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Autore: Oggetto: Ciclismo e tifo: passione e faziosità

Livello Marco Pantani




Posts: 1476
Registrato: Mar 2005

  postato il 17/05/2008 alle 00:18
Belli ciao,
ecco un tema che mi interessa più di altri. Il fenomeno “tifo” nel mondo del ciclismo agonistico e nello specifico, il tifo per i campioni del professionismo.
Avviso doveroso, il post è lungo, noioso e saccente. Fate vobis.

Chi ha avuto la cattiva sorte di imbattersi nei miei messaggi precedenti conosce già la mia antipatia verso le forme più esasperate del tifo: dal fenomeno dei Fanclub, al tifo apertamente “contro” ciclisti naturalmente o artificiosamente contrapposti al beniamino di turno, alla faziosità che obnubila la ragione e la capacità di osservare e godere appieno di una gara in bicicletta.

A scanso di equivoci chiarisco subito: considero il “tifo” un elemento prevalentemente negativo e potenzialmente dannoso negli sport individuali come il ciclismo. A corollario di questa posizione va chiarito un aspetto quasi lessicale. I termini: tifare, tifo, tifoso, tifoseria, portano in sé tutti gli aspetti negativi di esasperazione di un fenomeno: il “parteggiare per”, “tenere a”, “preferire”, “supportare”, “incitare”, che è naturalmente presente in ogni manifestazione umana che preveda una gara con un pubblico che assiste.
L’avrete già capito, si tratta dello scadimento incontrollato e conflittuale (che produce e si alimenta di conflitti) in fanatismo, di una umanissima tendenza naturale.

Qualcosa di ancestrale nel nostro DNA (che sia il riverbero nell’inconscio della gara per la vita che fanno i simpatici spermatozoi? Bella lì!) ci spinge, senza possibilità di sottrarsi, a schierarci da una parte, per una squadra, a sperare che quel ragazzo salti più in alto degli altri, che quel cavallo corra più rapidamente degli avversari, che il candidato del partito X conti più preferenze di quello del partito Y, e così via. Io stesso, che, snobisticamente, rompo tanto i cosiddetti con questo 3d, ho le mie brave preferenze, i miei innamoramenti e le mie sofferenze.
Però mi fermo lì. Anzi, con un po’ di pudore tendo a occultare il sentimento, quasi fosse un atto impuro. Mi fermo e anzi, se il mio contropiedista preferito perde, risucchiato dal gruppone trainato del treno Milram e vince il mal sopportato Petacchi, beh, dopo mezzo minuto, son già lì che mi guardo, mi riguardo, e mi gusto, il replay della meravigliosa espressione di forza dell’antipatico “velocista gentiluomo” (soprannome stucchevole, come infatuarsene?)
Ecco introdotto un altro tassello importante di tutta la faccenda: la televisione e le sue influenze sulla cultura del ciclismo agonistico.

- Oh bella, diranno alcuni, faccio il tifo per Danilone Di Luca, ma non ci vedo nulla di male!
- Oh bella, diranno altri, faccio il tifo contro Basso, ma non gli auguro mica di sfracellarsi, solo di non vincere più una gara nella sua vita!
- Oh bella, proseguiranno taluni, cosa c’entra differenziare il ciclismo dal calcio e dalla palla a volo!
- Oh bella, obietteranno in molti, il tifo nel ciclismo c’è sempre stato, Claudione sei scemo o cosa? Ti dicono niente Coppi e Bartali?
- Oh bella, diranno pochi, ma che palle di mondo sarebbe se tutti fossero così corretti e perfettini come il Dancio e Profroubaix!?!
- Oh bella, proseguiranno alcuni, cazz.o c’entra la televisione?

Vista così son messo male. Uff, che destino, mai piaciute le posizioni comode. E poi la televisione (o meglio il commercio televisivo del fenomeno sport) c’entra, eccome.

Vediamo alcuni passi, frammentari e senza pretesa scientifica, nella storia. Non tratterò di tifo per amici e parenti, che è di tutt’altro genere, ma solo di quello riservato ai cosiddetti campioni.

Albori
Il ciclismo, prima di Coppi e Bartali, vive essenzialmente (nella maggior parte) dell’amore per i campioni conterranei. Un piemontese avrebbe tenuto per il Gira, un mantovano stava con Learco Guerra e tutti e due stavano con Alfredo Binda quando questi tritava il mondo intero alle prime kermesse iridate della storia del nostro sport. I francesi avevano i loro, i belgi non parliamone e insomma, dove non arrivava l’amore patrio, ci avrebbero pensato le guerre a definire meglio i contorni di una naturale partigianeria.

Bellezza in bicicletta
Ecco Coppi. Arrivato Fausto nasce una incredibile rivalità reale con l’altro fuoriclasse che il caso ha regalato al nostro paese: Ginettaccio. I due sono: fortissimi, vincenti a livelli incredibili, disetanei ( ma contemporanei), diversissimi come personalità, cultura, storia personale (uno baciapile papista, l’altro fedifrago abbandonatore di tetto coniugale!). Uno, Gino, è un casinaro mai visto, fortissimo, generoso, leale, chiacchierone a sfinimento. L’altro è timido, riservato, “bronsa coerta”, ma dentro gli scoppia un fuoco di agone che la natura ha tradotto in doti fisiche inimitabili. Ogni italiano trova elementi di riconoscimenti in uno dei due. Il gioco sarebbe già fatto a ritagliare due schieramenti opposti, ma c’è dell’altro.
Il paese ha bisogno di sognare: ecco due magnifici campioni di cui essere orgogliosi dopo vent’anni di umiliazioni e sofferenze. Il paese è diviso in due: politicamente e socialmente. Casualmente i due uomini sono emblematici dei due schieramenti. C’è la ricostruzione, c’è la voglia di riscatto, c’è un Giro d’Italia che diventa emblema della rinascita del paese, c’è un Tour de France che diventa occasione di una riscossa sul piano internazionale. E poi la bici non è un passatempo. È il mezzo di trasporto collettivo. Ci si sposta, si viaggia in bici. Ci si fa pure l’amore (..ma dove vai, bellezza in bicicletta…)
Ecco fatto: Coppiani e Bartaliani. Non si offenda Magni, ma si tratta di immaginario collettivo e le due maschere di Fausto e Gino sono ormai due personaggi del teatro dell’arte. Ci appartengono perché c’era sotto molta roba, molta carne al fuoco, un bendiddio dello sportivo e dell’uomo, Ettore e Achille in bicicletta, ma chi avrebbe resistito a non schierarsi?
In Francia si assiste a qualcosa del genere fra Bobet e Robic testa di vetro, contrapposizione più sul carattere umano dei due protagonisti, ma mancante del grande appeal delle superstar italiane del dopoguerra.

Interludio
Da lì in poi, per i giornali, è tutto un cercare di ricostruire, con poco successo, la magica contrapposizione.
Poulidor, Anquetil, Gimondi, Adorni, Motta. Tutta bella gente, con sostenitori convinti, ma attenzione, sta per accadere qualcosa di nuovo: il tifo per un ciclista straniero.

La corsa in testa
È il più forte campione della storia del ciclismo a ribaltare (in positivo, dico io) le consuetudini. Cade sul ciclismo, sicuramente mandato da Dio se mai ne esiste uno, Eddy Merckx. La forza, le vittorie innumerevoli, la caparbietà, la rivoluzione copernicana che Eddy imprime alle corse in bici, gli procurano una fama planetaria. Non si tratta solo di fama, ci sono veri e propri fan del belga.
Non solo il mio bravo papà, chiedete a Morris se abbia mai preferito una vittoria tricolore alla meraviglia di un trionfo del cannibale. Eddy calamita su di se l’affetto di migliaia di appassionati. Attirati dalle qualità intrinseche delle sue imprese, questi aficionados, sono un fenomeno del tutto nuovo. Sono sportivi praticanti. I modelli di “tifoso” di Eddy sono: un cicloamatore agonista, un ex corridore, un cicloturista della domenica. Qualcuno che condivida profondamente qualcosa di unico con i campioni. È l’estetica della fatica umana, quella che permea l’appassionato di ciclismo. La stessa fatica che, sublimata in una vis agonistica senza pari che lo porta a dare tutto se stesso in ogni competizione grande o piccola, rimane il tratto distintivo dell’asso belga. Merckx canta la ferocia della fatica esaltandosi in essa. Vince scavando solchi nel dolore e nel tormento che si auto infligge in ogni gara. È il simbolo della società che divora se stessa nella ricerca del massimo, del miglioramento, dell’abbondanza. Il tutto idealizzato nella forma “a parte” dello sport agonistico. Il cannibalismo di Merckx, la sua smania di primeggiare su ogni traguardo, porta al massimo grado il concetto di sportività e di Fair Play. Nessuno rispetta gli avversari più di Eddy, che, non concedendo mai nulla, ripulisce il dato da ogni romanticismo e da ogni visione umanitaria. La gara è un mondo perfetto con regole e comportamenti lineari, vince il più forte, tutti meritano rispetto.

Chi tiene per E. Merckx non è…NON è, un tifoso. È un conoscitore “intimo” del ciclismo. In scala, rivive ogni giorno le stesse esperienze e nel Merckxismo le rivede esaltate, perfette, celebrate al massimo grado.
Il Merckxismo non è un vero tifo. Appare troppo facile parteggiare per uno che, quasi sicuramente, vincerà anche la gara in corso. Non c’è pathos e non c’è attesa spasmodica. Per dieci anni il sostenitore di Merckx non dovrà soffrire quasi mai. Il fan di Eddy ha raggiunto la classicità, è in equilibrio, gode sobriamente di risultati che già conosce. Non soffre nell’assistere alle gare perché soffre già nel cercare di emulare il grande campione.
È un tifoso-praticante, anzi è un praticante-tifoso. Non condivide il mezzo bici in quanto mezzo di trasporto, ma proprio come strumento di emancipazione del tempo libero, come strumento di salute fisica. La società è cambiata.
I tifosi di Gimondi, Motta etc. sono sicuramente molti e soffrono di certo nel vedere i loro beniamini sottomessi al dominio Merckxiano, ma raramente si assiste a episodi di intolleranza. Ricordo solo uno squilibrato rifilare a Eddy, che inseguiva da sconfitto un Thevenet lanciato verso la maglia gialla, un colpo allo stomaco nel finale di una tappa di montagna del Tour (Mont ventoux? ’75?)
Merckx esaurisce in dieci anni la sua propulsione mostruosa (era detto anche “il mostro”), la Milano-Sanremo del 1976 è la sua ultima vittoria importante, chiude con tre anni di anonimato, ma il ciclismo, con Eddy, è cambiato per sempre.

Sceriffi iridati
Dopo Merckx, in Belgio, nuovi galletti come Maertens fanno furori, in Italia è F. Moser a conquistare gli appassionati, dividendoli in un primo tempo con il bergamasco scalatore Tista Baronchelli. Gibì è però psicologicamente troppo fragile e non regge l’aggressività dell’uomo di Palù di Giovo.
Dopo qualche anno il Bel Paese scopre una nuova e scintillante rivalità: passa professionista e subito si rivela vincente un giovane novarese, Beppe Saronni.
I giornali si scatenano. Moser e Saronni sono il Coppi e Bartali del momento. Diversissimi per carattere, ma dagli obiettivi comuni: Vincere e dominare la scena italiana. I due si detestano realmente e i media ci sguazzano.
Rispetto a Fausto e Gino, il trentino e il lombardo, sono di caratura nettamente inferiore, ma il pubblico si è ancora trasformato. Non è più un pubblico di buongustai, di conoscitori, ma di tifosi.
Nasce Bicisport, rivista specializzata di ciclismo professionistico di grande spessore tecnico (primo numero Battaglin e Bertoglio in copertina) e il movimento diventa mediatico. La tv copre le gare con dirette interessanti, immagini a colori più definite. Le maglie dei ciclisti si punteggiano di sponsor numerosi. Arrivano le riprese dall’elicottero e le immagini sono a colori. Il tessuto delle maglie diventa sintetico e brilla allegramente sugli schermi. Il ciclismo televisivo diventa uno “sport spettacolo”, e le aziende sponsorizzano volentieri questo sport rinnovato.
Sul versante tifo si assiste a un fenomeno disarmante: la tv registrerà per qualche tempo i cori dei tifosi trentini al Giro d’Italia (Saronni-Saronni-Va-ffa-nculo!). Nasce il tifo di stampo ultrà anche nel ciclismo. Viene meno il gusto per l’obiettività, gli sportivi che si accalcano sulle strade del giro sono meno cicloamatori e più fruitori passivi dello sport-spettacolo televisivo.
La rivalità Moser-Saronni è reale, come detto i due si detestano, ma sono personaggi concreti, molto vincenti, ai vertici delle loro epoche e con due forti personalità.
Il modello dei tifosi aggressivi si espande: Roberto Visentini, talentuoso, ma fragile bresciano, verrà fatto di oggetto di angherie da parte dei Moseriani per tutta la prima parte della sua carriera. Altri episodi di antisportività si registreranno negli anni (insulti a Beat Breu sul Pordoi, insulti a Rosola e Bontempi nella crono di Verona del giro “vinto” da Cecco Moser).

World Cup Gold Age
Finità la parentesi totalizzante degli sceriffi Beppe e Francesco, si torna alla normalità.
Argentin, Bugno, Chiappucci e Fondriest si dividono gli appassionati. La diversità dei caratteri e delle caratteristiche tecniche evita il fenomeno della sovrapposizione e del dualismo.
Bugno è il corridore con più sostenitori, ma la insondabile timidezza dell’uomo impedisce a Gianni di diventare un fenomeno sovrastante tutti gli altri.
È l’epoca dell’ingresso in ammiraglia di veri e propri Team Manager, che soppiantano la figura del Diesse. Il team manager sovrintende a tutta l’attività del gruppo sportivo, sceglie programmi, acquisti e obiettivi stagionali sulla base delle esigenze dello sponsor. Sponsor che si accorgono dell’importanza del Tour. È anche l’epoca del ritorno in forze del ciclismo italiano sulla scena del Tour de France (e nel mondo in generale) e la competenza degli appassionati ne trae giovamento. La coppa del mondo è una kermesse fortunata che rivela la bravura degli italiani nelle classiche. Bugno, Fondriest e Bartoli la vinceranno grazie alle loro affermazioni in classiche estere. Il confronto con Kelly, Fignon, Lemond, Delgado e Indurain porta i tifosi a conoscere in modo approfondito questi grandi del ciclismo. Il movimento si arricchisce di preparazione e si gettano le basi per una espansione mediatica del ciclismo.

