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Autore: Oggetto: Ballan e Quaranta....

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 09/04/2007 alle 21:14
La giornata pasquale ha consegnato al ciclismo italiano la tangibilità di due talenti. Certo distanti nelle interfacce e negli epigoni, nelle tensioni dell’osservatorio e nelle proiezioni che il futuro potrà donar loro, ma anche le loro differenze sono figlie del medesimo sport e del conseguente romanzo. Diversità che vanno assaggiate e gustate come i colori che si intrecciano in quel caleidoscopio che è, da sempre, il ciclismo. Due storie lontane, che non ci devono far dimenticare gli approcci diversi di una disciplina onesta nei messaggi e che i giovani dovrebbero conoscere al meglio per avviare processi imitativi. Due tratti, che vanno spesi per far capire quanto il pedale rappresenti uno spaccato di vita tra i più illuminati ed evidenti, ove gioie e dolori, sono frutto di talento, sacrificio e difetti, nella sincronia più perfetta della nostre imperfezioni di esseri umani.

Alessandro Ballan è giunto ieri al successo che vale la storia, lo ha fatto richiamando le sue facoltà di campione, di atleta non dotato del talento esplosivo dei leggendari, ma capace ogni anno, come una formichina, di aggiungere provviste alle comunque buonissime qualità atletiche. Ha saputo tradurre nella tangibilità delle risultanze e della crescita, una mente che ha aperto ai suoi centri nervosi il respiro di un orizzonte di determinazione, senza perdere nell’animo, un imperioso fondo di generosità e amore, di realismo e bontà. Il ragazzo splendido che ha toccato, accarezzandolo, l’atleta che è in lui, spingendo compiutamente una sublimazione evidente, fino a far gridare a chi l’osserva: “ho visto Alessandro Ballan!”.
Ha scansato il passato con la leggerezza di chi fa della sostanza “la via”, non s’è mai lasciato andare all’esaltazione di quei segni indubbi che via via aveva lasciato lungo il cammino, ed ha mantenuto fede a se stesso, anche nel momento del suo primo, luminoso, traguardo di gloria. Un esempio di atleta-uomo che non ha perso nemmeno il gusto-esigenza, di correggere le scorie di quei difettucci tecnici che tutti posseggono, ma spesso dimenticano sull’alone dei segmenti di successo, o non concepiscono proprio. Alessandro, già lo scorso anno ci aveva fatto vedere una evidente compostezza sulla bicicletta, ed una flessibilità della schiena che lo portava ad essere molto parallelo alla linea della strada. A ciò si aggiungeva una bella pedalata, con le gambe un tantino di troppo ad “x” e questo aspetto tendeva a farlo ondeggiare un poco lateralmente. Un’inezia che poteva fargli pagare qualcosa sui muri di pavé e sul medesimo selciato della Roubaix. Da quel poco che ho visto in questi giorni, l’evidenza di quegli ondeggiamenti certo leggeri si è ridimensionata e pur non avendo la potenza di un Cancellara, sono convinto che lo vedremo protagonista di primario spessore, anche nella classica delle pietre, in quanto, parrà un paradosso, ma non è ancora al top della forma.

Il suo modo di pedalare e la sua compostezza ne fanno un possibile evidente anche a crono, anche se trattasi di una variabile che non lo deve interessare troppo e dove sono ancora delle incognite le sue capacità di concentrazione nell’esercizio, nonché il bisogno di respirare attraverso quei cambi che, nella gara contro il tempo individuale, sono impossibili. Su questo aspetto, infatti, la storia del ciclismo è piena di nomi che, per compostezza e pedalata, erano dei cronoman formidabili, ma che esaltavano queste loro caratteristiche, solo nelle cronosquadre o cronocoppie, proprio per l’esigenza di stare coperti a segmento di quel tanto sufficiente per ritemprare il ritmo e tenere alta la concentrazione.
Alessandro però, non deve guardare quella variabile, perché ha ancora tanto da dare sul leggendario terreno delle classiche monumento di primavera e quel loro contorno che, a mio giudizio, vale quanto una San Sebastian, o una classica di Amburgo. D’altronde, come ho scritto stanotte, quel piazzamento che oggi fa piangere Hoste, o quei terzi, quarti, quinti e sesti posti, che rappresentano un’elite da ricordare negli anni se si ama lo sport, il Ballan li aveva colti da subito, sull’insieme delle importanti gare primaverili e, lo scorso anno, ai punti (protagonismo, acuti e piazzamenti), è stato, dopo Boonen, il miglior corridore prima del Giro.
Vada avanti così l’Alessandro dal cuore grande e, mi auguro per lui e per il ciclismo italiano, che alla Lampre siano conseguenti con la recita perfetta di ieri. Nel team, c’è un gioiello d’agnomen Ballan, che può davvero ballare sui mitici traguardi di terre che resteranno perennemente, nonostante i birraioli piovuti per errore fra le ruote, come teatro delle coltivazioni di quei fiori profumati che si chiamano “biciclette”.


