

30 maggio 2007 ultima vittoria al giro sullo Zoncolan. 30 Maggio 2010 la fine di un lungo sogno duranto 15 anni fatto di tante gioie e tante delusioni, grazie di tutto Gibo!



 
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Livello Marco Pantani




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  postato il 03/05/2009 alle 12:28

Grazie Morris!

 

[Modificato il 03/05/2009 alle 12:52 by UribeZubia]


 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 03/05/2009 alle 14:44
W Morris!!!

 

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Michela
"Stiamo Insieme, Vinciamo Insieme - Ivan Basso"


Vita in te ci credo le nebbie si diradano e oramai ti vedo non è stato facile uscire da un passato che mi ha lavato l'anima fino quasi a renderla un po' sdrucita. Anche gli angeli capita a volte sai si sporcano ma la sofferenza tocca il limite e cosi cancella tutto e rinasce un fiore sopra un fatto brutto



http://www.adidax.com/
resisterai 5 minuti senza sport?

 
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Livello Tour




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  postato il 03/05/2009 alle 22:31
Tour de France, 1921

Jules Deloffre, nato a Caudry nel 1885, partecipa al suo 9° Tour de France; in tutta la sua carriera ne disputa 14, ma alcuni non li conclude.
Il ciclista in questione, oltre ad avere un palese talento ciclistico unito ad un fisico eccezionale, denota un marcato spirito da intrattenitore delle folle: durante questo Tour de France lo si vede sovente alle partenze in esibizioni quasi circensi.
Non solo: ciò che sbalordisce è che, talvolta, lo si vede addirittura tenere banco nei finali di tappa (e sappiamo bene come erano allora le tappe); durante le sue performance, dopo inimmaginibili fatiche e sofferenze, per accompagnare il suo personalissimo "show", gli si sente dire:"Le gambe sono stanche, sì, ma le braccia no! Ve lo dimostro!"


 

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Bisogna menare!
He. Sa.

STILOSO 2009

 
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Livello Fausto Coppi
UTENTE DELL'ANNO 2009
Utente del mese Luglio, Novembre e Dicembre 2009




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  postato il 03/05/2009 alle 23:36
Thread magnifico
Questi aneddoti sono come le ciliegie: uno tira l'altro, e non smetterei mai di leggerne, avidamente.

Grazie!

 

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« La superstizione porta sfortuna »
(Raymond Merrill Smullyan, 5000 B.C. and other philosophical fantasies, 1.3.8)


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Piazzamenti sul podio:


Omloop Het Nieuwsblad Élite: 3°
E3 Prijs Vlaanderen - GP Harelbeke: 2°
GP Miguel Indurain: 1°
Ronde van Vlaanderen / Tour des Flandres: 3°
Rund um Köln: 1°
Liège-Bastogne-Liège: 1°
Giro d'Italia: Carrara - Montalcino: 2°
Tour de France: Sisteron - Bourg-lès-Valence: 1°
Tour de France: Longjumeau - Paris Champs-Élysées: 1°
Tour de France - classifica finale: 3°
Gran Premio Città di Peccioli - Coppa G. Sabatini: 1°

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Asso di Fiori

 
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Livello Giro di Lombardia




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  postato il 04/05/2009 alle 00:30
ancora ancora ancora per favore....


ma quella della parigi tours del 65 è bellissima...

 

[Modificato il 04/05/2009 alle 00:38 by hipergrass]

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"Sono un ciclista
un grido unanime
un grumo di sogni"
Giuseppe Ungaretti

 
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Livello Tour




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  postato il 04/05/2009 alle 09:52
Grazie Morris,W il ciclismo
 
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Livello Tour




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  postato il 04/05/2009 alle 20:35
Paris-Roubaix, 1907

Georges Passerieu, francese, classe 1885 si presenta alla Paris-Roubaix del 1907 forte dell'esperienza acquisita l'anno prima, quando conclude la corsa al 7° posto. Il piazzamento d'onore ottenuto al Tour de France, poi, lo rende ancor più consapevole della sua forza ed è per questi motivi che ai nastri di partenza è tra i favoriti: la Roubaix può essere sua e la sua squadra, la Peugeot, crede in lui.
La corsa parte e la selezione è naturale: in testa rimangono solo i più forti, i più preparati; Passerieu, "l'anglais de Paris" (così chiamato per i suoi natali a Londra), è tra quelli e controlla la situazione.
Con lo scorrere dei chilometri, la sua forza fa sì che resti solo al comando, con un vantaggio che aumenta ad ogni pedalata e che lo vede solitario e con un cospicuo vantaggio nelle strette vicinanze del tanto sospirato arrivo: l'ovale di Roubaix.
Proprio lì, alle porte del velodromo, quando Georges comincia a pregustare l'emozione della vittoria, succede l'incredibile: un gendarme, colto da un improvviso ed immotivato eccesso di zelo, lo costringe a fermarsi al fine di verificare che sulla bici, nella parte anteriore del telaio, ci fosse la placca metallica attestante l'avvenuto pagamento dell'allora obbligatoria "tassa sui velocipedi".
A quel punto, Georges, detto anche "le Gentil" per il suo mite carattere, mostrerà in pubblico forse l'unico gesto di collera della sua carriera, perchè sa bene che il 2°, il belga Cyril Van Houwaert è a meno di 3' e da un momento all'altro potrebbe sbucare dal nulla e soffiargli la vittoria: spintona senza fronzoli il gendarme, riesce a divincolarsi e scappare verso il suo sogno! Riesce così a vincere, meritatamente, la sua prima ed unica Roubaix, ma con poche centinaia di metri di vantaggio.





 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 05/05/2009 alle 07:55
te pensa che acquisto sto Alcyon

pensavo fosse uno di quei thread Morris/mono/tematici (non che non mi piacciano eh!!! mancherebbe altro!!!) e invece viene fuori un altro esperto conoscitore del passato.

Grande davvero

 

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EROE DEL GAVIA

A 2 Km dalla vetta mi sono detto "Vai Marco o salti tu o salta lui...E' saltato lui.
Marco Pantani.Montecampione 1998

27/28/29 giugno 2008...son stato pure randonneur

!platonicamente innamorato di admin!

 
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Livello Greg Lemond
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  postato il 05/05/2009 alle 07:56
Posso raccontare anch'io un fatto del quale sono stato testimone e che mi è sempre parso di un'evidenza accecante, però allora la consegna era: tacere, obbedire, omaggiare.
Eravamo negli anni ... in una salita determinante per la vittoria finale di ... Due scalatori (A e B) in fuga ed il gruppetto degli altri favoriti a un minuto e trenta secondi (cito a memoria), quando comincia la parte "in sterrato" ad un chilometro circa dalla vetta. Le telecamere sono due e la prima mostra lo scatto di uno della coppia di testa, la seconda in maniera fuggevole (un paio di secondi) un corridore, non scalatore (C) degli inseguitori che sta appoggiando una mano su di una moto.
Al termine dell'ascesa (ripeto non asfalta nell'ultima parte) la situazione fu la seguente: "A", che le telecamere dimostravano che stava "volando", aveva staccato di 25 o 35 secondi l'altro buonissimo scalatore "B", mentre "C" arriva con circa un minuto di ritardo.

 

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(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 05/05/2009 alle 12:37
Grande Morris come sempre.
Bravo anche al mio fratellino che butta giù delle cose simpatiche ed interessanti.

