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.....fino al Tiranno e l'Aborigena...
Morris - 31/08/2007 alle 00:21

Quante volte il pianto del passato, si riavvolge nella mente per una semplice lettura…. Stamattina, vinto da una curiosità su una terra che amo e che tanta parte possiede fra le contorte file del mio quotidiano, che m’ha donato un amico come Thomas Cristou, qui col nick “Cody”, così prodigo e presente da concepire la mia povertà come una spinta per non farmi mancare, mai, lunghe telefonate di sostegno, ho aperto il sito degli Open degli Stati Uniti di tennis. Quella terra è l’Australia, il luogo perenne, per me, di uno sport che, un tempo, era quello su cui potevo scommettere ed andare, da ragazzino, a “Rischiatutto”, per portarmi a casa cifre da capogiro. Oggi non lo è più, ed a parte Federer, che è sublime e sempre più leggendario, il resto è noia, con lo sfregio di portarmi la rabbia dei colpi-bomba, che ricordano tanto il satrapo quanto il robot degli additivi, di un tipo come Rafael Nadal. Che schifo! Sono quasi giunto a trasformare quello che un tempo era per me “Il Gioco” eletto che oscurava il calcio, come la gamba di scorta del sonnifero della F1. Ne è nata una scelta, che sta diventando idiosincrasia: il tennis non riesce a rientrare nelle mie orbite e mi dispiace per un campione come Federer, che meriterebbe il trasporto che mi donavano i grandi aussie. Già, perché lo svizzero, è capace di far poesia anche in un oggi di bombe, di svitaschiena- rovesciacci a due mani, di idrovore per ormoni, di scelte di gioco monocordi. Proprio come Marco Pantani, che riuscì, nel ciclismo, a liberare con la sua grandezza, il gesto, il teismo dello scalatore, da un’era schiavizzata dai passistoni costruiti sopra ogni altra costruzione. Meriterebbe, Roger, ma sono il contorno, l’ambiente, la disciplina sportiva a muovere gli istmi radiosi del coinvolgimento romantico e, nel tennis, a differenza del ciclismo, non ci sono le variabili di programma e di contenuti, che possono illuminare il profeta o l’ultimo mohicano. Pantani illuminava coi suoi idiomi scomparsi che si volevano cancellare anche ai divini, ma lo faceva su un orizzonte che poteva contenere quel vario che stimola la carezza poetica percepibile, fino a renderlo fluorescente; Federer, intorno, ha quel deserto che brucia e che muove di notte un lontano sui cui rimane solo l’alto delle stelle, ed il riflesso luminoso dei pianeti e della Luna. Poi, per ritornar terrestri, a contribuire a rendere unico il solco di Marco, ci ha pensato un’altra forma del nostro cammino, quella diretta di un uomo che, nel ciclismo, pare ricercare come nessuno i suoi difetti più stupidi ed idioti: l’invidia, l’infantilismo, prima ancora del malaffare. Nel tennis, questo contorno non c’è, al suo posto un tetro e freddo elenco di allucinazioni da danaro, di statistiche e albi d’oro, di tornaconti che deviano sì la vita, conducono all’ignavia, si condiscono di ipocrisia, ma non contemplano la morte attraverso la tortura peggiore, quella che nasce da malvagità e deficienza. Uno è morto uomo, con gli autoctoni difetti degli uomini, ma di gran lunga minoranza rispetto ai collettivi d’ambiente, ed è divenuto eroe, per le sue differenze, le sue autenticità volutamente crocifisse dall’intorno. L’altro, convive vegeto, accumula, ma non incide, si riflette involontariamente freddo alla leggenda che rischia di non nascere, perché non interessa al suo mondo totalmente riflesso sul presente. Il primo è divenuto sfortunato sommo, perché ha perso con la tortura il dono più grande, quello della vita, ma continuerà ad echeggiar poesia negli anni e per gli anni, nonostante l’ambiente troglodita che lo circondava e che il tempo, semmai, visti i presupposti, continuerà a peggiorare. Il secondo si manterrà fortunato nel materiale, vivrà luminosità razionali, si imposterà siamese alle volontà e raccoglierà i freddi lustrini della statistica, ma gli mancheranno perenni i versi che trasformano, dal nulla, in intensi messaggi per il corso dell’esistenza, anche i dimenticati valori di quei dieci bastoncini che formano le mani. Uno è tragico e scolpisce il mito, nonostante le nauseabonde interpretazioni di taluni preti; l’altro semina involontariamente quella tristezza che l’automatico correttivo umano, vuole sempre cancellar velocemente. Due versioni del talento dunque, di quello scherzo di natura, come direbbe il Dottor Pier, che mi lega allo sport da quando ero bambino, ma solo una continuo a seguirla per il dovere che si deve a quell’uomo tragicamente scomparso, che grida giustizia e che in tanti, troppi, di chi, come me, poteva parlargli col comune dialetto, oppure gli sedeva accanto, definiscono amico...ma l’han fatto morire solo. Lo vuole la sua grandezza ogni giorno allungata nei confini e lo vuole quell’ambiente claudicante e vergognoso che è doveroso tentar di modificare, nonché una passione viscerale per quel qualcosa che ancora c’è sulle spalle e sulle gambe di qualche virtuoso. L’altro no, è grande e immenso, ma il deserto che lo cosparge, avvinghia la mia allergia al caldo, attraverso le unghie di un linguaggio che non è più mio. Troppo per farmi avvicinare ad un embrione del fascino dell’andare a rete, da vivere come fosse un’avventura e chiudere col summa di atletismo e polso di una volée, il massimo dell’idioma del tennis. Anche imponendomi ricerca, non riuscirei