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Autore: Oggetto: Un tentativo, un flop e la storia di un record....

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 13/12/2005 alle 22:42
Ne ho parlato al telefono e alla festa di Mario, Andrea e Giuseppe sabato sera..... E’ ora di essere conseguente, anche se il poco tempo mi impone di propormi, ancora una volta, a puntate. Tra l’altro devo pure raccogliere l’invito di Silvio Martinello di scrivere sulla "scienza" della pista....... e nel passato del forum c’è pure una promessa in questa direzione che feci all’amico Mesty......



A volte, anzi spesso, è bene ricordare......




Costui era Adolf Verschueren, un belga nato nel 1922 e morto nell’aprile del 2004. Era uno specialista del mezzofondo. In questa specialità, è stato campione mondiale nel 1952-’53-’54. Sul "magico" velodromo di Anversa, il 25 dicembre del 1954, stabilì il primato dell’ora dietro derny percorrendo 58 chilometri e 686 metri. Appuntatevi la data e gli estremi della prestazione........


Eccolo qui un tentativo tanto maldestro quanto significativo.....

Quando ho saputo che Magnus Backstedt aveva intenzione di battere il record dell’ora dietro derny, mi son chiesto se alla Liquigas Bianchi avessero una lontana parvenza di cosa significhi una simile performance. La pista bisogna conoscerla e non basta avere un atleta potente per costruire qualcosa che rimanga negli annali. Lo svedesone è uno stradista forgiato per variabili specifiche di questo versante del ciclismo, delle magie dei velodromi conosce poco e, soprattutto, non è dotato di quei richiami ritmici e di quel colpo di pedale, impossibili da affinare con qualche settimana di preparazione specifica. E poi, che tipo di allenamento ha svolto per il tentativo di record? Da quello che si conosce gli errori sono stati tanti, non ultimo un rapporto esageratamente duro (60 x 12) anche per un ragazzone come Backstedt. Strano che un allenatore come Paul Spender (tra l’altro troppo “normale” per aprire al meglio la scia ad un colosso come lo svedese), non abbia messo in conto la possibilità di un flop colossale, come poi è avvenuto. Certo, perché al primato non si è giunti, non già per cedimento alla distanza del protagonista, ma per una di questi vera e propria mancanza strutturale di possibilità. Fortunatamente, per Magnus e per la Liquigas, il tentativo non ha trovato interessi adeguati da parte dell’osservatorio (anche per ignoranza), altrimenti lo spessore del fallimento avrebbe assunto proporzioni ed echi stroncanti. Tra l’altro, già dopo cinque minuti, il flop appariva evidente, ma nessuno s’è sognato di urlare allo svedese di rinunciare. Fatto sta che le risultanze parlano chiaro: Magnus Backstedt, ha corso a livelli inferiori al limite del 1954…e non c’è bisogno di aggiungere altro. Soprattutto per chi crede che siano tanti gli stradisti in grado di eccellere anche sui velodromi. Mi auguro dunque che sia stata proprio l’insistenza dell’atleta a produrre questo maldestro tentativo, perché se il tutto fosse nato da qualche suggeritore influente, sarebbe consigliabile o addirittura necessario, spingere costui verso la via degli studi.
Magnus Backstedt può tentare il record di Ondrej Sosenka, decisamente più alla sua portata non quello fenomenale di Matthè Pronk, un figlio d’arte che non sarà un grande stradista, ma ha nella testa e nel DNA le voci ritmate, l’intensità e la scioltezza che servono per un significativo record dietro derny. Non devono ingannare la poca consistenza di questo scooter e la mancanza di un rullo, perché le similitudini fra derny e stayer ci sono tutte. Ed è proprio da questa consistenza che si deve partire. Intanto Backstedt si è cimentato in questo giorni nella Coppa del Mondo su pista, ricavandone risultati disastrosi. Come dire che le riflessioni servono…..soprattutto è bene ricordare che per prendere un 30 e lode all’università, prima bisogna dimostrare di valere il diploma di terza media e quello di maturità.....

Ma vediamo chi sono stati i primatisti di questa specialità…… prima di un’ulteriore riflessione per capire uno dei tanti versanti della Scienza del ciclismo: la pista.


Jean Bobet (Fra) 1953, Parigi, 54.884 km



Jean, classe 1930, è il fratello laureato della leggenda Luison Bobet. Un discreto corridore, niente di più. Eppure, grazie soprattutto a questa parentela, ha saputo conquistarsi quasi due lustri di discreta evidenza. Campione mondiale universitari nel 1949 e 50, quando militava nei dilettanti prima e negli indipendenti poi, passò professionista nel corso del ’51, già con la fama di fratello intellettuale e consigliere del grande Luison. Jean però, non aveva né i mezzi né la classe di nota del compagno d’equipe e di gregariato verso il maggiore dei Bobet, ovvero quel Pierre Barbottin che passerà alla storia come uno dei corridori più forti fra gli inespressi per sfortuna e devozione, dell’intera storia del pedale. Che il Barbottin non lo ricordino in tanti è ovvio, vista la piega verso i numeri dell’osservatorio e la poca disponibilità storica del giornalismo di fare retrospettiva e sondare fra i dimenticati. Il buon Jean, dunque, si lasciò scorrere sul circuito professionistico, mettendo al massimo frutto le sue non eccelse doti e quella laurea (l’equivalente italiana dell’odierna Scienze Motorie) che gli servi certamente per aiutare, il già formidabile fiuto di Luison.