 

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Livello Tour




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  postato il 06/05/2009 alle 21:44
Tour de France, 1922

I Tour di questi anni sono caratterizzati dalle ferree regole dettate dal patron Desgrange: ciò che viene imposto ai ciclisti ha dell'assurdo, del disumano, ma ciò nonostante il clamore ed il fascino che suscita questa corsa aumenta di anno in anno. Poco importa se le condizioni in cui deve correre il ciclista sono pressochè irriguardose, ciò che conta è far risaltare la forza dell'uomo, le sua tenacia, il suo prevalere di fronte ad ogni difficoltà, sia essa data dalla macchina o dalla sfortuna. Sono in tanti coloro che desistono di fronte a cotanto rigore, ma chi corre lo fa consapevole di ciò a cui va incontro; di conseguenza, sono molteplici i casi in cui di fronte a certe cose rimaniamo semplicemente esterrefatti ed applaudiamo il coraggio e la determinzaione di alcuni ciclisti dell'epoca.
Come il caso di Robert "Toto" Grassin, nel Tour del 1922. Siamo alla seconda tappa, la Le Havre-Cherbourg, dove vince Romain Bellenger, francese. Dopo 64 km di corsa, Toto rompe la forcella: se vuole concludere la tappa, la deve riparare, e con le sue mani. Forse con l'aiuto della buona sorte, forse trova una provvidenziale officina in cui raccimola alcuni attrezzi: sta di fatto che riesce a rimettere insieme la forcella, ma purtroppo la bici non da' garanzie di affidabilità, non ci può risalire e cavalcarla. "Poco male!" pensa Toto, "tutto sommato per soddisfare il regolamento bisogna arrivare al traguardo con la "macchina" con cui si è partiti, quindi una soluzione si trova!"
Robert recupera in qualche modo un mezzo di scorta, si carica la sua bici sulla spalla e copre i restanti 300 km della tappa in solitaria, in condizioni pressochè proibitive.

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 06/05/2009 alle 23:39
Grande Alcyon!!!
Il nick e l’avatar sono una garanzia. Il ciclismo eroico scorre nel cuore e nella mente del fratellino della nobile bicicletta Frejus.
Bravo, continua a portare storie. Dobbiamo far vedere che Cicloweb è originale anche qui....
Non fermarti, prosciugati.....
Consideralo un allenamenti in vista del duello kazako di Kobram-Janjanssen...

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 07/05/2009 alle 18:12
Orgoglioso del post di Morris.
Thanks

 

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Livello Tour




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  postato il 07/05/2009 alle 20:36
Morris,
il tuo post mi onora. Mi fa molto ricevere la tua approvazione.
Grazie a te per aver dato il via a questo meraviglioso thread.

Dal canto mio continuerò a scrivere ogni volta con maggior entusiasmo, garantito.

 

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Livello Tour




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  postato il 07/05/2009 alle 20:51
"Pillola" dal primo Giro d'Italia, 1909

Camillo Carcano, originario di Soncino, Cremona, partecipa al primo Giro d'Italia, nel 1909. Il suo numero è il 136, la sua forma fisica non è quella da "primi della classe", ma ciò nonostante decide di correre, di buttarsi nella mischia.
Nella quinta tappa, la Roma-Firenze, stretto tra la fatica che lo attanaglia e l'irrefrenabile voglia di non mollare, di restare nel gruppo, decide di infrangere le regole, di barare: prende il treno a Civita Castellana, provincia di Viterbo, e scende a Pontassieve, nei pressi di Firenze.
Inizialmente riesce a farla franca, prosegue la corsa sotto sua (falsa) dichiarazione di regolarità nello svolgimento della sua gara.
A fine Giro, però, la verità viene a galla e Camillo si vede squalificato per i reclami presentati alla giuria da parte dei suoi colleghi che lo avevano colto in flagrante, o che in qualche modo avevano capito la realtà dei fatti.

 

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  postato il 07/05/2009 alle 20:52
Originariamente inviato da lemond

Posso raccontare anch'io un fatto del quale sono stato testimone e che mi è sempre parso di un'evidenza accecante, però allora la consegna era: tacere, obbedire, omaggiare.
Eravamo negli anni ... in una salita determinante per la vittoria finale di ... Due scalatori (A e B) in fuga ed il gruppetto degli altri favoriti a un minuto e trenta secondi (cito a memoria), quando comincia la parte "in sterrato" ad un chilometro circa dalla vetta. Le telecamere sono due e la prima mostra lo scatto di uno della coppia di testa, la seconda in maniera fuggevole (un paio di secondi) un corridore, non scalatore (C) degli inseguitori che sta appoggiando una mano su di una moto.
Al termine dell'ascesa (ripeto non asfalta nell'ultima parte) la situazione fu la seguente: "A", che le telecamere dimostravano che stava "volando", aveva staccato di 25 o 35 secondi l'altro buonissimo scalatore "B", mentre "C" arriva con circa un minuto di ritardo.


Credo di aver capito... Un altro corridore che era in testa, chiamiamolo D., ebbe i crampi?

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 08/05/2009 alle 00:04
Cari fratelloni richiamanti nel nick due grandiosità del mezzo spinto a motore umano, non mi dovete ringraziare, sono solo un appassionato come tanti che, avendo ormai una certa età, è ben contento di vedere giovani come voi.
State facendo cose mirabili, ed avete un padre che è da considerarsi, senza esagerazione alcuna, un artista. L'Eroica, la sua crescita e le ormai tante nate sotto la spinta di quella manifestazione, sarebbero poco se a monte non ci fossi chi, come vostro padre, mette tutto se stesso per ricostruire frammenti di storia e riporti precipui di quel mezzo verso il quale decine di milioni di persone si sono rivolte, almeno una volta, con immanenza.
Su quello strumento sono saliti uomini che hanno mosso veramente tratti di eroismo, dimenticati troppo spesso dalla fretta tipica dei tempi odierni. Ecco perchè è importante, nonché giusto, fare in modo che chi ha qualcosa da riportare per non perdere quel patrimonio, possa essere favorito ed applaudito. Quindi sono io che applaudo voi, la vostra famiglia, la vostra tenacia e la vostra passione. Continuate, queste pagine sono luogo ideale per pubblicare segmenti di questo profondo romanzo e quando il Museo di Cosseria sarà pronto, spetterà a questo sito, con la vostra regia, impreziosire con immagini e servizi adeguati, il grande valore dell’iniziativa. Ecco perché, ieri notte ho scritto: dobbiamo far vedere che Cicloweb è originale anche qui...
W Alcyon, Frejus e il loro papà!!!

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 08/05/2009 alle 00:12
Tutti gli aneddoti e i corridori protagonisti potrebbero fare parte di qualcuno dei miei cruciverba difficilissimi!!

Bravi davvero!Pur se di millemila righi,le vicende sono veramente interessanti!!

 

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RISULTATI DI PRESTIGIO FANTACICLISMO 2009 (Decimo assoluto)
2o in una tappa al Giro (Lido di Camaiore Firenze)
Medaglia di bronzo campionato italiano a cronometro
3o in una tappa al Tour (Monaco)
2o GP Ouest-France Plouay
Una vittoria (Rivas Vacia Madrid-Madrid)un secondo (Alziro-Alto de Aitana) e un terzo posto (Xativa) alla Vuelta + due quarti posti.
Terzo in classifica finale e miglior sprinter alla Vuelta!
Vincitore del Giro di Romagna
FANTACICLISMO 2010: Vincitore del Giro del Friuli
3o al Giro dell Fiandre
2o in una tappa al Giro (Ferrara-Asolo)
3o alla Tre Valli Varesine
2o Giro del Veneto/ 3o ad una tappa della Vuelta (Marbella-Malaga)
Che bello, sono fantalleato! ^_^

 
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  postato il 14/05/2009 alle 21:44
Bicicletta da corsa Atala, 1909

La bici che vi "presento" è un'Atala che ha tanti anni come il Giro di quest'anno: 100. Più che presentarvi la bici, però, vorrei mettervi di fronte ad una ingegnosa e curiosissima soluzione a cui avevano pensato i tecnici del tempo, una trovata che aveva come obiettivo quello di rendere veloce il più classico dei contrattempi: la foratura del tubolare.
Dai manuali tecnici Atala, infatti: troviamo questo esplicito disegno.



