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Per Morris: epoche e corse
aranciata_bottecchia - 28/07/2005 alle 20:07

Morris, se io dovessi porre delle cesure temporali sulle due ultime epoche del ciclismo, fisserei questi limiti: 1990 - 2005 per quella contemporanea. 1978 - 1989 per quella precedente. Vorrei sapere se è una ripartizione che a tuo avviso ci può stare e quali sarebbero secondo te le suddivisioni precedenti. Infine una domanda un po’ pesante: a parte le classiche monumento e le grandi corse a tappe, o altre grandi classiche tipo Freccia, Zurigo, Wevelgem, Amstel, Parigi Tours, vorrei sapere quali sono a tuo avviso (relativamente al periodo 1978 - 1989) le corse a tappe e quelle in linea degne di interesse nel palmarès di un corridore (italiane e internazionali) e non mi spiacerebbe una ripartizione in scala di valore, suddivisa se possibile in almeno due o tre blocchi (spero di essere stato chiaro). Mi puoi rispondere quando hai tempo, quando preferisci. Ciao e grazie! Ovviamente sono graditi interventi anche da parte di tutti i "vecchi" brontoloni che tra gli anni settanta e gli ottanta seguivano il ciclismo. Grazie a tutti.


janjanssen - 28/07/2005 alle 22:02

Ciao Aranciata...mi infiltro per diritto di carta d'identità...perchè divideresti così i periodi che hai pioposto? Non è una controproposta la mia, solo un chiarimanto per capire.....


aranciata_bottecchia - 28/07/2005 alle 23:58

Ciao JanJan, ho constatato che tra il 1952 e il 1977 i kilometri a crono del Tour sono oscillati tra 66 e 127, con due sole eccezioni (1958 con 141km e 1962 con 276km), mentre dal 1979 in poi le quantità sono ben altre, e credo che questo atteggiamento, di quella che è la corsa più famosa del mondo, abbia anche inciso sul modo di intendere il ciclismo. In oltre ho considerato le medie orarie del Tour, che riporto arrotondate: 1973 33,9 km/h 1974 35,2 km/h 1975 34,9 km/h 1976 34,5 km/h 1977 35,6 km/h 1978 34,9 km/h 1979 36,5 km/h 1980 35,3 km/h 1981 38,0 km/h 1982 37,5 km/h 1983 35,9 km/h 1984 34,9 km/h 1985 36,2 km/h Mi sembra che nel 1979 ci sia stato un picco confermato dalle tendenze successive, come se qualcosa fosse cambiato. Per quello che riguarda il 1990 ho pensato sia alla metabolizzazione della coppa del mondo (introdotta nel 1989), sia ad una piccola rivoluzione nelle tecniche dei preparatori atletici (è un’allegoria, chiaramente). Ciao!


janjanssen - 29/07/2005 alle 00:30

tks...sospettavo una attenta ricerca. Leggo e ci ragiono su.