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Pasqua ci ha poi riportato il sorriso di uno dei migliori talenti puri, piovuti sul ciclismo italiano degli ultimi quindici anni, Ivan Quaranta.
Detta così, questa frase potrà far ridere qualcuno, ma il ciclismo è fatto di tante variabili e va, ripeto, concepito, pur nelle personali simpatie e tendenze, come un caleidoscopio, sul quale, alla fine, l’effetto vien dato dall’intreccio delle intensità. Se i colori fossero singolarmente sbiaditi, anche la traduzione finale, risulterebbe più tenue e meno appassionante nell’insieme. Come tanti, anch’io preferisco la montagna e gli scalatori, ma fin da bambino tenerissimo, ho istintivamente voluto immedesimarmi nei segreti e nelle particolarità di ogni gesto possibile sulla bicicletta, senza esaltare le differenze simpatetiche, ed alla fine, grazie a questa impostazione, ho salvato la passione per questo sport, dalle sue traversie, non piccole, e dai suoi sibillini dirigenti. Lo stesso m’è capitato per l’atletica leggera ed altre discipline, perché sono tante quelle che si compongono di diverse variabili.



Ivan Quaranta mi colpì subito. Erano i primi di giugno del 1992, quando al velodromo di Forlì, Sergio Bianchetto, un simpatico amicone, riuscì a proporre una riunione internazionale preolimpica, con quasi tutti i migliori pistard mondiali, ed un parter di tecnici, dal passato così glorioso, da farmi divertire e piangere d’emozione, nel formulare quelle somme di titoli che si spingevano fino a numeri da brividi. L’amico Mauro Orlati, allenatore di grande valore, nonostante l’impegno verso il fantasioso e formidabile talento di Adler Capelli, appena vide i miei occhi roteare impazziti dalla soddisfazione di trovarmi su quel “mare”, prese subito la palla al balzo per urlarmi: “Hei Maurizio, non spendere tutta la voglia e il tuo sapere, perché in Polisportiva ti vogliono anche domani!”
Già, avevo lasciato palestre, campi e atleti, per prendermi una giornata che ancora oggi definisco storica.
Conobbi Daniel Morelon, che mi riempì di “mercì”, ebbi la prova che il colossale mattacchione Michael Hubner, avrebbe potuto lussare, con la forza della sua mano destra, anche la spalla di Tyson. L’esaltazione dei momenti, mi donò improvvise ed inaspettate capacità di rendere il mio inglese maccheronico, come gli spinaci di Popeye, fino al punto di avvicinare Gary Neiwand, l’australiano amico-avversario del gigante tedesco e scherzare con lui, infarcendo il tutto con spaccati di riferimento sullo sport aussie.
Diventai un’attrazione (forse la mia più grande impresa di intrattenitore pazzoide…) al punto che Neiwand, prima di salire in pista per i 200 lanciati, mi promise il record di quel vetusto anello e dopo aver percorso la distanza con tanto di primato, mi salutò strizzando l’occhio, alzando contestualmente il pollice destro.
Fenomeni che si stavano sfidando con gli sguardi attenti di altrettanti fenomeni solo moderatamente appannati dai capelli grigi e da una tuta. Raggiunsi il professor Massimo Marino, più anziano di me di un paio d’anni, che ben conoscevo, a cui ricordai quando 23 anni prima, sul medesimo impianto, seppe vincere il suo primo titolo tricolore nella velocità, fra gli esordienti. Al tempo, Marino, era il direttore tecnico dei velocisti juniores, uno che era riuscito a costruire quella scuola dello sprint che poi, il cerutismo disintegrò. Già, in pochi anni, podi e titoli iridati erano piovuti su quell’italica velocità che già allora sentiva come un freno enorme, la mancanza di quell’impianto coperto in possesso di tutti, in Europa. Eppure, nonostante questo neo, dopo il titolo di Gianluca Capitano, il tecnico romano, era riuscito a strappare ad altri sport, fino a farlo emergere con tanto di iride, quel mostruoso talento atletico che rispondeva al nome di Roberto Chiappa (l’ultimo 99esimo percentile, di cui sono a conoscenza, passato al ciclismo). A Massimo, chiesi subito cosa bolliva nel suo “pentolone magico” e lui mi rispose che non era facile sostituire uno come Roberto (nel frattempo divenuto dilettanti e subito 4°, a soli 19 anni, alle Olimpiadi di Barcellona…), ma c’erano diversi ragazzi interessanti che avrei potuto osservare di lì a poco.
“Verrò a chiederti un parere su di loro dopo” – aggiunse strizzandomi l’occhio.
In quel vortice di emozioni dato dalla miriade di stelle in gara, quella sua frase mi incuriosì e la presi come un impegno. Neanche il tempo di scambiare qualche battuta con Capelli (prima o poi dovrò pur scrivere su di lui qualcosa…!) e di spostarmi nella postazione ideale per vedere al meglio i ragazzi di Marino, che un giornalista RAI (non più visto e sentito) mi venne a rompere i cosiddetti, per chiedermi di aiutarlo, per il servizio sulla riunione. Fui di uno sgarbato da schiaffi: “Vai in onda a mezzanotte e trenta, in differita, e vieni qui a rompermi le palle tre ore prima, per 45 secondi di servizio? Dai, vai a cuccia, che il testo te lo scrivo in due minuti, dopo la finale del mezzofondo!” Quel tipo, era così mollusco o impaurito, che digerì i miei ragli, come fossero foglie d’insalata.