Un giorno, Charly Gaul, mi disse: “Macchè laureato, Jean Quattrocchi, non sapeva contare fino a tre!” Nell’affermazione dell’Angelo della Montagna ci stava tutto il rincrescimento che provava da quasi mezzo secolo, verso il giovane Bobet, suggeritore, a suo giudizio, del sinistro attacco del fratello, quando lui, in maglia rosa e con l’amico Bondone da scalare, si fermò a far pipì, durante la Como Trento del Giro ‘57. Per quell’azione si giocò una corsa che aveva già praticamente vinto. In Charly poi, il cognome Bobet significava sconfitta senza convinzione di merito: già ai mondiali di Solingen, infatti, dopo esser stato l’unico a tenere l’acuto di Coppi, si trovò a terra per colpa di questi (il rispetto e la devozione verso la leggenda del Campionissimo, la dimostrò sempre, mettendo le scuse di Fausto fra i suoi trofei più cari…), proprio mentre, in contropiede, Luison sviluppò l’attacco decisivo. Tornando a Jean, il suo ruolino fra i prof ci parla di 10 vittorie su strada, fra le quali la più importante fu la Parigi Nizza ’55, dove conquistò anche la prima tappa. Di nota anche la Genova Nizza ’56 (evidentemente la città della Costa Azzurra l’ispirava) e il GP D’Europa ‘53. Fra i suoi pochi piazzamenti spicca il terzo posto alla Milano Sanremo ’55, proprio nell’anno di grazia dell’occhialuto francese, che gli valse, tra l’altro, anche la sua unica selezione per i Mondiali (Frascati), dove però si ritirò. Per il resto, le sue vittorie si concretizzarono in corse minori, ma la vera evidenza del più giovane dei Bobet, si consumò nel costante accompagnamento verso il fratello….. comprese le conferenze stampa.....

L’idea di tentare il record dell’ora dietro derny, maturò in Jean proprio dall’esigenza di distinguersi un poco dal fratello e per le buone predisposizioni che sentiva di possedere verso il passo, anche se non era trascendentale nemmeno lì. L’anno, il 1953, il secondo fra i professionisti, si prestava per un distinguo, in quanto il più giovane dei Bobet aveva solo 23 anni. Il derny era popolarissimo nel ciclismo di quei tempi, anche perché, alle proposte in pista, aggiungeva la parte importante e peculiare della Bordeaux Parigi, la classicissima oggi soppressa, non senza contestabilissime motivazioni. Jean, provò quel tentativo una sola volta, senza un allenamento specifico, nonostante le sue esperienze in pista fossero poche e per nulla esaltanti. Il teatro del tentativo che avrebbe comunque portato al record, in quanto nessuno prima di Bobet si era cimentato, fu il velodromo di Parigi, in coda a quello che è sempre stato il miglior GP su pista della storia. Il risultato ottenuto da Jean, fu considerato molto positivamente: 54,884 km. Si pensava che l’aiuto della scia del derny, non potesse così facilmente tradursi sull’ora, in 9 chilometri abbondanti sul record stabilito dal singolo corridore, all’ora detenuto da Faustro Coppi, con 45,798 km. In realtà, in quelle considerazioni ci stava tutta l’ignoranza dei neofiti, e di questo ne ebbero subito consapevolezza gli specialisti delle gare dietro moto, francesi in primis.


Georges Decaux (Fra) 1954, Parigi, 55.195 km

Il richiamo della prestazione di Jean Bobet, stuzzicò subito le volontà di Georges Decaux, un connazionale coetaneo, campione nazionale fra gli stayer nel 50 e nel 51, quando ancora militava fra i dilettanti e gli indipendenti. Decaux, nato a Gamaches nel 1930, come tanti corridori del tempo, pur avendo nella pista il suo pezzo forte, non disdegnava di frequentare, soprattutto in estate, le gare su strada. Ed infatti, proprio nella sua unica partecipazione al Tour de France ‘52, aveva subito raccolto una vittoria, grazie ad una lunga fuga, nella tappa Avignone-Perpignan. Fu quello il successo più importante della sua carriera, anche se, sull’amico mezzofondo, seppe conquistare il secondo posto nel Campionato Europeo ‘56 (fu terzo nel ’52) ed i titoli nazionali della specialità nel ’56-’57-60. Ma l’abilità di questo transalpino originale, sempre sorridente e peperino, si scontrò con autentici mostri dei tondini e solo sulla sua terra, riuscì ad emergere con la costanza che la sua agilità e resistenza facevano presagire. Decaux, sapeva bene che il record di Bobet era battibile per uno con le sue caratteristiche e voleva anticipare il connazionale Queugnet, più solido e di maggior spessore internazionale, anche se spesso perdente in patria al suo cospetto. Pochi mesi dopo Jean Bobet, dunque, Georges Decaux, tentò il record dell’ora dietro derny sul medesimo velodromo di Parigi e, con una condotta prudente, tutta votata a superare il limite del meno illustre dei Bobet, riusci nell’impresa: 55,195 km. Decaux scese di bicicletta con una convinzione: quel primato era superabilissimo, se a tentarlo fosse stato uno stayer di pregio. Il pensiero di Georges era condiviso da altri........


Roger Queugnet (Fra) 1954, Parigi, 55.338 km

Anticipato nel tentativo da Decaux, il più anziano ed esperto Roger Queugnet, capì che il record era ampiamente anche alla sua portata e decise di provarci alla prima occasione utile. Roger, nato a Versailles nel 1923, a differenza di Decaux, s’era distinto soprattutto su pista e, sempre, sull’amico mezzofondo. Anche nelle Sei Giorni non era un evidente. Dietro moto, invece, era stato Campione Europeo nel 1952 e secondo dietro Verschueren ai Mondiali ’53. Vinse poi i titoli francesi nel ’54 e ’55. Queugnet, poche settimane dopo Decaux, sulla medesima pista di Parigi, si propose nel tentativo di far suo il record sull’ora dietro derny. Anche il parigino si impose una tabella prudente, tutta votata a migliorare il primato senza particolari scossoni sul ritmo, ed il tentativo andò a buon fine: 55, 338 km. Ancora una volta però, si ebbe la sensazione che il limite raggiunto fosse inferiore al possibile, nonostante l’esaltazione di qualche giornalista transalpino. Intanto, in Belgio, Adolf Verschueren, il divino degli stayer, stava scaldando il proprio motore......

Morris

(Continua)

 

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Livello Miguel Poblet




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  postato il 14/12/2005 alle 00:13
storie affascinanti
 
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Moderatore




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  postato il 14/12/2005 alle 11:30
ho visto su cycling tv il tentativo di backstedt, e devo dire che quello che face Adolf Verschueren fu una prestazione stratosferica se pensiamo che sono passati 51 anni!!!

 

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Se si è ritirato Bewolcic si possono ritirare tutti...


Gianni



 
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Livello Tour




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  postato il 14/12/2005 alle 13:21
come al solito i post d morris mi risutano magnetici!

nn riesco a staccarmi dalla lettura!

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 14/12/2005 alle 13:39
grazie a morris per le sue storie.