Piraterie
Anni 90: esplode il fenomeno Pantani. Il ciclista romagnolo conquista in breve tempo un grandissimo numero di sostenitori grazie alle sue straordinarie doti di scalatore. Dedicandosi prevalentemente alle gare a tappe, riscuote una immediata popolarità grazie alla visibilità televisiva riservata all’evento Giro D’Italia. Ricordo che, dopo le prime vittorie in salita di Pantani, la popolarità del Pirata era già nettamente superiore a quella di un Michele Bartoli, corridore dal talento straordinario per le gare in linea, che in quel periodo era esattamente ai vertici del movimento mondiale.
L’organizzazione del Giro e la Tv comprendono immediatamente la potenzialità di Pantani e, cavalcandola, incrementano tapponi alpini e arrivi in salita. Gli ascolti salgono e tutti sono contenti. Nascono Fan club di Pantani, colorati e caratterizzati da simboli che i tifosi possono fare propri, indossare e sventolare con orgoglio (la bandana, il teschio pirata, l’orecchino, la testa pelata, il colore giallo). Le montagne del Giro si colorano di questa tribù di persone in giallo. L’anticonformismo esplicito di Pantani e la sua capacità di bucare il video, toccano anche l’ultima corda toccabile nel momento storico: l’individualismo e la necessità di autoaffermazione.
Il fenomeno somiglia molto a quello esploso per Alberto Tomba nello sci qualche anno prima. Uno sportivo di grande talento emerge prepotentemente in una disciplina in cui la sua provenienza geografica (Tomba, cittadino di Bologna in mezzo ai valligiani delle alpi) o la sua personalità (Pantani e ancora Tomba, anticonformismo, novità nel look) rompono gli schemi con la tradizione consolidata della disciplina stessa. La conseguenza è che, accanto a tifosi praticanti affascinati dalla reale portata tecnica del campione, vi sia una grande quantità di nuovi appassionati, spesso non praticanti. Nella migliore delle ipotesi l’occasione determina un boom della disciplina, con gente che inizia ad andare in bici etc (per Tomba vi fu il boom delle presenze sulle piste da sci). Nella realtà molti tifosi rimangono sedentari frequentatori degli stadi naturali del ciclismo (le strade di montagna) o degli stadi virtuali (la tv).
Il tipo di “fidelizzazione” di questi nuovi tifosi piace molto al mercato. Sono giovani, acquistano gadget, si spostano con il camper per seguire il Giro e, se va di lusso, si comprano pure la specialissima per la felicità del mercato delle bici.
Inevitabilmente, la consapevolezza media dell’insieme tifosi, rispetto alla disciplina, si abbassa.
La massificazione del tifo comporta un impoverimento della qualità critica del lettore o del fruitore medio. Ne consegue che l’offerta di programmi tv e giornalismo tenda a seguire il target di riferimento. La scelta degli argomenti diventa sempre meno tecnica e sempre più gossip-pietistica. Il risvolto umano dei protagonisti trova sempre più spazio, assecondando capacità interpretative di chi, magari, non sa distinguere uno scatto fatto per la tv, da un attacco vero e proprio. Non impoveriscono invece i risvolti commerciali del fenomeno. Pantani dilaga nelle pieghe più disparate del mercato. Il campione strappa contratti pubblicitari mai visti per un ciclista, partecipa a show televisivi e canta pure delle canzoni.

Restaurazione
Con la fine della parabola vittoriosa di Pantani (senza accenni di nessun tipo al come e al perché, che qui, non sono di alcun interesse) ci si interroga su come gestire il momento.
Il momento è caratterizzato da un cospicuo numero di nuovi “utenti” dell’evento ciclismo che si ritrovano spiazzati, senza più motivo di continuare a seguire una disciplina che legavano unicamente a un personaggio di grande caratura.
Le scelte fatte vanno nella direzione della conservazione del “patrimonio tifosi”.
Il Giro rimane farcito di salite (anzi, sempre di più, visto che televisivamente vendono bene), il commento rimane legato a fattori extra-agonistici. In un primo tempo, pare addirittura che il blocco dei tifosi di Pantani si possa riversare a favore del neo campioncino Cunego (esempio di ingerenza dei mass-media, la favola DeStefanesca del Pantacunego). In realtà non sarà così, ma ormai il passo è fatto. Nascono Fan Club ovunque e per moltissimi campioni. Il fenomeno viene favorito anche dalla diffusione del mezzo Internet (che ci ospita) e che permette a molti appassionati di conoscersi e scambiarsi opinioni.
Come detto, il blocco di affezionati del pedale portati in dote dal passaggio di Pantani tende a persistere, nonostante il ciclismo si appresti a vivere la stagione più complicata e controversa della sua storia.
Le vicende del doping e la gestione dissennata di tutte le componenti direzionali hanno la conseguenza di portare il “giocattolo ciclismo” sull’orlo dell’abisso.

L’amore è cieco
In questo periodo, quello che viviamo ora, si assiste all’evoluzione del modello tifoso dell’epoca Pantani. Viste le difficoltà imminenti, il nostro prototipo (con tutti i limiti dei prototipi), si schiera in modo aperto con i protagonisti delle gare: i ciclisti.
Non si tratta di una consapevolezza vera e propria, giacchè gli strumenti di conoscenza del prototipo sono indiretti, non storici, talvolta raffazzonati, ma tant’è. Il tifoso odierno, che continua a riempire Zoncolani e dirette televisive è in parte strenuo difensore dei diritti violati dei ciclisti e in parte disilluso amante di uno sport cui non sa più rinunciare e che vede peggiorare sempre di più.

Dopo questo pistolotto storico di dubbia scientificità, ecco le conclusioni.

La speranza, la mia personalissima, è che l’appassionato di ciclismo mantenga le proprie specificità storiche e conservi le differenze sostanziali con i tifosi degli sport di squadra.
È chiaro che con l’aumentare della massa di persone che si interessano a una disciplina, la “quantità di competenza media” venga progressivamente meno. Personalmente preferirei il fan del ciclismo più ispirato a un modello di sportivo coinvolto direttamente, esperto di esperienza propria, in grado di formarsi opinioni autonome. Sarebbe meno soggetto agli inganni degli Zomegnani di turno, alle manfrine furbette dei ciclisti e alle lagne lacrimose dei commentatori televisivi che, non sapendo nulla di tecnica, approdano al facile appiglio della telenovela gossipara.
Questi “sportivi” sarebbero in grado, non solo di giudicare autonomamente, ma anche di mantenere un sano distacco dalle cose del ciclismo. Distacco che sarebbe necessario anche a capire che il ciclismo non è “lo sport migliore”, non è l’unico sport “per uomini veri”. È una delle tante discipline sportive. Ognuna delle quali ha pregi e difetti. Il pregio del ciclismo, in quanto sport di grandissimo impegno individuale, è che permette al praticante di raggiungere una grandissima consapevolezza rispetto a se stesso. Una sorta di autoanalisi a pedali. Il difetto più grosso è il rovescio della medaglia: sono poco presenti le componenti “squadra” e “gioco” (inteso come Fun, divertimento, la dimensione ludica dello sport). La cosa importante da capire sarebbe che il fatto di essere appassionati e “tifosi” di ciclismo dipende esclusivamente da un tracciato del destino ce ci ha portato a praticarlo, in gioventù o in età adulta. Non una scelta fatta come di fronte a un menu di tv a pagamento, su quale programma sportivo scegliere, ma qualcosa di più profondo, legato a prassi personali, a vissuti di famiglia, a scelte compiute e portate avanti in pienezza, per tempi lunghi e dunque digerite, assimilate e fatte proprie.

Il ciclismo non merita un affetto più grande, o migliore, o maggior rispetto. Per niente. Merita invece un affetto e una passione diversi. Dedicati in modo esclusivo. Chi lo ama lo amerà in un modo del tutto unico, perché legato a esperienze reali.

La condivisione profonda dell’esperienza bicicletta (meglio ancora dell’esperienza “gara in bicicletta”) consentirebbe agli osservatori di trattare l’argomento con un piglio diverso. Innanzitutto un tifoso praticante è uno che non crede alle favolette propinate da tutte le componenti del carrozzone (ciclisti, medici-preparatori, Gm, organizzatori e presidenti federali) e, soprattutto, è una persona che non può mai scadere nel tifo-contro, nell’insulto, nell’Ultraismo.
Un tifoso che insulta un ciclista (tifosi di Simoni a Belli…), che augura pubblicamente tutte le sfighe sportive a Cunego, che vive la gara nella sola funzione del proprio beniamino, pecca di un peccato che personalmente ritengo serio (serio fra virgolette, siamo sempre nell’ambito del tempo libero e del gioco, mi raccomando, nessuno si offenda!): manca di rispetto nei confronti della fatica, della passione, del talento e della vita di persone che, per essere campioni, si sottopongono a sacrifici e privazioni che durano tutta una gioventù.
Il ciclismo (ma in definitiva tutti gli sport individuali di endurance) è importante proprio per la qualità dell’esperienza di vita che chi lo pratica arriva a conquistarsi. Un bagaglio di consapevolezza di se stessi che si mette insieme con la fatica e con la dedizione. Valori che riecheggiano qualità umane che la nostra società (comoda, viziata, autoreferenziale, veloce, consumatrice e smemorata) tende a obliare.
Un ciclista che si danna la domenica mattina tentando di superare dei coetanei riprende le fila di un discorso che dura da millenni e che pesca dentro le categorie umane ancestrali (conquista di qualcosa, onore, competizione fra uguali, preparazione lunga e laboriosa per il conseguimento di frutti di là da venire) di ognuno di noi.
Riconoscere valore e applaudire, significa non lasciarsi coinvolgere, almeno nel piccolo frammento dello sport agonistico, nell’andazzo generalizzato che tutto consuma e dimentica nello spazio di una campagna di mercato.
Invece, il tifoso che “cerca emozioni”, adrenalina, spettacolo, è un tifoso estemporaneo, che potrà spostarsi sul Golf nel momento in cui, nel Golf, si presentasse un giovane campione pieno di appeal e magari con una storia avvincente alle spalle.
Il tifoso, ma vorrei dire appassionato, che amerei riconoscere sempre, non cerca emozioni. Sa già che le troverà. Sa già che troverà anche noia e abbrutimento (il ciclismo sa essere molto noioso), ma non se ne preoccuperà più di tanto, perché la condivisione sarà profonda.

Il tifoso di ciclismo non dovrebbe mai diventare come il tifoso di calcio, che fischia e insulta la propria squadra, rea di avere perso e di avergli, chissà come, sottratto qualcosa. Epperò questo è il prossimo passo cui mi aspetto di assistere. Il fan club presuppone un legame di tipo esclusivo, un patto, scellerato a mio avviso, ad oltranza. Io tifo per te e tu vinci. E se Cunego non avesse più ripreso a vincere? Cosa avrebbero fatto i suoi numerosi fan club?

Il tifoso (lo sportivo) del ciclismo non dovrebbe mai insultare sistematicamente l’avversario, come accade ogni domenica in ogni stadio o palazzetto, al solo scopo di indebolirlo. Dovrebbe applaudire tutti. Ma non per commiserazione, bensì per ammirazione consapevole e profonda.

Rimarcare la differenza col calcio è fondamentale. Tutte le componenti dovrebbero farlo, a partire dai tifosi. Non sono d’accordo con chi dice che i ciclisti dovrebbero sposare le veline per far affluire investimenti e interessi. Non credo che funzionerebbe.

A mio parere, il sostenitore di questo o quel campione, dovrebbe anche essere cosciente di essere parte di un meccanismo economico che lo sfrutta e lo rivende. Pubblicità, obsolescenza dei prodotti. Tutte realtà che si basano sulla necessità di creare sempre nuovi bisogni artificiali per continuare a incrementare le vendite. Nello sport agonistico, il tifoso, fa parte del meccanismo. Sia come attore (cosa sarebbe un Mortirolo senza gente per un produttore di telai in carbo-berrillio-titanizzato? Un pessimo spot) sia come consumatore.

Buona parte di questo mio attacco al “tifo” da ciclismo, viene da cose lette in questo forum.
Cose nelle quali non mi riconosco e rispetto alle quali vorrei delle spiegazioni.

Non mi riconosco, nonostante io, come tutti, abbia preferenze, simpatie e veri e propri innamoramenti. La grinta di Cunego, la forza della natura di Boonen, (oh, Tommy, su quel velodromo, ah…), la tribolazione di Evans, l’incompiutezza di Gilbert, la cattiveria di McEwen, l’eleganza di Ballan e lui, infine lui, l’ottava meraviglia del mondo, fratello del più vecchio Franck, e che deve solo cominciare a vincere per rubarmi il cuore per sempre….
Insomma, sarà che sono molti a conquistarmi, sarà che in ognuno rivedo quel pezzettino di me che non è stato mai abbastanza per essere campione.
La cosa che veramente non capisco è come non ci possa entusiasmare anche per gli avversi, gli antipatici.

A Liegi poco tempo fa, ho carezzato per lunghi minuti la speranza che Andy Schleck potesse vincere la sua prima grande classica. Una corsa magistrale, un godimento, un emozione potrei dire. Il mio preferito, davanti, solo…poi, finiscono le gambe e viene risucchiato. Un tifoso-tifoso avrebbe spento la tv. Io, dopo un momento di delusione, mi sono trovato ad ammirare la magistrale gestione del finale di Alejandro Valverde. Pochi corridori mi sono invisi quanto Valverde, per molti motivi. Però, che grande esibizione di forza, tattica e istinto vincente. Che grande vittoria! Stavo di nuovo godendomi grande ciclismo.