mai a superare l’onta barbarica di arrotini e bombardamenti di un napalm chiamato Bollettieri, ed arriverei ad uccidermi. Solo il Federer luminoso, potrebbe consentirmi di sopportare il suo avversario e rendermi respiro. E sia! Quel che un tempo era “Il Gioco”, oggi si chiama Roger Federer, il mohicano. Il resto, nel mio universo che cammina da sempre sulle sensazioni, è disastro alle meningi, ed attendo che siano altri a dirmi: “guarda quello, ha il talento che ti piace”. Nessuna azione ricercatrice dunque, ma la speranza di una passione che ondeggiava su assiomi ed aloni ancor persiste, non lo nego, ma viene da una scuola che ogni giorno si materializza in fossile. Ed è qui che giungo a quell’Australia un tempo regina, culla di cultura tennistica, virtuosismi e miriade di talenti. Quel continente che si è inaridito proprio come l’acqua sempre più mancante su quei luoghi lontani. Ecco lo sguardo al tabellone degli Usa Open, per vedere a che livello desertico è giunta la terra del tennis. Scoprire che solo quattro giocatori su 128 sono aussie e di questi, tolto il più brutto satrapo venuto da quelle racchette, è un grado di arrivare nei sedici migliori, perché gli altri sono di una modestia senza fine, è un colpo al cuore. Non una novità, perché li seguo di nascosto, ma una ferita che s’allarga nonostante i punti di sutura: sembra un fiume. Brian Tobin, prendo te perché sei giunto al massimo, hai sbagliato tutto! Cosa resta di quelle Insalatiere e dei Leggendari? Nulla! Nel gennaio dell’88, quando Patrick Cash, ti salvò dal primo tonfo, giocando un tennis sublime, a quelli che piangevano per l’abbandono di una storia, per quel Kooyong che lasciava spazio all’avveniristico Flinders Park e l’erba che si doveva genuflettere al rebound ace, dicesti: “Ostinandoci a giocare solo sull’erba, non avremo più campioni capaci di vincere su tutte le superfici. Inoltre questo torneo perderà sempre più d’importanza”. Ciò che è avvenuto dopo, a parte il grande con la schiena di vetro, ma già forgiato Cash, il breve e rotto Cahill, è solo l’ultimo ruggente poeta della tua terra: Patrick Rafter. Certo, perché Mark Philippoussis, tu e gli altri, lo avete rovinato ancor prima di partire, per un errore che fate dal 1968, emigrando in massa negli Stati Uniti, senza l’orgoglio di far vivere nella comune lingua, la vostra antropologia, la vostra scuola, la vostra diversità. Là su quella terra lontana un oceano, avete dato in pasto a Bollettieri, uno che dovrebbe stare in galera perché assassino seriale di talenti e bellezze, quel ragazzo di origine greca e quando glielo avete tolto, era già sfregiato irrimediabilmente ad un ginocchio. Gli acuti sempre più rari di Mark, fra un’operazione e l’altra, urlano l’entità del vostro errore! E non può certamente essere un anatroccolo brutto, nato nella terra dei cigni, come Hewitt, un’ancora di salvezza. Cosa resta all’Australia, a quella gente in giro per l’intero mondo, che vi aveva preso ad esempio e faro del tennis, del vanto di possedere l’impianto più bello del mondo? Nulla! [img]http://kanga.freeblog.hu/Files/kintistadion.jpg [/img] E sì, caro Brian, il Flinders Park è una cattedrale nel deserto, urla anch’esso il più brutto fallimento dell’intera storia sportiva di un’Australia, che è il paese col più alto coefficiente di vittorie e titoli, in rapporto alla popolazione. Le altre discipline, sono cresciute. Persino negli sport della neve, negli ultimi trent’anni, si sono marcati più successi del tennis. Basta con i Reed seguiti e puntualmente rovinati nell’età dei fiori dal macellaio Bollettieri! Avete Newcombe e Roche ancora attivi, fate seguire i migliori giovani da loro. Avete il vecchio Ian Barcklay, radunate i più bravi allenatori e cambiate programmi. In mancanza di erba naturale, provate quella sintetica che è sempre meglio del cemento e tornate a girare per l’Australia alla ricerca di talenti, come faceva Harry Hopman. Le scuole fatele da voi e poi portate in Europa e negli States, per i tornei, i più preparati. Imparate dall’Australian Institute of Sport, che ha prodotto campioni dappertutto, senza svendersi agli altri, anche quando è stato costretto a crearsi basi lontane dall’Australia un giorno d’aereo. Solo nel tennis, avete seguito altre strade e questi sono i risultati: un solo giocatore e due giocatrici fra i primi cento del mondo. Un flop, ammettetelo! Ed anche nell’isolamento rispetto alle altre discipline, avete mostrato un atteggiamento da tiranni, da despoti resi miopi dalla voglia di emergere, trovando come unica strada quella di emigrare per copiare da alunni, sempre scelti fra i più somari. Certo, i tempi sono cambiati, ma non si può giudicare cambiamento, l’abbandono totale dei propri distinguo: questa è abdicazione pura. Torna così alla mia mente amareggiata, un vecchio e lungo racconto scritto quando ancora sognavo e che ha per protagonisti due comunque grandi della vostra sconfinata storia tennistica. Nel rapporto di quella diade, rivedo ciò che è avvenuto nel mondo tennistico australiano degli ultimi lustri. Il Tiranno, caro Tobin, siete voi dirigenti… che prendete i talenti tanto cercati come una rivincita e provate a violentarli; l’Aborigena, sono gli atleti che vi contrastano e solo i più forti mentalmente, riescono a sottrarsi al vostro volere. In questa storia, che riporto a brevi tasselli e che si limita a due persone (riconoscibili dai più eruditi