 
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Livello Moreno Argentin




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  postato il 14/12/2005 alle 15:45
E bravo Morris, fonte inesauribile di informazioni

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 14/12/2005 alle 16:21
Incantato dalle gesta del passato, leggermente perplesso da alcune (non tutte) considerazioni di Morris in merito al tentativo di Backstedt.
Comprendo l'amore verso la pista e l'amarezza di constatare con quanta leggerezza velleitaria, venga affrontata da improvvisati cacciatori di record, probabilmente un'offesa per gli affezionati della pista.
Tuttavia appare chiaro il perchè la Bianchi abbia voluto insistere su questo tentativo: il rischio era nullo, perchè nullo è il richiamo del ciclismo su pista sull'attuale platea; un (improbabile forse) successo sarebbe stato sostenuto da un'adeguata campagna promozionale e informativa, l'insuccesso (come accaduto) sarebbe passato in silenzio.
Del resto è praticamente passato in silenzio anche il record di Sosenka, non adeguatamente sbandierato dall'Acqua & Sapone e dai Cicli Moser (le risorse finanziarie non sono certo quelle di Bianchi o Liquigas).
Mi rendo conto della goffaggine di Backstedt, e condivido il giudizio "tragico" sulle sue esibizioni di Manchester, e nemmeno avrei il coraggio di pensare che tutti i passisti veloci della "strada" saprebbero reinventarsi pistard.
Tuttavia ritengo che l'avventura di backstedt faccia solo del bene al ciclismo, a questo tipo di ciclismo, e non criticherei la Bianchi per avere insistito in questa direzione: c'è da recuperare il terreno perduto dalla tradizione, no?
Nel frattempo, come ho letto poco tempo fa, Backstedt e i tecnici della Bianchi si sono recati nella galleria del vento del dipartimento di aeronautica del Politecnico di Milano, con lo scopo di studiare telaio e posizione dell'atleta.
Evidentemente ci credono ancora, probabilmente rimarranno nuovamente (e giustamente) scornati, ma intanto si torna a parlare di ciclismo su pista, no?
Ciao Morris, un saluto con affetto

 
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Moderatore




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  postato il 14/12/2005 alle 16:54
sicuramente è positivo che qualche corridore torni alla pista questo fa solo bene, penso che morris volesse far notare che potenza avesse Verschueren nei confronti di un Backstedt che viene considerato un passistone e che non si improvvisa nulla, non basta un mese di allenamenti per pensare di battere un record del genere e 50 anni fa mica c'era la galleria del vento per studiare la posizione migliore

 

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Gianni



 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 20/12/2005 alle 19:00
Prima di passare alla seconda puntata è d’obbligo qualche risposta.

Dolf Verschueren era un asso possibile anche su strada, ed il suo record fu empirico oltre i limiti di ciò che si può pensare. Io non mi sono stupito nel constatare lo spessore del suo primato (per altro se lo avesse ritentato lo avrebbe certamente migliorato) e nemmeno di fronte al fattore legato alla lontananza di quel record. Il Verschueren era superiore a Backstedt in tutto, salvo lo sprint….e la pista è onesta nell’evidenziare i valori.

Tra l’altro, poco dopo Verschueren, come vedremo in questa disamina, altri corridori hanno ulteriormente ridicolizzato la prestazione dello svedese, al punto di far emergere aspetti di cui parlerò più avanti….. e che mi danno la certezza di quanto, in tutti gli sport individuali, andando indietro nel tempo, si incontrino personaggi di punta, dal valore atletico naturale mediamente superiore ai colleghi odierni.
Ci sono ragioni che meriterebbero dibattiti chilometrici e convegni. Qualche battuta sul tema l’ho scambiata col grande Janjanssen durante la festa di compleanno del magnifico trio Monsieur-Webmaster-Pirata. Comunque anche qui ritornerò sull’argomento.



Caro Davide, sarò sospettoso, ma il tentativo di record, per la Bianchi, si dipanava sul circoscritto all’evento e non s’apriva per nulla sulla volontà di rilancio della pista. Certo, è pur vero che il solo fatto di mettere un proprio corridore su un velodromo, ha aperto una delle tante strade possibili per far risalire la china alla popolarità del settore, ma farlo con un cavallo famoso, ma sbagliato nella sostanza (ammesso sia stata realmente lei a scegliere il tutto), si va poco lontano. Per essere realisti, l’ha fatto coi piedi, senza ottenere nessun riscontro di prospettiva. Nemmeno in ciò che tu, generosamente, cerchi di legare e salutare nelle intenzioni bianco-celesti. Come ho già scritto, il discorso cambierebbe solo se la determinazione al tentativo, fosse stata interamente di Backstedt.
La pista rimane la scienza del ciclismo e non si può pensare di affrontarla col gadget della superiorità nel taschino, altrimenti si fanno quelle figuracce che la normale intelligenza dell’osservatorio, prima o poi, ti farà pagare.
La Bianchi vuole dare una mano al rilancio del ciclismo sui velodromi?
Bene, allora scelga strade ben diverse e più efficaci. Innanzi tutto inizi a destinare i propri atleti migliori, per caratteristiche specifiche, alle gare sui tondini; li prepari su metri di confronto che abbiano base scientifica e disponibilità mentali e faccia capir loro, in maniera diffusa, che un 4’23” nell’inseguimento o un 1’03” sul chilometro con partenza da fermo, sono prestazioni tecnicamente eccellenti, dai valori traducibili nella spettacolarità delle prove su pista e pure in ottime proiezioni su strada. I passistoni generici di livello medio basso, in pista fanno figuracce, ma possono vincere su strada, anche corse di grande portata. E’ un dato difficile da far capire a chi vede il ciclismo, tra l’altro nato e diffusosi oltre un secolo fa soprattutto grazie alla pista, solo ed unicamente sul versante della strada e dopo aver abdicato, tra l’altro, gli studi nelle mani degli ambulatori medici.
Alla luce di quanto scritto, aggiungo che in seno alla Liquigas Bianchi, pur fra le ruggini del pedalare monocorde su strada, ci sono altri atleti, con richiami e valori superiori a quelli di Backstedt, in grado di ottenere tangibilità tecniche su pista. Non dico i loro nomi per motivi ovvi (oltretutto spetta allo staff bianco-celeste scoprirli: è pagato per questo mi pare…), ma uno di costoro non è distante da noi, a patto che si convinca a ritornare, ogni tanto, su quei terreni in cui ha mostrato i primi segni di talento…..
In quanto allo svedese, galleria del vento o meno, preparazione più o meno azzeccata, la sua recente partecipazione alla Coppa del Mondo di Manchester, coi risultati mediocri o addirittura fallimentari che ha ottenuto, sta a confermare la sua scarsa adattabilità e le non eccellenti doti specifiche. Per far capire a tutti il “perché” dei miei giudizi lapidari, allego gli estremi della sua partecipazione, non prima di premettere che alla prova inglese ha partecipato, sì e no, il 30% dei migliori delle singole specialità.