È indubbio che un luogo come Cicloweb (e altri, probabilmente) sia un contesto di diffusione e alfabetizzazione importante e generoso di spunti. Ed è proprio per il riconoscimento che gli concedo che mi spiace vedere manifestazioni tanto palesi di antisportività.
Il tifo contro non è una faccia della medaglia della sportività. Il tifo contro è semplicemente antisportivo, non porta a nulla di positivo. Non c’è alcun elemento di crescita. Odioso per chi lo deve subire e probabilmente fastidioso per chi lo sente fatto a proprio vantaggio (che Basso sia contento di leggere striscioni anti-Cunego? Mah, non credo.) Ammetto che ai sentimenti non si possa comandare, ma sono, secondo me, impulsi che andrebbero vissuti privatamente.
Le ragioni per non far attecchire il tifo-contro nel ciclismo sono molteplici, ma vorrei analizzarne alcune puramente razionali, per non inficiare tutto con l’evidente tono moralistico di questo mio intervento.
Il tifo-contro è una manifestazione tipica degli sport di squadra o degli sport in cui concorrono solo due partecipanti per volta (es. il pugilato). La scena tipo è: luogo chiuso all’interno di una città, la squadra di casa affronta una (UNA) squadra ospite che proviene da un’altra città, il pubblico è residente per la maggior parte nella città stessa.
In questa scena si capisce bene che ci sono molti elementi che possono indurre gli spettatori a tifare contro la squadra ospite:

1. L’avversario della squadra di casa è uno solo: la squadra ospite, e infatti si usano termini come “affrontare”, “opposto a”, “contro”,(Cincinnati Vs. Boston). Vincere è sinonimo di sconfitta dell’avversario in campo e solo di quello. Non così nel ciclismo, dove la sconfitta di Simoni, non significa automaticamente vittoria per Cunego (es. Giro 2007). Nel ciclismo, gli avversari sono molti, i vincitori possibili (per quanto non possano essere tutti i concorrenti) sono assolutamente più di due! Teoricamente, chi tifa contro dovrebbe tifare contro tutti quelli che non sono il proprio beniamino….ma allora sarebbe più semplice tifare-pro e basta.
2. Elemento territorialità: la squadra ospite “invade” un terreno percepito come proprio dal pubblico. È la metafora della guerra, delle occupazioni straniere. Anche qui ci sono termini molto usati che chiariscono questo aspetto: “espugnare il campo di San Siro”, “squadra corsara” Questo non avviene nel ciclismo in linea, che si svolge in contesti praticamente neutri, anzi, che attraversa luoghi diversi.
3. Elemento campanilismo: può esistere, negli sport di squadra, una rivalità legata a fatti storici, ad antipatie collettive di una città verso l’altra (Pisa Vs. Livorno, Paesi Bassi Vs. Germania). In questo caso è comprensibile, anzi giustificato un accanimento verso l’avversario che rappresenta la nazione che ha invaso mezza Europa, o la città che ha rovinato i commerci per secoli, o il paese che usurpa i diritti comunitari sul bosco ceduo da generazioni. Insomma, tutta roba che nel ciclismo esiste poco o nulla. Può esserci l’antipatia verso gli italiani, verso i valloni, ma meno verso il singolo corridore, che corre fondamentalmente rappresentando se stesso, lo sponsor, la nazione per cui è tesserato. Insomma, così tanti elementi che frammentano l’eventuale antipatia per un carattere isolato.
4. Negli sport di squadra, c’è sempre un terzo elemento rappresentato dal giudice arbitro. Quello che fa rispettare le regole e che, con piccole variazioni di giudizio, può influire in modo sostanziale sul risultato della partita. Questo avviene anche nel Tennis, nel Pugilato e negli sport in cui la classifica si stila sulla base di punteggi attribuiti da una giuria. L’impressione di sentirsi oggetto di una ingiustizia è un fatto molto probabile e la reazione sarà quella di prendersela, oltre che con l’arbitro, con la squadra che beneficia dell’errore di giudizio. Tutto questo nel ciclismo non esiste se non in parte minoritaria. L’unico modo per una giuria di modificare un risultato è quello di squalificare un partecipante durante o dopo la gara. Si tratta di eventi molto rari e, normalmente, una squalifica arriva dopo una infrazione grave ed accertata (ok, scatenatevi pure con il tour 2006, Basso, Ullrich e il cane Birillo…uffa.). Nel caso di regolamenti (tipo abbuoni in una corsa a tappe), o accordi pregressi fra i partecipanti (tipo codice etico) non si può parlare di ingiustizia palese, perché tali regole/accordi erano appunto pregressi e, per quanto assurdi (Saronni vinse un Giro grazie agli abbuoni) sottoscritti e condivisi dai partecipanti.

Per concludere, dopo questa botta di logica consequenziale, lasciatemi raccontare l’ennesimo episodio privato. Usciamo dal ciclismo, giacchè una delle premesse per un tifo che considero “sano” è quella di mantenere un altrettanto “sano” distacco dalle passioni, anche quelle più profonde.

Qualche settimana fa ho accompagnato mia moglie a Montecatini Terme a vedere i campionati italiani di pattinaggio su rotelle, specialità a squadre. Caricata la bambina, zainetto stipato di: acqua, panini, matite, fogli da disegno e via, tutto il giorno a vedere numeri, costumi, coreografie, molti dei quali ripetitivi. Roberta ama tutto questo, sa che si annoierà per buona parte della giornata, ma sa anche che tre o quattro numeri saranno straordinari, nuovi, abbacinanti. Le piace, è il suo mondo, è stata una atleta (anche piuttosto forte, ahime!), ha pattinato, insegnato pattinaggio e pattina (meno) ancora oggi. I presenti erano, in qualche modo, tutti direttamente coinvolti. Parenti, fidanzati, istruttori, appassionati come Roberta. Ho sentito solo applausi. Una meraviglia.
La solita isteria collettiva delle ragazzine del pattinaggio, ma, una volta assorbito l’eccesso di decibel, tutto bene.
Verso la fine le squadre più forti: le esibizioni salgono di livello e i punteggi pure. Qualche svarione nei voti viene salutato con un “ma va in mona!” indirizzato a mezza voce da un genitore sanguigno ( e veneto, tutti veneti i più forti a rotelle), al giudice esausto per la giornata passata a stimare pattinatori.
Alla fine la meraviglia. Entrano in pista una ventina di giovani in costume da Pinocchio. Sono la squadra (mi sembra) di Trìssino. Il costume è bellissimo, la postura è convinta, precisa, solidissima. Parte la musica e si capisce subito che il numero sarà da urlo. Il pubblico si lascia trascinare dall’esibizione, è un momento magico.
Straordinari i Pinocchi: li ho visti esprimersi in una prestazione mozzafiato, raccogliere un punteggio superlativo (DIECI sfiorati!), andare in testa alla classifica, salire sulle tribune febbricitanti di emozione, tutti vestiti da Pinocchio che si abbracciavano, lacrime agli occhi, con amici e parenti…
….dopo un minuto iniziava il numero degli avversari principali, gli unici che potessero batterli. I ragazzi di Trìssino hanno seguito la performance di Breganze dapprima in silenzio, attenti. Poi sempre più sciolti, coinvolti come spettatori-tifosi, ballando, imitando i passi degli avversari, applaudendo a tempo durante il ritornello ritmato del brano musicale, (Pinocchi sinceri s’intende!), godendo della straordinaria bravura di quelli che (era evidente, lo show di Breganze – “Joker” - toglieva il fiato!) stavano strappando loro (DIECI pieni!) il campionato nazionale! Roba da brivido.

Atleti, sportivi, tifosi.
Ecco lo sport.

Non mi sfugge che i caratteri di “esibizione” e FUN di questa disciplina favoriscono un atteggiamento di questo tipo, di grande comunione “artistica” fra avversari. Cosa impossibile nel ciclismo. Che però mette in comune altre categorie (la fatica, il percorso condiviso) che devono “unire” atleti e sostenitori.
Forse, me ne accorgo del tutto solo adesso, quello che volevo dire è tutto qui.
Lo sport è innanzi tutto attività, esercizio, lavoro su se stessi. La pratica, (e/o la frequentazione, e/o lo studio assiduo) portano con se competenza e cultura sportiva. Lo sportivo che si trasforma in appassionato, può tifare serenamente per chi preferisce. L’estremismo, l’ultràismo, la faziosità ottusa non saranno mai un suo problema. Non gli verrà nessuna voglia di fondare un fan club, a meno che non si tratti del cugino, del compagno di classe o del vicino di casa..
Personalmente, non ho nessuna voglia di aver a che fare con i “tifosi-tifosi”senza speranza. Il confronto non mi interessa, non mi porta a nulla di costruttivo. L’unica cosa bella potrebbe essere lo sfottò, il clima da bar sport. Godere della sconfitta di Caio per poter “infierire” sul tifoso di Caio il giorno dopo facendosi grasse risate. Il che presuppone un fondo di amicizia con tifoso “avverso”.
Ma questo non avviene con l’ultrà. L’ultrà ti molla una randellata se lo prendi in giro. L’ultrà ti insulta a gran voce (o a tastiera spianata) come uno Sgarbi bavoso e cocainato. L’ultrà non risponde allo scherzo argomentando, oppure attendendo giorni migliori per prendersi una rivincita ridanciana. L’ultrà non riconosce ne le sconfitte, ne i meriti dell’avversario, gli manca cultura umana e sportiva per farlo.
Non c’è alcuna idea dietro un tifoso ultrà, nessun pensiero autonomo, c’è solo la reiterazione scadente di slogan dealfabetizzati. In caso di vittoria gli slogan si ripetono, in caso di sconfitta si aggredisce (a parole o nei fatti) l’avversario, o l’arbitro, o il tifoso dell’avversario, addirittura si aggredisce il proprio beniamino, reo di avere tradito chissà quale patto di sangue.
Lo sportivo-tifoso viene dallo sport stesso. La sua presenza come spettatore è un elemento di crescita.
Il tifoso-tifoso viene da contesti mediati rispetto alla disciplina (tv, stadio, bar sport). Non è interessato alla disciplina stessa, ma alla fenomenologia della vittoria a tutti i costi e alla costituzione di un “branco” di altri tifosi, inteso come gruppo solidale solo a se stesso. La sua presenza porta solo una crescita economica ad alcuni attori della scena, non una crescita sociale, non culturale, non sportiva.

Atleti, sportivi, appassionati, supporters.
Questi attori sono la parte sana e progettuale dell’insieme sport agonistico. Il resto, per conto mio, reca più danni che benefici.

E allora per il ciclismo, finchè siamo in tempo, è forse meglio accantonare, o usare con parsimonia, il termine “tifoso”, che poi non è nemmeno bello da sentire.
Belli ciao.
Claudio

 

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Livello Marco Pantani
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  postato il 17/05/2008 alle 01:18
Francamente mi pare un’esibizione argomentativa degna di miglior causa.
Non ti piace il tifo? E allora?
A me non piace il peperoncino non è che mi metto a fare la storia del peperoncino per dimostrare quanti buoni argomenti ci siano per non apprezzare il suo sapore piccante.
A me il tifo piace ( non quello feroce e con violenza fine a se stessa negli stadi), mi piace il tifo come passione, come emotività, mi piace essere sempre “ di parte”. Non mi diverto fino in fondo a vedere una corsa se non tifo.
E allora?
Se un corridore mi è antipatico tifo contro. Cioè voglio che perda, mica altro. L’antipatia è un sentimento umano, fa parte della vita.
Mi ritrovo negli articoli di Michele Serra sul tifo.
Ricordo gli anni del tifo per Pantani come anni meravigliosi, tutta la preparazione, l’organizzazione della giornata per vedere la corsa, la ricerca del puntino giallo in mezzo al gruppo, lo scatto perpetuo e quella marea che saliva dentro. Il filosofico scatto.
E allora? Che mi vuoi dire che sbagliavo? Che era il segno di un abbassamento del livello di competenza del tifoso? E allora? Che sbaglio meraviglioso!
Ci si avvicina al ciclismo per tante vie, la mia è stata quella non della competenza ma del trascinamento di un padre ingegnere razionalissimo e tifosissimo di Gimondi. Razionalissimo e tifosissimo, un ossimoro che può essere fecondo.
Ma mai ciechi, quando, nel 1969, Merckx fu squalificato io, contentissima dodicenne dissi che finalmente si capiva perché vincesse. Mio padre mi disse: Guarda, Merckx l’hanno fregato e Gimondi non è meno dopato di Merckx ma a noi piace Gimondi.
Tifosa ma non cieca,non ottusa , portare nel tifo i riferimenti culturali della mia vita, analizzare la vicenda Pantani con la stessa acribia con cui mi dedicherei a un dialogo di Platone.
E allora? De gustibus…….
I tuoi sono “brevi cenni sull’universo” scritti nell’acqua: chi è tifoso resta tifoso e si muove all’interno di un orizzonte di senso, chi non lo è non lo diventerà e avrà un proprio ,diverso orizzonte di senso. E non c’è argomento che tenga per modificare le cose.
L'atarassia del non tifoso magari può sembrare più saggia ma, parafrasando un haiku di Kobayashi Issa, " eppure, eppure......"

 

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"E' tutto alla conoscenza di tutti" Marco Pantani,1997 ( tempi non sospetti),parlando di doping in un'intervista televisiva con Gianni Minà.

Non sono a favore del doping. Sono semplicemente contro l'antidoping.

Hypocrisy free.