in fatto di tennis), ci sono, paradossalmente, anche le strade per riprendere il cammino verso quella scuola che ha fatto sognare un italiano come me. Thomas, leggendo, condividerà la mia amarezza. [img]http://img265.imageshack.us/img265/5637/evonneha1.jpg [/img] Da.... "Il Tiranno e l’Aborigena".... …….Victor era stato un soldato, un ufficiale, uno che aveva combattuto, vinto, fino ad essere decorato. Quel passato aveva rafforzato i suoi istinti, quel senso di superiorità e inattaccabilità al giudizio, spesso gemello d’una divisa. Era troppo per mettersi in discussione, per porsi quelle domande sull’efficacia dell’umiltà e sul dovere di tolleranza. No, era proprio uno sbruffone, solo parzialmente accondiscendente ai doveri dell’essere conosciuto e riconosciuto, di essere una gloria, senza mai chiedersi cosa determini esserlo. Victor sapeva bene, quanto fosse facile vincere sulla naturalità del timore o del disagio, che accompagnava il suo passaggio sugli altri e se ne approfittava. Gli uomini lo evitavano per non subire le conseguenze d’alterco e per non vedersi sbarrata la strada dalle tante amicizie, più o meno interessate, che tanti anni d’uniforme avevano creato a quel tipo. Le donne, invece, lo subivano, come quei fatti che ti capitano per singola voce del destino, ed ai quali niente ti può sottrarre. Era un supplizio, che mascheravano con forzati sorrisi, false dichiarazioni d’orgoglio, autoconvinzioni sul possibile, ma erano più che altro pianti, quando la solitudine portava confronto con le proprie intimità. Victor continuava a camminare come un robot senza averne sembianze e passo, ma solo la certezza di essere migliore, di non sbagliare, perché una gloria, mai si deve abbassare. Un automa ramingo che muoveva il suo raggio senza apparenze claudicanti, ma pian piano si isolava sull’orizzonte quasi cieco della sua psicologia. Il tempo passava e l’intorno capiva, lo isolava sull’incerto, lo sopportava nel certo, lo sublimava nella considerazione via via più crescente di quel sentito disgusto, sempre tale, quando s’accompagna alla volontà di non proseguire. Anche se attorno a lui, sia nel pubblico che nel privato, diversi si muovevano, Victor era un isolato. Uno status invisibile, ma reale, nemmeno lontanamente scalfito da quella fama mista di qualità ed inflessibilità, che gli veniva dall’essere coach su quei campi da tennis, costruiti sulle ali di un buon passato da giocatore, ove si muovevano ragazzini, ragazzine e collaboratori. Lui era un solitario, di concezione e di pensiero, sempre. Non lo poteva capire con razionalità, era un istinto, vinto com’era nella ricerca di un talento, su cui ricostruirsi un nuovo palcoscenico vincente. No, non potevano essere gli echi di quei dettagli di convivio a mietere in lui una discussione col proprio intimo, ormai votato a cullarsi su riflessi pomposi e alterati. Allenava meccanicamente quei giovani mostriciattoli incapaci d’arrivare, ed intanto cercava, cercava, cercava qualcuno che potesse avere stimmate su cui esaurire un progetto, l’unico, in grado di gratificarlo nuovamente di luce. Per riuscire a trovare quel soggetto avrebbe concesso qualche sorriso, qualche segno umano e razionale al convivio, ma solo all’inizio però. Lui non poteva intenerirsi, perché avrebbe significato non essere uomo superiore. Quel talento si materializzò davanti agli di Victor, nel luogo ove mai avrebbe potuto pensare possibile, là dove la terra amata da umili che l’avevano eletta divinità, s’incrociava con la povertà degli oppressi, dei nomadi che non concepiscono stato, ma solo regole tribali. Era una bimba, Evonne, ma deliziava d’agilità e con le mani aggraziava ogni cosa. Lui, il già pronto tiranno, l’aveva notata subito: aveva troppo quella creatura per non poter arrivare a dipingere con una racchetta. Se la portò con sé, come fosse un pegno di guerra, sapeva che era il suo nuovo laboratorio di successo. La sua ricerca era finita, ora l’aspettava la costruzione….. [b]Il tiranno e l’aborigena [/b] Lui era, non voleva discutere il significato del passo l’interno del tratto il limbo dell’animo. Era, senza complemento oggetto senza parvenze o letture senza gioco d’effetto lucido e cinico per istintivo volere d’arrivo. Burbero e tiranno geniale nell’apparenza automa nel ripetersi perché nessun uomo vero deve donarsi all’emozione. Lei era dolce, veniva dall’amore profondo figlio della terra prima ancora di chi luce le diede piccina, graziosa e libellula sorrideva alla vita. Lui le insegnava strappandole i petali come farla strumento di leggenda. Era un suo oggetto che cresceva allungando lo stelo illuminando l’intorno di profumo era lei, un fiore. Un dono dell’osservazione che cresceva con gambe sublimi e sessualità vissuta bambina naturale come il credo aborigeno aveva scolpito sul mito. Una notte, lui volle cogliere quel frutto e s’avventò su quel corpo lucente. Lei capì d’esser vista coccio o racchetta si difese e riuscì. Provò ancora a prenderla uccidendola di sforzi martoriandola senza tregua ma lei ancor riuscì. L’amore arrivò con la luce della liberazione dell’elevazione a donna della completezza del corso. Lui non voleva perderla usò tutti i trucchi ed il peso dei preconcetti a richiamar gratitudine. Cercò di parlarle almeno un’ultima volta ma lei con gli occhi nerissimi s’allontanò irrimediabilmente muovendo l’eco d’una frase: “Il vento non crea immagini!” Morris