Morris - 29/07/2005 alle 16:01

In un lavoro che volevo dare alle stampe per fine anno (a patto che possa passare come corredo alle manifestazioni d’intorno all’arrivo di una tappa del Giro nella mia zona), intitolato “Frammenti di ciclismo” , mi sono permesso di presentare delle personali classifiche fra i grandi. Bene, proprio per essere omogeneo nelle stesure ho dovuto ovviamente tener conto di come questo sport si è modificato negli anni, sia per motivi ambientali ed esterni e sia per quelli interni al proprio raggio. Ne sono uscite quattro ere che sono il frutto di componenti essenziali alla disamina, ovvero lo stato delle strade, la mondializzazione, il mezzo, l’organizzazione e l’aiuto chimico. Su questo ultimo aspetto, anche una disamina storica su altri sport, compresi quelli ad impianto fisso, il passaggio si rende obbligatorio. Ti riporto sommariamente un sunto, tra l’altro scritto velocemente e senza rilettura. Le ere del ciclismo le ho definite in: pionieristica, eroica, moderna e contemporanea. La pionieristica parte dal velocipede ed arriva al 1935 compreso. E’ contraddistinta, su strada (perché la storia della pista ha traiettorie assai diverse), da una mondializzazione molto scarsa; da uno stato delle strade che vedeva l’asfalto presente nel 5% dell’attività (percentuale che è frutto degli ultimi anni di questa divisione), concentrato soprattutto sulle grandi città. Anche sul mezzo, si riscontra molta omogeneità, in quanto l’invenzione di Tullio Campagnolo, col suo famoso cambio "a bacchetta", che consentiva di non fermarsi più per cambiare la ruota, è del 1930, ma solo qualche anno dopo si mondializzò compiutamente. Il regime alimentare di quegli anni si basava sul mangiare tanto, soprattutto carne e uova (memorabile e stereotipo, il lussemburghese Faber di cui ho parlato su Graffiti), mentre a livello chimico, l’intervento, ancora abbastanza sconosciuto, alla fine, salvo pochi “eletti”, si concentrava sulla possibilità di avere ….un massaggiatore. Avrei potuto chiuderla nel 1927 con la nascita del mondiale, ma la partecipazione a questa rassegna, considerata per lungo tempo assai distante dai grandi giri e dalle grandi classiche, per quantità, qualità e rappresentatività dei partecipanti mi spinge ad andare oltre. Il confine dunque avviene come data limite nel 1936, perché la mondializzazione si definisce in una maggior considerazione anche del mondiale (in quell’anno si giunge ad un picco di partecipanti doppio rispetto alla media dei precedenti), e, soprattutto l’arrivo, coincidente con l’anno olimpico, di una maggiore e tangibile presenza dell’asfalto (stimabile in un 35-40% del totale possibile), fa risultare il 1936 più convincente come anno di confine. L’era eroica parte dunque dal 1936 e giunge al 1955. E’ contrassegnata certo dall’immane disturbo della guerra, ma si distingue per essere il lasso dell’ascesa definitiva del ciclismo, capace di giungere, soprattutto grazie alla spinta dei richiami di media decisamente superiori, ai vertici delle considerazioni sportive di diversi paesi europei, compresa ovviamente l’Italia. Il pedale diviene così lo sport leader, per popolarità, numeri, presenze giornalistiche e nelle attese dei fascinosi richiami della radio. Il mezzo si trasforma, consentendo nuove variabilità all’atleta, mentre le strade, pur mantenendo anche per le rovine della guerra, una maggioranza di suoli non asfaltati, risultano migliori dell’era precedente. La morfologia delle gare, ancora particolare e sovrumana per lo sforzo che richiede, risulta però in evoluzione e la proposta agonistica si poggia su aspetti consolidati. Anche l’equilibrio fra crono e salite si consolida, nel senso che lo stato delle strade consente al più forte di guadagnare sulle pendenze, mediamente di più rispetto a quello che verrà nelle ere successive, mentre le gare contro il tempo, pur presentando chilometraggi di nota, si consumano su strade migliori, consentendo vantaggi minori fra specialisti e non. Ma la grandezza di questa era, sta soprattutto nell’impatto del ciclismo sui media e nella contemplazione dell’eroe totale, ovvero colui che sa prendere tutto il possibile, dalle classiche ai grandi giri, al mondiale. Emerge la figura di Coppi, il quale cogliendo un paio di volte la doppietta Giro-Tour, diventa l’atleta mondiale per eccellenza, al punto di concretizzare, sulla sua figura, perlomeno quanto le variabili diverse di un ciclismo effettivamente in via di modernizzazione, la fine di questo segmento della storia del ciclismo. Il 1955 segna di fatto la fine di Coppi, il ciclismo poggia le sue ruote su strada asfaltate superiori al 50%, le squadre si organizzano in maniera impensabile rispetto a prima e l’uso della “bomba”, già presente da anni nel gruppo, lascia posto ad una massificazione ed una contemporanea ricerca, verso qualcosa di più immediato o migliore per la traduzione agonistica. Col 1956 si apre l’era moderna del ciclismo. La mondializzazione raggiunge aspetti intercontinentali, compresa la necessità di andare a promuovere il pedale, là dove la stessa bicicletta per uso comune, non s’è ancora affermata. L’aspetto mediatico però, segna in alcuni paesi tradizionalmente ciclistici come l’Italia, il lento, ma progressivo sorpasso del calcio che può vantare l’appoggio della grande industria. Il mezzo si raffina ancora, al punto di portare l’ingresso su alcune parti della bici (manubrio, pedivelle e moltipliche in particolare), di un metallo nuovo, l’alluminio, che segnerà definitivamente questo sport. Le strade giocano un ruolo sempre minore, in quanto gli asfalti, oltre a raggiungere percentuali altissime, vanno via via a migliorare la loro stessa morfologia, al punto di velocizzare l’andatura media. Le corse si cementano e