La finale della velocità juniores si corse a tre e in un’unica prova. Ricordo che appena un assistente di giuria mi passò le generalità del terno allo start, vedendo il cognome Quaranta, pensai fra me e me: “Vediamo se Quaranta fa novanta!”. Il ragazzino lombardo però, più che novanta fece cento. Nella curva antecedente il rettilineo, era terzo e nonostante la velocità elevata, uscì a schizzo da quella posizione, rimontando Gambareri, fino a tagliare il traguardo con una mezza bicicletta sul secondo, ed una sul terzo. Ebbi la netta sensazione che fosse di un’altra categoria. Sensazione che si confermò guardando il suo fisichetto non certo corazzato e il tempo impresso sul tabellone luminoso dei cronometristi, dove imperava un significativo 11”4 sugli ultimi 200 metri. Quando vidi Marino venirmi incontro, lo anticipai: “Vecchia volpe romana, mica mi avevi detto che avevi un altro fenomeno nel cilindro!”
“Beh …non volevo rovinarti la sorpresa…” – rispose sorridendo.
Nel vortice d’ammirazione che sempre mi coinvolge nel vedere qualcosa di non comune, continuai: “Ai mondiali di Atene, nonostante quel francese omonimo del grande Rousseau, di cui si dice un gran bene, questo Quaranta, può succedere a Chiappa. Sarà durissima, ma se riesce ad imbrigliare la potenza e la velocità prolungata del transalpino che dicono sia un gran chilometrista, impostando una volata corta, il ragazzino di Crema, con quella esplosività da fulmine, non lo batte nessuno. E tu lo saprai pilotare al meglio affinché ciò avvenga!”
“Dici bene, ed è quello che faremo se dovessimo scontrarci col fenomeno francese. Vuoi venire con noi?”
“Magari potessi!” – gli dissi mentre tornavo al mio lavoro ….di divertimento.

Già, fossi stato ad Atene, mi sarei messo a piangere di gioia, perché l’Ivan di Crema, col suo fisico non culturista, dopo aver vinto i Tricolori della specialità dominando, giunse ai mondiali greci col piglio responsabile, di dover difendere la scuola di Massimo, dall’astro transalpino. I due non si scontrarono in finale, bensì in semifinale. Quaranta, fu perfetto nel disegno tattico, impostando la prima volata sulla brevità dello spunto, ponendosi in testa nella classica andatura da ricerca di surplace, ma abbastanza alto, in modo di chiudere un eventuale anticipo di Rousseau. Ivan ben sapeva che lo scatto, per lui così esplosivo e brevilineo rispetto allo statuario francese, gli avrebbe dato qualche carta pregiata. Si portò sull’uno a zero così, come quei pistard dei tempi lontani che basavano tutto il loro meglio sull’estro e la fantasia, piuttosto che sui muscoli.
Nell’altra prova, Rousseau, cambiò atteggiamento, cercando di svolgere la propria lunga volata per fiaccare il guizzo del cremasco, ma sbagliò i conti, perché per riuscire nell’intento, avrebbe dovuto proporre uno sprint come fosse stata una gara sul chilometro.
Ivan, pur stringendo i denti, gli si pose a ruota e fu ugualmente capace di giocare il suo schizzo negli ultimi cinquanta metri. Lo rimontò raschiando il fondo delle sue fibre velocistiche, ma vi riuscì, prendendo per mano quella maglia iridata che poi, in finale, al cospetto del russo Bokhanisevk, raggiunse compiutamente.



Ciò che ha poi fatto vedere Rousseau (dalle medaglie d’oro e d’argento alle Olimpiadi, ai sei titoli mondiali, fra chilometro e velocità, nonché un’infinità di gran premi…), che, si badi, pur avendo il medesimo millesimo di nascita di Ivan (1974), è, nei fatti, più anziano di quasi un anno (primi di febbraio contro metà dicembre), danno a chi si pone di fronte a Quaranta, un primo ed inconfondibile metro del suo talento velocistico.