cunego - 31/08/2007 alle 01:00

Ciao Morris stavo seguendo gli us open, mi piacerebbe avere un tuo giudizio tecnico (;)) sulla Sharapova, che cosa potrà fare in questo slam e in generale nei prossimi anni! Ciao :cool:


Cascata del Toce - 31/08/2007 alle 01:42

Prima che il maestro Morris ti risponda... mi viene in mente un conferenza stampa che ho visto in TV in cui alla domanda "Vorresti diventare cone la Kournikova"? Maria rispose: "No..io qualche partita di tennis vorrei vincerla!! Decisa la splendida ;)


nino58 - 31/08/2007 alle 08:21

Altro che "qualche partita". Ha Wimbledon nel carniere.


Morris - 01/09/2007 alle 15:59

[quote][i]Originariamente inviato da cunego [/i] Ciao Morris stavo seguendo gli us open, mi piacerebbe avere un tuo giudizio tecnico (;)) sulla Sharapova, che cosa potrà fare in questo slam e in generale nei prossimi anni! Ciao :cool: [/quote] Mi spiace, ma vedo la Sharapova, più come una bella donna, che una grande tennista. Il suo gioco mi fa veramente schifo, come quello delle altre sia chiaro. Non mi piaceva la Seles (anche se prima della pugnalata, era più forte della Graf), mi faceva venire il voltastomaco la Capriati, considerare le Williams come due donne è una mostruosa forzatura ed il loro gioco mi fa comunque un brutto effetto al ventre…. Insomma tutti frutti dell’inquinamento cancerogeno di Bollettieri. Mi piaceva la Henin, l’unica vera tennista in origine, poi per non morire essiccata, s’è potenziata anche lei con gli additivi, fino a vincere a iosa. E la miglior tennista in circolazione, nonostante tutto. Il resto sono urla-lamenti-robaccia, niente a che vedere con Margaret Court Smith, Billie Moffit King, Evonne Goolagong (già mi piaceva poco la Evert), o, più recentemente Staffi “Graffia” Graf (teutonica in tutto, ma con un dritto ed una volèe eccezionali) e quella Gabriela Sabatini che se avesse giocato sempre a serve and volley, avrebbe vinto molto di più ed era pure più caliente e bella della Maria e dell’Anna, una modesta, la cui madre (gran gnocca) aveva stabilito il prezzo di una scopata con la figlia in 20.000 dollari. La Sharapova, comunque, fra un lamento e l’altro, può vincere questi USA Open, ed ancora diverse prove dello slam, indipendentemente dalla superficie. Ciao!