L'obiettivo è chiaro: smontare il tubolare dal cerchio senza togliere la ruota dal mozzo, che si traduce in un notevole risparmio di tempo rispetto alla canonica operazione di smontaggio. Il concetto è semplice: il triangolo della forcella posteriore, al lato opposto a quello della catena, è disgiunto. In caso di foratura, si allentavano i dadi 1, 2 e 3, dopodichè si faceva ruotare il triangolo facendo perno sul mozzo (1). A quel punto non rimaneva altro da fare che staccare il tubolare forato per metterne poi uno nuovo.
Scusate, magari a parole ho fatto confusione: posto due foto e sarà più chiaro.





Quello che mi più mi piace nella storia della bici, è sapere come venivano affrontati e risolti i problemi tecnici ai primordi; in questo caso, vediamo il risultato di un lavoro svolto da qualcuno che vedeva in questa comoda pratica la "scorciatoia" per ovviare all'annoso problema della foratura. Da parte mia, non posso che applaudire a tanto impegno e dedizione alla meccanica del mezzo.
Per informazione, tale metodo verrà definitivamente messo in disuso già a partire dal 1911, dopodichè di questa invenzione-cometa non si avrà più traccia.

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 26/05/2009 alle 20:38
Dalle lenticolari... al primo meccanico che le gestì...

Tempo fa, Galibier98, in un privato, mi chiese di parlare, vista una sua precedente discussione intercorsa su queste pagine, della storia delle lenticolari brevettate, che Moser ebbe in esclusiva per quasi due anni.
Galibier aveva perfettamente ragione. Il tentativo dell’ora di Francesco, non fu solo sostenuto dalla cura Conconi, ma in campo scese, e non poco, anche il Coni, nella figura dell’allora Capo del Dipartimento di Fisiologia e Biomeccanica, il professor Antonio Dal Monte. Costui, lavorando nella galleria del vento, inventò oltre ad un particolare telaio estremamente aerodinamico, anche quelle ruote lenticolari che poi, in fatto di maggiori possibilità nella penetrazione dell’aria, finirono per essere lo stendardo.
Il professore, accompagnò l’invenzione, con un brevetto che per un paio d’anni costituì per gli azzurri, e per Moser, un vantaggio non da poco. Non a caso, oltre al record sull’ora, il trentino poté usarle nella decisiva cronometro Soave – Verona, senza che nessun altro potesse disporle, idem il quartetto italiano della 100 km a squadre, che vinse l’Oro alle Olimpiadi di Los Angeles. Chi, su queste pagine, imputò a Fignon e al suo staff, l’errore di non averle usate e, quindi, di doversi rimproverare negligenza, ha preso dunque una stecca: non si trattò di una scelta, ma di una impossibilità. Non a caso, la prima traduzione commerciale di un’azienda che contemplava e/o dribblava il brevetto, si concretizzò con le “famose Ghibli” della Campagnolo, ma solo nel 1986. Di questi passaggi ne parlai a lungo con chi, per primo, nelle vesti di meccanico della squadra di Moser, si trovò a gestire quella invenzione: il forlivese Edoardo Fucacci, detto Ciarè, scomparso tragicamente qualche mese fa. Un autentico personaggio, che forse qualcuno ricorderà per un particolare finito sull’allora telegiornale sportivo: quando si sposò, Ciarè, moglie, nonché tutti gli invitati, giunsero alla chiesa in bicicletta e, finita la cerimonia, ripartirono sul medesimo cavallo d’acciaio…..

Ed è proprio per farlo conoscere un poco, che riporto qui, quanto scrissi per il Corriere di Romagna, un quotidiano della mia provincia, all’indomani di una scomparsa che il destino ha voluto legare al filo conduttore della sua vita: l’amata bici.


Edoardo Fucacci "Ciarè" mostra la "Chiorda" a Felice Gimondi

Un grande riferimento del rapporto fra Forlì e la bicicletta se ne è andato: Edoardo Fucacci, per tutti “Ciarè”, meccanico assai popolare per i suoi trascorsi di vertice nel ciclismo, ci ha lasciati. A volerlo sui meandri dell’irreparabile, un destino crudele e beffardo. Già, perché la tragedia, che s’è aperta venerdì scorso quando si trovava a due passi dalla sua attuale abitazione in Castelbolognese, lo ha colto proprio su quella bicicletta che è stata il filo conduttore della sua vita. Un’automobile lo ha falciato, ed a nulla sono valse le cure e l’intervento chirurgico a cui è stato sottoposto presso l’Ospedale Bufalini di Cesena. Edoardo, continuerà comunque a vivere aldilà dell’impronta indimenticabile che ha lasciato. Come aveva sempre detto e sostenuto, i suoi organi aiuteranno altri a riguadagnare sorrisi, mentre il suo corpo dovrà essere cremato.
Raccontare Ciarè in poche righe non è facile: il suo segmento di vita ha davvero i connotati di un romanzo. Non è mai stato uno comune. Quando suo cugino, l’amico Enzo Lucchi, mi ha telefonato per darmi la triste notizia, pur nel dolore, non riuscivo a non pensare a quando lo conobbi, nel lontano 1969. Ero un ragazzino, ma lui mi colpì al punto di fare di quei ricordi d’incontro, un personale penate. Nelle sue parole di quel giorno, ci stava già la “filosofia della bicicletta” (così la chiamava), che l’ha sempre contraddistinto. Venne a casa mia assieme all’amico Aviero Casalboni, un vocabolario del ciclismo, ed un corridore, Giampaolo Flamini, davvero molto forte, a quei tempi grande speranza forlivese. Lo scopo della visita: scambiare quattro chiacchiere con mio fratello Lorenzo. Quando mi aggiunsi, capii subito che a tenere banco era proprio Ciarè. Un vulcano. Appena mi vide, mi disse in dialetto: “Ragazzino, hai l’età per scegliere di correre in bicicletta, ma se lo farai, devi amare i pedali e soffrire, altrimenti è meglio che fai come me, che ho smesso di mettermi una maglia da corsa, ma parlo con telai, ruote e cambi tutto il giorno. Sì, perché devi sapere che anche loro sanno rispondermi”. Incredibile!
Fucacci, nato a Villanova di Forlì il 10 marzo del 1947, nel ’69, a soli 22 anni, era già un affermato meccanico di squadre professionistiche. Nella storia del ciclismo, il più giovane dopo il milanese Piero Ottusi, a giungere al ruolo. Tutto partì a fine ‘66, quando Sante Lombardi, ex velocista azzurro, divenuto direttore sportivo, cercando un buon meccanico per la Salamini, si affidò a quel giovane che animava come nessuno la bottega di “Pino”, in via Marcolini a Forlì. Col sodalizio emiliano, che aveva in Adorni il leader, iniziò dunque la formidabile carriera di Ciarè. Nel 1968, fu il capo meccanico della Kelvinator, indi nel ’69 l’approdo in Salvarani, dove accanto a Luciano Pezzi (che lo ha sempre visto “faro”), si trovò a “pettinare” le “Chiorda” dei vari Gimondi, Motta, Reybroeck ecc. Nel ’73, Pezzi lo volle alla Dreherfort di Zilioli e Dancelli. Due anni dopo, l’arrivo alla Scic di Baronchelli e Paolini, rappresentò l’intermezzo di prestigio, prima di aprire, agli albori del ’77, un’era lunga un decennio, accanto a Francesco Moser. Nei grandi successi del trentino, Edoardo è stato un segmento peculiare. E chi si può dimenticare gli incredibili incitamenti del forlivese durante i Record dell’Ora del trentino a Città del Messico! Quando Francesco lasciò, Ciarè rimase ancora quattro anni nel ciclismo di vertice: due all’Ariostea di Ferretti e due nell’Italbonifica Navigare di Reverberi. Ritiratosi per scelta agli inizi degli anni ’90, divenne responsabile nell’azienda Mercatone Uno del reparto biciclette, trasferendosi in un’abitazione del patron Romano Cenni a Dozza. In pensione da un anno, ultimamente collaborava con l’ex corridore Daniele Caroli nell’officina negozio di questi, a Castelbolognese. Ciarè, è stato uno dei primi meccanici a svolgere interventi dall’ammiraglia sui mezzi dei corridori in corsa e, soprattutto, il primo a gestire e curare biciclette con ruote lenticolari. Come dire: dati inconfutabili di professionalità.