Corsa a Punti:
1 Guido Fulst (Germany) 32
2 Peter Schep (Netherlands) 28
3 Martin Blaha (Czech Republic) 24
4 Aeschbach Alexander (Switzerland) 24
5 Mehdi Sohrabi (Iran) 16
6 Mikhail Ignatiev (Russia) 16
7 Carlos Torrent Tarres (Spain) 11
8 Sergey Kolesnikov (Rus) Omnibike Dynamo Moscow 11
9 Anthony Chapman (New Zealand) 10
10 Rafat Ratajczyk (Poland) 10
11 Ilzo Keisse (Belgium) 8
12 Ioannis Tamouridis (Greece) 7
13 Michael Faerk Christensen (Denmark) 6
14 François Lamiraud (France) 3
15 Jozef Zabka (Slovakia) 2
16 Angelo Ciccone (Italy) 2
17 Volodymyr Zagorodniy (Ukraine) 1
18 Magnus Bäckstedt (Sweden) 1
19 Evan Oliphant (GBr) Recycling.co.uk
20 Sean Finning (Australia)

Qualificazioni dell’inseguimento (4 km):
1 Paul Manning (GBr) RCU 4.26.950 (53.942km/h)
2 Volodymyr Dyudya (Ukraine) 4.27.013 (53.929km/h)
3 Alexander Serov (Russia) 4.28.986 (53.534km/h)
4 Levi Heimans (Netherlands) 4.30.554 (53.224km/h)
5 Damien Monier (France) 4.31.365 (53.065km/h)
6 Marc Ryan (New Zealand) 4.32.644 (52.816km/h)
7 Sebastian David Muntaner Juaneda (Spain) 4.34.249 (52.507km/h)
8 Richard England (Australia) 4.34.382 (52.481km/h)
9 Christian Bach (Germany) 4.35.282 (52.309km/h)
10 Alexander Khatuntsev (Rus) ODT 4.35.738 (52.223km/h)
11 Magnus Bäckstedt (Sweden) 4.35.993 (52.175km/h)
12 Aliaksandr Lisouski (Belarus) 4.39.242 (51.568km/h)
13 Guillermo Brunetta (Argentina) 4.45.354 (50.463km/h)
14 Alireza Haghi (Iran) 4.45.993 (50.350km/h)
15 Mario Lexmüller (Austria) 4.49.218 (49.789km/h)
16 Radoslaw Wasilewski (Poland) 4.50.928 (49.496km/h)

Scrace race:
1 Rafat Ratajczyk (Poland)
2 Matthew Gilmore (Belgium)
3 Ioannis Tamouridis (Greece)
4 Karl-Christian König (Germany)
5 Wim Stroetinga (Netherlands)
6 Alex Rasmussen (Denmark)
7 Hayden Godfrey (New Zealand)
8 Ivan Kovalev ODT
9 Jorge Soto (Uruguay)
10 Marco Villa (Italy)
11 Ivan Rovny (Russia)
12 Ben Swift (Great Britain)
13 Richard England (Australia)
14 Kyle Swain (South Africa)
15 Carlos Manuel Hernandez (Mexico)
16 Alain Lauener (Switzerland)
17 Magnus Bäckstedt (Sweden)
18 Petr Lazar (Czech Republic)
19 Vitaliy Shchedov (Ukraine)
20 Chris Newton RCU

Morale finale: per dare interesse alla pista bisogna prima di tutto conoscerla con l’umiltà di chi è seriamente assetato di confronti e prove. La galleria del vento ha valore quando il destinatario possiede motore e trasmissione in grado di esaltare la carrozzeria, altrimenti si prende per i fondelli tutto l’intorno, compreso il masochistico ideatore della stessa visita alla galleria. Se dietro il tentativo di Backstedt c’è realmente un nobile scopo della Bianchi, devo dire che la società s’è guadagnata un bel “due” in pagella, o il metaforico confronto, prettamente romagnolo, dei suini in una piantagione di angurie. Imparino dunque a studiare. Altrimenti stiano sul classico, valorizzando, prima di tutto, i diversi giovani di talento che possiedono; indi convincendo Garzelli verso l’area delle classiche belghe e non le chimere del Giro e, per finire, aiutare Di Luca a capire i mastodontici errori tattici del Finestre, nella speranza possa ripetersi sul tema Rosa. Come dire: .... anche su strada, la Liquigas Bianchi non brilla per chiarezza ed acume…..e licenziare Damiani, significa mettere cemento alle impressioni…..

Ciao carissimo.

Morris

 

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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




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  postato il 20/12/2005 alle 19:09
Dolf Verschueren (Bel) 1954, Anversa, 58.686 km