Subsonico - 01/09/2007 alle 16:29

[quote][i]Originariamente inviato da Morris [/i] mi faceva venire il voltastomaco la Capriati, [/quote] [img] http://zillo.altervista.org/1/capriati.jpg[/img] Come non darti ragione, obiettivamente fa schifo!


cunego - 01/09/2007 alle 16:40

Concordo con te Morris, il tennis femminile odierno ha poco a che vedere con quello che hai citato tu. Speriamo che almeno Maria(Henin permettendo) possa vincere gli us open! Sono anche d'accordo sul tramonto degli aussie vincenti! Cosa ha combinato Hewitt ieri!!!:OIO


cunego - 01/09/2007 alle 19:40

ultime parole famose:D:pomodoro:


Morris - 01/09/2007 alle 21:40

Caro Cunego, quando c'è tanta volontà, tanto atletismo, ma non ci sono i virtuosismi che rendono il tennis gradevole e bellissimo, basta un poco di appannamento fisico e si può perdere anche da una ragazzina in ascesa come Agnieszka Radwanska. Maria è monocorde e se non trova il "filotto" si può complicare la vita con chiunque. Non è la sola fra le big, sono praticamente tutte così, Henin a parte. Sono i mali del Bollettierismo, il tumore del tennis.


cunego - 01/09/2007 alle 21:55

Eh, io il tennis lo seguo da molto poco, però le tue opinioni sul gioco moderno femminile, e sulla scuola di Bollettieri le avevo già sentite. Comunque questa polacca non mi sembrava tanto male e ha solo 18 anni.


Ariadeno - 01/09/2007 alle 23:35

Morris, speravo di leggere qualche tuo scritto su Djokovic. Prendo coraggio e te lo chiedo, cosa ne pensi del serbo? Grazie Ariadeno


Morris - 02/09/2007 alle 15:21

[quote][i]Originariamente inviato da cunego [/i] Eh, io il tennis lo seguo da molto poco, però le tue opinioni sul gioco moderno femminile, e sulla scuola di Bollettieri le avevo già sentite. Comunque questa polacca non mi sembrava tanto male e ha solo 18 anni. [/quote] Che dirti... Certo la polacca è giovane ed in grande ascesa, quindi la sconfitta non è così sorprendente. Su Bollettieri: l'inaccettabile della sua presenza, non sta solo nella bruttezza del gioco che propina o nello sviluppo di metodiche...diciamo un po' così, ma, soprattutto sul fatto che ha ridotto tutti quelli che son passati da lui e/o dai suoi indotti, nel medesimo modo, come fossero prodotti di una catena di montaggio. In ogni sport, un allenatore così, magari farà scuola e danari, ma più che un allenatore è un macellaio, perchè ammazza ogni singola propensione fra gli allenati. Nick Bollettieri è, ripeto, il tumore sommo di questo sport. Ciao!