Ciarè, in una delle ultime foto, prima della sua scomparsa


Maurizio (Morris) Ricci

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 26/05/2009 alle 20:42
Tratto da "Storia e protagonisti delle Classiche Monumento del ciclismo" – dieci volumi che sto scrivendo per Cicloweb....

Un episodio della Parigi Tours del 1919...

……L’edizione del 1919, di 342 chilometri, vinta dal belga Tiberghien su Vandenhove, Rossius, Barthelemy e Jean Alavoine, passerà alla storia per un episodio che ha dell’incredibile. Il protagonista fu Francis Pelissier, il secondo per età, della celebre ed ineguagliata dinastia francese. La Parigi-Tours si disputò l’8 giugno, in una giornata terribilmente afosa. Nel tratto tra Bourgueil e Chinon, al posto dell'acqua e della birra vennero offerte ai corridori, che avevano la gola arsa, bottiglie di un vino bianco, gustosissimo. Sta di fatto che mentre Tiberghien vinceva, il “grande” Pelissier finì in un fosso, ubriaco fradicio a cantare “La Madelon”. Lo trovò in quello stato un prete di passaggio, che gli si avvicinò e lo riconobbe. “Non è possibile - disse il sacerdote - che un così grande campione finisca la Parigi-Tours in codesta maniera: Dio non mi perdonerebbe se non vi aiutassi. Guardate, Francis, quella è Tours, mettetevi nella scia della mia bicicletta e venite con me sino al traguardo”. E fu proprio dietro quello strano allenatore che Francis Pelissier, giunse nel capoluogo della Valle della Loira, ma con un ritardo tale, da non essere classificato.....


Francis Pelissier


Morris

 

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  postato il 26/05/2009 alle 20:53
La Parigi-Brest-Parigi

……….Erano passati ventidue anni da quel 7 novembre 1869, che aveva visto, organizzata da un certo Richard Lesclide, la disputa della Parigi-Rouen, quella che nella storia del ciclismo viene considerata come la prima delle grandi corse su strada e che ebbe il potere di aprire la via ad una sempre crescente affermazione dello sport ciclistico. La competizione, aperta a bicicli con ruote metalliche munite di gomme dure, aveva ottenuto un successo strepitoso. Trecentoventi erano state le adesioni dei dilettanti francesi e d'oltre confine, un centinaio i partenti ed una cinquantina i superstiti, tra i quali ce n'era qualcuno con un mezzo dotato di ruote di un metro e venti davanti e di quaranta centimetri dietro.Vinse un inglese, James Moore, che giunse a Rouen alle 18,10 della domenica, mentre alcuni di coloro che arrivarono ultimi, videro il sospirato traguardo all'alba del lunedì...

L'affermazione di quella competizione non restò isolata: diversi “mecenati”, interessati al nuovo mezzo, iniziarono a promuovere gare su strada e la distanza verso il ciclismo dei tondini in terra battuta, iniziò a diminuire. Il 1891, segnò una svolta che può essere scritta a caratteri d'oro nella storia dello sport ciclistico: nacquero due classiche come la Bordeaux-Parigi e la Parigi-Brest-Parigi, destinate a giungere all’epoca moderna del pedale. Il 23 maggio scattò da Bordeaux quella che poi divenne una classica originale come nessuna e di cui si sente la mancanza anche nel pur tanto convulso calendario odierno. Lo stop, per ora definitivo, nel 1988. Il successo della prima Bordeaux Parigi spinse immediatamente l'idea di organizzare un'altra corsa che avrebbe dovuto portare i ciclisti dalla Capitale francese sino alla... fine della terra, ovvero a Brest, sulla costa atlantica e ritorno: 1.200 chilometri da percorrere d'un fiato. Il 6 settembre anche quella grande prova di resistenza venne portata a termine con successo, ma si decise di farla ripetere ogni dieci anni, mentre la Bordeaux-Parigi avrebbe dovuto essere ripetuta tutti gli anni.

La storia della Parigi-Brest-Parigi, riservata al ciclismo dei più forti, trovò il punto nel 1951. Da quella data, con cadenza quinquennale, al posto dei professionisti, sono gli amatori a correrla. Da almeno 40 anni è la Randonnée più famosa al mondo.

Ora, in considerazione dei tanti che l’hanno dimenticata o che la conoscono solo come prova regina del cicloturismo, ecco uno zoom sugli estremi di ogni edizione agonistica della corsa. Lo farò, arricchendo i dati statistici, con un breve ritratto sui vincitori. Ne uscirà un lavoro inedito, per taluni vincenti, addirittura come una “prima”, relativamente ai lettori italiani.



06 – 16 settembre 1891
Distanza da percorrere: 1196 chilometri
Iscritti: 400
Partenti: 206
Arrivati: 100
Omologati: 98 (due furono squalificati)

Ordine d’Arrivo:
1) Charles Terront (Francia) in 71 ore e 27 minuti

2) Pierre Jiel Laval (Francia) in 80 ore e 1 minuto
3) Henri Couillibeuf (Francia) in 94 ore e 53 minuti


Charles Terront



Nato il 25 aprile a Saint Quen (Francia) e morto a Sainte Margherite (Francia) il 31 ottobre 1932. Il pioniere per eccellenza del ciclismo francese. Furbo, scaltro sulla bici e signorile nel portamento fuori dal ciclismo, imperversò letteralmente nel lustro che va dal 1888 al ’93. Baffi in perfetto stile d’epoca, a manubrio, calzoni alla zuava, mulinava i pedali di quelle bici rudimentali, con una velocità ed una resistenza che lo portarono ben presto alla notorietà e alla fantasia popolare. Correva dappertutto, secondo lo schema di quei tempi, ma erano le gare di estrema durata le predilette. La Parigi Brest Parigi, rappresenta la “chicca” del suo eccellente palmares. Fu una vittoria colta con l’aggiunta di una componente determinante: la sua incredibile capacità di fermare il tempo, dimenticando la fatica e la stanchezza, fino al raggiungimento dell’obiettivo. Infatti, a 300 chilometri dal traguardo, il connazionale Jiel-Laval, poi secondo classificato, lo precedeva di un paio d’ore, ma si fermò a riposare, convinto che, primo o poi, anche Terront lo facesse. Invece, il formidabile Charles, soprannominato “L’uomo corridore”, non si fermò e alla fine lo anticipò di ben 9 ore. All’attivo del baffuto di Saint Quen, anche due Campionati di Francia dei 100 chilometri, nel 1888 e nel 1889. Nel 1892 poi, il connazionale Jean Marie Corre, che alla Parigi Brest Parigi dell’anno prima, era giunto quarto ad un giorno di distacco, lo sfidò, in un memorabile confronto sui 1000 chilometri, dietro allenatori umani (40 per ciascuno), al Velodromo d'Hiver di Parigi. Fu una battaglia incredibile. I due dovevano correre almeno 24 ore senza soste di riposo, come da meta classica dell’epoca, ma mentre Corre, ogni tanto, si fermava per fare i suoi bisognini, Terront continuò imperterrito a pedalare, facendo pipì all’interno di una camera d’aria, chiusa da una parte, ed ovviamente tagliata, che si faceva passare al volo e che poi restituiva al giro successivo. Vinse la sfida naturalmente. Nel palmares di Charles, anche quattro Sei Giorni, ed una serie di record sia su strada che su pista. Da notare che su strada, in 24 ore, percorse 546 km e 327 metri nel 1889, mentre nel 1892, fra il 6 e l'8 settembre, coprì i 1000 km da Parigi a Brest ad Alencon, ad una media assai superiore, rispetto a quella della sua vittoria nella classica Parigi-Brest-Parigi, dell’anno precedente. In Francia, l’agnomen Terront, significa.....ciclismo.


