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Quello che sei per me...
magliarossa - 28/04/2009 alle 23:52

Mi metto a scrivere queste righe nell’ennesima serata triste per il nostro ciclismo. Eppure, questa volta, a differenza di altre, mi sento meno coinvolto. Non mi va di riprendere a scervellarmi con i complotti, con i giochini “pulito-non pulito”, con le storie di Monsieur 60% al Tour del 1996, la bomba di Coppi, i dilemmi morali della serie eanchesecenefossesoltantouno... E mi chiedo perché. Perché, nonostante tutto, nonostante Madonna di Campiglio e tutto quello che è seguito, nonostante il Tour 2007, le Olimpiadi 2008, e tutti i “casi” che seguiranno, continuo ad amare il ciclismo, a passare pomeriggi davanti al teleschermo a guardare le gesta di un gruppo di (presunti ) “dopati”... E non posso non ripensare al 1994, ormai sono passati quindici anni, ero solo un bambino. Un pomeriggio mi trovai a guardare un arrivo di tappa, commentavano De Zan Jr. e Saronni, in fuga c’era un corridore dal nome esotico, Laudelino Cubino. Vinse la tappa, mi pare, ma quello che ricordo è un misto di termini sconosciuti, un po’ magici, i trenta secondi di vantaggio, la maglia ciclamino, la Gewiss-Ballan e Claudio Chiappucci. E a quel pomeriggio ne seguirono altri, ricordo una tappa a Linz, con la pioggia, in fuga c’era un certo Bartoli, un giovane, se ne parlava un gran bene. E poi una tappa con arrivo a Merano, un altro ragazzo all’arrembaggio, con la testa spelacchiata e una faccia che colpiva, si chiamava Marco Pantani. Mi ricordo che il giorno dopo guardai tutta la tappa con mio padre, che di ciclismo non capiva nulla, ma quel giorno mi fece compagnia, c’era lo Stelvio in programma, una salita dalle parti di mia nonna. Era una giornata di maggio, a casa c’era bel tempo, ho un’immagine del televisore con un raggio di luce che filtra dalle persiane e l’immagine di un terzetto al comando: Pantani, uno spagnolo enorme e squadrato, Miguel Indurain, e un tale “Cacaito” Rodriguez, un colombiano. Pantani vinse di nuovo, io ero felice, e non sapevo perché. E poi mi torna in mente mattina, era il 1997. Marino la scuola per andare alla partenza del Giro, in programma la tappa Arezzo-Terminillo, primo arrivo in salita. A cento metri da casa mia c’è la zona dove i ciclisti smontano dai pullman per andare i bici alla partenza. Io, tredicenne, che cerco goffamente di avvicinarli. Prima un tipo colla coda, Baldato, della Mg. Poi Mariano Piccoli, una ex maglia verde. E poi il camper della Mercatone uno, c’è di nuovo lui, Pantani. Mi fa persino un autografo. Poi un gatto lo fa cadere durante una discesa, al Sud, e io sofffro con lui. Una Liegi-Bastogne-Liegi. Sulla Cote della Redoute davanti rimangono in tre: due gialli e un biancoblu. Il biancoblu non si fa intimorire, collabora testardo, poi a un certo punto ne stacca uno, ne stacca un altro, e vince tutto solo. Bellissimo. Maggio 2002. Un pomeriggio pieno di sole, di luce. Una tappa del Giro, l’arrivo è in Belgio. manca un mese alla maturità. Guardo la tappa, mi rilasso. Esco con una mia amica, io le parlo di quanto mi piace il ciclismo, lei dei quadri che dipinge. Poi ci sediamo una panchina, le rubo un bacio. Pantani annaspa, ma non importa. Il Giro è bello lo stesso. Sto preparando un odioso esame di storia dell’arte, tante cose che non vanno bene, mia nonna a letto ammalata. Il Giro arriva al Sestriere. Una tappa fantastica, immagini in bianco e nero, le strade sterrate. La maglia rosa se la giocano in due, sul filo dei secondi. E c’è un venezuelano, piccolo piccolo, che va a vincere la tappa: come dire, epica allo stato puro, con uno spruzzo di rivoluzione latinoamericana, che non guasta mai. Che potrei chiedere di più? Pochi giorni fa. Sono di nuovo qui, a migliaia di chilometri da casa e dalla mia ragazza. L’amico che era venuto a trovarmi se ne è appena andato, lo ho accompagnato all’aeroporto. Torno a casa, e scopro che posso vedere la Liegi in streaming, perfino col commento di raitre. Sono di nuovo a casa. Ecco perché continuo a seguire il ciclismo. Perché è una parte di me. E ritorna sempre.