Morris - 02/09/2007 alle 15:36

Caro Ariadeno, io sono forse la persona meno indicata per giudicare il tennis di oggi: sono troppo deluso e prevenuto verso taluni aspetti di quel che vedo, a piccolissimi segmenti, ormai. Come vedi sono sincero, come sempre, ma cercherò di risponderti aggiungendo alla sincerità un giudizio che si faccia fettine delle mie sensazioni, come se fossi un manager di tennis, o uno scommettitore. Premetto che un Roger Federer, anche col gioco che può produrre con 40 di febbre e tosse convulsa, mi piacerebbe sempre più degli altri: da quelli che conosco meglio, a quelli che ho visto per brevi flash, a quelli che non conosco e che mi dicono fortissimi, ma a domanda sulle loro caratteristiche, trovo risposte sincroniche al classico tennista odierno. Sono un nostalgico del serve and volley che è, per me, la massima espressione del tennis, ma accetto chi non fa delle rete una metodica, a patto che vi giunga ogni tanto come variabile di partita e dimostri di saperci giocare. Se non fosse così, non potrei amare Federer, che non può certo definirsi un giocatore di servizio e volèe, ma quando lo fa, è degno dei più grandi della storia. Altro aspetto, odio il rovescio a due mani. Rappresenta per me il motivo principale del mio progressivo disinteresse verso il tennis. Un giorno, ad un Panathlon, dissi col tono tipico di chi parla fra lo scherzo e il faceto, ad un ex tennista italiano, oggi ottimo allenatore, che se mio figlio si fosse dedicato al tennis, ed avesse accettato le indicazioni di un maestro che lo indirizzava al rovescio bimane, avrei disconosciuto la paternità, ed avrei preso a calci nel sedere quel tecnico-macellaio. Eravamo a tavola, in mezzo a dei giornalisti e l’ex tennista, per non avere grattacapi, concordò con me sulla pessima estetica del gesto, poi, in separata sede, mi diede ragione su tutta la linea. Mi disse pure che il 50% di chi gioca così, è perché possiede un rovescio naturale da vomito, un 40% per la volontà poco aperta dell’allenatore e solo il 10% per specifica scelta. Insomma, proprio non riesco a digerire il mostriciattolo svitaschiena e non solo per un fatto estetico, ma per ciò che compromette alla lunga sul fisico di chi lo adotta. In ogni caso, il complesso è così disgustoso, che per accettare di vedere una simile mostruosità in un giocatore, egli deve essere pieno di classe sul resto, oppure deve avere un avversario che gioca il rovescio con una mano, altrimenti avrei bisogno della toilette. I giocatori bimani che ho sopportato fino ad accettarli come gli altri sono: Jimmi Connors (in quanto sapeva fare altro ed aveva avversari di grande spessore), Miloslav Mecir (perché aveva una classe enorme, anche superiore a Connors), Marat Safin (di gran lunga il miglior talento attuale, dopo l’inarrivabile Federer). Gli altri, compresi gli “slamisti” Agassi (uno degli sportivi che mi è stato sulle palle come pochi, nonchécarico come una mongolfiera) e quella tragedia di Wilander (che potevo guardare solo nella speranza di una inquadratura della bellissima moglie), li ho semplicemente considerati come la mia personale fogna sportiva. Novak Djokovic è un bimane, ma come t’ho detto agli inizi, faccio finta di non essere me stesso e lo giudicherò come se fossi un manager, un giornalista di settore, o uno scommettitore. L’ho visto poco per essere più sicuro nel giudizio, ma ci provo sperando di non essere “fuori da ogni orbita”. A differenza dei classici giocatori di pressione (termine blasfemo per giudicare i pallettari di una volta, quelli per intenderci delle racchette di legno, divenuti, appunto di pressione, per il nuovo mezzo racchetta, ed il potenziamento atletico e muscolare degli additivi leciti ed illeciti), possiede una differenza fondamentale, ha i colpi taglienti che diventano lame. Potrei dire che, rovescio a parte, ha molto di Federer da questo punto di vista, anche se rispetto allo svizzero verso rete, le pochissime volte che l’ho visto,m’è parso un abisso distante. Non ha nulla degli arrotinomani ispanici, ma è decisamente più americano. Ottimo servizio, grandissimo dritto e mostriciattolo alla Agassi, anche se rispetto allo statunitense, non possiede un senso così forte dell’anticipo, ma ha però più polso. Su questo aspetto, essendo una variabile costruita dal lavoro, si vede la mano di Niky Pilic, in altre parole di un tecnico che, a differenza dei prodotti made in Bollettieri e/o ispanici, lascia ancora spazio all’indole del tennista. Accelerazioni improvvise ed angoli strettissimi, sono di nota primaria, così come quei colpi sorprendenti estratti con un pizzico di incoscienza (che non guasta mai, anzi), ed anche qui, il serbo sembra sulla strada dello svizzero e del suo più vicino per caratteristiche Marat Safin, del quale però, non ha sensibilità e polso quando si tratta di andare a rete, magari per semplice costrizione. Nonostante l’altezza, come tutti gli odierni, corre meglio lateralmente, piuttosto che verticalmente, ma i motivi sono ovvi, visto il gioco di questi tempi. In termini di prospettiva, è il più papabile, perlomeno fra quelli che ho visto, per sostituire al vertice del tennis Roger Federer, eventualità che mi auguro lontana, ma è decisamente più possibile di un Nadal, il più brutto Frankenstein partorito degli additivi (a 17 anni possedeva una muscolatura da culturista, sufficiente per non fargli sostenere l’antidoping, in quanto ampiamente probatorio lo sguardo…) e tennisticamente molto lontano dalle qualità di Novak. Altro aspetto importante, che mi spinge a giudicare il serbo possibile al ruolo di numero uno, la sua freddezza nel giocare i punti decisivi: perlomeno dagli spezzoni che ho visto, si evince questa qualità. In prospettiva, un tennista che, per essere battuto, deve trovarsi di fronte uno che lo attacca molto, o che lo porta a rete (attraverso smorzate ben fatte s’intende), dove Djokovic è spaesato. Doti che possiedono solo due tennisti, Federer e Safin. Escludendo il russo, che si è giocato sui corpi femminili, contrariamente ai tanto strombazzati gigolò del calcio (che sono perlopiù finti), quanto di meglio la natura gli aveva donato tennisticamente, resta il sublime svizzero. L’aspetto è interessante, perché temo che Federer, nel suo gioco più collaudato, possa faticare sempre più, fino a subire quel giovane di qualità enormemente superiore a Nadal, tra l’altro con sei anni in meno di lui, e sia, di conseguenza, costretto ad usare altre variabili del suo leggendario patrimonio tennistico. In altre parole, se Roger vorrà contenere l’ascesa di Novak, sarà costretto a scendere a rete molto spesso, o a far venire il serbo verso il cuore del tennis…. . così facendo potrà riportare il sottoscritto a scegliere, convinto, queste partite come un’icona da non perdere. Se non mi sono sbagliato, nonostante quel mostriciattolo svitaschiena che aborro, dovrei dire grazie a Djokovic. Ciao Ariadeno!


cunego - 02/09/2007 alle 16:23

Possiamo fare un paragone tra Cecchini e Bollettieri?


Morris - 02/09/2007 alle 17:39

[quote][i]Originariamente inviato da cunego [/i] Possiamo fare un paragone tra Cecchini e Bollettieri? [/quote] Bèh...è un paragone un po' forzato, ma alla lunga ci può stare. Anche se, nel ciclismo, Cecchini, non è il capostipite di certe involuzioni, ma solo uno dei diversi protagonisti. Due figure da palpazione di pal.le, comunque....