Adolf, aldilà del facile diminutivo in Dolf, veniva chiamato così da tutti, forse anche per non ricordare la terribile omonimia con un tipo che aveva scatenato giorni terribili, ancor troppo freschi nei ricordi e nei segni sul corpo di tanti fiamminghi, valloni e bruxellesi. Già, perché Dolf Verschueren, con le linee caratteriali di quel delinquente, non aveva nulla in comune, tale era la sua gentilezza, umanità e la larga disponibilità al sorriso. Era nato a Kontich, vicino ad Anversa, il 10 luglio 1922 da una famiglia poverissima, un particolare in apparenza comune a tanti di quel periodo, ma vissuto in Dolf come un monito, sul quale fece gravitare tutta la sua vita. Anche sul Belgio del primo dopoguerra, l’instabilità monetaria che avvolse gran parte delle nazioni europee, rese particolarmente lungo e difficile il riassestamento economico e sociale del paese. La situazione rimase critica fino al 1926, quando finalmente fu bloccata la spirale inflazionistica, ma un nuovo sconvolgimento, per uno stato così fortemente caratterizzato industrialmente ed economicamente, era alle porte. La grande depressione economica mondiale del 1929 e la susseguente crisi, crearono infatti notevoli ripercussioni, anche sul piano politico belga. Chi viveva nella povertà come la famiglia Verschueren, non conosceva il fondo delle difficoltà e nemmeno il lavoro semischiavistico in miniera, poteva risollevare più di tanto. Il governo di unione nazionale, presieduto dal cattolico Paul Von Zeeland, trovò sul suo cammino le violente reazioni dei “rexisti” e dei nazionalisti fiamminghi. II movimento rexista (dal motto “Christus Rex”), s’era costituito nel 1934, su iniziativa del giovane Leon Degrelle. In poco tempo, facendo appello contemporaneamente al nazionalismo estremista, al militarismo, al conservatorismo cattolico, al malcontento dei disoccupati, nonché a quello della piccola borghesia colpita dalla svalutazione monetaria, i rexisti avevano guadagnato terreno. Ancora una volta, quando il normale corso del cammino belga sembrava ritornato compiuto, s’ebbe un'ulteriore lacerazione, stavolta in seguito all'attacco hitleriano, sferrato il 10 maggio 1940, il quale, oltre a portare alla capitolazione del paese in sole due settimane, costrinse i belgi ad anni di occupazione tedesca, nonostante a monte vi fosse neutralità. Dolf Verschueren, conobbe in quegli anni il lavoro anticipato sui limiti del fisico a quell’età, ed incontrò la bici più per necessità che per divertimento o passione. Nei chiarori di luce che la gioventù liberava dall’oppressione di un vivere cosparso di grigio capì che con quel mezzo poteva esser qualcuno e addirittura divertirsi. Decise di fare sul serio e grazie al prestito di una bici da corsa, le sensazioni di buone qualità divennero certezze. Ma c’era l’occupante tedesco, che impediva la naturale volontà belga di proporre, con una certa costanza, le gare in bicicletta. Soffrendo, come tanti della sua generazione, nelle poche occasioni, nonostante la scarsa esperienza, si dimostrò un evidente. Provò pure quella pista che, proponendosi su un impianto fisso, offriva maggiori opportunità agonistiche, ed anche sui tondini il suo passo apparve di nota. Nel 1942, a 20 anni non ancora compiuti, vinse il Giro delle Fiandre per dilettanti (un’edizione un po’ oltre i confini della categoria, proprio in virtù della guerra e del conseguente freno all’attività) e l’allora prestigiosissimo GP Georges Ronsse. Quei due successi rappresentarono per Dolf, il trampolino decisivo per fare del ciclismo il suo mestiere. Passò così al professionismo qualche mese dopo, all’interno di quella fucina di ciclismo che era, allora, la Mercier Hutchinson. Il peso nazista stava allentandosi sotto i colpi degli alleati ad occidente e dell’Urss ad oriente, ed anche il ciclismo, nel primo anno al professionismo di Dolf, trovò maggiori boccate d’ossigeno.



L’esordio di Verschueren fu ottimo, grazie alla vittoria nel campionato belga cronosquadre e di una lunga serie di piazzamenti in gare, a quel tempo da considerarsi, per motivi superiori, come le massime di quello sport. Nel 1944 arrivarono anche le vittorie e furono confermati i piazzamenti di prestigio. Il 1945 segnò un’involuzione, o meglio, in Dolf cominciò a serpeggiare la convinzione di non poter eccellere come voleva per la mancanza di un solido spunto veloce. Nella stagione, infatti, arrivò a giocarsi una decina di volte il traguardo senza mai vincere: cinque volte secondo e tre volte terzo. Anche nell’anno successivo la musica non cambiò: solo una vittoria al cospetto di una quindicina di piazzamenti: cresceva il suo prestigio per il protagonismo che dimostrava, ma erano troppo pochi gli acuti. In Verschueren, la certezza di essere un piazzato, pur avendo doti da vincente, cominciò a farsi molto pesante. Nel 1947 ne ebbe la prova più eclatante. Il suo ruolino rapportato ai tempi di oggi fino a metà maggio, gli avrebbe consentito di stare parzialmente in testa ad una classifica Pro Tour o di Coppa del mondo anticipate: alle due vittorie a Lichtervelde e Sint Niklaas, aggiunse il secondo posto alla Parigi Roubaix (beffato dal veloce ed astutissimo Georges Claes in una volata a tre, comprendente il vecchio francese Thietard), il terzo nella Coppa Sels, nel Giro delle Fiandre Orientali, il quinto nel GP di Hoboken e nella Baarle-Hertog. Nel corso della stagione però, subì una flessione, ma incontrò per la prima volta quei motori e quei derny che poi segneranno la sua carriera. Nel 1948 decise di incentivare la sua esperienze ciclistiche oltre la strada. Ciononostante la sua primavera fu ancora migliore rispetto all’anno precedente, per vittorie e, soprattutto piazzamenti. Vinse dapprima il Criterium di Anversa (allora una semiclassica belga) con un’azione da finisseur, quindi a Louvain e Steendorp e colse un’infinità di piazzamenti, alcuni di prestigio assoluto: 3° nella Bruxelles-Izegem, 3° nella Oud-Tournhout, 4° nella Parigi-Riubaix, nella Liegi-Bastogne-Liegi, 5° nella Freccia Vallone, 8° nella Parigi-Bruxelles, e 11° nella Bordeaux-Parigi, dove, aldilà del piazzamento compromesso a causa di un crollo finale, capì di possedere per un periodo non troppo lungo, il ritmo cadenzato e la dimestichezza alla velocità dietro motori. In quella prova incredibile ed unica nel suo genere fascinoso e di fatica, Dolf, cercava proprio di capire le ragioni delle sue qualità, ed i confini della sua resistenza. Le risposte che arrivarono furono determinanti: nacquero proprio da lì, gli idiomi della leggenda “dell’uomo che schizzava dietro la moto”.