Dopo la grande stagione ’92, ebbi diverse volte occasione di parlare col cremasco. Quando veniva ai collegiali di Forlì assieme a Roberto Chiappa, trovavo sempre il tempo di prendermi un permesso per raggiungerli e poi, magari, pur di finire i colloqui, mi prestavo con l’Espace della mia Sanson, a portarli in stazione. Due talenti simili, al pari di Capelli e del ravennate Andrea Collinelli, erano manna per la mia passione verso la pista, ed averli vicino alla sede della Politecnico dello Sport, come amavo chiamare la polisportiva, rappresentava per me una variabile nuova di conoscenza di quell’insieme di reattività, caratteri e particolari tecnici che si fondono in un atleta. Ed i pistard, alle doti che si richiedono ad un ciclista, aggiungono spesso quell’imprevedibilità pazzerella ed il virtuosismo magari masochista o esageratamente da mattacchioni, che sono come il pane per uno come me che, al tempo, viveva in mezzo agli atleti, ed era sovente chiamato ad aggiungere al ruolo, quello di fratello maggiore, amico o psicologo.
In quegli anni, praticamente fino all’esordio fra i professionisti, quando incontravo Ivan, gli dicevo sempre di non abbandonare mai completamente la pista, anche se nella velocità era chiuso per la trasformazione tecnica e fisica dei velocisti. Sui velodromi avrebbe trovato lo spazio su altre specialità dove il suo talento indubbio, sarebbe stato in grado di emergere con forza.
“Se passerai alla strada – gli dicevo - fallo ricordandoti di Peter Post, che arrivò a vincere la Roubaix alla media record (ancor oggi ineguagliata) senza mai abbandonare le sei giorni dove era un re e pure le altre specialità. Tu sei più veloce di Peter, non dimenticarlo, ma hai le fibre bianche più fragili e devi saper convivere con loro, senza distruggerle concependoti totale stradista. Devi saper sfruttare le tue doti, il guizzo, la scaltrezza, le tue punte di velocità che sono una rarità. Da professionista troverai i treni alla Cipollini, ma tu hai l’abilità per anticiparlo nell’acuto e, magari, col solo aiuto di un compagno, inventare quelli che erano gli sprint di una volta”.

Il ragazzo nei primi anni mi donò soddisfazioni a iosa, perché i suoi sprint erano una lezione di quello che da bambino avevo cementato in me come l’arte del velocista, con un solo compagno al massimo ad aiutarlo. Quaranta stava proponendo, senza saperlo, una rivoluzione sulla via di quella che Marco Pantani stava tracciando sui monti: il pirata ci faceva tornare ai tempi di Gaul e Bahamontes, superando in tanti contesti l’ultimo mohicano Fuente, ed Ivan ci donava le sensazioni che ci avevan donate Maertens e Van Linden (il cui figlio ci è venuto a trovare su Cicloweb) a metà degli anni settanta. Certo due mondi diversi e due spessori diversi, ma la menzione di segno ci sta tutta.

Nel 1999, nella tappa di Cesenatico, vidi per l’ultima volta Quaranta. A poco meno di duecento metri dal traguardo, anticipò Re Leone Cipollini, con uno scatto al fulmicotone, come aveva fatto con Rousseau in pista. Fu un capolavoro d’intuito e di qualità velocistiche che mi dimostrò, con le sensazioni ineguagliabili del vivo, il medesimo spunto che l’aveva reso vincente ai danni di Blijlevens e Supermario, in quel di Modica, nella tappa inaugurale di quel Giro. Solo McEwen, fra i corridori delle ultime generazioni e nell’attualità, ha mostrato simili cromosomi. Ivan era un vero “ghepardo”, proprio come il nomignolo che iniziò ad accompagnarlo nell’osservatorio più largo.


La sua vittoria a Cesenatico

Pur non eccellendo in altri contesti ed abbandonando troppo la pista, Ivan, anche nelle edizioni della “corsa rosa” del 2000 e 2001, seppe proporre la sua coppia di tappe capolavoro. Insomma, un cantore presente nel sibilo della velocità, da vivere col contagocce, ma pur sempre un personaggio capace di sensazioni da palati fini.
Come ho scritto ancora su queste pagine, non un velocista tascabile per prove di breve chilometraggio, ma uno che poteva dire la sua sempre. All’uopo riporto nella pagina seguente, il suo score al Giro, che pubblicai tanto tempo fa.

Col 2002, Ivan, avviò quella involuzione, su cui avranno senz’altro pesato la sua voglia di vivere, la sua giocosità e, magari, quel fare mattacchione che, in origine, era un fulcro della sua virtuosità. Errori suoi dunque, ma con la sicura influenza di un ambiente attorno a lui, incapace di leggerlo e di capire l’entità del gioiello che Quaranta rappresentava. Anni bui, di deriva atletica senza dubbio, con qualche bravata ben superiore agli atteggiamenti utili per un recupero o per le stesse speranze. Il suo ultimo successo, ci porta alla terza tappa della Settimana Lombarda l’undici aprile 2004: oltre mille giorni, che sono apparsi decenni.