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Livello Marco Pantani
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  postato il 17/05/2008 alle 10:05
Come al solito poi ripenso alle cose.
Io non lo so quanti anni tu abbia, ma ti ricordo che, nei bei tempi andati, quando secondo te il tifo era fatto di intenditori, Gimondi faceva pubblicità ( televisiva e sui giornali) alla Facis ( allora famosissima azienda di abiti per uomo, adesso non so se esiste ancora),Adorni presentava un quiz televisivo e lo stesso Gimondi partecipava a varie trasmissioni televisive fra cui Canzonissima, cantando con Rita Pavone.
E il tifoso di Merckx era anche uno come Pasolini che ne scriveva non da intenditore ma estasiato dalla macchina, dalla pura potenza,dal dio superiore e varie altre estasi letterarie.
Allora c'erano due canali televisivi, non c'era internet eppure le potenzialità di mercato di gente come Gimondi venivano sfruttate tutte.
Esattamente come per Pantani, solo che, intanto, la tecnica si declinava in modo diverso e,quini, le televisioni erano diventate , per esempio, mille e mille i programmi cui invitarlo.
Quanto al pietismo, non so se hai presente la scena di Merckx sul letto, piangente e circondato da tutto l'ambiente ciclistico. Certo, poi i canali erano due e le trasmissioni alle 23 finivano per cui la risonanza era inferiore alla discesa delle scale di campiglio o alle trasmissioni a reti unificate in morte di Pantani.
ma non dipende dal fatto che i tempi erano migliori, dipende dalla diversità dei mezzi a disposizione.
Come non esiste il buon doping andato ( quello del passato), non esiste il buon tifo o il buono sfruttamento di mercato del passato.
E' il modo in cui la scienza e la tecnica si declinano nel loro sviluppo a cambiare le cose ms in ogni epoca si fa sempre tutto quello che è possibile fare.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 17/05/2008 alle 10:42
Il tifo è un argomento molto difficile da analizzare per vari motivi:
1 credo che il tifo e la passione siano l'anima degli sports e senza non saprei proprio come potrebbero essere
2 a differenza di altri sports (come il calcio) tifare contro una squadra significa far vincere la squadra avversaria, nel ciclismo si tifa contro un ciclista ma quello che vince deve battere tutti e non solo quello contro cui si hanno le antipatie.
Io credo che il tifo fazioso sia una componente positivo del ciclismo purchè non sia aprioristica e scorretta. E' evidente anche che ai giornali piace alimentare contrapposizioni fra due ciclisti come ai tempi di Saronni e Moser. Da allora si è cercato di alimentarne delle altre, Bugno vs Chiappucci, Armstrong vs Ullrich, Gotti vs Pantani ed altre ancora ma spesso si sono dissolte. E' così anche perchè gli obiettivi sono molti e spesso non si corre nemmeno contro, poi i ciclisti fra loroi si vogliono bene molto di più di quello che noi crediamo.
Io sono stato tifoso di Bugno (e come si poteva non esserelo) e odiavo Chiappucci per lo scarso profilo con cui correva le corse e attaccava gli altri italiani e ho goduto quando Argentin gli ha mollato un pugno dopo l'arrivo di un circuito perchè lo stava facendo cadere, però avrei senz'altro preferito che ad Agrigento avesse vinto lui e non Leblanc. Io mi innamorai di Armstrong quando vinse il mondiale di Oslo nel 1993 e quando vinse al tour e dedicò la tappa a Casartelli, e mi è piaciuto quando ha cominciato a vincere Tour uno dopo l'altro, ma il suo modo di fare cannibalismo e e di essere "yankee" non erano paragonabili alla classe e allo charme che aveva Indurain.
Insomma io credo che il ciclismo va tifato come meglio uno crede, inoltre essendo il pubblico del ciclismo mediamente più garbato ed intelligente di quello di altri sports, va dato merito a noi che abbiamo questa passione senza picchiarci, senza invadere il campo (cioè le strade).
Se poi a furia di vedere il ciclismo a volte nel nostro cuore e nella nostra testa si maturano delle incontrollabili antipatie (e vi assicuro che in questo giro a me ne stanno maturando un paio...) che ben vengano.

 

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FANTACICLISMO 2008 Campione Olimpico in linea - S. Sebastian - Parigi Bruxelles - Vincitore classifica generale grandi giri (10° Giro - 10° Tour - 4° Vuelta) 1 tappa al Tour - 4 tappe alla Vuelta 9° classifica finale.
FANTACICLISMO 2009 Liegi-Bastogne-Liegi 2° classifica finale Giro d'Italia - 2 tappe - 1 giorno in maglia rosa - Best Belgio - 5° classifica finale

66 punti (nel 2008) + 115 punti (nel 2009) di vantaggio su Frejus: la mia nemesi!

 
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Livello Marco Pantani




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  postato il 17/05/2008 alle 22:09
Mi interessava solo ragionare sull'argomento.
Rimango dell'idea che chi proviene dallo sport praticato non diventa un tifoso-fazioso.
Rimango dell'idea che il tifo contro e l'ultraismo non siano un fattore di crescita.
Poi, per carità, bravissime persone ci si possono divertire ed esserne felici per una vita. Benissimo.

Ho tentato di sviluppare argomenti contro il tifo contro nel ciclismo, perchè lo ritengo un fenomeno più aderente agli sport UNOcontroUNO.

Poi, non mi sembra di aver detto che il tifo non fazioso sia imperturbabile. Anzi, può essere vivace ed emozionante.
é proprio vero, ognuno ha i propri orizzonti.

ciao
cla

 

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  postato il 18/05/2008 alle 01:19
Caro Claudio sospetto che sia gia' troppo tardi. E non ne sono per
niente contento. Provo a dare il mio contributo per capire cio'
che hai evidenziato.
Forse questo bisogno di schierarsi sempre ha a che fare con la
dicotomia del mondo occidentale, non sono sicuro, non sono un sociologo.
Mi hanno sempre nauseato frasi come "o con me o contro di me" e mi
ha sempre lasciato indifferente l'alleanza (anche se solo intellettuale)
al grande pensatore o potente di turno; ed oggi il fatto che
anche lo sport stia diventando vittima di questa
tendenza mi rattrista.
Il concetto di Tregua Olimpica e' ormai cosi' obsoleto da vedere
l'evento Sportivo per eccelleza strumentalizzato da ideologie (di cui
non voglio discuterne le ragioni) basate sulla contrapposizione
di schieramenti.
Io non credo che questi atteggiamenti siano figli del "Uno contro uno"
e non lo credo perche' seguendo il rugby so che li' non succede.
Ci sono due squadre legate ad un territorio ben preciso.
Ci sono vecchie ruggini (gli scozzesi dicevano che giocare a Rugby
era un modo per menare gli inglesi senza finire in prigione).
E c'e' un arbitro.

Eppure non succede niente di cio' che capita nel calcio:
c'e' rispetto verso gli altri e verso l'arbitro, anche quando
sbaglia. C'e' un atteggiamento molto simile a quello dei
pattinatori che hai descritto.
Faccio due esempi: la nazionale Irlandese di rugby e' una; ovvero
la squadra rappresenta sia l'EIRE che la republica irlandese.
Alla faccia dell'IRA e di quelli che continuano a considerare
l'isola come riserva di caccia del proprio re.
Ed alla faccia dei rispettivi passaporti.
Il secondo esempio e' personale: ero allo stadio con amici curiosi
di vedere una cosa diversa dal calcio della domenica.
Si giocava con l'argentina (con! nel rugby non si dice contro!) e gli
amici erano perplessi di avere nella fila davanti molti sudamericani.
All'inizio del primo inno io mi sono alzato (come quasi tutto lo
stadio) e loro mi hanno preso per un braccio avvertendomi che
quello era l'inno argentino.La mia risposta:
"lo so, ma questo e' il Rugby" li ha fatti alzare, chiedendo pure scusa.

Questo per cosa dire? Per dire che io non credo alle ragioni storico-culturali ma solo alla cultura, nel senso di "pensare comune".
Cultura fatta dai media che ci bombardano di concetti che noi
tendiamo a classificare in modo positivo o negativo (ma guarda
un po' ancora la dicotomia!) per cui troviamo persone che non
possono fare a meno di schierarsi con o contro e che selezionano
tutto (anche cio' che sto scrivendo) in uno dei 2 classificatori
che possiedono "a favore" o "contro".

Dove sta il problema? Sta in questo secondo classificatore. Sta
nell'etichetta che c'e' scritta sopra:"contro" e che autorizza
a gufare per chi ha avuto la sfiga di finirci dentro.
Magari per colpa di qualche marchettaro senza scrupoli.

Ed il triste e' che mi(ci) tocca leggere che alcuni hanno
bisogno di questo classificatore (continuo con la metafora, scusa)
perche' altrimenti perderebbero il 50% del divertimento.
Avranno ragione loro? puo' darsi ma io mi diverto molto anche
senza godere dei (per ora) mancati successi del Killer
(che notoriamente non mi e' simpatico ma se vince chapeau!).

 

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"Non esistono montagne impossibili, esistono uomini che non sono capaci di salirle", Cesare Maestri

"Non chiederci la parola che mondi possa aprirti, si` qualche storta sillaba e secca come un ramo...
codesto solo oggi possiamo dirti: cio` che non siamo, cio` che non vogliamo.", Eugenio Montale.

 
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Livello Marco Pantani




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  postato il 18/05/2008 alle 09:43
Caro Dance,

qualche giorno fa leggevo un articolo dal titolo: "The subprime market and international higher education" pubblicato sulla rivista del Boston college center for international higher education. Ebbene, in quell'articolo ho trovato una discussione della parte di irrazionalità, di follia, per non parlare degli interessi più o meno inconfessabili, che si nascondono dietro l'attuale corsa verso l'internazionalizzazione dell'insegnamento universitario. Vi ho trovato, ben scritte e ben argomentate, cose che pensavo anch'io e la cosa mi ha fatto indubbio piacere.

Cosa c'entra quanto sopra? Beh, quello che hai scritto tu mi ha fatto, più o meno, lo stesso effetto. Fra l'altro, a me sembra che quanto da te scritto vada al di là della semplice questione del tifo. E' la nozione di sport e il modo di viverlo che é in gioco, e questo sia che dello sport si sia attori, sia che si sia semplici spettatori.

Spiega,fra l'altro, e sempre seconde me, perché, quando si é in una certa ottica, non si può fare a meno di considerare che "il giocattolo é rotto", una discussione che si faceva qualche giorno fa.

Ciao

 

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E' la guerra che Madre Natura conduce contro la natura dell'uomo. Sarà una guerra senza quartiere, e sarà la grande guerra del XXI secolo

Ascoltato alla alla radio il 25/10/2007 a commento degli incendi che stavano devastando la California.

 
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Livello Marco Pantani
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  postato il 18/05/2008 alle 12:27
Claudiodance. La dialettica significa rispondere accogliendo le antitesi proposte dagli altri per respingerle, non nella riproposizione pedissequa della tesi. Consiste in una sintesi che smentisca l’antitesi prendendone atto.
Tu ribadisci il già detto e va beh. Comunque anche quanto aggiungi può essere smentito. Conosco, nella mia non vasta conoscenza di gente che va in bicicletta, almeno 10 persone, cicloamatori che oggi sono alla Novecolli o gente che pedala per proprio conto, tutti tifosissimi e, all’occorrenza, tifosi contro.
Pedalando e Felice ( Felice mi pare ipertifoso no?poi il suo intervento è troppo criptico per me).
Certo se si assimila qualsiasi tifoso ai teppisti che mettono a ferro e fuoco gli stadi e gli autogrill, poi si può fare i buddisti zen, anzi ci sono anch’io, in questo caso, fra i buddisti zen.
Ma siccome il tifo è anche altro e ha una sua nobiltà che è generosità,emotività vissuta, costruzione mentale, passione positiva, ironia su stessi,confronto con la gioia e con il dolore, condivisione di passione e tante altre cose e la vita umana è fatta ANCHE di questo, semplicemente io constato che il tifo esiste che si predica in tanti modi.
Non è solo creazione del nemico a partire da un’identità.le generalizazioni non significano mai niente.
Non ho mai considerato nemico Ullrich ( anzi, mi è sempre stato simpatico, l’ho difeso nelle sue vicende ultime e non avrei mai voluto che gli togliessero il Tour 1997). Certo, mi auguravo che Pantani vincesse, tutto qua. Quando sono andata a vedere il Giro che passava dalle mie parti ( l’unica volta che ho visto Marco) ho applaudito Pantani, non fischiato o insultato nessuno.
Non ho mai considerato un nemico nemmeno Armstrong, anzi ho sempre detto che, ai miei occhi ,aveva il grande merito di risvegliare il senso agonistico di Pantani dandogli una ragione di vita ( sia pure sempre provvisoria). Ho sempre pensato che Armstrong avesse fatto un passo in più ma , come Pantani che non era un pusillanime, non ho mai detto che doveva essere cacciato, come Pantani ho sempre sperato di vedere un duello con Marco in buone condizioni, perché il vaso di coccio può vincere sul vaso di ferro se ha una condizione mentale superiore ( vedi Courchevel o Morzine).
Mi è sempre stato antipatico, invece, Simoni per le sue dichiarazioni o per i tifosi esagitati che aveva a seguirlo sulle montagne.
Non mi sono mai piaciuti né Saronni né Moser e tifavo contro.
Non sopporto Cunego e tifo contro.
E sempre quando tifo contro non è per l’identità con il mio beniamino vissuta come grido di battaglia ( da Gimondi, a Hinault a Indurain a Pantani, per questi ho tifato) , il tifo contro, per me, è sempre antipatia prima di tutto umana, per come sono, per quello che dicono, per il cinismo ecc. , ovviamente quello che mostrano pubblicamente.
Come si vede se parlo di tifo non dico “ i tifosi sono così”, dico “io sono tifosa e sono così”, se invece si identifica il tifoso con il minus habens che mette a ferro e fuoco la città e si fanno discorsi filosofici sul tifoso partendo da quello, è solo un esercizio retorico che non significa nulla.

 

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Livello Laurent Fignon




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  postato il 18/05/2008 alle 12:37
claudiodance, sono perfettamente d'accordo con te.

penso anche io che la bellezza del ciclismo, rispetto al calcio, risieda proprio nella propensione a non "tifare contro", ma a tifare, tendenzialmente, "per tutti", partendo dal presupposto che la fatica di chi pedala va sempre rispettata.

non mi piacciono i fenomeni di "ultraismo" nel ciclismo (tra l'altro mi sembra che un paio di anni fa fu aperto un topic su questo argomento) e spero che rimangano circoscritti a una minoranza di fanatici.

purtroppo i mass-media giocano molto su rivalità e polemiche fini a sé stesse per attirare l'interesse del grande pubblico. a me la cosa non piace molto, e apprezzo molto il fatto che in genere i corridori non raccolgano queste punzecchiature.

trovo paradossale che lo sport diventi un pretesto per "odiare" qualcuno. chi si fa coinvolgere in queste logiche, secondo me non fa altro che sfogare frustrazioni di tutt'altra natura nella passione sportiva.

 

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Nel mondo ci sono 10 tipi di persone: chi conosce il codice binario, e chi non lo conosce.