l’organizzazione delle squadre diviene pressoché totale. La chimica di sostegno, come negli altri sport, pur ancora all’interno della fascia degli stimolanti, quindi dell’innalzamento della fascia del dolore e della fatica, si muove verso altri orizzonti, prendendo spunto dalle ricerche che in particolare su altre discipline vengon svolti. Nasce il controllo antidoping nel 1966-’67, ma non basta questo, per far terminare l’era su quegli anni, poiché la rivoluzione vera di questo aspetto, avviene con l’ingresso dei cortisonici prima e degli ormoni poi. Ed è con l’arrivo massivo di questi ultimi, aggiunto ad una scientificità dell’allenamento divenuta tangibile, che si può stabilire con breve, ma corretta approssimazione, nel 1978 compreso, la fine dell’era moderna del pedale e l’inizio di quella contemporanea. Guarda caso coincide pure col ritiro di Eddy Merckx, ma è solo casualità, non mia volontà. Della contemporanea non riassumo nulla, per ovvietà d’osservazione e limiti stramaledetti di tempo. Ora tu, Davide, porti questa interessante ulteriore divisione che ci può stare, anche alla luce delle tue considerazioni sul cronometro. Come ho detto ancora, il passista è colui che più di ogni altro, ha tratto vantaggi dall’evoluzione del doping e dei sistemi di allenamento. Con l’ingresso degli ormonici, il grimpeur classico per una ventina d’anni non s’è più visto e ciò mi da lo spunto per una serie di considerazioni, anche tecniche, sull’allenamento, che non ho tempo e voglia di esternare, adesso. Dietro l’evoluzione del passista a corridore totale, ci stanno i maneggioni che hanno teso a trasformare tutti in questa direzione, l’unica netta distinzione-eccezione si è avuta con Marco Pantani. Le date che tu citi sono interessanti, sia per la ragioni che hai portato e sia perché dietro ai corridori e alle squadre, ha cominciato ad essere onnipresente la figura del medico preparatore, che, di fatto, ha sciolto quella del diesse, il quale si è progressivamente adagiato sulla figura di Team Manager, pur non avendone spessissimo cultura e capacità. La specializzazione imposta dai medici e dalla chimica, ha di fatto esaltato il cronometro e la congruenza statistica che tu hai portato, ne è un aspetto luminoso. E’ da quegli anni infatti, che si è iniziata pure la trasformazione degli atleti disponibili ad un approccio specifico sul cronometro, con la conseguenza di spuntare gli scalatori e di far crescere enormemente i passisti. La traduzione nei grandi giri, in particolare nel Tour (dove ha assunto i connotati di un distinguo), ne è stata conseguenza richiesta anche dai nuovi equilibri politici, e dalla volontà di determinare col cronometro un peso più idoneo per alimentare distinzioni su quella classifica che la strada e la salita, da sole, non riuscivano più a determinare come un tempo, proprio per le ragioni della trasformazione fisica e mentale del corridore. Quindi, la tua distinzione ci può stare, aprendo così sull’era contemporanea quella della specializzazione (bruttissima ovunque, ma tanto è), soprattutto alimenta il rammarico dei romantici di un ciclismo, in cui il cronometro andava visto come una particolarità più o meno illuminata del suo tratto. Per quanto mi riguarda, non ho nulla verso il crono in senso etico, anzi dovrei dire che mi è servito tantissimo per la mia formazione, ma sono anch’io incaz.zatissimo per l’uso che se ne è fatto e per la contemporanea sparizione (nonostante l’arrivo di un mondiale crono) di prove specifiche al di fuori dei giri. Un tempo queste c’erano e non pesavano assolutamente sui doveri di equilibrio che una corsa a tappe deve sempre avere. Potremmo dire che il cronometro è stata la spada, con la quale si è voluto imporre un ciclismo obiettivamente più brutto e meno vero rispetto ad un tempo e dove una eccezione come Pantani, aldilà dei suoi enormi meriti, ha assunto una mondializzazione di popolarità, esaltazione e passione, in parte spiegabile per i motivi di cui sopra. Su di lui si concentrava l’esaltazione di una filosofia che si scontrava con l’ovatta cerebrale di un ciclismo monotematico su cui la gente comune non è d’accordo e, spero, non lo sia mai. Le gare. In quella fascia di tempo (1978 –’89) e con troppo poco tempo per una riflessione più tangibile, quindi solo a livello empirico e di memoria….. Corse a tappe brevi: Giro di Svizzera (una corsa che dovrebbe sempre essere nel palmares di un atleta completo) Tre Giorni di La Panne (è iniziata nel ’77, se non ricordo male, ma per la sua congruenza con la Roubaix) Parigi Nizza (superata successivamente dalla Tirreno Adriatico) Giro di Catalogna (per storia e per significati, compresa la presenza di quegli spagnoli sempre in grado di sovvertire le logiche di gara) Corse in linea: Giro del Lazio (è una classica, di fatto, che per collocazione nel calendario, assume un ruolo ancor più luminoso. Per me più importante di San Sebastian) Het Volk (tradizione e ciclismo di riferimento che creano un fascino enorme) Coppa Agostoni (collocazione, fascino, tradizione, una gran bella gara) Giro del Veneto (tradizione, fascino, difficoltà) Giro del Piemonte (Tradizione ed a quei tempi meglio collocata nei calendari) Giro dell’Emilia (per l’evoluzione che aveva avuto negli anni sessanta e settanta) Corse a cronometro (la cui esistenza avrebbe sicuramente stemperato l’asfissia nei giri) G.P. delle Nazioni (il massimo della specialità) Trofeo Baracchi (una porcheria averla tolta successivamente) G.P. Cynar a Lugano (tradizionale paggio del Nazioni chiuso proprio nel ‘79) G.P di Castrocaro (ahimè soppressa proprio nel ’79 quindi per un solo anno) Nota: guarda caso (?) due delle 4 più grandi corse contro il tempo, han chiuso nel ’79..... Ciao Davide, spero di esserti stato utile.