Poi, ieri, approfittando del più tangibile ed incontestabile dei tratti positivi che fanno di Ivano Fanini un operatore di ciclismo, è giunto questo inaspettato successo, proprio là dove aveva lasciato, tre anni fa, gli ultimi bagliori del suo talento.
Ho visto lo sprint al Tg sportivo delle 19,10. Ha saputo resistere coi denti a due ottime ruote veloci, come dire che c’è ancora.

Ora, nella speranza mi legga, vorrei urlargli di donarsi sedici mesi di sacrifici, e li può fare se ci mette impegno, per raccogliere i cocci di quel bene che la natura gli ha dato, pensando con la medesima concentrazione di quando batteva Cipollini e Rousseau, ad un traguardo ancora possibile: Pechino 2008.

Caro Ivan, corri per una squadra esclusa dalle grandi corse. Di vincere a Roccacannuccia o in qualche luogo sperduto del Quatar, poco aggiunge alla tua carriera mozzata, ma ugualmente prodiga di luminosità sicure e ai ritorni pubblicitari per la tua equipe. Oddio, questi traguardi li puoi cogliere a part time, perché se ti dedicherai alla professione con quel criterio che hai troppo smarrito in questi anni verranno da soli, per la forza di quelle fibre che t’ho sempre riconosciute come rare. Domani telefona a Silvio Martinello e dirgli che ti spenderai anima e corpo per vedere dove puoi arrivare sulla strada di Pechino. Fallo con umiltà, con lo spirito di una formica che vuol mettere in cascina il cibo per l’inverno e non dannarti se si concretizzasse la peggiore delle ipotesi, quella di verificarti non competitivo per simili traguardi. Anche nel caso più brutto, sarai importante per quei giovani che la Federazione sta lanciando nell’intento di recuperare un terreno compromesso dopo anni di deserto: loro saranno lì a carpirti qualche segreto e, nell’ammirazione per le tue stimmate, troveranno entusiasmi ulteriori. Guarda l’amico Roberto Chiappa, cosa è ancora capace di fare e che stimoli riesce ancora a dare. Datti questo scopo, per non rendere cupo il tramonto che sta in ogni atleta e dichiarati disposto a seguire pienamente i programmi federali. Saranno poi lo stesso Silvio, Callari e Paris, a destinarti verso le discipline più gratificanti per te e, di conseguenza, per il ciclismo italiano. Per me, hai ancora tanto da dire nell’omnium, nell’americana, nella corsa a punti e nello scratch e là dove queste specialità sono escluse dal programma olimpico, resta sempre quello mondiale del 2008.
Fallo, dammi retta, non ti pentirai.

Morris

(fonti delle foto: i.eurosport.es, raisport.rai.it, ilghepardo.it)

 

[Modificato il 10/04/2007 alle 16:44 by Monsieur 40%]

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Livello Rik Van Looy




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  postato il 09/04/2007 alle 21:26
Il solito grande Morris
 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 09/04/2007 alle 21:33
Ecco lo score di Ivan Quaranta al Giro d'Italia....

Giro del 1999
Agrigento-Modica (1a tappa) di km 175
San Sepolcro-Cesenatico (10a tappa) di km 125

Giro d’Italia 2000
Roma-Terracina (2° tappa) di km 125
San Marcello-Padova (11° tappa) di km 257

Giro d’Italia 2001
Avellino-Nettuno (5° tappa) di km 229
Erbusco-Parmna (16° tappa) di km 142

Come si vede, non un velocista tascabile da primi giorni e da tappe corte....

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 09/04/2007 alle 22:16
Originariamente inviato da Morris

A ciò si aggiungeva una bella pedalata, con le gambe un tantino di troppo ad “x” e questo aspetto tendeva a farlo ondeggiare un poco lateralmente.


Ciao Morris,
ho notato anch'io la morfologia delle gambe di Ballan.
Purtroppo per me ho le stessa forma delle gambe, non proprio a "x" pura (per fortuna), ma nemmeno la classica forma a parentesi, poichè le ginocchia "puntano" in fuori.
Ora, se fino allo scorso anno il problema rimaneva unicmanete nei confini estetici (perchè le gambe a x fanno veramente schifo), è da qualche mese che mi trascino dietro problemi che vanno dal menisco costantemente infiammato alla previsione nefasta di artrosi precoce. Non faccio sport da impatto (corsa e similari) ma nuoto e vado un pò in bici, nonostante ciò i problemi ci sono e mi hanno detto che sono piuttosto comuni in chi ha gambe e ginocchia di questo tipo.

non conosco la statistica per infortuni alle ginocchia nel ciclismo, ma secondo te certe problematiche fisiologiche - oltre alla normale usura - potrebbero essere accentuate dalle sollecitazioni dovute al pavè, in particolare su quello della roubaix?