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 18/05/2008 alle 15:09
Ciao Claudio, complimenti il tuo lavoro è stato notevole. Io non voglio il tifo da stadio nel ciclismo e spero che sparisca presto anche quel poco che c'è.
Per il resto, tifo perchè emozionarmi e soffrire fa parte della mia essenza, anche senza Basso in corsa so trovare un beniamino, Cunego sullo Zoncolan aveva tutto il mio sostegno, nonostante fosse fuori dalla vittoria di tappa.
Non pensavo a tifare contro Simoni, la trovavo un'emozione negativa e quindi inutile, invece riversavo tutta la mia passione per Damiano che mi colpiva per la fatica che provava e che sapeva trasmettermi.
Come quest'anno tra i tanti che possono vincere e se lo meritano tutti, mi piacerebbe vedere vincere Di Luca, senza cattiveria verso gli altri, s'intende, c'è tifo, amore, sostengo e passione per tutti, nessuno escluso, perchè tutti fanno una fatica boia e tutti meritano un applauso e un "bravo!!! non mollare" ed è quello che dirò martedì, non vedo l'ora.

Poi... il guaio e il bene di uno sport è avere un proprio elemento che rompe i confini della disciplina e va oltre, conquistando le masse, nessuno che capisca niente di quello che fa, ma deve vincere perchè lo tifo io e dopo posso vantarmene con gli altri. Quella è competitività repressa? Invidia? Frustrazione? Non lo so, ma non è positiva, soprattutto se è accompagnata da rabbia e aggressione.

Ciao Claudio, sei sempre il migliore quando racconti

 

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Michela
"Stiamo Insieme, Vinciamo Insieme - Ivan Basso"


Vita in te ci credo le nebbie si diradano e oramai ti vedo non è stato facile uscire da un passato che mi ha lavato l'anima fino quasi a renderla un po' sdrucita. Anche gli angeli capita a volte sai si sporcano ma la sofferenza tocca il limite e cosi cancella tutto e rinasce un fiore sopra un fatto brutto



http://www.adidax.com/
resisterai 5 minuti senza sport?

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 18/05/2008 alle 15:23
Claudio, analisi bellissima. L'ho letta con avidità. Attendo i tuoi scritti!

 

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...E' il giudizio che c'indebolisce.

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 18/05/2008 alle 22:26
E' bello vedere delinearsi questa specie di fenomenologia del tifo, ovvero leggere le diverse percezioni di sè come tifosi nel tentativo di farne emergere un quadro che abbia una validità universale. Si sentono vibrare le passioni dell'animo umano, con tutto il calore che viene da ciò che ciascuno ritiene nel suo intimo, come il proprio più proprio. Da qui vengono le simpatie e le antipatie e attraverso di esse si apre una potente via per l'espressione di una parte di sè, quando spesso alle stesse persone che fanno il tifo mancano altre parole per portare fuori dal cuore ciò che vi è dentro. Purtroppo oggi per molti questo è forse l'unico modo. Ma in sè mi pare importante.
Quello che non amo è quando il tifo, finita la competizione si trascrive nelle forme del commento sull'avvenimento sportivo. E non voglio parlare dei vari fogli stampati dalla tifoseria di questa o quella squadra. Mi riferisco al modo più generale in cui il tifo intesse delle sue logiche i discorsi successivi all'avvenimento: l'ottica del successo.
Ovvero quella fastidiosa rilettura a posteriori di ciò che avviene della competizione nell'ottica del successo. Lo sport è divertente proprio perchè vi entrano in gioco molti fattori del tutto fortuiti, non escluso il ciclismo. La "giornata" che ha l'atleta è spesso determinante. Avere la giornata giusta nella tappa giusta può essere decisivo. E la giornata giusta è nient'altro che aver dormito bene, mangiato nulla che possa dare il minimo fastidio, trovato le condizioni atmosferiche giuste, ecc. ecc. Tutte cose che possono accadere oppure no. La buona preparazione e la classe fanno certo il 90%, ma poi ci sono anche altre cose, ed è in questo che ne va del divertimento, lo sport, appunto, si vince o si perde. Così come nel calcio che la palla si infili nell'angolo o vada sul palo non è esattamente preciso calcolo dell'attaccante... però in una specie di pan-calvinismo è sempre chi vince a ristrutturare a posteriori ogni discorso sportivo. Questo è l'effetto secondo me più deleterio del tifo, quello che ci stanno facendo bere a dosi massicce a tutto vantaggio di chi vuole che la competitività diventi il pane quotidiano di un mondo sempre meno umano.

 

[Modificato il 18/05/2008 alle 22:35 by elisamorbidona]


 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 19/05/2008 alle 09:50
ioo non vedo niente di sbagliato a tifare contro...che male c'è se uno come nel caso mio non vuole vedere cunego vincere??? spero che non vinca, fora cose così....ma che mi metto ad augurare brutte cose come cadute oppure cose al dilà dell'ambito sportivo questo no...infatti quando c'è una corsa dove c'è presente gibo cerco il + delle volte d non rispondere subito, perchè preso dall'emozione della corsa e da quant'altro potrei dire molte castronerie.

 

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Il mio nome è Roberto che fa rima (guarda un pò che caso) con Gilberto

30 maggio 2007 ultima vittoria al giro sullo Zoncolan. 30 Maggio 2010 la fine di un lungo sogno duranto 15 anni fatto di tante gioie e tante delusioni, grazie di tutto Gibo!



 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 19/05/2008 alle 10:08
Anch'io concordo sull'importanza di un ciclismo - auspicherei lo sport intero - in cui non esista il tifo "contro" ma solo il tifo "per".
Claudio ha fatto bene a aprire questa discussione (anche se sei stato un tantino prolisso).
Ritengo che il tifo contro nel ciclismo sia sempre stato minoritario (più o meno) rispetto al tifo per.
Vorrei però spezzare una lancia (non assolutoria ma giustificativa) del tifo contro.
Il ciclismo e la strada sono la grande parabola della vita. Logico quindi che ci si appassioni in maniera calda ai suoi protagonisti. In questo contesto lo sposare completamente la causa di un atleta, al punto da contestare apertamente le performance del suo avversario ha una sua logica del tutto intrinseca all'inclinazione umana. Il campione del ciclismo rappresenta per il tifoso (quello genuino, l'appassionato, non quello proveniente dagli stadi), in qualche modo, un suo modo di essere, di vivere la vita, di pensare se stesso in rapporto agli altri. Questa identificazione può portare ad una negazione forte dell'avversario, che può apparire disdicevole (e la è!) ma che a mio avviso giustifica quella dose più o meno ampia di tifo contro che pervade il nostro sport.

Facciamo un esempio. Prendiamo l'ultima rivalità del ciclismo italiano, spezzata sul nascere dagli eventi, ma della quale si è discusso a lungo nei nostri thread: il dualismo Basso - Cunego.
Cosa rappresentano questi due atleti per l'uomo di strada che consciamente o inconsciamente riconosce nel ciclismo la grande parabola della vita?
Cunego rappresenta il vincente, il predestinato, il talentuoso: inizia a correre a 16 anni e a 19 è già campione del mondo juniores. A 22 anni vince Giro e Lombardia.
Basso rappresenta il successo dei meritevoli, di chi si dà da fare: inizia a correre a 7 anni, bravo under 23 (campione del mondo), ma con tanti limiti: è un disastro in discesa, è penoso allo sprint, in salita va forte ma non ha scatto, a crono è così e così. Da prof non è un vincente ma cresce piano piano prendendo tante facciate e sottoponendosi ad una vita di sacrifici che lo portano a risultati importanti.
Cunego è un loquace, che non nasconde le sue idee politiche, che in corsa non esita a sgomitare allo sprint con la maglia iridata Astarloa (ricordate Larciano?), che si pettina trendy e ascolta i maledetti Doors. Il modello del successo e dell'immagine come lo intendono molti ai nostri giorni.
Basso è taciturno, non sgomita, ascolta Mango e mette su famiglia presto. E' spelacchiato in testa e in testa ai suoi valori ci sono la mamma malata prima e i due figlioletti poi. Non si lancia in dichiarazioni avventate. E' il modello della concretezza, dell'autorealizzazione, della caparbietà di chi parte da zero.
Insomma, due campioni che rappresentano due modi di interpretare la vita. E c'è da stupirci se chi aderisce ad uno dei due stili di vita, per motivi legati alla propria vicenda umana, sotto sotto detesti chi incarna l'altro modello, quello alternativo?
E' sempre stato così. Coppi e Bartali (il trasgressivo e il pio devoto nell'Italia che inizia a interrogarsi sull'adeguatezza dei suoi costumi al tempo che stava vivendo), Gimondi e Merckx (il mite italiano di provincia, valori concreti come il lavoro e la famiglia, e il fiammingo ambizioso e affamato di vittorie), Moser e Saronni (il contadino concreto e duro domatore del pavè contro il raffinato e borghese brianzolo, negli anni '80 della grande trasformazione sociale). E poi Bugno/Chiappucci, domani forse Riccò contro Nibali.

Insomma i campioni del ciclismo rappresentano, incarnano un pò di noi, della nostra vita, della nostra storia. Logico aspettarsi le divisioni (talvolta eccessivamente pompate dalla stampa) e un poco di tifo contro.
Che fortunatamente, tranne in rari casi (i cori e gli sputi ai tempi di Moser e Saronni, o gli insulti dei tifosi di Simoni a Belli, mai condannati dal trentino), continua ad essere genuinamente sportivo.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 19/05/2008 alle 10:12
Quoto tutto, Davide.
Solo sul Saronni "raffinato e borghese" avrei qualche dubbio.
Discretamente benestante sì, raffinato e borghese non so.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 19/05/2008 alle 10:52
Per come la vedo io:

1) Le parole "ultrà" e "ciclismo" nella stessa frase è un errore da matita rossa.

2) Esiste un tifo sano, fatto da appassionati, che si esaltano alle vittorie di chi interpreta al meglio il proprio vivere il ciclismo, e credo che se un corridore suscita antipatia per il suo modo di porsi, sia fuori che in corsa, non credo che uno si possa sentire ultrà o fuori contesto se preferiva vincesse un altro.

3) Il ciclismo è sport, come ogni sport è competizione (al di là dell'unocontrouno), per quanto mi riguarda il discorso da affrontare è sulla "cultura della sconfitta".
Nel ciclismo, chi pratica e chi lo segue, a mio avviso, è anni luce avanti in tal senso rispetto agli altri sport (forse solo nel ugby esiste la stessa cultura, se non in misura addirittura maggiore).
Chi segue il ciclismo sa perdere sportivamente.
Non ci sono mai stati incidenti che hanno poi impedito di seguire le corse.
Non esistono strade chiuse per motivi di sicurezza.
Non esistono gruppi di tifosi lasciati a casa.

4) A mio avviso l'aver corso a livelli agonistici (o, in generale aver fatto sport a livello agonistico) non implica sempre che ci sia equilibrio nel valutare le situazioni e interventi faziosi e lontano dall'essere sportivi li fanno spesso e volentieri quelli che dovrebbero essere professionisti e perciò distanti dal mondo del tifo.

Insomma, per farla breve, non è generalizzando e mettere tutto in un calderone che, a mio avviso, si riesce a capire meglio il fenomeno.
Tantomeno ghettizzare chi lo sport lo vive ANCHE in modo competitivo e prendendo posizione, ma sempre nei limiti.

Come ho scritto al punto primo, essere ultrà è tutto un altro modo di vivere la propria vita. E nel ciclismo ultrà non esistono 8nella peggiore accezione del termine).

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 19/05/2008 alle 11:49
Finchè nel ciclismo il tifo per questo o per quel corridore sarà corretto, pulito, sportivo non ci vedo nulla di male. Anzi penso che sia bello prendere parte alle rivalità che ci sono tra i campioni attuali. Non si deve dimenticare che 60 anni fa la rivalità Coppi - Bartali aveva diviso l'Italia in 2. Quelli erano gli anni in cui il ciclismo era lo sport più popolare d'Italia.

Viva il ciclismo, viva il tifo sportivo.

 
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Livello Marco Pantani




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  postato il 20/05/2008 alle 13:42
Originariamente inviato da Frank VDB
....
Insomma, due campioni che rappresentano due modi di interpretare la vita. E c'è da stupirci se chi aderisce ad uno dei due stili di vita, per motivi legati alla propria vicenda umana, sotto sotto detesti chi incarna l'altro modello, quello alternativo?
E' sempre stato così. Coppi e Bartali (il trasgressivo e il pio devoto nell'Italia che inizia a interrogarsi sull'adeguatezza dei suoi costumi al tempo che stava vivendo), Gimondi e Merckx (il mite italiano di provincia, valori concreti come il lavoro e la famiglia, e il fiammingo ambizioso e affamato di vittorie), Moser e Saronni (il contadino concreto e duro domatore del pavè contro il raffinato e borghese brianzolo, negli anni '80 della grande trasformazione sociale). E poi Bugno/Chiappucci, domani forse Riccò contro Nibali.

Insomma i campioni del ciclismo rappresentano, incarnano un pò di noi, della nostra vita, della nostra storia. Logico aspettarsi le divisioni (talvolta eccessivamente pompate dalla stampa) e un poco di tifo contro.
Che fortunatamente, tranne in rari casi (i cori e gli sputi ai tempi di Moser e Saronni, o gli insulti dei tifosi di Simoni a Belli, mai condannati dal trentino), continua ad essere genuinamente sportivo.


Ciao Frank,

hai ragione nel dire che spesso ai dualismi sportivi si sono abbinati anche differenze sul piano caratteriale, nello stile di vita, magari anche sul piano polititico (raramente direi...)

Personalmente però dubito che questo abbia influenzato molto il suddividersi dei tifosi attraverso un processo di identificazione. In fondo il campione lo si conosce prima per le sue imprese e solo poi, quando in qualche modo lo si é "adottato", ci si occupa di come possa essere come uomo. E se, facendo questo, lo si scopre differente da noi stessi non é che per questo lo rinneghiamo. A meno che non sorga un'antipatia profonda, ma questo é abbastanza raro direi...

Qualche esempio, tratto dalla mia esperienza personale. Partiamo dalla rivalità per antonomasia, Coppi-Bartali. Io teoricamente dovrei sentirmi "Coppiano" e invece, fin da quando ero bambino, chi mi faceva sognare più di ogni altro era Bartali. Quel perdere un Tour già vinto cadendo in un torrente (nel 37 o forse nel 36, non ricordo bene), quello spianare le Alpi e gli avversari nel Tour del 48, quelle lotte titaniche con Fausto Coppi, quei 5 anni persi la guerra... Bartali era democristiano, partito che io ho avversato da sempre. Non per questo ho rinnegato il mio beniamino.