Dolf Verschueren, il prolungamento del motore.
Non ancora ventisettenne, il gentile e sorridente corridore di Kontich, si cimentò convinto nella sua prima avventura fra gli stayer, ad Anversa, e vinse. Per far la gamba, pochi giorni prima, aveva stracciato tutti su strada, in quel di Nederbrakel. Nonostante fosse ormai deciso ad incentivare la sua attività su pista, ed a dimostrazione dei suoi evidenti valori di stradista, colse un altro prestigiosissimo secondo posto, stavolta nella Liegi-Bastogne-Liegi, beffato nella volata a cinque, dal francese Camille Danguillaume (uno che poi ebbe, l’anno dopo, un tragico destino durante il campionato nazionale e di cui parlerò nell’apposito thread) nonché nell’allora semiclassica Bruxelles-Bost, superato allo sprint dal connazionale Edward Peeters. Naturalmente, quei piazzamenti non erano gli unici, ma solo i più evidenti della sua sempre più impressionante collezione. Fra questi, anche il secondo posto nel campionato belga del mezzofondo, alle spalle di August Meuleman (colui che poi diverrà un grande allenatore di stayer, famoso per aver condotto a lungo Domenico De Lillo), giunto nell’occasione al canto del cigno. Ormai lanciato nell’attività sui velodromi, Verschueren si tolse anche un’altra soddisfazione su strada, andando a vincere, grazie ad una lunga fuga, a Berna, la sesta tappa del Giro di Svizzera, dopo aver colto i soliti piazzamenti in un altro paio di frazioni. Dalla stagione 1950, la dedizione alla pista ed alle gare dietro motori, stayer e derny, fu praticamente totale, ed iniziò a cementarsi quel mito che nelle crepe tritasassi del ciclismo moderno, ancora lancia qualche eco.
I numeri che Dolf seppe raccogliere, da quell’anno al febbraio del 1963, sono incredibili e significativi. Gli stayer del tempo, che allora contavano su grandi moto di 2000 cc con trazione a puleggia, li narrerò in un apposito thread su queste pagine, ma è indubbio che Verschueren sia stato, per oltre due lustri, il faro del movimento e l’ideale padre di colui che poi diverrà il più grande della storia, ovvero lo spagnolo Guellermo Timoner. Dolf, impreziosiva le piste d’Europa, era un’attrazione per un pubblico sempre folto e competente, dove, nell’attesa degli appuntamenti, ai più giovani si diceva: “vieni, vedrai Verschueren, un fenomeno”. Di grande presa emotiva erano le sue accelerazioni finali, quando, ad oltre ottanta all’ora, amava imprimere nelle tre tornate conclusive, il suo sigillo: uno spettacolo unico. Sceso di pista e tolto quel caschetto che ricordava la calotta dei vecchi palombari, lanciava saluti e sorrisi a quella tanta gente che, rigorosamente in piedi, l’applaudiva. Un indimenticabile.


Campionati Mondiali 1955: un ideale passaggio di testimone fra due leggendari, il vecchio Verschueren ed il più giovane e rampante Timoner….


I numeri della carriera di Dolf Verschueren:

3 Titoli Mondiali nel Mezzofondo (Stayer) nel 1952-53-54
5 Titoli Europei nel Mezzofondo (Stayer) nel 1952-54-57-59-60)
10 Titoli Nazionali nel Mezzofondo (Stayer) nel 1950-51-52-53-54-55-56-58-60-62

251 vittorie in gare internazionali di mezzofondo (stayer);

29 successi in classiche del mezzofondo (stayer):
Campionati Internazionali dell’Hiver (1952-55-56-58-59)
GP del Belgio (1952-60)
Ruota d’Oro a Francoforte (1953-54)
Ruota d’Oro di Berlino (1954-58)
GP Linart (1954-58-60)
GP Toussaint a Bruxelles (1954)
GP d’Europa di Bruxelles (1955-56-58)
GP Roi di Bruxelles (1955)
GP Noel di Dortmund (1955-60)
GP di Bruxelles (1956)
GP Vanderstuyft (1957)
GP di Berlino (1957)
Memorial Erich Metze (1958-59)
GP d’Europa ad Anversa (1958)
GP Anversa (1958)
GP di Gand (1958)

3 successi in classiche dietro derny:
GP di Alost (1950)
GP di Wetteren (1950-1954)


Le sue caratteristiche
La disamina della sua carriera, chiusa, come detto, nel febbraio del 1963 a 40 anni e mezzo, ci presenta un atleta coi fiocchi, capace di sopperire alle sue carenze impossibili da correggere con l’allenamento (che a quei tempi era empirico e non poteva godere di quelle alchimie chimiche che, oggi, sono capaci di far diventare anche gli asini dei discreti cavalli), con la scelta degli orizzonti più adatti ad esaltare le qualità possedute. Dolf Verschueren passa alla storia per un epigone di una specialità, ma le sue valenze non erano inferiori a tanti corridori che hanno saputo costruirsi un bel curriculum su strada. Non oso fare confronti con atleti odierni per decoro, per la legge dei “se” e per non apparire un esaltato del passato (anche se in gran parte lo sono, ed ho pure spiegato in altri thread il perché), ma non si arriva ai 40 anni da protagonista se non si possiede sangue blu. Dolf, non era dotato di velocità esplosiva, non aveva scatto e raggiungeva con una certa lentezza la sua possibile velocità massima. Per questo motivo perdeva molte gare su strada allo sprint. Possedeva però una resistenza alla velocità massima raggiungibile come pochi, ma non aveva la grande capacità di soffrire lungamente lo sforzo, tipica dello stradista adatto alle corse a tappe. Era per istinto un ritmico, con una grande facilità di pedalata ed una progressione di nota. In altre parole, ideale per il mezzofondo o le gare dietro derny, ovvero prove di grande intensità, ma non di eccelsa lunghezza. Infatti la Bordeaux Parigi lo respinse, mentre la Parigi Roubaix, prestandosi a variabili maggiori di sforzo e progressioni, intervallate da fasi di possibile recupero, era una classica alla sua portata. Sull’ora di gara “a tutta”, come si dice nel gergo, era un autentico asso. Anche sulle salite dure ma brevi, ovvero quei “muri” tipici dei suoi paesaggi, era un evidente. Insomma un corridore di rilevanza, nettamente migliore fra quelli che raggiunsero il record dell’ora dietro derny prima di lui, e componente l’ideale podio (gli altri due sono Post e Ockers), fra coloro che tentarono con successo e non, questo primato. Ovviamente Backstedt compreso.