 

[Modificato il 09/04/2007 alle 22:18 by Carrefour de l arbre]


 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 09/04/2007 alle 22:49
gran talentaccio Ivan Quaranta.
Forse l'unico capace di battere un Cipollini al 100%.
Il miglior Quaranta secondo me era decisamente più forte di Robbie McEwen.

 

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  postato il 10/04/2007 alle 00:13
Spero toni come prima

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 10/04/2007 alle 00:33
Originariamente inviato da Carrefour de l arbre

non conosco la statistica per infortuni alle ginocchia nel ciclismo, ma secondo te certe problematiche fisiologiche - oltre alla normale usura - potrebbero essere accentuate dalle sollecitazioni dovute al pavè, in particolare su quello della roubaix?


Pedalare non fa male a chi ha problemi alle articolazioni. Spesso la bicicletta viene usata come terapia verso la piena funzionalità degli arti dopo taluni interventi chirurgici. Ovviamente, bisogna usare criterio e non pensare di correre la Bordeaux-Parigi.

Sul quesito che poni.
Certo, le sollecitazione che il pavé procura alla schiena e alle ginocchia, non sono paragonabili a quelle del ciclismo sull'asfalto in pianura, ma sulle pietre si corre veramente poco nel complesso dei programmi di un corridore.
I guai peggiori alle ginocchia con problemi, non vengono dunque certamente da quel versante, ma dall'uso abnorme dei rapportoni e dall'incapacità di considerare la pedalata agile, come un toccasana da usare il più possibile, sia in corsa che in allenamento.
Per quanto banale, i rapporti sono come le marce di una motocicletta o di un'auto: saperli usare bene, oltre a produrre maggior competitività nel segmento agonistico, sollecitano di meno la meccanica, le trasmissioni e perfino la carrozzeria.
Purtroppo, nel ciclismo di oggi, chi abitua gli atleti ad usare malissimo i rapporti, sono proprio i santoni tuttologi.....Il che è tutto dire!
I rimedi che propongono questi camici-flagelli, sono poi quelli che sappiamo.... E dopo la fine della carriera, diciamo sui 40-45 anni, per gli ex corridori di lungo corso, giungono acciacchi su acciacchi....

Ciao!

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 10/04/2007 alle 09:04
Quaranta è uno di quei talenti che hanno avuto la fortuna di nascere fenomeni. Ha dissipato tutto, gettando alle ortiche gloria e palanche.
Ci sono atleti magari con caratteristiche diverse ma potenzialmente fenomeni che , pur impegnandosi nella vita da corridore, son restati senza contratto o costretti a correre in situazione di grande precarietà. Ivan è stato baciato tante volte dalla dea bendata, ha trovato squadre che han creduto in lui aspettandolo e nonostante tutto ha sempre girato le spalle a tutto/i

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 10/04/2007 alle 15:45
Originariamente inviato da Morris
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io c'ero...

 
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  postato il 10/04/2007 alle 16:26
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Originariamente inviato da Morris
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Sono come un ginecologo: lavoro dove gli altri si divertono

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  postato il 10/04/2007 alle 16:45
Morris, t'ho aggiunto a fine post le fonti delle foto...

 

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  postato il 10/04/2007 alle 20:00
Come avevo già detto nell'altra discussione sarebbe bello se Quaranta riacquistasse una certa continuità di rendimento e non lasciasse isolati taluni risultati.Sulla pista se non ho letto male ci spera ancora anche lui,anche se proprio da lui tutto dipenderà.Sarebbe una bella soddisfazione partecipare alle Olimpiadi e se considerasse al massimo questa possibilità sarebbe un bello spot anche nei confronti di tanti giovani,come Morris ha fatto giustamente notare.
Tra le vittorie quella che personalmente mi resta più impressa fu quella ottenuta a Terracina nel 2000: quel giorno a mio avviso fece un numero da fare invidia al più spericolato dei pistard.

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 10/04/2007 alle 20:03
Originariamente inviato da Morris


I guai peggiori alle ginocchia con problemi, non vengono dunque certamente da quel versante, ma dall'uso abnorme dei rapportoni e dall'incapacità di considerare la pedalata agile, come un toccasana da usare il più possibile, sia in corsa che in allenamento.
Per quanto banale, i rapporti sono come le marce di una motocicletta o di un'auto: saperli usare bene, oltre a produrre maggior competitività nel segmento agonistico, sollecitano di meno la meccanica, le trasmissioni e perfino la carrozzeria.



Ciao Morris, intanto grazie per la delucidazione.
A me è sembrato che Ballan facesse girare rapporti troppo lunghi anche domenica durante la fuga, anche se probabilmente è stata solo una mia impressione (l'ho scritto solo io, quindi secondo me sto prendendo un granchio!)