Sono stato per Gimondi. Perché sia diventato suo tifoso non ricordo, ero bambino...
Ecco, con lui una qualche identificazione ci poteva pure stare. Ma con Saronni? Nel caso suo, mi ricordo la ragione per la quale lo adottai: si difendeva sulle salite e nei grandi giri (beh, piuttosto dovrei dire al Giro...) e, soprattutto era veloce. Mi ero stancato di vedere il mio beniamino perdere le corse in volata: con Saronni la musica cambiava. Insomma il Saronni uomo non c'entrava nulla e, a dire il vero, non ho neanche mai cercato di approfondire l'argomento: mi interesseva il lato sportivo e basta.

Insomma, é vero che spesso lo sportivo diviene un simbolo, un modello col quale eventuelmente ci si può identificare. Ma se questo non accade é uguale. O almeno questo é quanto sembra a me.

Ciao

 

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Livello Tour




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  postato il 20/05/2008 alle 13:47
Nel ciclismo non esiste odio tra gli avversari,al massimo sana rivalità o antipatia
 
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Livello Marco Pantani




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  postato il 20/05/2008 alle 14:13
Originariamente inviato da Donchisciotte

Pedalando e Felice ( Felice mi pare ipertifoso no?poi il suo intervento è troppo criptico per me).


Oh, se é solo per questo, posso regalarti uno scoop.

Ebbene sì, confesso: anch'io faccio il tifo "contro". Faccio il tifo contro il Milan. Non già perché il Milan in sé mi sia antipatico. Anzi, ho dei bellissimi ricordi delle delle sfide del Milan di Rivera con la "mia" Inter, quella di Mazzola. E poi il Milan ha sempre avuto dei grandissimi campioni, da Rivera a quel magnifico Van Basten...
E, ovviamente, nemmeno mi stanno antipatici i milanisti. Ma il Milan é di Berlusconi, é questo il guaio. E a suo tempo (adesso molto meno) é stato strumento dell'ascesa politica di quest'ultimo. Di qui la mia avversione. Quest'anno, visto come stavano andando le cose, speravo proprio che rimanessero fuori dalla Champions. Ora che la cosa é successa, mi accorgo che non ne ho tratto la minima soddisfazione. Sono molto più contento invece per la Fiorentina, una squadra che ho sempre avuto in simpatia.

Originariamente inviato da Donchisciotte
Ho sempre pensato che Armstrong avesse fatto un passo in più ...


Bene, bene: prima negavi, nel modo più assoluto, l'esistenza dei motoscafi. Poi hai ammesso che, beh, sì, pagando, motoscafi lo si diventa. Ora (ma questo lo avevi già detto, a dire il vero) dici che hai sempre pensato che Armstrong avesse fatto il passo in più...

Ora si dà il caso che il doping lo si venda e lo si acquisti per lucro. E che quello che era accessibile ad Armstrong lo é anche a tutti agli altri, senza particolari restrizioni. Pagando, s'intende. E, comunque, quel famoso "passo in più", chiunque lo può fare. E in diversi lo hanno fatto, come é stato macroscopicamente visibile in diverse occasioni.

Beh, direi che mi hai dato ragione su tutta la linea.

Ciao

PS: please, eventuali repliche su quest'ultimo punto nel thread sul doping, non é mia intenzione dare inizio a un OT...

 

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Livello Marco Pantani
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  postato il 20/05/2008 alle 14:51
Noooooooo, Felice contribuisce alla decadenza dei costumi con il tifo contro!!!!!!!
Che è , comunque, un piacere della vita.
Sul resto, sono brevissima e non vado OT ( perché Felice , quando tifa “per” il suo beniamino fa spesso discorsi sul doping degli altri, diciamo che è un aspetto del tifo per) .
Felice, sei troppo intelligente per far finta di non aver capito quello che dico.
Lo scalino di Armstrong era dato da circostanze eccezionali: americano con alle spalle i laboratori di ricerca più all’avanguardia, essere uscito da una malattia che gli consentiva parecchie esenzioni, sponsor miliardari che facevano chiudere gli occhi se , per caso, come nel 1999, usciva qualcosa di “positivo”, amicizie americane potenti ecc.
Tutte condizioni che non aveva nessuno. Non era solo questione di soldi.
Nonostante ciò né Pantani né i suoi tifosi hanno chiesto altro che permettere a Marco di sfidare l’Amerikano.
Quindi allora diciamo che Armstrong andava con il missile, i primi cinquanta del gruppo con il motoscafo e i peones sulla zattera.
Oggi i primi 50 del gruppo ( dico 50 per citare lemond, ovviamente non è un numero preciso) sono sul motoscafo ( altrimenti non sarebbero fra i primi 50 del gruppo), i peones sempre sulla zatterona.
Ovviamente sul motoscafo ci si sta perché sono, comunque, i migliori e perché hanno soldi per pagarsi il motoscafo.
Mi dicono che anche oggi ci sarebbe uno che ha fatto lo scalino, ma non essendo motivato dalle stesse ragioni di Armstrong, fra un po’ su quello scalino ci salgono tutti i 50 del motoscafo e lo scalino diventa il motoscafo.
Si sa che le cose stanno così, pensare che solo il proprio beniamino sfugga alla regola ( e per far mostra di visione non fanatica vi si aggiungono fantomatici altri, sconosciuti, puliti) è,invece, farsi ciechi a causa del tifo.
Della serie: ho chiuso gli occhi e l’ho visto.

 

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Livello Marco Pantani




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  postato il 22/05/2008 alle 11:35
Originariamente inviato da Donchisciotte

Sul resto, sono brevissima ...


Chissà perché, questa mi sembra di averla già sentita da qualche parte...
Va bene, ci andrò io nel thread sul doping a risponderti, visto che a te l'idea che uno possa voler rispondere a quanto tu dici, che tu poi possa a tua volta voler controbattere e che quindi il tutto possa andare per le lunghe, a quanto pare non viene.

 

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  postato il 29/01/2009 alle 12:17
Originariamente inviato da GiboSimoni

Volevo parlare di questo aspetto che tanto fa discutere nel ciclismo, ma in più generale in tutti gli sport (non penso ci siano thread attinenti all'argomento tifo)per quanto mi riguarda, il tifo è una delle manifestazione più belle che ci possono essere nello sport e anche nel ciclismo, come tutte le cose ci sono i pro e i contro, e qui guardiamo il caso specifico ovvero nel ciclismo, spesso si critica il tifo che hanno certi tifosi nei loro beniamini (anche su questo forum è capitato) ed è giusto specialmente in quei tifosi che non fanno altro che gettare fango (se non altro) nei confronti dei loro avversari facendoli diventare addritura nemici e questo è inacettabile, io per quanto mi riguarda ho un tifo particolare per un corridore (il mio nick dice tutto) e mi sforzo in tutte le situazioni che riguardano il mio idolo di essere obiettivo nei suoi confronti e negli altri, con risultati che a volte ci riesco e a volte no voi cosa ne pensate del tifo, dei tifosi faziosi e così via...?

 

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Livello Gino Bartali




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  postato il 29/01/2009 alle 12:24
A me piace "tifare contro" e credo che sotto sotto ognuno tifi contro qualche corridore, non ci vedo nulla di male a godere delle disgrazie altrui, ovviamente senza offendere
Io per esempio non sopporto Pozzato, e tifo contro Basso e Garzelli

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 29/01/2009 alle 14:20
Io non tifo mai contro, mi dispiacerebbe se Basso perdesse, ma non riuscirei a mandare a quel paese uno che lo stacca.
Inoltre spero sempre che non si faccia mai male nessuno, che non rompano la bicicletta e soprattutto che non finiscano contro una macchina o giù in un burrone.
Invece c'è qualcuno che spera pure che queste cose accadano agli avversari dei propri beniamini. Ma i deficienti si sa, ci sono sempre.

 

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Michela
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Vita in te ci credo le nebbie si diradano e oramai ti vedo non è stato facile uscire da un passato che mi ha lavato l'anima fino quasi a renderla un po' sdrucita. Anche gli angeli capita a volte sai si sporcano ma la sofferenza tocca il limite e cosi cancella tutto e rinasce un fiore sopra un fatto brutto



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Livello Marco Pantani
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  postato il 29/01/2009 alle 15:57
Ovviamente mai augurare male a nessuno ( questo non serve nemmeno dirlo), meno che mai ai ciclisti che faticano tantissimo.
Però "tifare contro" ( nel senso di sperare ardentemente che qualcuno perda), è uno dei piaceri della vita, meno intenso che tifare "per" ma tifare per qualcuno è quasi una grazia, comporta appassionarsi a qualcuno: impossibile direi, adesso.

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 29/01/2009 alle 16:18
un bel topic....
io forse suu questo forum sono quello meno sportivo e forse meno amante del ciclismoo, mi dichiaro un super tifosoo, quindi non rientro nella lista dei "veri amanti del ciclismo"
perchè seguo il ciclismo e mi accanisco????
prima con Pantani, ora con Di Luca vado alla ricerca di EMOZIONI, nella gioia e nel dolore, anzi passando per le "disfatte" aumenta il livello ULTRA'
Come potrei mai emozionarmi guardando una corsa, senza tifare per nessuno(anche uno che non sia il mio idolo) ma preferito solo per come porta i capelli ed altro....DEVE ESSERCI
io non credo in quelli che non tifano per nessuno, che amanoo solo il ciclismoo

****Miky70 inizia a mettere le mani avanti....

 

[Modificato il 29/01/2009 alle 16:28 by danilodiluca87]

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 29/01/2009 alle 17:27
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A me piace "tifare contro" e credo che sotto sotto ognuno tifi contro qualche corridore, non ci vedo nulla di male a godere delle disgrazie altrui, ovviamente senza offendere
Io per esempio non sopporto Pozzato, e tifo contro Basso e Garzelli

Abbi pazienza ma tifare contro è proprio una ca22ata, tipica dell'"italiano pensiero". Specialmente nel ciclismo, sport nel quale tutti gli atleti si fanno un mazzo incredibile, godere delle disavventure altrui è proprio fuori luogo. Pensaci un po'.

 

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Livello Francesco Moser




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  postato il 29/01/2009 alle 21:01
Le tesi contrapposte in questo thread sono lo specchio del modo di ciscuno di approcciarsi al ciclismo, allo sport in generale, forse alla vita.
Ognuno ha il suo pensiero ed il suo modo personale di "godersi" lo spettacolo e su ciò non mi permetto più di sindacare.

Io mi ritrovo nella tesi che l'estetica del gesto sportivo in assoluto, passa sopra a qualsiasi parteggiamento o faziosità. Fa godere e basta.
Più volte mi sono ritrovato ad applaudire ammirato lo scatto di un ciclista avversario di un mio beniamino o la schiacciata di un giocatore che giocava contro alla mia squadra del cuore.

Ciao e buon ciclismo, comunque vi piaccia viverlo.

 

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Livello Gino Bartali




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  postato il 30/01/2009 alle 02:30
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Originariamente inviato da Bartoli

A me piace "tifare contro" e credo che sotto sotto ognuno tifi contro qualche corridore, non ci vedo nulla di male a godere delle disgrazie altrui, ovviamente senza offendere
Io per esempio non sopporto Pozzato, e tifo contro Basso e Garzelli

Abbi pazienza ma tifare contro è proprio una ca22ata, tipica dell'"italiano pensiero". Specialmente nel ciclismo, sport nel quale tutti gli atleti si fanno un mazzo incredibile, godere delle disavventure altrui è proprio fuori luogo. Pensaci un po'.

Finchè il tifo contro è sano, diventa piu bello tifare a favore, aggiunge anche un po di pepe in piu alle corse
E' ovvio che poi si applaude tutti alla fine e che non si tifi per cadute o forature

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 30/01/2009 alle 08:06
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A me piace "tifare contro" e credo che sotto sotto ognuno tifi contro qualche corridore, non ci vedo nulla di male a godere delle disgrazie altrui, ovviamente senza offendere
Io per esempio non sopporto Pozzato, e tifo contro Basso e Garzelli

Abbi pazienza ma tifare contro è proprio una ca22ata, tipica dell'"italiano pensiero". Specialmente nel ciclismo, sport nel quale tutti gli atleti si fanno un mazzo incredibile, godere delle disavventure altrui è proprio fuori luogo. Pensaci un po'.

Finchè il tifo contro è sano, diventa piu bello tifare a favore, aggiunge anche un po di pepe in piu alle corse
E' ovvio che poi si applaude tutti alla fine e che non si tifi per cadute o forature

Rivista così è un po' più digeribile, nel 1° post parlavi esplicitamente di godere delle disgrazie altrui...

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 30/01/2009 alle 08:50
Per quanto riguarda il ciclismo, non riesco a tifare contro qualcuno. Cosa che invece faccio nel calcio. Da sempre, ma soprattutto da qualche anno a questa parte, provo più soddisfazione quando l'Inter perde che quando la mia squadra (la Juve) vince.
Ritornando il ciclismo, il modo in cui lo vivo è molto particolare. Non sono mai stato e probabilmente mai sarò un tifosissimo. Le mie simpatie per Cunego sono molto note qui dentro, e sono fiero di questo. Però non sono certo un ultrà, e soprattutto non seguo moltissimo le corse, tranne quelle più importanti. Il fatto è che anche guardando alla tv le gare, molto spesso mi annoio. Ecco perchè più che guardare ciclismo, preferisco praticarlo.

 

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Fabio

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Livello Miguel Indurain




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  postato il 31/01/2009 alle 15:12
Il bel gesto di uno che non mi sta simpatico lo applaudo, ma lo vivo come un nuovo dato: anche lui è capace di far questo. Il bel gesto di chi mi sta simpatico lo godo il doppio, perché mi riconferma in una intuizione già avuta. "Visto che Di Luca oggi li ha staccati tutti! Visto che chi attacca prima o poi vince! Visto che..."; un certo modo di interpretare la corsa, supportato dalla bellezza del gesto porta al tifo. Tifi per uno che incarna meglio di altri la corsa per come va vissuta. Per l'Italia di Verona, agli ultimi giri, non riuscivo a fare il tifo, e la sconfitta non mi ha bruciato; per quella di Varese ho fatto un tifo pazzesco, perché le cose vanno affrontate a viso aperto, e poi Ballan ha pure vinto.
Quindi in questo dissento dalla lunghissima tesi del thread iniziale: il tifo lo faccio eccome, anche se il ciclismo non è uno sport uno contro uno.