aranciata_bottecchia - 29/07/2005 alle 17:18

Ciao Morris, sei stato chiarissimo, grazie. Oltretutto c’era un errore nel mio post iniziale, intendevo far partire il periodo precedente proprio dal 1979 e non dal 1978, e lo si capisce quando poi cito le medie orarie del Tour. Tutto quadra, alla perfezione o giù di lì. Grazie ancora, ciao!


beppe82 - 29/07/2005 alle 17:41

Io tra le corse brevi a tappe ritengo importante il Giro del Delfinato. Il lungo albo d'oro è costellato di grandi nomi.


effebi - 29/07/2005 alle 17:55

trovo anch'io che le assenze del baracchi e del gp nazioni siano pesanti. la suddivisione in epoche, poi, ci fa capire meglio anche l'importanza di alcune classiche. la san sebastian, per esempio. ha storia recente, inizia dal 1981, ha acquisito valore soltanto perché in coppa del mondo c'era bisogno di inserire una corsa spagnola... per quanto abbia un percorso interessante, però... così come la coppa del mondo ha un po' danneggiato, a mio avviso, la freccia vallona e la gand wewelgem rispetto alla amstel gold race. ma è un mio parere personale... vale per quel che vale... volendo fare una classificazione opinabilissima - non so se vado off topic - potremmo alla fine dire: i tre grandi giri; mondiali; le cinque grandi classiche; alla pari: freccia, gand, amstel, san sebastian, zurigo, paris tours, giro del lazio, tirreno adriatico, parigi nizza, romandia, svizzera, catalogna un gradino più sotto: agostoni, veneto, la panne, het volk, emilia, brabante