 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 10/04/2007 alle 20:09
anche io ho avuto la stessa impressione...specie sul bosberg...ma potrebbe essera anche il suo modo di correre..
mio padre continua a urlargli "alleggerisci..alleggerisci"

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 10/04/2007 alle 22:59
San Marcello-Padova (11° tappa) di km 257


e io pensavo avesse vinto Cipollini...

Ma ricordo proprio male o Cippollini ha vinto una tappa con arrivo a Padova?

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 10/04/2007 alle 23:11
Originariamente inviato da Carrefour de l arbre

Originariamente inviato da Morris


I guai peggiori alle ginocchia con problemi, non vengono dunque certamente da quel versante, ma dall'uso abnorme dei rapportoni e dall'incapacità di considerare la pedalata agile, come un toccasana da usare il più possibile, sia in corsa che in allenamento.
Per quanto banale, i rapporti sono come le marce di una motocicletta o di un'auto: saperli usare bene, oltre a produrre maggior competitività nel segmento agonistico, sollecitano di meno la meccanica, le trasmissioni e perfino la carrozzeria.



Ciao Morris, intanto grazie per la delucidazione.
A me è sembrato che Ballan facesse girare rapporti troppo lunghi anche domenica durante la fuga, anche se probabilmente è stata solo una mia impressione (l'ho scritto solo io, quindi secondo me sto prendendo un granchio!)



Nono, anch'io sul grammont l'ho visto molto duro, però era cmq sciolto...

 

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...E' il giudizio che c'indebolisce.

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 10/04/2007 alle 23:12
Originariamente inviato da super cunego

San Marcello-Padova (11° tappa) di km 257


e io pensavo avesse vinto Cipollini...

Ma ricordo proprio male o Cippollini ha vinto una tappa con arrivo a Padova?


Eehe...cipollini ha lasciato il segno ovunque, magari a Padova ha vinto un'altra volta...

 

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Livello Tour




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  postato il 11/04/2007 alle 22:02
Originariamente inviato da antonello64

gran talentaccio Ivan Quaranta.
Forse l'unico capace di battere un Cipollini al 100%.
Il miglior Quaranta secondo me era decisamente più forte di Robbie McEwen.


mah, non conosco bene il personaggio, comunque credo che il suo problema più grande è che si allena poco!

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 11/04/2007 alle 22:03
Originariamente inviato da Subsonico

Originariamente inviato da super cunego

San Marcello-Padova (11° tappa) di km 257


e io pensavo avesse vinto Cipollini...

Ma ricordo proprio male o Cippollini ha vinto una tappa con arrivo a Padova?


Eehe...cipollini ha lasciato il segno ovunque, magari a Padova ha vinto un'altra volta...


Nono, ricordavo proprio male, nonstante le 3-4 tappe nel veneto durante giri d'italia nemmeno una a padova

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 12/04/2007 alle 08:35
Non so se Quaranta si alleni poco o tanto.
Da diversi anni frequento le valli bergamasche e più di una volta l'ho visto allenarsi in salita (dalle parti di Brembilla-Berbenno ), uno dei tratti che era incluso nel Giro di Lombardia quando si concludeva a Bergamo.
Sono sicuro che era lui perchè sono entrato in un bar ed Ivan, lasciata la bici fuori, era entrato anch'egli a prendere qualcosa ( spero non le sigarette ).
Mi son chiesto se l'allenamento in salita fosse il migliore per le sue caratteristiche (sono un suiveur ma un un tecnico).

 

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  postato il 12/04/2007 alle 22:27
Originariamente inviato da nino58

Non so se Quaranta si alleni poco o tanto.
Da diversi anni frequento le valli bergamasche e più di una volta l'ho visto allenarsi in salita (dalle parti di Brembilla-Berbenno ), uno dei tratti che era incluso nel Giro di Lombardia quando si concludeva a Bergamo.
Sono sicuro che era lui perchè sono entrato in un bar ed Ivan, lasciata la bici fuori, era entrato anch'egli a prendere qualcosa ( spero non le sigarette ).
Mi son chiesto se l'allenamento in salita fosse il migliore per le sue caratteristiche (sono un suiveur ma un un tecnico).


le salite sia che sei un velocista che uno scalatore le devi fare comunque perchè in corsa bene o male ci sono sempre! ovviamente cambiano le modalità di allenamento

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 12/04/2007 alle 22:45
Originariamente inviato da nino58

Non so se Quaranta si alleni poco o tanto.
Da diversi anni frequento le valli bergamasche e più di una volta l'ho visto allenarsi in salita (dalle parti di Brembilla-Berbenno ), uno dei tratti che era incluso nel Giro di Lombardia quando si concludeva a Bergamo.
Sono sicuro che era lui perchè sono entrato in un bar ed Ivan, lasciata la bici fuori, era entrato anch'egli a prendere qualcosa ( spero non le sigarette ).
Mi son chiesto se l'allenamento in salita fosse il migliore per le sue caratteristiche (sono un suiveur ma un un tecnico).