Il record sull’ora dietro derny di Dolf Verschueren
Dopo i successi di Georges Decaux e Roger Queugnet entrambi svolti nel 1954, anche il corridore di Kontich, nel medesimo anno, pensò di poter suggellare la sua carriera con questo record. Il problema per lui, era quello di trovare lo spazio per il tentativo, in considerazione degli impegni nelle rivincite e nei classici Gran Premi di mezzofondo, programmati dopo i mondiali vittoriosi svoltisi a Wuppertal. Consapevole di non poter svolgere una preparazione specifica che credeva perfino superflua, viste le continue gare similari a cui era chiamato, pensò che il miglior modo di provare, anche per la presenza naturale di pubblico, fosse di proporsi ai margini di una Sei Giorni, o a ridosso di una delle tante riunioni su pista del periodo, magari in una giornata particolare. L’anello magico di Anversa, vicino casa, nonché teatro di grandissimi acuti agonistici, gli parve ideale. La data della prova venne dalla casualità, ma fu subito fascinosa e particolare, il 25 dicembre. Il giorno di Natale ’54, Dolf Verschueren, si poté dunque lanciare verso quel record che appariva scontato visto il suo spessore, ma che poteva ugualmente riservare delle incognite, data la sua maggior dimestichezza dietro le grosse moto e per i pochi confronti possibili sui quali costruirsi una tabella di marcia. Infatti, il tentativo si consumò empirico, senza studi particolari con la sola forza delle gambe vissuta sul motto “mettiamo fieno in cascina e resistiamo per un’ora”. La stessa abilità di Dolf dietro ai derny, ovvero dei semplici scooter senza rullo, dopo mesi di continue gare dietro moto di 2000 cc di cilindrata e con la possibilità di lanciare la velocità attraverso le volte pendenti dei velodromi, non poteva essere eccellente. Eppure, il verdetto di quell’insieme ben poco preparato, consumato sulla pura classe, fu maestoso: 58.686 km. L’incremento di tre chilometri e 338 metri sul vecchio primato (il più alto nell’intera storia del record) apparve come un segno delle qualità di Verschueren, ma pure come la dimostrazione che dietro derny i margini di velocità rispetto all’ora consumata dal singolo corridore, stavano lautamente oltre i dieci chilometri. Per una parte dell’osservatorio fu un clamoroso tonfo, ma nonostante lo spessore del nuovo primatista, ancora molto si poteva fare …..

(Continua...)

Morris

 

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  postato il 20/12/2005 alle 19:11
Ho avuto la fortuna di sentire per ben due volte questa disamina di Morris; non per questo rileggerla mi da fastidio.
Credo inoltre difficile per un atleta, che ha passato la boa dei 30 anni, riuscire a capire appieno il meccanismo "pista".
Personalmente se devo puntare su qualcuno in attività, che reputo in grado di battere il record dell'ora, non sceglierei proprio lo svedese, anche in chiave fisica.
Concludo dicendo che se la Bianchi si addossasse l'onere di rilanciare il settore pista, sarebbe da applaudire, considerando i "chiari di luna" che stanno colpendo sempre più il mondo delle due ruote su strada...figurarsi quello dei velodromi.
Buonaserata

 

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Livello Fausto Coppi




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  postato il 21/12/2005 alle 00:06
ho una domanda per Morris

mi ricordo che nel 1984, poco tempo dopo il record messicano di Moser, Bruno Vicino fece anch'egli un record su pista dietro motori e fece quasi 85 chilometri in un ora.

E' la stessa specialità di cui parli tu oppure c'è qualche differenza?

Grazie

Antonello

 
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Livello Fausto Coppi
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  postato il 21/12/2005 alle 09:02
Il record di Bruno Vicino, corridore pazzoide ma pieno di talento (sarà presente in una prossima puntata di Graffiti) risale alla stagione '86, l'11 luglio, quando, sul Velodromo Mercante di Bassano, stabilì il primato mondiale dell'ora dietro moto (le stesse della seconda generazione degli stayer: non quelle di 2000 cc con trazione a puleggia, ma le derivate dalle moderne motociclette). Sull'ora percorse 84,489 km, ma proseguì fino a stabilire, anche il primato mondiale sui 100 km, percorrendoli in 1 ora 10'57"11.
Non si tratta dunque dello stesso record oggetto di questo thread.

Ciao!

 

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Livello Fausto Coppi
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  postato il 28/12/2005 alle 00:49
Non voglio peccare di presunzione, ma il ritratto che segue, avente per protagonista uno degli atleti più misteriosi della storia del ciclismo, come mi ha confermato il suo connazionale Thomas Cristou, sia per il testo che per buona parte delle foto, rappresenta una "prima" a livello mondiale...


Graham French (Aus) 1955, Anversa, 59.875 km

Arrivò all’aeroporto di Bruxelles alla fine del 1954, con due ruote ed una bicicletta che pareva un cancello, veniva dall’Australia, ed era sconosciuto a tutti. Il suo nome non figurava fra i già nobili aussie che avevano impreziosito le piste degli affollatissimi GP del periodo, dei Mondiali e delle Olimpiadi. Di quella terra lontana ed affascinante, che era diventata dimora e nuovo paese dell’italiano Nino Borsari, olimpionico nel 1932, si conoscevano bene Sid Pattersson (l’unico capace di vincere un mondiale sia nell’inseguimento che nella velocità), il grandissimo Russel “Mocka” Mockridge, corridore totale e sempre in grado di stravolgere tutta la conoscenza ciclistica fin lì evidenziata, il velocista Lionel Cox, il seigiornista Reginald Arnold, ma di questo Graham French, nessuno proprio sapeva nulla. Già, perché le sue generalità recitavano quel nome e quel cognome, la data di nascita nel 15 aprile 1927 (coetaneo di Pattersson, dunque) e quella provenienza da Ulverstone in Tasmania che poi tanti smarriranno, forse per mantenere alto quel mistero che coinvolge, ancora oggi, il tratto agonistico di questo figlio dell’incantevole isola a sud dell’Australia continentale.