desmoblu - 29/04/2009 alle 00:16

Chapeau.


pony - 29/04/2009 alle 00:30

magliarossa sportivo vero, che ama incondizionatamente... perché l'amore non è perfezione... è solo amore


pitoro - 29/04/2009 alle 00:56

[quote][i]Originariamente inviato da magliarossa [/i] Ecco perché continuo a seguire il ciclismo. Perché è una parte di me. E ritorna sempre. [/quote] Ecco il nostro problema :clap:


Bartoli - 29/04/2009 alle 01:30

Perchè è una droga ;) Anche io lo seguo per quel puntino biancoblu in mezzo a quei 2 giganti ;)


Morris - 29/04/2009 alle 03:03

Caro Magliarossa, probabilmente non Gerbi e spero comunista (;)), continua a seguire il ciclismo, perché lo hai veramente dentro, ed i suoi alfieri, salvo rari casi, sono realmente un insieme di qualcosa, come in tanti altri campi della vita, soprattutto nelle fasce sconosciute e fuori dai riflettori della comunicazione. Rebellin, umanamente non è peggiore di un direttore di banca, non applica strozzinaggio ai poveri e non si trasforma in spada al servizio dei ricchi e potenti, atleticamente ed artisticamente poi, è un abisso avanti. In altre parole, rispetto a quel triste figuro, il danno che le sue vicende creano al corso umano, sono risibili. Non parliamo poi di Pantani, che dovrebbe essere insegnato all’università, se ci fossero docenti in grado di capire fino in fondo le grandezze che stanno dentro ad uno sportivo raro ed unico per tanti aspetti, il cui male, semmai, lo ha fatto solo a se stesso. Quindi, non mettere freni alle gambe partorite dal cuore, e vanne fiero!


magliarossa - 29/04/2009 alle 09:51

[quote][i]Originariamente inviato da Morris [/i] Rebellin, umanamente non è peggiore di un direttore di banca, non applica strozzinaggio ai poveri e non si trasforma in spada al servizio dei ricchi e potenti, atleticamente ed artisticamente poi, è un abisso avanti. In altre parole, rispetto a quel triste figuro, il danno che le sue vicende creano al corso umano, sono risibili. Non parliamo poi di Pantani, che dovrebbe essere insegnato all’università, se ci fossero docenti in grado di capire fino in fondo le grandezze che stanno dentro ad uno sportivo raro ed unico per tanti aspetti, il cui male, semmai, lo ha fatto solo a se stesso. [/quote] Caro Morris, sono perfettamente d'accordo. Penso che, tra le tante battaglie per un mondo migliore e più giusto, non ci sia grande spazio per quella contro gli "atleti dopati" (forse per quella contro il doping come fenomeno sociale sì, ma anche qui, per quel che mi riguarda, non ai primissimi posti).


Camoscio Madonita - 29/04/2009 alle 10:57

caro Magliarossa hai colto nel segno...sai ho avuto un'infatuazione verso il ciclismo simile alla tua...ne avrei di aneddoti da raccontare, ma finirei domattina...ricordo solo i più clamorosi: nel '99, al terzo superiore non partii in gita perchè il Giro partiva dalla Sicilia, e dovevo vedere l'amato Marco in azione sulle strade della mia terra...e non più tardi di 2 anni, avevo esame di abilitazione come agronomo nel giorno dello Zoncolan versante Ovaro...ebbene consegnai la prova d'Estimo in fretta e furia (penso anche con qualche errore) per correre a casa :) (per la cronaca riuscii ad abilitarmi comunque). A discapito di varie "mazzate", negli occhi ho sempre Plan di Montecampione, la fucilata di Bartoli sul Grammont nel '96 e quella di Ballan 11 anni dopo; ho negli occhi Pantani che nel '97 stacca ad uno ad uno i suoi avversari sull'Alpe; ed ho ancora negli occhi le lacrime di Bettini a Como 2 anni fa! E' amore...e non può finire mai!


Abajia - 29/04/2009 alle 14:33

:clap: Eh sì, il ciclismo è come una droga. Un concetto "poetico" di droga, perché crea un'assuefazione voluta, razionale, ragionata, voluta, cercata a trovata. Purtroppo ora come ora qualche scemetto che, pur non capendo una mazza di bici, s'avventura in giudizi sul tema, potrebbe anche dire che il ciclismo è droga nel senso letterale del termine, ma questo è un altro discorso... Complimenti! ;)