Ariadeno - 02/09/2007 alle 19:28

Grazie Morris.


pier70 - 03/09/2007 alle 01:13

MORRIS ! Morris, Morris, tu non puoi farmi questo! Lo hai messo per me questo post? Lo sai quanto ci tengo al tennis !!! A quello vero però, non a questo derelitto sport di ora, dominato dai materiali TROPPO decisivi, che permettono le cose più impensabili a chi gioca di potenza mentre penalizza il tocco, la smorzata, la stop volley, la fantasia. Sul sintetico, cemento ed erba vedo solo ACE a 220 km/h, seconde di servizio ancora più allucinanti, gioco scarno al massimo (il gioco del serve & serve!). Se poi parliamo della terra rossa, beh, lì di scambi quanti ne vuoi: top spin & corsa, top spin & forza = cheppalle, noia mortale. Prima di vedere (per caso) un certo Pantani in tv che stava completando la sua opera prima (Aprica 94) e rimanerne folgorato, ero tutto pane e tennis, affascinato anni prima, nel lontano 1980, da un ricciolone americano bizzoso che con colpi di genio unici, ora di nuovo visibili grazie a you-tube, combatteva all'ultimo sangue contro l'Orso svedese Borg (Bjorn in svedese vuol dire orso). Ma già da prima, vedere Panatta giocare, era un incanto, magia pura. Quelle racchette di legno col manico grosso e pesante, le corde in budello e la testa piccola, che se poco poco la prendevi non proprio al centro, addio controllo! Era il tennis di papà Gino Bertolucci, il primo a mettermi la racchetta in mano, ma io scelsi il calcio, non capendo che razza di fortuna avevo avuto a vivere la mia infanzia a forte dei marmi, e mentre il figlio paolo vinceva la davis nel 76, io, a 6 anni, giocavo col padre gino al tennis roma. Al solo pensiero di quegli anni felici mi si stringe il cuore. Un giorno mi disse: ormai il dritto è ok, ora impugnala leggermente inclinata in avanti, e colpisci: era il primo top spin, ma incredibilmente non solo il mio primo, quello di tutti! Infatti Borg aveva appena cambiato il tennis: il top spin! Non noioso come quello di ora, perchè grazie alle racchette di legno era un top molto molto più "dolce" di quello di ora, poi sono arrivate le eastern, le western, e il tennis stesso è diventato un fil western: freddi colpi di fucile e basta. IL punto più basso: Berasategui che colpisce la palla con la faccia INTERNA delle corde!!! Ma mi fermo qui, non voglio rompere le palle a tutti, e mi affretto a dire che a dispetto della mia età, su TV Capodistria (ea gratis...) mi vedevo i filmati dei campioni anni 50 e 60, per cui la foto della tennista che tu chiami Yvonne, è Yvonne Goolagong, una leggenda dell'old tennis, insieme a Virginia Wade. Tra gli uomini primeggiavano Rod Laver Hoad, Rosewall, tutti VERI Aussies, l'Australia leggendaria che tu rimpiangi. Non ho compreso chi sia la figura maschile, spero che ti contenti della mia memoria visdiva sulla goolagong. IL tuo post è musica per le mie orecchie: serve and volley. Ovvero quando gli aces erano occasionali, e il punto lo si doveva conquistare con la fantasia, non la forza. La massima espressione del tennis: la volèe d'approccio, la volèe più difficile in assoluto, quella dell'attaccante puro, che dopo aver servito scende a rete con coraggio felino, e spesso nemmeno ha il tempo di prendere le misure, se in allungo nemmeno la vede la palla, ma l'istinto prevale, e il colpo riesce. Magia. Dopo McEnroe, è arrivato Becker, il quale boris, pur fantastico, non sarebbe diventato Becker senza l'avanzamento tecnologico che stava conoscendo il tennis in quel periodo. E nel 1985 sommerse wimbledon di aces (ma anche, almeno lui, di gran classe, perchè aveva anche tocco). Da quel momento il tennis cambiò ancora. Prima Borg col top spin, poi Becker con il servizio bomba, e intanto tecnologia avanzava: fu la fine? Non ancora. Il miracolo era lì dietro l'angolo, ed aveva il nome di uno svedese. INCREDIBILE! Uno svedese! Un tale di nome Stefan Edberg, proveniente dall'era dei "figli di borg" tutti top spin, rovesciaccio a due mani (per dirla alla Morris) e interminabili palleggi pallosissimi. Ma cosa ti combina questo qua? Come se Borg non fosse mai esistito, lui gioca il rovescio a 1 mano più incredibile della storia del tennis (sarebbe stato eguagliato da Stich anni dopo, ma il rovescio di Edberg rimane leggenda), attacca ad ogni prima, ad ogni seconda di servizio, ad ogni risposta al servizio! Sempre col naso sulla rete, giocando piattissimo (!?!) e il dritto nemmeno sapeva che cosa fosse. IL tutto, con una eleganza d'altri tempi, ha fatto rivivere i miti Australiani che citavo prima. Ora: non è incredibile questo? Edberg nell'era della tecnologia fantascientifica rispolverava un tennis teoricamente ritenuto ormai ingiocabile. Aveva fatto il miracolo, come Pantani pochi ani dopo, che nell'era dei passitoni alla Indurain aveva fatto rivivere il cilcismo d'altri tempi. Pantani, Edberg, emozioni. E tu sai quanto sia altrettanto incredibile che tu abbia parlato del Kooyong, dell'australia e di Flinders Park. Edberg ha chiuso l'era Kooyong vincendo gli ultimi 2 slam giocati lì, asseme a una finale (persa) di Davis, eventi che partorirono i due match memorabili con Cash che chiusero nel modo più glorioso possibile le porte del Kooyong, per sempre. E dopo, avvenne quella che io chiamo ancora oggi, parlando di Edberg, "la maledizione di Flinders Park". Edberg giocava un tennis perfetto in quel cemento (o rebound ace, poco importa), dominava il torneo....e puntualmente si infotunava sul più bello: addirittura nel 1990 si infortunò mentre dominava Lendl in finale, si seppe poi che era già infotunato, ma per un set e mezzo giocò un tennis senza punti deboli, inattaccabile, alla Federer, persino il dritto era un'arma insidiosa a quel tempo. Ma il destinaccio lo respinse sempre. Un segno del destino malevolo caro Morris, per Edberg e per la tradizione australiana. Edberg rendeva omaggio col suo tennis a Laver e Rosewall, e vinceva sempre in australia, quasi gli dei Aussies vegliassero su di lui, ancora "acerbo" e tatticamente ingenuo. Ma negli anni della maturità, Flinders Park sfregiò la Tradizione ed il suo nuovo Cantore.