17 – 25 agosto 1901
Distanza da percorrere: 1196 chilometri
Iscritti: 41 professionisti e 166 amatori
Partenti: 25 professionisti e 114 amatori
Arrivati: 15 professionisti e 73 amatori
Omologati: tutti.

Ordine d’Arrivo:
1) Maurice Garin (Italia*) in 52h11’01”

2) Gaston Rivierre (Francia) in 54h06’46”
3) Hippolyte Aucouturier (Francia) in 54h49’38”

* La naturalizzazione transalpina dello “spazzacamino valdostano”, avvenne il 21 dicembre del 1901, quindi, quando vinse la corsa, era ancora italiano.


Maurice Garin



Nato ad Arvier (Italia) il 3 marzo 1871, naturalizzato francese il 21 dicembre 1901 e morto a Lens (Francia), il 19 febbraio 1957. E’ stato il primo vero campione del ciclismo "eroico". Nato in Valle d'Aosta, emigrò fanciullo in Francia, per lavorare, approfittando della sua bassa statura, come spazzacamino. Di lì l’origine del suo soprannome principale: "le petit ramoneur", “il piccolo spazzacamino”. In terra transalpina, trovò ben presto fama e fortuna grazie alla bicicletta. Grande pedalatore, dotato di un fondo straordinario e di una regolarità incredibile, si determinò come uno degli assi più celebrati del periodo. Nel suo palmares, due Roubaix, la massacrante Parigi-Brest-Parigi, la Bordeaux-Parigi e, soprattutto, la prima mitica edizione del Tour de France nel 1903. Un curriculum di qualità, che avrebbe potuto essere più ricco, se non avesse subito una clamorosa squalifica nel Tour vinto nel 1904, dove gli inganni e le malefatte dei ciclisti, portarono all'eliminazione dei primi quattro della classifica finale e alla squalifica per due anni. Proclamatosi sempre innocente, si rifiutò sdegnato di chiedere la grazia, ed abbandonò l'attività agonistica a quasi 34 anni. Nel 1911 (40 anni), rientrò, per un breve periodo, alle corse come amatore e giunse 9° nella Parigi-Brest-Parigi (3° fra i “Touristes-Routiers”). In carriera si cimentò anche sulle classiche prove in linea e di fondo su pista, come la 800 chilometri di Parigi, la 24 Ore di Liegi e la 24 Ore di Parigi, gare tutte vinte ed alle quali seppe poi aggiungere un record significativo: 500 chilometri su strada, con allenatori, in 15h2'32", il 3 e 4 febbraio 1895. Anche due suoi fratelli, Cesare e Ambroise, furono ciclisti di una certa rilevanza a cavallo dei due secoli, ma non possedevano le qualità di Maurice. Personaggio di spicco per loquacità e carattere, nonché uomo poco incline ai compromessi, Garin, si costruì imprenditore di buon successo (aprì assieme al fratello Louis, una stazione di servizio a Lens) e spostò la sua poca disponibilità caratteriale, anche sul piano sentimentale: si sposò infatti quattro volte.



25 – 27 agosto 1911
Distanza da percorrere: 1196 chilometri
Iscritti: 17 professionisti e 131 amatori
Partenti: 13 professionisti e 91 amatori
Arrivati: 9 professionisti e 62 amatori
Omologati: 69 (due furono squalificati)

Ordine d’Arrivo:
1) Emile Georget (Francia) in 50h14’24”

2) Octave Lapize (Francia) in 50h34’
3) Ernest Paul (Francia) in 50h48’

Emile Georget



Nato a Bossay sur Claise (Francia) il 21 settembre 1881 e deceduto a Chatellerault (Francia) il 16 aprile 1960. Resistente come pochi, aveva bisogno di prove più dure del già imponente solito dell’epoca, per emergere. Infatti, legò il suo nome alle due corse più massacranti del periodo: la Bordeaux-Parigi, che vinse nel '10 e nel '12 (e fu 3° nel 1908 e 1909) e la Parigi-Brest-Parigi che lo vide vincitore nell'11. In quest’ultima, seppe regolare di una ventina di minuti, colui che era da considerarsi l’idolo di Francia, nonché il più grande corridore dell’epoca, ovvero il leggendario Octave Lapize. Ma Georget, non era proprio un corridore di seconda fascia, anzi, il Lapize, lo aveva già battuto e dominato in occasione dei Campionati francesi del 1910. Il Tour de France, invece, che Emile disputò nove volte, pur donandogli ulteriore popolarità, non riuscì mai a vincerlo. Fu 4° nel 1905, 5° nel 1906, 3° nell'11 e 6° nel '14. E non ci riuscì nemmeno nel 1907, quando lo dominò stupendamente conquistando ben sei tappe, prima di essere penalizzato, per irregolare cambio di bicicletta. Alla fine, dovette accontentarsi del terzo posto, dopo Petit-Breton e Garrigou. Nella storia del Tour però, Emile Georget resterà incancellabile per essere stato il primo a passare la vetta del Galibier nel 1911, quando la mitica salita venne inserita per la prima volta nel tracciato della Grande Boucle. Anche su pista si fece valere: vinse nel 1906 la 24 Ore di Bruxelles e la Sei Giorni di Tolosa in coppia con il fratello maggiore Leon. Georget, eccellente agonista (in corsa si dice fosse cattivo come pochi), pedalava un po’ sgangherato, diciamo che fu un precursore di Michael Pollentier o del vicino Escartin, ma era formidabilmente redditizio.

Morris

....continua....

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 26/05/2009 alle 21:14
02 – 04 settembre 1921
Distanza da percorrere: 1196 chilometri
Iscritti: 49 professionisti e 76 amatori
Partenti: 44 professionisti e 62 amatori
Arrivati: 10 professionisti e 47 amatori
Omologati: 53 (due furono squalificati e due giunsero fuori tempo massimo)

Ordine d’Arrivo:
1) Louis Mottiat (Belgio) in 55h07’08”

2) Eugene Christophe (Francia) in 55h30’33”
3) Emile Masson (Belgio) in 55h30’38”


Louis Mottiat



Nato a Bouffioulx (Belgio) il 6 luglio 1889, morto a Gilly (Belgio) il 5 giugno 1972. Soprannominato l’Uomo di Ferro, Mottiat, è da considerarsi uno dei migliori corridori valloni di tutti i tempi, nonostante il forzato fermo della guerra, che gli tolse annate di gran forza. Resistente, tenace e dal fondo inesauribile, collezionò le corse più dure, ma non i grandi giri per la sua difficoltà a tenere la concentrazione alta su più giorni. Poteva vincere, come vinse, prove lunghissime senza soluzione di continuità, ma quando fra una tappa e l’altra insisteva il riposo, era facile alle amnesie, o, più propriamente, a qualche incontro di troppo con le donzelle dalle dimore particolari. Prima del conflitto s’aggiudicò la Bordeaux-Parigi del '13, la Parigi-Bruxelles del '14 e il Giro del Belgio del medesimo anno. Dopo: la massacrante Bordeaux-Parigi-Bordeaux del '20 e la Parigi-Brest-Parigi dell'anno successivo (due corse di 1200 chilometri, dove stracciò tutti gli avversari, lasciando i secondi, rispettivamente a 1h48’ e 23’); nuovamente il Giro del Belgio (dove conquistò complessivamente sei tappe) nel 1920; una formidabile doppietta alla Liegi-Bastogne-Liegi del '21 e del '22 e la Parigi-Tours nel 1924, a 35 anni. Al Tour de France vinse complessivamente 8 tappe. Non si contano i piazzamenti che raccolse lungo i 14 anni di professionismo. Un personaggio, che ha tradotto sulla bicicletta tanto, ma che, paradossalmente, poteva fare di più, senza i suoi vizietti....