Graham French

Qualcuno aveva dato al biondo e piuttosto tozzo Graham, l’indirizzo di un allenatore ed un tempo campione delle gare dietro moto: Frans Cools. Quell’incontro serviva come il pane al tasmaniano, perché era quella la specialità che un paio di mesi prima, Sid Pattersson, sulla pista di Melbourne, gli aveva consigliato come la più adatta ai suoi mezzi. Ed il già quasi ventottenne French, voleva assolutamente provarla. Nella sua lontana terra, gli stayer erano solo un’attrazione ancor densa di curiosità e le gare erano davvero pochissime. Quando si presentò a Cools, sconosciuto com’era, il buon Graham un po’ guascone come tutti i tasmaniani, pensò bene di darsi una credibilità, sostenendo d’essere un amico e compagno di squadra di Mockridge, proprio quell’anno vincitore di una gara molto sentita dai fiamminghi con ambizioni su pista: il GP Marcel Kint. In parte le dichiarazioni di French erano vere: con “Mocka” aveva condiviso la stessa appartenenza nell’equipe australiana Rudge, ma nel ciclismo aussie del periodo, le squadre erano davvero sui generis e non andavano molto oltre la semplice conoscenza dei singoli. Le parole del giovanotto però, furono sufficienti ad alimentare la curiosità di Cools, che decise di provare le qualità del ciarliero Graham sulla magica pista di Anversa. Fu proprio un derny, il primo riferimento europeo di French, professionista isolato già nel ’51, poi per due anni fermo ad allevare bestiame, ed il ritorno proprio durante il ’54, sempre nelle poco competitive gare australiane.
La risposta di Graham sulla pista fu strabiliante. Frans Cools capì subito che le doti del ragazzo della Tasmania erano primarie: French rispondeva alle sue accelerazioni e sapeva mantenere una forte velocità sulla linea degli stayer. Le prove dei giorni successivi superarono i primi responsi, ed anche le risposte con le moto degli stayer furono estremamente convincenti: Frans Cools, allenatore esperto, ma ancor giovane, aveva trovato un campione in grado di competere con gli assi del periodo, Dolf Verschueren su tutti.

Il record sull’ora dietro derny di Graham French
Frans Cools, volle bruciare le tappe. Graham, il tasmaniano era in Europa da una sessantina di giorni e dietro le spalle aveva esperienze ridicole, ma per l’allenatore era già pronto per entrare nella storia del ciclismo. Deciso ed impavido il “pacer” di Crayford, prenotò il velodromo di Anversa per il 7 febbraio 1955, con l’intento di portare Graham French a cancellare il primato di Verschueren. Per il corridore degli antipodi, l’occasione era ghiotta, d’altronde non era certo nelle condizioni di poter mettere dubbi o contestare il suo allenatore. In fondo non aveva niente da perdere, ed agli occhi dell’osservatorio era ancora un perfetto sconosciuto. Ciononostante, il pubblico accorse numeroso, attirato dalla curiosità di vedere quell’atleta venuto dal nulla, elevare la sfida “all’uomo dietro moto” per antonomasia. Il tentativo si svolse regolarmente, e si dipanò senza nessuna tabella di marcia concordata, ma con la sola sensibilità di Cools a dettare i ritmi per le gambe, a suo giudizio convincenti, di French. Nell’animo del “pacer” belga, la volontà di segnare qualcosa di unico, era forte al punto, di condurre la prestazione dell’aussie su ritmi in grado di poter superare i sessanta all’ora.
Per una cinquantina di minuti, i piani molto istintivi di Cools, stazionarono sulle ali della speranza più impensabile, con una media collocata sui 60,300 kmh! Solo nei dieci minuti finali, l’ovvia flessione di Graham, fece scendere la media a 59.875 kmh, ma era pur sempre record mondiale, con la bellezza di 1 km e 189 metri in più del grande Dolf Verschueren.
Graham French l’aveva fatta davvero grossa, quasi volesse rivivere, nel suo campo, la celebre frase di Caio Giulio Cesare: “Veni vidi vici”!



La carriera di Graham French
Sulle ali di quell’incredibile primato, il corridore di Ulverstone, provò la corsa dietro derny su strada, a Wevelgem, uscendo sconfitto d’un soffio dallo specialista belga Lucien Demunster, Si schierò poi su pista, nei GP degli stayer, ed anche dietro le grosse moto, si dimostrò degno del record mondiale dell’ora coi derny, non uscendo mai dai primi cinque. Vinse la Ruota d’Oro, ed assaggiò i podi illustri: finì, infatti, terzo, dietro al giovane fenomeno tedesco Karl Heinz Marsell e al sire Dolf Verschueren, nel Campionato Europeo, mentre ai Mondiali che si svolsero al Vigorelli di Milano (dove lo spagnolo Guillermo Timoner vinse la prima delle sue sei maglie iridate), giunse quarto.
La puntata italiana, gli valse un contratto con la Torpado per la stagione successiva. Nel 1956, il suo crescendo di risultati continuò, anche se finì il sodalizio diretto con Frans Cools. Affidatosi al pacer Georges Grolimund, confermò il terzo posto agli Europei Stayer (battuto da Verschueren e dal francese Godeau), ma ai Mondiali di Copenaghen sbaragliò il campo, laureandosi, proprio ai danni del grande Timoner e dello svizzero Bucher, Campione del mondo.


L'iridato Graham French, dietro al rullo di Grolimund

Nel 1957, onorò la maglia iridata, confermandosi fra i migliori e chiuse la stagione col terzo posto ai Mondiali di Roucourt, dietro al belga Depaepe e allo svizzero Bucher. In quei tre anni che lo avevano posto all’attenzione mondiale, Graham French, dispensò sorrisi ed una spiccata simpatia, ma mantenne ugualmente quell’alone di mistero che pareva a lui siamese fin dal suo arrivo a Bruxelles. Alla fine dell’anno, dopo il secondo posto nel GP di Zurigo (vinto da Depaepe), tornò in Australia.


Zurigo 1957 - French, all'interno, subisce l'attacco del neo iridato Depaepe

Nel 1958, i suoi viaggi per le gare in Europa furono pochi ed incolori. Ai mondiali di Parigi guadagnò la finale ad otto, ma poi deluse, giungendo settimo. Il suo canto del cigno si consumò alla “Sei Giorni” di Melbourne, dal 16 al 21 marzo 1959, dove, in coppia con Murray, giunse secondo dietro Pattersson e Reynolds. Il giorno dopo, appese la bicicletta al chiodo e sparì letteralmente dal mondo del ciclismo, tornando nella nebbia degli enigmi, proprio come prima del suo arrivo a Bruxelles. Dovrebbe essere ancora in vita, ma nemmeno il mio amico australiano Thomas Cristou (Cody per Cicloweb), è riuscito ad averne conferma.

Morris

(Continua...)

 

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