vive a Bg....in realtà anche i bergamaschi lo vedon poco

 
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  postato il 16/04/2007 alle 08:13
Come ha già ricordato Morris, Quaranta vinse anche l'ultima tappa del Giro che ha fatto tappa a Nettuno, nel 2001, ed anche qui - praticamente sotto casa mia, con lo stesso rettilineo finale del Giro del Lazio dal 2002 al 2006 - battè Mario Cipollini. All'epoca io, che avevo abbandonato quasi totalmente il ciclismo, mi fiondai comunque sul balcone di un amico che aveva una visuale invidiabile, anche se un pochino disturbata dal casermone dell'impalcatura per i cronisti, e mi gustai la volata di Quaranta, che poi ho anche avuto modo di conoscere - seppur per poco - lo scorso anno durante la Sei Giori delle Rose di Fiorenzuola. Un brillante, non c'è che dire.

Spero davvero che Ivan possa leggere questo thread e seguire i consigli di Morris. Un Mondiale è pur sempre un Mondiale (certo, l'Olimpiade si presenta da se...). E l'Italia avrebbe da guadagnarci, lo penso anch'io.

 

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  postato il 17/04/2007 alle 20:12
Originariamente inviato da Monsieur 40%

Come ha già ricordato Morris, Quaranta vinse anche l'ultima tappa del Giro che ha fatto tappa a Nettuno, nel 2001, ed anche qui - praticamente sotto casa mia, con lo stesso rettilineo finale del Giro del Lazio dal 2002 al 2006 - battè Mario Cipollini. All'epoca io, che avevo abbandonato quasi totalmente il ciclismo, mi fiondai comunque sul balcone di un amico che aveva una visuale invidiabile, anche se un pochino disturbata dal casermone dell'impalcatura per i cronisti, e mi gustai la volata di Quaranta, che poi ho anche avuto modo di conoscere - seppur per poco - lo scorso anno durante la Sei Giori delle Rose di Fiorenzuola. Un brillante, non c'è che dire.

Spero davvero che Ivan possa leggere questo thread e seguire i consigli di Morris. Un Mondiale è pur sempre un Mondiale (certo, l'Olimpiade si presenta da se...). E l'Italia avrebbe da guadagnarci, lo penso anch'io.


Lo spero anch'io. Sarebbe per lui un modo glorioso di concludere la sua carriera, in un campo - la pista - dove non devi avere una squadra forte per emergere.
Ma su questa vittoria di Quaranta io, da sempre tifoso del cremasco, sono scettico...secondo me una rondine non fa primavera e questa, con tutto il rispetto per chi corre la Settimana Lombarda, è pur sempre una vittoria di secondo piano per uno che ha vinto 6 tappe al Giro.
Lo aspetto quantomeno ad altre affermazioni nelle corse di casa nostra, le uniche alle quali può partecipare.
E per colpa esclusivamente sua, dato che non più tardi di due anni fa era in una squadra Protour, la Domina Vacanze, e mostrando il suo valore avrebbe potuto correre le corse importanti.

 

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Il ciclismo è uno sport sano e alla portata di tutti,contro la vecchiaia e le malattie, ma soprattutto conferisce grande lucidità ed efficienza sul lavoro [...]
Voglio anche dire che mi fanno pena e schifo gli impiegati che vengono in ufficio in macchina
e che la sera corrono a rinchiudersi in quelle scatole di sardine invece di farsi una bella sgambata fuori città...
(Visconte Cobram, da "Fantozzi contro tutti")

 
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  postato il 23/04/2007 alle 13:47
Come detto nel thread sul Giro d'Abruzzo, al quale Ivan Quaranta ha partecipato, si è arrivati in volata in 3 tappe su 4 e Quaranta non ne ha fatto nemmeno una.
Come mai, dato che si correva con i dilettanti?

 

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Jerry

 
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Livello Fausto Coppi




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  postato il 23/04/2007 alle 16:12
Originariamente inviato da jbigstone

Come detto nel thread sul Giro d'Abruzzo, al quale Ivan Quaranta ha partecipato, si è arrivati in volata in 3 tappe su 4 e Quaranta non ne ha fatto nemmeno una.
Come mai, dato che si correva con i dilettanti?

o non si abbassa a far volate con i dilettanti oppure nn aveva gambe

 
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  postato il 23/04/2007 alle 16:19
La spiegazione ho provato a darla nel thread sul Giro d'Abruzzo.
Comunque,come ho avuto modo di dire a Morris tramite messaggio privato, gli ho fatto avere la parte del post iniziale che lo riguarda e che spero legga attentamente perchè ci sono spunti molto interessanti.
Anche perchè da come mi è parso di capire se affronterà la situazione col piglio giusto le Olimpiadi di Pechino non sono affatto un'utopia (quest'anno poi prenderà nuovamente parte alla Sei Giorni delle Rose e ad altri appuntamenti su pista).

 
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