04 – 06 settembre 1931
Distanza da percorrere: 1186 chilometri
Iscritti: 33 professionisti
Partenti: 28 professionisti
Arrivati: 14 professionisti
Omologati: tutti.

Ordine d’Arrivo:
1) Hubert Opperman (Australia) in 49h23’30”

2) Leon Louyet (Belgio) in 49h23’30”
3) Giuseppe Pancera (Italia) in 49h23’30”
Note (1): Al traguardo, col medesimo tempo dei primi tre, per una volata incredibile, giunsero anche il belga Emile Decroix (4°) e il francese Marcel Bidot (5°).

Note (2): Due giorni prima della gara professionistica, si svolse una randonnèe per amatori, che vide la partenza di 60 atleti, dei quali 44 giunsero al traguardo.


Hubert Opperman



Nato a Rochester (Australia) il 29 maggio 1904 e morto a Melbourne (Australia) il 18 aprile 1996. Il primo australiano che abbandonò le corse in patria, per giungere nel continente storico del ciclismo. Visti i risultati, si può dire che Hubert Opperman, non sia stato solo un pioniere del ciclismo australiano, ma un campione con una sua precisa dimensione e collocazione internazionale. Il primo viaggio dall’Australia all’Europa, lo compì nel '28. Appena giunto in Francia disputò, giungendo 8°, la Parigi-Rennes e fu 3° nella Parigi-Bruxelles. Mal spalleggiato e senza esperienza non figurò adeguatamente nel Tour de France. Fu poi sulla pista a dargli modo di fare sensazione: si aggiudicò infatti la Bol d'Or coprendo la distanza record di km 950,060 e lasciando gli avversari a distanze abissali: Mouton fu 2° a 106 giri, Hout 3° a 155, Sellier 4° a 155, Urango 5° a 498. Nel '31, si impose nella Parigi-Brest-Parigi, battendo in volata il belga Léon Louyet ed altri quattro corridori, correndo alla media di 24, 121 kmh. Fu un epilogo che non ha paragoni nella storia delle manifestazioni di durata. Ma nel suo curriculum, composto da una quarantina di vittorie, figurano pure quattro campionati nazionali, il Gran Premio di Victoria '27, il Giro di Tasmania '29, il Circuito Bourbonnais, in Francia, nel 1931 e il Memorial Bidlake, in Gran Bretagna, nel 1934. All’attivo della sua lunga carriera, anche una striscia di record non indifferente. Notevole quello delle 24 Ore con allenatore in moto, dove coprì la distanza di km 1384, all'incredibile media di km/h 57,669. Anche fuori dal ciclismo, fu una figura di spicco. Dopo aver combattuto sul fronte del Pacifico e in Asia Orientale, come pilota di caccia-bombardieri, nel '49 venne eletto deputato (lo fu fino al '67), ricoprendo gli incarichi di aggiunto del Primo Ministro, di Ministro dei Trasporti, poi del Lavoro e, infine, dell'Immigrazione. Finita la parentesi direttamente politica, si dedicò alla carriera diplomatica.



03 – 05 settembre 1948
Distanza da percorrere: 1182 chilometri
Iscritti: 55 professionisti
Partenti: 46 professionisti
Arrivati: 11 professionisti
Omologati: tutti.

Ordine d’Arrivo:
1) Albert Hendrickx (Belgio) in 41h36’42”

2) Francois Nouville (Belgio) in 41h36’42”
3) Mario Fazio (Italia) in 41h37’40”
Note (1): Anche in questa occasione, si poté assistere ad una volata incredibile, fra fatica e sonno, fra i due belgi che, solo negli ultimi 5 chilometri, staccarono l’italiano Fazio.

Note (2): Due giorni prima della gara professionistica, si svolse una randonnèe per amatori, che vide la partenza di 189 atleti, dei quali 152 giunsero al traguardo.


Albert Hendrickx



Nato a Kalmthout (Belgio) il 19 giugno 1916 e morto ad Hasselt (Belgio) il 13 maggio 1990. Classico corridore fiammingo, tenace, furbo e veloce, si dimostrò subito atleta di rango. A soli 19 anni, infatti, era già un professionista capace di giungere secondo, in una prova di buon livello come la Parigi Hirson, ma l’incontro con la vittoria non giunse immediatamente. Nel 1937, a 21 anni, si piazzò secondo nella Parigi Roubaix, battuto dall’italo-francese Jules Rossi, ma qualche settimana dopo, riuscì finalmente a vincere. Accadde nella semiclassica belga, Antwerpen – Gent – Antwerpen (traguardo che poi bissò nel 1940). Sembrava dovesse crescere ancora, ma non fu così. Nel corso degli anni, Hendrickx, si dimostrò ottimo corridore, ma la sua carriera si coprì di piazzamenti e di pochi successi, anche a causa della Seconda Guerra Mondiale. Di nota, nel periodo antecedente il confitto, la vittoria nella Parigi Belfort nel ’38 ed una tappa del Giro del Belgio del medesimo anno. Dopo la guerra, pur anziano, i suoi pezzi migliori, con le vittorie nella Parigi Brest Parigi nel ’48 e la Wien-Graz-Wien nel ’49. Visto l’ottimo potenziale e il lusinghiero inizio, ci si attendeva da Hendrickx qualcosa di più. Dopo anni, si scoprì, grazie pure alle sue ammissioni, che da corridore si era dedicato con troppa alternanza ai ritmi imposti dal ciclismo. Gli piaceva vivere, amava la birra e faceva sovente le ore piccole. D’altronde, anche il suo soprannome, “il calzino”, andava in certe direzioni. Già, proprio così, perché assonnato, era solito dimenticare di calzarne due… Classico fiammingo.



07 – 09 settembre 1951
Distanza da percorrere: 1182 chilometri
Iscritti: 41 professionisti
Partenti: 34 professionisti
Arrivati: 11 professionisti
Omologati: tutti.

Ordine d’Arrivo:
1) Maurice Diot (Francia) in 38h36’42”

2) Edouard Muller (Francia) in 38h36’42”
3) Marcel Hendrickx (Belgio) in 38h46’40”

Note (1): Anche in questa occasione, l’epilogo si consumò in volata, con Diot che la spuntò nettamente sul connazionale Muller. I due, a 60 km dal traguardo, erano riusciti a staccare Hendrickx, il vincitore dell’edizione precedente.

Note (2): Due giorni prima della gara professionistica, si svolse una randonnèe per amatori, che vide la partenza di 458 atleti, dei quali 379 giunsero al traguardo.