Poi, andando in bici, so che la fatica è tanta, e questo milieu comune ci porta a guardare con simpatia il gruppo in generale.

Il fanatismo da "pugno al ciclista" si commenta da solo.

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 31/01/2009 alle 15:39
fino ad oggi non son mai riuscito a tifare contro nessun corridore, rispetttoso della fatica che compie.

Da oggi però ho trovato un buon motivo per essere antisportivo grazie all'ingresso della squadra sponsorizzata dall'aereonautica militare.


 
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Livello Gino Bartali




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  postato il 31/01/2009 alle 17:15
Frejus ma non intendevo cadute ecc
Però quando vedo che si staccano, o che non reggono il passo il sorrisetto mi viene

 

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  postato il 01/02/2009 alle 03:22
Avrei scritto questo post a pomeriggio, ma mi si è impallato il computer e l'intervento è andato perduto. Provo a ricordare il senso di quanto scrivevo...

Cari amici e lettori, tifosi pro e contro, incrementalisti e perfezionisti, giovani e meno giovani, forse è arrivato per tutti noi il momento di farci un esame di coscienza (e dico: scienza).

In questi giorni Cicloweb ha licenziato un'inchiesta che vorrebbe fare il punto della situazione economica nel ciclismo nel momento in cui la crisi sta iniziando a farsi sentire in tutti i vari settori produttivi. Abbiamo proposto quattro interviste che indagano tra le diverse categorie e anche tra gli organizzatori; ora, non credo certo che si tratti della più rivoluzionaria inchiesta della storia del giornalismo, ma qualche buono spunto di dibattito lo offriva.

Invece vado a vedere il thread in cui abbiamo presentato questi lavori, e vedere le 10 risposte scarse presenti mi frustrerebbe alquanto, se non sapessi che c'è una moltitudine di persone che leggono e apprezzano questi contributi anche se poi non passano sul Forum a parlarne.

Poi però sposto lo sguardo sul thread del doping, e vedo che in un mese in cui praticamente non si corre e in cui non ci sono stati casi clamorosi di positività o quant'altro, ci sono oltre 150 post. E allora qui, cari miei, c'è qualcosa che non va.

Non ha senso che non ci ricordiamo chi è arrivato secondo alla Liegi l'anno scorso o chi ha vinto il Fiandre nel 2005, ma sappiamo a menadito le date delle positività, le sostanze trovate, in qualche caso anche la concentrazione di tali sostanze; per non parlare dell'enorme cultura giuridico-sportiva che ci siamo fatti.
Diciamo la verità, non riusciamo più a parlare di ciclismo senza parlare di doping. Senza pensarci.
Mi metto nel novero, anch'io quando entro nel Forum sono molto incuriosito dal thread sul doping, e ovviamente contribuisco a rimpolparlo... però a questo punto bisogna prendere atto che è arrivata l'ora di mettere un punto.

Guardiamo in faccia la realtà, siamo tifosi geneticamente modificati, non seguiamo più uno sport, ma una catena di casi doping inframmezzati da qualche corsa da guardare comunque con la spia del sospetto bene accesa.
Se fosse successo a due ciclisti quel che è accaduto a Mannini e Possanzini, non dico la solidarietà dell'ambiente del ciclismo, ma sarebbe venuta a mancare financo la nostra, di solidarietà. Sì, avremmo convenuto che un anno era esagerato, ma la stragrande maggioranza di noi (e mi ci rimetto, nel novero) sarebbe rimasta intimamente convinta che quel quarto d'ora di ritardo era servito a chissà quale pratica coprente, altro che sfuriata del presidente.
E poi ovviamente ci sarebbe stato chi avrebbe alzato la voce in nome del rispetto delle sacre regole, e quindi sanzione giusta, e semmai dovevano pensarci prima. Qualcuno qui può negare quest'immagine che do del nostro orticello?

Ragazzi, qui siamo a un punto in cui dobbiamo necessariamente riconoscere che ci vorrebbe un'indagine sociologica su quel che siamo diventati; e soprattutto perché.
Qualcuno potrà dire che ciò è avvenuto perché ci sono state troppe positività in questi anni, troppi scandali perché si potesse rimanere inerti a seguire il ciclismo come un tempo. Senza qui obiettare sul perché di tante positività (i tanti controlli, ma si andrebbe OT), mi limito a fare un paio di esempi.

Ho visto gente perdere persone care a causa di un incidente stradale, eppure continuare a guidare quel mezzo di morte, non rinnegarlo ma provare ancora piacere psichico tra gli agi e la velocità dell'automobile, li ho visti cambiare la macchina e continuare come se niente fosse, il comfort, la potenza, l'affidabilità, la "sicurezza". Non la morte, la "sicurezza".

Vengo a un esempio ciclistico. Se scorriamo le cronache degli anni '60, '70 e '80, troveremo un elenco mai finito di corridori trovati positivi all'antidoping. A parte il podio mondiale, mai toccato da casi del genere (strano, no? me ne sono accorto solo oggi), non si contano le corse con ordini d'arrivo stravolti, dal Fiandre alla Liegi alla Parigi-Tours (che Moser vinse nel 1974 - quando si chiamava Blois-Chaville - grazie alla squalifica di Karstens) al Lombardia.
Ancora più divertente è andare a scorrere le cronache e i tabellini di Giro e Tour: per esempio si nota che Gianni Motta, eccelso fuoriclasse degli anni '60, venne declassato per doping in due tappe che aveva vinto, nel 1968 e nel 1971. Della positività di Merckx a Savona nel 1969 si ricordano tutti, meno si ricordano del Lombardia toltogli nel 1973 (beneficiario fu Gimondi) sempre per positività.
Altri casi con corridori meno importanti si sono susseguiti al Giro, ma anche al Tour accadevano cose divertenti: Joop Zoetemelk venne declassato in due tappe nel 1977 e nel 1979 (ovviamente potè finire la corsa, nel '79 addirittura al secondo posto) prima di vincere il suo Tour nel 1980. Eppure nessuno mise in dubbio la sua vittoria, o quella forse ancor più clamorosa del Mondiale del Montello nel 1984. Immaginate un po' se capitasse oggi una cosa del genere, oggi che si viene lapidati per molto meno di due positività (vedi Basso, tanto per fare un nome).
Il Tour alla fine dei '70s era un delirio: nel '78 Pollentier (vincitore del Giro l'anno prima) venne squalificato per frode all'antidoping subito dopo aver conquistato la maglia gialla; nel '79 anche Battaglin (poi sesto a Parigi) incappò in un declassamento per doping. Insomma, grossi personaggi nella rete.
Gli altri protagonisti dell'epoca oggi ammettono candidamente che ci si dopava, eppure non vedo che qualche tifoso geneticamente modificato mette in dubbio la cavalcata mondiale di Adorni o i successi al Giro di Gimondi.
Sarà per la prescrizione?

Tutto questo ci porta alla mia solita, noiosa conclusione. E cioè che quel che conta non è il problema in sé, ma la percezione che se ne ha. Tipo i Rom minaccia nazionale un anno fa, tanto per fare un esempio, minaccia svanita nel nulla oggi (senza che sia cambiato nulla rispetto a un anno fa).
Delle automobili riceviamo continuamente un'immagine positiva dalla pubblicità, e poi l'automobile potente e confortevole è anche un discreto status symbol (per molti è uno dei più importanti, se non IL più importante). Nei decenni abbiamo interiorizzato tanto questa percezione dell'automobile che non vediamo proprio che oggetto perverso e concettualmente sbagliato possa essere (perlomeno nella sua declinazione attuale). Hai voglia a citare Ivan Illich, le sue parole suoneranno sempre come quelle di un alieno alle nostre orecchie ben educate ai valori del progresso e del consumismo. Vi è capitato spesso di sentire qualcuno che ha perso un familiare in un incidente dire "basta, da oggi non guido più"? Eppure capita spesso di sentire qualcuno che dice, una volta pianto un caro morto per tumore ai polmoni, "basta, da oggi non fumo più". Perché delle sigarette si è ormai stabilizzata una percezione negativa (da quasi 20 anni, direi); l'idea di auto è invece ancora inculcata come valore positivo, e tutti siamo schiavi di quest'idea.

Quindi il doping. Fino a un certo punto, venne percepito come una cosa come un'altra, un incidente di percorso simile a una foratura o a una scorrettezza in volata, e mai nessuno vide infangata la sua onorabilità da una positività, fino a tutti gli anni '80. Eppure si era passati dalle droghe più semplici agli ormoni, insomma, risultati stravolti se ne vedevano, eppure il doping non era importante.
Da un certo punto in poi, le cose sono cambiate. Perché?
Da un certo punto in poi, il doping è diventato un'ossessione per tutti noi. Ne parliamo sempre. Non ci fidiamo più di nessun corridore, sono tutti colpevoli fino a prova contraria, il garantismo è scomparso dai nostri orizzonti. Perché?
È cambiata la percezione del problema, e di conseguenza è cambiata la percezione di chi si dopa, ma quel che è peggio è cambiata la percezione del ciclista tout-court. Se prima era un onesto faticatore, magari dotato di talento, ora è un personaggio di cui diffidare. La cosa bella è che tanti di quei tifosi geneticamente modificati che oggi chiedono la gogna per Riccò e Piepoli, non si sognano nemmeno lontanamente di rimettere in discussione i successi dei loro campioni di gioventù, tutti allegramente rei confessi di aver usato doping.
Perché? Perché la percezione di quei campioni del passato resta dentro così come la si era interiorizzata: una percezione positiva che non può cambiare negli anni, e allora si tende a minimizzare, a dire che quel doping non alterava troppo le prestazioni, che fosse più - come dire - accettabile; come se la simpamina di Coppi non alterasse le prestazioni molto più che la stricnina di Pétit Breton; come se le anfetamine di Gimondi non alterassero le prestazioni più della simpamina di Coppi; come se il testosterone di Hinault non alterasse le prestazioni più delle anfetamine di Gimondi; come se il sangue cambiato di Moser non alterasse le prestazioni più del testosterone di Hinault. Come se l'Epo di Bugno e Chiappucci non alterasse le prestazioni più del sangue cambiato di Moser.

Ma soprattutto, come se il mitico ciclista ignoto (ovvero quello che corre pulito) fosse un prodotto esclusivo dei nostri tempi, come se nei decenni passati non fosse mai esistito il suddetto ciclista ignoto vittima dei Girardengo e dei Binda, dei Coppi e degli Anquetil, dei Gimondi e dei Merckx, degli Hinault e dei Moser. In nome di quel ciclista ignoto nato e morto pulito, non dovremmo forse ridimensionare i successi di Merckx (positivo più di una volta, lo ricordo)? Non dovremmo dire che senza doping avrebbe vinto la metà delle corse che ha vinto, e invece il mitico ciclista ignoto avrebbe avuto molte più possibilità di mettersi in mostra e magari guadagnare di più?

Cos'è, tutto va in prescrizione? Tutti prescritti, tutti grandi campioni al di sopra di ogni ridimensionamento? Se oggi un qualsiasi corridore del gruppo decidesse di fare una sola Roubaix e vincerla, verrebbe subissato di sospetti; successe nell'81, ed è indiscutibile leggenda.

La percezione dei ciclisti ha iniziato a cambiare, temo, col caso Pantani e tutto quel che ha rappresentato e che si è portato appresso.

Prima di quel caso, il ciclista era bene o male ancora degno di stima e rispetto. Dopo di allora, è stato un discendere negli inferi del sospetto e della malevolenza. Anche per questo dico che le cose cambierebbero se si facesse realmente luce su quella vicenda, ma questo è un altro discorso.

Qui mi interessa seguire il filo del ragionamento di prima: perché ci siamo così geneticamente modificati? Perché 20 anni fa eravamo molto più indulgenti di oggi? Soprattutto, perché ancora oggi siamo molto più indulgenti coi bari di 20 anni fa, rispetto ai bari di oggi? Non sarà che qualcosa deforma un po' la realtà che abbiamo davanti agli occhi?

Non sarà che 10 anni di telecronache e di articoli di giornale infarciti di sospetti e accuse, di interminabili discorsi sul doping e indigeribili predicozzi sulla morale e sui valori, non sarà che 10 anni di tutta questa roba ci hanno davvero deviato i sensi?
Non sarà che l'equazione ciclismo=doping l'abbiamo ormai interiorizzata al punto di non riuscire più a declinare l'un concetto senza affiancarlo all'altro? Sarà un caso che molti giovani che si affacciano ora al ciclismo sentano molto meno il problema? Molto meno - intendo - di noi che da 10 anni ci sorbiamo l'ininterrotta propaganda bulbarellian-capodacquesca.
E non possiamo sottovalutarla, non possiamo nel momento in cui anno dopo anno vediamo sempre nuovi "aficionados" stufarsi e sposare la linea dura. (Sempre nei confronti del presente, mai dei ricordi dorati). Sempre più persone parlare di tolleranza zero, come se non si trattasse di uno slogan vuoto, come bene ha dimostrato la nostra Donchisciotte.
La domanda è: siamo sicuri che sia tutta farina del nostro sacco?
Siamo sicuri che i tifosi geneticamente modificati che siamo oggi non possano prendere coscienza di questo lavaggio del cervello subìto da 10 anni?

Siamo sicuri, infine, che non faremo la fine della rana nella pentola d'acqua che via via si riscalda? (Questa famosa e felice metafora l'ha usata anche Salvatore Borsellino, qualche giorno fa a Roma, parlando della situazione del paese). Anche il ciclismo è come quella rana, immerso in quest'acqua messa sul fuoco, con la temperatura che sale gradualmente, e la rana/ciclismo nella pentola non se ne rende conto, si mitridatizza minuto dopo minuto alla graduale crescita di temperatura, e quando si rende conto che non sopravviverà sta già bollendo.
Il ciclismo ha accettato ogni anno un passettino in più, di subire quel qualcosina in più, anno dopo anno, e siamo arrivati in fine all'ebollizione del sistema. Tifosi-censori che parlano solo di doping, o che interpretano tutto attraverso le lenti del doping; corridori che subiscono inermi dei trattamenti che altrove, non appena palesati, scatenano putiferi di proteste (il caso Mannini-Possanzini, per l'appunto).