pier70 - 03/09/2007 alle 01:50

Per la precisione, su Edberg: 2 gravi infortuni nel 89 e 90 mentre dominava il torneo a 40° all'ombra; 2 semifinali rocambolesche perse da lui con senso autodistruttivo al 5° set(88 e 91) dove sprecò anche 1 match point con doppio fallo, 2 finali perse con Courier nel 92 e 93 dove era già in declino per via di una schiena che non lo supportava più. Nella fogna del tennis di cui tu parlavi Morris, eccoti i figli di borg: Wilander, Nystrom, Sundstrom, Svensson, Kent Karlsen detto "il diavolo", ritiratosi a 21 anni grazie al suo ginocchio malandato (meno male caro Kent, perdonami). Non ho citato Michael Pernfors, il quale lo salvo un minimo per i lob fantastici che partoriva, perchè aveva un pò di inventiva che lo spinse oltre i suoi limiti, fino alla finale di Parigi 86 (sconfisse Edberg, Becker e Leconte, perse da Lendl) e per un incontro al kooyong contro cash nel quale sulla carta non doveva fare 1 game e che invece perse al 5° sprecando una vantaggio di 2 set a zero (mai visto cash così annichilito sull'erba). Poi ci metto gli americani come J Berger, Krickstein, Arias, e....vabbè Chang aveva un gran coraggio, ma quel rovesciaccio, pure lui... I russi Chesnokov e Cherkasov, camionisti della racchetta, mentre Volkov era un talento immenso, giocava a due mani il rovescio solo x un motivo: si ruppe la mano destra e divenne n.10 del mondo con la sinistra.....cosa avrebbe fatto con la destra? Condivido giudizio su Mecir, il quale non aveva volgia di allenarsi, sennò...mentre su Agassi sei stato duro, il fatto che fosse da Bollettieri non deve impedirci di ricordare che l'anticipo sulla pallina che aveva lui non si era mai visto prima e non lo vedo più ora, tanto che è arrivato a 35 anni sempre a livelli altissimi, una rarità. Infine su Federer, sia pure perfetto, una considerazione: se giocasse le finali degli slam contro Lendl, Sampras, Becker, Edberg, Agassi non a fine carriera (tutta gente costretta a sfidarsi nei loro migliori anni), vincerebbe molto, ma molto meno....addirittura con un pò di accanimento del destino negli albi d'oro non vedremmo il suo nome su wimbledon, lui che attaccante puro non è, ma che ha avuto la stessa fortuna di Borg fino all'arrivo di McEnroe: non incontrarne. Però la sua grandezza sarebbe accresciuta, perchè è nelle sfide epiche che si crea la leggenda, da sempre nello sport è così. I record sono belli per carità, ma un pò aridi, alla fine sono frutto di momenti storici particolari, quanti wimbledon avrebbe vinto un Becker al giorno d'oggi?


cunego - 03/09/2007 alle 11:38

C'è da dire una cosa, ma qui sono troppo di parte. Un campione come Pantani difficilmente lo ritroveremo, lui era un artista. Ovviamente anche io mi sono appassionato vedendo le imprese di Marco, sentendo le sue dichiarazioni, ammirando il suo correre all'antica. Ditemi un solo corridore(uno!) che somigli lontanamente al pirata!:OO:


nino58 - 03/09/2007 alle 13:45

E Galeazzi, tifando Becker, aveva il coraggio di chiamare Edberg "tacchino freddo". Giampiero, Giampiero.....


Morris - 03/09/2007 alle 14:28

Eh.... caro Pier, questa è musica! Scriverò qualcosa, compreso il perchè Agassi mi stava sui cosidetti.... A presto! Cunego, concordo! Quel che hai scritto su Marco.....è un colpo al cuore... Nino, è vero, Galeazzi definiva Stefan così.... Evidentemente il digiuno gli faceva vedere tacchini dappertutto...;):D