Maurice Diot



Nato a Parigi (Francia) il 13 giugno 1922 e morto a Migennes (Francia) il 4 marzo 1972. Lo chiamavano "il tignoso" per la caparbietà con la quale inseguiva la vittoria. Diot era un velocista, ma, soprattutto un tipo originale. Una prova? Dopo aver colto il secondo posto alle spalle di Fausto Coppi nella Parigi-Roubaix del 1950, disse: "Oggi ho vinto io, perché Coppi era davvero troppo forte, fuori concorso". I successi più prestigiosi di Diot, furono la Parigi-Bruxelles del '49 e, due anni dopo, proprio l’ultima edizione della Parigi-Brest-Parigi aperta ai professionisti. Partecipò a sei Tour de France, ma si ritirò 4 volte, vinse una tappa nell'edizione del '47. Fra le altre vittorie conquistate (una ventina in tutto), spiccano: il Tour della Manica, il GP d’Esperaza, il GP Catox, il GP de l’Echo d’Oran, il GP du Pneumatique, una tappa alla Parigi Nizza, il Tour de Loiret e die tappe del Giro d’Europa. Notevoli i suoi piazzamenti di prestigio, in particolare nella Bordeaux-Parigi (due volte secondo ed una terzo) e nella Liegi Bastogne (una volta secondo). Chiuse la carriera nel 1958, dopo aver militato Il personaggio Diot, era un autentico guascone e, per quanto si dedicasse al ciclismo con sufficienti attenzioni, una notorietà la deve anche alle sue imprese extrasportive, soprattutto quelle notturne da rubacuori, nonché alla sua mania delle sfide a braccio di ferro. In carriera ha corso da compagno di squadra di autentici campioni, come Schotte, Maes, Van Steenbergen, Koblet, Kubler, Darrigade, Morì tragicamente nel '72, travolto da un’automobile davanti alla sua abitazione.


Morris

 

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  postato il 27/05/2009 alle 22:23
Originariamente inviato da roberto79

....a vedere la champions league
sul sito di Axel c'è la foto di Eddy con suo figlio e suo nipote.

http://twitter.com/axelmerckx

lo so che è una cazzata ma se non si disturba nessuno..



ps sti siti twitter di corridori ed ex corridori sono divertentissimi da leggere, ce ne sono decine.

 

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Vorrei morire in bici, in un giorno di sole, dopo aver scalato una di quelle montagne che sembrano protendersi verso il cielo, mi adagerei sull'erba fresca senza rimpianti, attendendo con serenità il compiersi del mio tempo. Non importa se sarà ...oggi o tra cent'anni, avrò in ogni caso trovato il mio giorno perfetto.

 
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  postato il 28/05/2009 alle 18:59
Originariamente inviato da Morris

Dalle lenticolari... al primo meccanico che le gestì...


Ciarè, in una delle ultime foto, prima della sua scomparsa


Maurizio (Morris) Ricci

mi unisco commosso al ricordo del caro amico Edo
posso specificare che le ruote lenticolari sono state si brevettate da Enervit (che ha sborsato il tot per la realizzazione di stampi e prototipi
nonchè dei definitivi per il record,ma senza nulla voler togliere a nessuno,quando a Riva del Garda, venne dal Coni presentata l'idea delle lenticolari,già era presente il tecnico sig. Testa (specialista del carbonio,purtroppo anch'egli scomparso)che stava collanborando con me,allora responsabile tecnico della Moser alla saccolta dati e soluzione problemi delle lenticolari.
l'idea non era assolutamente una novità:già l'inseguitore svizzero Dill Bundi si presentò alle olimpiadi di Mosca con ruote chiuse.
la grande trovata fu più politica che tecnica, il prof. Dal Monte riuscì a far passare l'idea che la lenticolare aveva un numero infinito di raggi,quindi soddisfaceva la clausola del regolamento UCI che prevedeva un numero minimo di 16 raggi.la
La lenticolare venne omologata e usata.
Il famoso telaio del record é invece un'esclusiva mia creatura,brevettato da cicli Moser.
cosi come l'adattamento da strada per la famosa crono di Vr
nessuno ricorda che lì nacque la prima bici da crono della storia alla quale tutti poi furono costretti ad "ispirarsi"
ripeto,il telaio e la bici da crono furono esclusivo lavoro e vanto di cicli Moser e del sottoscritto.
spero di non avervi tediato.

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 12/06/2009 alle 11:13
La prima applicazione del logo dello sponsor, sul podio…..

Da una storia che sto scrivendo, destinata al cartaceo….


Amstel Gold Race - 27 marzo 1976
Con l’undicesima edizione, l’Amstel fu per la prima volta inserita nella challenge a punti Trofeo Superprestige Pernod, una classifica che se la rapportiamo ad oggi, farebbe annichilire il Protour. Non tantissimi i partenti, 118, ma di qualità indiscutibile. Mancava Merckx però, vincitore uscente, che solo sette giorni prima aveva stroncato le velleità di tutti, vincendo la sua settima (!) Milano Sanremo, una prova che poi il futuro determinerà, come il suo canto del cigno nelle classiche. Allo start un favorito su tutti: Freddy Maertens, deciso più che mai a ribadire la superiorità sugli “umani” vista l’assenza del sire Eddy. Tra l’altro “l’enfant prodige” di Roselaere, aveva un motivo in più per far bene: la sua squadra, la Flandria, era alla disperata ricerca di un secondo sponsor.
In una giornata segnata dal freddo e dal vento la corsa si mosse spedita, senza grossi sussulti, ma con una costante selezione da dietro. Sul “solito” Keutenberg, un "muro" di poco più di un chilometro con pendenza massima del 22%!, posto a 32 km dall'arrivo, l’azione decisiva e solitaria proprio del sempre più forte Maertens. Uno scatto micidiale, senza il ben che minimo timore di anticipare troppo un’azione che avrebbe potuto metterlo in crisi e, soprattutto, ben sapendo di avere nelle gambe lo spunto per vincere in un’eventuale volata. Ma Freddy, da fuoriclasse, non poteva e voleva aspettare. Mulinando un grande rapporto aumentò via via il vantaggio sugli inseguitori, ovvero il campione del mondo Hennie Kuiper, Joop Zoetemelk e l'emergente Jan Raas. Tre olandesi che si dannarono per riprenderlo, ma furono costretti ad una resa dalle proporzioni che solo un super campione può scavare. Sul traguardo di Meersen, l’alfiere della Flandria, giunse solitario da assoluto e incontrastato dominatore ed a ben 4’29”, Raas che nel frattempo aveva staccato i due connazionali, conquistò quello che poi diverrà il primo podio della “sua” classica per antonomasia. A 5’19”, Lucien Leman, fratello minore del più celebre Eric, regolò Béon e Kuiper. Più staccato e solo sesto Joop Zoetemelk, che si era prosciugato di forze nel vano tentativo di inseguire Maertens. Per Freddy, alla vittoria, se ne aggiunse un’altra: mentre stava salendo sul podio, il massaggiatore della Flandria, gli applicò sulla maglia, allora ancora di lana, un adesivo in carta, sul quale era stampato il logo della Velda, lo sponsor che il sodalizio aveva messo a contratto, proprio il giorno dell’Amstel Gold Race.
Tempestività dunque nel rispondere alla nuova dimensione del sodalizio e gesto poi divenuto consuetudinario, pur nella diversa morfologia dell’applicabile, quando per il corridore sul podio si trattava di vestire una maglia di classifica. A livello di club, quella applicazione sulla maglia di Freddy, resterà una "prima" ineguagliata.

Morris


Freddy Maertens e...Velda

 

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Livello Tour




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  postato il 30/09/2009 alle 19:14
Tour de France, 1954

Non ho aneddoti, non ho particolari curiosità o inediti da raccontare sulla foto che posto, ma se vogliamo è "curioso" vedere alcuni tifosi di quel Tour.
Mi è arrivata (o meglio: è arrivata a mio padre) questa cartolina da un signore tedesco, un appassionato del ciclismo che fu; mi è piaciuta subito tantissimo ed ho pensato di condividerla con voi.
La trovo ingenua, pura, vera; mi ricorda che il ciclismo è da sempre lo sport di tutti, mi fa capire quanto ci tenesse la gente a prendere parte alla festa del passaggio dei ciclisti, anche se "lo spettacolo" durava solo pochi istanti, anche se probabilmente le risorse per potersi permettere una giornata del genere non fossero poi così grandi.
Per me è una foto meravigliosa: e per voi?