Siamo sicuri che la seconda evenienza resterebbe in piedi se la prima non si avverasse?
In definitiva, visto che la responsabilità personale viene mitizzata su molte pagine di questo Forum, siamo certi di non essere anche noi in parte responsabili dello scatafascio? Responsabili perché non ci accorgiamo della propaganda e non alziamo le necessarie barriere intellettuali; e di conseguenza, responsabili perché creiamo il contesto giusto per la nullificazione del corridore contemporaneo.

Mi rendo conto di aver toccato molti temi, ma ritengo di essere rimasto in topic perché le mie riflessioni vertono proprio sul ruolo e la figura del tifoso oggi: il tifoso geneticamente modificato.

 

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Amarti m'affatica, mi svuota dentro
qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto
Amarti m'affatica, mi dà malinconia
che vuoi farci, è la vita... è la vita, la mia

(Non sono a favore del doping. Sono semplicemente contro l'antidoping)

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 01/02/2009 alle 09:11
Admin, le tue sono parole toccanti, è molto importante riflettere bene su ciò che hai scritto e tentare, nel nostro piccolo, di dare una svolta. Ci voleva un intervento del genere, bravo.

 

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FANTACICLISMO CICLOWEB: il più forte.
Fantarivale storico (stimato e rispettato): Salvatore77
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Ottobre 2009




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  postato il 01/02/2009 alle 10:39
Fantastico intervento, Admin.
Queste parole possono dare una svegliata a tante zucchette obnubilate.
Perchè non metterlo in homepage in modo che venga letto dal maggior numero possibile di persone?

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 01/02/2009 alle 12:24
Originariamente inviato da Lore_88


Queste parole possono dare una svegliata a tante zucchette obnubilate.
Perchè non metterlo in homepage in modo che venga letto dal maggior numero possibile di persone?


Ma infatti, una cosa del genere solo sul forum è piuttosto sprecata.

 

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...E' il giudizio che c'indebolisce.

 
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Livello Marco Pantani
Utente del mese Febbraio 2009
Utente del mese Agosto 2009




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  postato il 01/02/2009 alle 20:31
Molto giusto quello che dice Admin, d’altronde proprio recentemente avevo postato quanto diceva Kapuscinski sul potere dei media di deformare la realtà, illuminando un problema a dismisura lo rendono gigantesco e si perdono le proporzioni del reale.
In un contesto molto più grave, basta vedere cosa sta succedendo in termini di razzismo e intolleranza in un paese dove si gioca con sicurezza e la percezione della sicurezza , con il razzismo latente in ognuno a seconda delle campagne elettorali.
Nel ciclismo è accaduto questo e la gente ( che non è individualmente responsabile) si è adeguata, perché nessuno può essere fuori dallo spirito della propria epoca (Hegel).
Anche noi, è vero, ci siamo adeguati.
Perché siamo stati costretti a pensare al ciclismo e a legarlo al doping, all’antidoping, alle ignobili lotte di potere,perchè siamo stati costretti a vedere la discriminazione rispetto agli altri sport e la scemenza di fare del ciclismo l'orticello pulito in un mondo dove il doping è un affare colossale per multinazionali,medici, praticoni, dirigenti e malavita, siamo stati costretti perché per me la botta di Pantani è stata devastante, ma poi è normale sia così, dal momento che non si parla di ciclismo se non si aggiunge il doping, non ci si gode una bella prova di un ciclista se non legandola al doping.
Anch’io sono fra quelli che ha letto la tua inchiesta sulla crisi economica del ciclismo e non ho risposto, perché sono secoli che ci dicono che gli sponsor scappano per il doping e viene fuori che i motivi sono tanti e vari, il primo è la crisi economica che fa fuggire sponsor anche da sport mai toccati dal doping.
Poi, certo, investire nel ciclismo sapendo che puoi essere coinvolto in scandali incide, meglio il calcio dove se proprio si deve colpire qualcuno lo si fa con due di minore spessore, qualche tempo fa mi pare ( so poco di calcio, cito a memoria) che uno dei “vostri ragazzi “ arrivò tardi all’antidoping ma non mi pare gli abbiano dato un anno ( stesso concetto, colpire i piccoli, l’ho letto pure su repubblica….).
Penso che il compito di chi non si è adeguato, come noi, Admin, non sia negare il problema, rifiutarsi di parlare di doping perché sappiamo che è una priorità indotta e perché non ce ne frega assolutamente niente ( almeno a me) del grave peccato etico e sportivo commesso dal dopato ( la creazione dal nulla non la fa Conconi, forse Dio). Il compito ( se proprio ce lo vogliamo dare, perché io, persa la speranza della giustizia per Marco, mi sono anche rotta le scatole), è mostrare testardamente l’assurdità di quanto sta accadendo, sottolineare l’insipienza dei ciclisti incapaci di qualsiasi difesa, è continuare a mostrare la luna mentre tutti guardano il dito.

 

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Verità e giustizia per Marco Pantani: una battaglia di civiltà.

Arcana loggia per il ripristino della civiltà dell'ordalia.

IO NON L'HO VOTATO.

IO CORRO DOPATO COME TUTTI.

"E' tutto alla conoscenza di tutti" Marco Pantani,1997 ( tempi non sospetti),parlando di doping in un'intervista televisiva con Gianni Minà.

Non sono a favore del doping. Sono semplicemente contro l'antidoping.

Hypocrisy free.

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/02/2009 alle 10:03
Admin, per come la vedo io, il tuo discorso fa una piega, peccato però che il bersaglio è sbagliato, per come la vedo io.

Non devi prendertela con noi se alimentiamo il doping, a mio avviso se ne parla sempre in modo costruttivo, ognuno ha le sue posizioni, più o meno condivisibili ma sempre fatte senza quella cattiveria tipica di chi non ama il ciclismo.
Dovresti rivolgere il tuo accorato appello a non parlare e fomentare il doping, ai tuoi colleghi giornalisti.
Loro sì che dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza e dovrebbero riuscire a capire che il caso di Mannini e Possanzini non può diventare un caso nazionale pro-calcio, mentre il fatto che di luca venga squalificato per la frequentazione di un medico fa sì che "Di Luca è dopato".

Dovresti dire ai tuoi colleghi di non usare due pesi e due misure.
Dovresti dire ai tuoi colleghi che non è perchè c'è il calcio di mezzo allora il regolamento della WADA e della federazione è sbagliato, mentre quando si parla di ciclismo si fa sempre troppo poco.

Detto ciò, sono convinto che Possanzini e Mannini sono stati giudicati a membro di segugio.

Sono anche daccordo con chi dice che il tuo intervento debba essere messo in home page perchè tutti leggano...soprattutto i tuoi colleghi.

 

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Premio Stiloso 2010
Premio These Dicks Award 2010

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/02/2009 alle 10:50
Un'intervento da applausi, ineccepibile. Finalmente un po' di parole su una questione fino ad ora mai affrontata, nonostante ogni giorno ci districhiamo tra i confini di essa, senza avere però mai avuto la voglia, l'attenzione e idee per affrontarla.

Probabilmente, senza questo intervento, non avrei mai pensato a certe cose. Cose che sapevo, dalle positività di Merxck al doping pioneristico di Coppi, dallo shock di Pantani alla lapidazione di Basso, dalle minestre riscaldate di Bulbarelli ai giornali che ogni volta che possono accanto alla parola ciclismo scrivono doping.

Parole giuste tra l'altro, secondo me. Non riesco a vedere il ciclismo come lo specchio della vita, dove quasi tutti sono buoni e i cattivi solo una piccola parte. Sarà per questo che non ho mai preso in antipatia Basso, che per quanto odiassi Riccò per i suoi atteggiamenti agli antipodi dei miei non sono riuscito a dargli contro dopo la positività.

Il doping c'è sempre stato, e ci sarà sempre. Ho smesso di comprare BS perchè ogni mese non mancava di organizzare crociate contro i furbacchioni. Crociate rimaste sempre sulla carta, in nome di uno sport pulito che non esisterà mai. Non ci credo e non ci crederò mai.

Il mio modo di vivere il ciclismo è sempre stato lo stesso, non ha subito grossi cambiamenti da diversi anni a questa parte. Prima non era così però. Il ragazzino di 10 anni che sognava davanti alla TV nel 98, non la prese molto bene nel 99. Quel ragazzino ci rimase malissimo, ma capì tantissime cose, che non riuscì a capire subito. Ebbe bisogno di diverso tempo per dare un senso a tutto quel mondo e soprattutto per accettare la verità. Uno degli scalatori più forti di tutti i tempi non era pulito, come gli altri.

Non ricordo niente dei giri d'Italia dal 2000 al 2003. Vuoto assoluto, perchè non l'ho seguiti minimamente. Nel 2004 finalmente tornai a tifare, a seguire ciclismo grazie a quel ragazzino che riuscì a battere il suo capitano. Ricordo ancora i brividi della tappa di Falzes. da quel momento non è cambiato niente. Cosciente di cosa si possa ricamare dietro una vittoria, di quanto le provette continuino a girare e di come di tutto quello non me ne freghi assolutamente niente.

Se cercavo uno sport pulito da seguire potevo benissimo andare al bar in paese, a giocare a freccette tra un moccolo e un bicchierino di grappa. ma come ho già detto qualche post più su, a me il ciclismo mi piace praticarlo molto più che seguirlo. Perchè non riesco a ad affezionarmi a qualche cosa, senza riuscire a non provare la voglia di farla. È successo quando mi sono appassionato alla musica e mi sono comprato la chitarra (che continuo ancora a suonare), quando guardando il calcio poi lo ho praticato per quanche anno, e con il ciclismo.

Forse finalmente ho trovato un modo per definirmi: non sono un tifoso geneticamente modificato. Anni di chiacchere non mi hanno cambiato. Riesco a passare sopra a questi fatti come succedeva per molti fino agli anni 80 e 90. Come se niente fosse cambiato. Ritengo che nonostante tutto non sia lo sport dell'imbroglio, perchè continua a vincere il talento. E il talento continuerà a offuscare il povero ciclista pulito, ma meno dotato fisicamente del plurivincitore. È ancora lo sport dove chi vince, se fosse pulito, vincerebbe la metà, ma vincerebbe lo stesso. Perchè è il più forte cmq, quello che prende non fa altro che sottolineare questo aspetto. Uno scarso, prendendo tutto il possibile, non riuscirà mai ad arrivare al livello del campione che si dopa meno di lui.

Lo so che per molti questa è una filosofia sbagliata, che bisognerebbe crocefiggere chi bara, fare santo chi corre con le proprie forze. Bisognerebbe fare pulizia assoluta in questo sport, punire chi bara ecc ecc. Per me impossibile, ripeto.

 

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Fabio

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Livello Gino Bartali




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  postato il 02/02/2009 alle 12:54
A parte che secondo me dovremmo aprire una discussione diversa ..
Il tuo racconto non fa una grinza Admin però cacchio, un po di morale a volte ci vuole
Va bene essere "ipocrisy free" ecc però a volte si esagera
Però è giusto punire chi bara, è giusto che ci sia un antidoping, che ci siano norme severe
Discorsi di questo tipo a cosa portano? Al discorso "vabbè chissenefrega tanto lo fanno tutti"
Come se in ufficio ci fosse un premio produzione per la velocità e mentre io scrivo a mano su un foglio, un mio collega fa copia e incolla con la tastiera del pc
E non si può sempre dare la colpa ai vari dirigenti/medici ecc e salvare i corridori come avviene quasi sempre qua dentro
Io voglio pensare che ci sia un minimo di lotta, di pulizia, di speranza, altrimenti non seguirei piu questo sport
A me i vari Basso, Armstrong, Ullrich, Hamilton non mi hanno dato mai emozioni perchè troppo disumani per essere veri, quando il ciclismo si fonda sul principio sacro della verità, perchè quando io andavo in bicicletta facevo fatica vera e senza prendere un "particolare anatomico che, se rotto, simboleggia seccatura"
E non finirò mai di sperare e di pensare che chi non sia positivo ai controll isia un corridore pulito

 

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  postato il 02/02/2009 alle 12:55
Bartoli... non hai capito un tubo perdonami se te lo scrivo. Non hai proprio capito niente di quello che ha scritto Marco.

 

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Un uomo comincerà a comportarsi in modo ragionevole solamente quando avrà terminato ogni altra possibile soluzione.
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 02/02/2009 alle 13:03
Originariamente inviato da Bartoli

A parte che secondo me dovremmo aprire una discussione diversa ..
Il tuo racconto non fa una grinza Admin però cacchio, un po di morale a volte ci vuole
Va bene essere "ipocrisy free" ecc però a volte si esagera
Però è giusto punire chi bara, è giusto che ci sia un antidoping, che ci siano norme severe
Discorsi di questo tipo a cosa portano? Al discorso "vabbè chissenefrega tanto lo fanno tutti"
Come se in ufficio ci fosse un premio produzione per la velocità e mentre io scrivo a mano su un foglio, un mio collega fa copia e incolla con la tastiera del pc
E non si può sempre dare la colpa ai vari dirigenti/medici ecc e salvare i corridori come avviene quasi sempre qua dentro
Io voglio pensare che ci sia un minimo di lotta, di pulizia, di speranza, altrimenti non seguirei piu questo sport
A me i vari Basso, Armstrong, Ullrich, Hamilton non mi hanno dato mai emozioni perchè troppo disumani per essere veri, quando il ciclismo si fonda sul principio sacro della verità, perchè quando io andavo in bicicletta facevo fatica vera e senza prendere un "particolare anatomico che, se rotto, simboleggia seccatura"
E non finirò mai di sperare e di pensare che chi non sia positivo ai controll isia un corridore pulito


Giusto, però non hai capito quello che voleva dire... il discorso riguardava come è cambiato l'attegiamento e la mentalità del tifoso negli anni recenti, in funzione degli scandali del doping, del modo in cui i media se ne occupano e dalle prese di coscienza do ognuno. Non era un discorso che riguardava il doping in se per se.

 

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Fabio

I walk these streets, a loaded six string on my back...

"L'unico sport che pratico è seguire, camminando, i funerali dei miei amici che avevano praticato sport" Bertrand Russell

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