 

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Bisogna menare!
He. Sa.

STILOSO 2009

 
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Livello Marco Pantani




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  postato il 30/09/2009 alle 19:24
Veramente bellissima !


 

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Fantaciclismo 2009 : 1°Tour de Romandie - 1° Paris-Tours
Tour de France 2009 : Vittoria 11°tappa Vatan Saint-Fargeau
Vuelta a Espana 2009 :Vittoria 6°tappa Xativa-Xativa e 11°tappa Murcia-Caravaca de la Cruz

Fantaciclismo 2010 : 1° Het Volk - 1° Milano-Sanremo - 1° Tour de Romandie
Tour de France 2010 : Vittoria 9°tappa Morzine Avoriaz- Saint Jean de Maurienne

 
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  postato il 30/09/2009 alle 19:25
Bellissima.
Ad un carissimo amico (comune, tra l'altro), un giorno noi giovincelli* decidemmo di regalare una foto di quelle d'epoca.
Argomento ovvio, il ciclismo.
"Ma niente corridori in azione - pensai, visto che toccò a me sceglierla - Pensiamo a qualcosa di conviviale, che rappresenti veramente noi".

La scelta cadde su una foto che, anche non avendola ora davanti agli occhi, ricordo ancora a memoria. E che spero quel carissimo amico, per non dire miofratello, abbia appeso anche nella sua nuova casa...


* (diciamo "più giovincelli", sennò mi s'incupisce)

 

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Mario Casaldi - Cicloweb.it

CICLISTI
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie

 
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Livello Giuseppe Saronni




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  postato il 01/10/2009 alle 07:05
Quel che più mi sorprende però è un'altra cosa.

13 marzo 2009, esco dal lavoro a mezzodì per tornavi 2 ore dopo, non mi han concesso di andare a vedere la Fucecchio-Santa Croce sull'Arno.

In auto salgo Montefalcone, ed in cima, al margine del bosco, vedo quella stessa immagine, ma a colori: 5 persone di mezza età o giù di lì, che mangiano tranquillamente al bordo della strada su un tavolo da mare con quelle sedie che odio particolarmente. Mi stupisco, sorrido, rallento e li saluto: non li conosco, ma mi stanno già simpatici.

 

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Alessandro

29/05/1999 - 27/07/2008: Grazie Paolo!

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 02/10/2009 alle 20:54
Victor Van Schil, per quello che è stato come atleta e come uomo, meritava un ritratto con tanto di specifico thread e, per quanto mi riguarda, lo pubblicherò, ma non qui, per ovvi e dolorosi motivi. Mi spiace, quello sì, che nessuno abbia speso una riga per ricordare che Vic ci ha lasciati il 30 settembre scorso, ma era un belga e questo spiega tante cose.

Non giudico, anzi rispetto, la sua scelta sulla soglia dei 70 anni. Contrariamente alla stragrande maggioranza, chi sceglie di andarsene prima del fisiologico, raggiunge per me la punta estrema del coraggio, non la solita comoda testimonianza di debolezza, tanto presente anche in chi ha provato a spiegare una simile decisione aldilà del confine dell’ignavia, A volte, basterebbe la modestia nel pensare a quanto non ci sia niente di più intenso e forte del legame che unisce l’essere umano e la vita.
Nel caso di Vic, c’è una ragione ancor più angosciante, che dovrebbe predicare modestia sugli orizzonti di chi crede sia tutto curabile attraverso il sapere consolidato, o considerato tale. La depressione, sovente, è più subdola dei tumori e può concludere tragicamente il proprio sinistro ciclo, grazie ad un fatto troppo ovvio e vero per produrre riflessione: contro il tumore che aggredisce il fisico, alla forza della medicina s’aggiunge quella spesso ancor più competitiva della mente; contro la depressione, a sostegno del farmaco e delle terapie, c’è solo la figura debole, spesso guercia, del poli-forme cervello umano.

Mi sono già dilungato e per non dare spago ai censori sulla scelta del thread adatto o adattabile, passo subito all’inedito su Van Schil.

Pochi lo sanno, ma già il 14 aprile 1966, Vic era stato dichiarato morto. Militava nella Mercier BP di Raymond Poulidor, ed era uno dei gregari di lusso del francese.

Il Giro del Belgio rappresentava una delle poche corse dove il forte corridore di Nijlen, poteva fare la sua gara. Dopo aver vinto la prima tappa, superando allo sprint Vittorio Adorni e Jos Huysmans (che diverranno successivamente suoi compagni di squadra), rimase per qualche giorno in lotta per i vertici della classifica, ma poi, nell’ultima tappa, la Oostende - Bosvoorde (in olandese Boitsfort) a giochi praticamente fatti in virtù della vittoria di Adorni nella frazione, nello sprint conclusivo, fu protagonista di una rovinosa e scioccante caduta. Probabilmente per lo scoppio di un tubolare, perse l’equilibrio, ed andò a sbattere violentemente contro le transenne metalliche (le poche di quel periodo), ricadendo a terra esanime. Il medico di corsa, fu il primo a soccorrerlo, ma il cuore di Vic, non batteva più. Provò a rianimarlo, ma ogni tentativo si mostrò inefficace, al punto che lo dichiarò morto. Poi, dopo un lasso non certamente brevissimo, Van Schil mosse la gamba destra e ritornò …vivo. Lo portarono all’ospedale e si riprese completamente, in un paio di giorni. Al punto che il due maggio, corse la Liegi-Bastogne-Liegi, finendo secondo e primo degli umani. A vincere, fu un extraterrestre che viveva in una villa sontuosa in Normandia. Lo chiamavano Jacques Anquetil.
Per i significati di quella corsa, anche per raffronti-esempi più generali, riporto dal libro che sto scrivendo sui mondiali e le nove classiche a mio giudizio più importanti, i primi venti dell’ordine d’arrivo. … Quando si dice che un tempo il ciclismo era migliore….

1° Jacques Anquetil (Fra) Km 253 in 6h59’45” alla media di 36,164 kmh.
2° Victor Van Schil (Bel) a 4’53”
3° Willy In't Ven (Bel) a 4’54”
4° Walter Godefroot (Bel) a 5’04”
5° Willy Planckaert (Bel) a 5’24”
6° Michele Dancelli (Ita)
7° Willy Bocklant (Bel)
8° Eddy Merckx (Bel)
9° Joseph Huysmans (Bel)
10° Roger Swerts (Bel)
11° Joseph Spruyt (Bel)
12° Johnny Schleck (Lux)
13° Willy Monty (Bel)
14° Jean-Pierre Genêt (Fra)
15° Gianni Motta (Ita)
16° Guido De Rosso (Ita)
17° Felice Gimondi (Ita) a 5’39”
18° Rudi Altig (Ger) a 7’30”
19°Alan Ramsbottom (Gbr) a 14’08”
20° Armand Desmet (Bel)

Morris

 

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  postato il 02/10/2009 alle 21:53
van schil è stato gregario di eddy mercks per lungo tempo, credo nove anni
è stato uno degli uomini più forti al fianco del cannibale e nella mia memoria questo caratterizza la sua carriera. è stato parte di uno dei team più forti di tutti i tempi, se non il più forte

che il cielo gli sia lieve, povero victor

bene fai a ricordarlo , caro morris, e mi piacerebbe che potessi scrivere un po' più di lui.
in quella classifica della liegi 1968 si leggono anche i nomi di swerts e huysmans, che tante fatiche e vittorie hanno diviso con van schil

ciao

mesty

 
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