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Autore: Oggetto: Dominique Rocheteau, l'Angelo Verde di Saint Etienne

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 23/07/2005 alle 15:13
Oggi il Tour fa tappa a Saint Etienne. Nel grande romanzo del ciclismo, la città alpina, ha saputo recitare grandi pagine; tanti luminosi alfieri l’hanno impreziosita, giungendo sul traguardo dopo autentiche imprese. Stavolta però, voglio ricordare quella località, attraverso un personaggio che non viene dal ciclismo, ma che ha tracciato nel capoluogo della Loira, gran parte della sua carriera, fino a legarsi indissolubilmente ai suoi colori.
Dominique Rocheteau, è un coetaneo, gran calciatore sconosciuto ai più giovani, per motivi in parte anagrafici, ed in parte legati a debolezze fisiche che gli hanno impedito di trasformare il suo talento in una leggenda riconosciuta.
Erano tempi in cui, il calcio non era ancora la marionetta “rollerbistica” di oggi: i ricordi ci portano agli anni settanta, quando il pallone respirava l’aria di uno sport, non l’affare cieco.
Dominique, era il giocatore francese di caratura intellettuale superiore agli altri, l’unico che avrebbe potuto scrivere un libro sulle “condotte” di uno degli spogliatoi più chiacchierati per le frequentazioni sessuali dei singoli che si ricordi. Era la grande Francia, ma in mezzo c’era di tutto: dalle cornificazioni delle mogli coi compagni dei mariti, all’omossessualità con la relativa ed ossessiva gelosia che a lei spesso si lega; dalle frequentazioni di alcuni su donne pericolose, perché a stretto legame di parentela con personaggi di potere sul calcio e sui media, al cinismo carrieristico di alcuni che usavano il sesso per far fuori certi personaggi scomodi. Insomma, troppi riporti e chiacchiericci, perché fossero tutte montature.
Bene, Dominique era il più normale di tutti, anche perché a differenza dei più, sapeva affascinare anche fuori dal campo per la sua cultura, le sue letture, la sua conoscenza della filosofia, il suo pacifismo. Piaceva naturalmente alle donne, che gli cadevano ai piedi con facilità, perché era bello, intelligente, colto, ed in campo, quando stava bene, nessuno gli era pari. Un mixaggio del genere lo possedeva solo lui, ma se la sua carriera non è stata pari alle facoltà che la natura gli aveva dato, non fu per essersi portato a letto, fra le tante, la figlia di mister H, o altre scomode, tipo una bionda moglie che per un’avventura con Dominique, avrebbe fatto chissà che cosa..


Rocheteau era un genio del calcio, non inferiore a Best e al connazionale e coetaneo Platini, ma aveva un fisico fragile, soprattutto nelle ginocchia. A nulla poté valere quella sua incredibile capacità di soffrire il dolore. Raramente ho visto nello sport un atleta così capace di giocare a dispetto dei consigli medici, delle stesse leggi che regolano il nostro fisico. Lui riusciva ad andare oltre i confini del possibile, ma ciò non poteva bastare per eleggerlo a leggenda immortale del calcio. Un incompiuto, sul quale graveranno sempre alcuni momenti di sfortuna, così cinici esecutori della proiezione massificata delle grandi facoltà di questo genio capellone, non conformista, amante di Sartre, sinistroide e poeta del virtuosismo. Correttissimo in campo, mai un isterismo nonostante le botte copiose che arrivavano per i suoi funambolismi, mai un cartellino giallo e mai un rosso. E’ stato e sarà sempre un grande per quei palati fini che lo hanno voluto guardare con l’occhio della riconoscenza, di chi sceglie, nel calcio, il messaggio artistico. Di chi crede che anche un pallone fra i piedi possa testimoniare un dipinto, un messaggio, un orizzonte che spinge al sogno, attraverso il fascinoso spunto dato dall’ebbrezza di aver visto qualcosa che non si poteva presumere. Di un gesto di genio puro.
Dietro al più grande poeta del calcio, Diego Maradona, ci stanno nove-dieci giocatori che si son messi idealmente a scudieri del “pibe de oro”, alcuni di loro non sono arrivati a tutte le bocche dell’osservatorio, fra queste figure ci sta radioso anche Dominique Rocheteau, l’Angelo Verde, l’uomo che, quasi zoppo, poteva far sedere Beckenbauer e dirgli che il suo era stile, ma nulla poteva con la poesia. Gli bastarono otto minuti, nell’ormai lontanissimo 1976, per farglielo capire.



L’Angelo verde
“Quando aveva la palla ai piedi non sapevi mai in quale direzione poteva andare e se chi lo marcava riusciva ogni tanto ad intuirlo, Dominique era cosi veloce da lasciarlo ugualmente sul posto. Le sue accelerazioni erano da velocista, improvvise e rabbiose, i suoi tocchi vellutati ed anche il suo tiro era notevole, ma aveva le ginocchia di cristallo. Quando i difensori l’impararono, quegli arti così importanti, divennero un bersaglio. Ho visto per tre campionati interi Michel Platini, che il Saint Etienne aveva acquistato dal Nancy, ma Dominique non gli era assolutamente inferiore. La differenza nelle loro carriere l’han fatta le ginocchia. E dire che il fisico di Rocheteau aveva le sue belle qualità: lo scatto, la velocità e poi quella testa così intelligente, sia sul campo che fuori. Sì, era lui il nostro idolo, era cresciuto qui, con le nostre maglie verdi e noi eravamo la sua società. Quando lo chiamammo l’Angelo Verde, ci sembrò logico e naturale. Era la conseguenza delle emozioni che ci regalava. Per me resterà sempre uno dei giocatori di calcio più grandi e mi considero fortunato di averlo potuto vedere così a lungo”. Con queste parole, un amico di Saint Etienne, un collega, uno di quelli che ami ascoltare, per equilibrio, sincerità e bravura, giudicò Dominique Rocheteau. Era un giorno d’agosto del 2001, eravamo a Voujany, una stazione sciistica opposta all’Alpe d’Huez, davanti a due boccali di birra, ed aspettavamo l’epilogo di una corsa ciclistica. Chi ci conosce, sa che sono quelle le occasioni per rivisitare spezzoni di sport, attraverso i profili dei profeti, di fatti nascosti, aneddoti. Diamo il meglio di entrambi e non ci fermiamo, se non per necessità superiori. Infatti, anche in quella occasione facemmo “crocchio”, ma per la mia assoluta incapacità di parlare francese, i nostri “voli” si consumarono in quell’italiano che l’amico parla certo benissimo, ma era incomprensibile per una buona fetta della componente transalpina del “nostro” pubblico. Anche quel giorno parlammo di tanti, ma fu proprio Rocheteau il protagonista principale. Dominique, non sarà diventato una star consacrata del calcio d’ogni tempo, ma almeno due “pazzoidi”, lo han ritenuto meritevole delle attenzioni che non riversano a taluni altri, famosissimi e decorati. Se vogliamo, anche per questo, lo sport, è cittadino del mondo dell’arte.



La carriera di Dominique Rocheteau
Lei era una signora, anche se l’accompagnava la giovane età anagrafica. Era troppo regale nel portamento sotto una lunga chioma nera. Era bella, anche quando lo sforzo della sua specialità richiamava risorse mentali enormi per spingere l’urto dell’acido lattico. Correva facile, come fosse figlia d’un gesto naturale, come gli echi della nostra lontanissima specie, poi, a traguardo raggiunto, ti copriva con un sorriso coinvolgente, ed il suo essere signora si determinava nuovamente agli sguardi, fino a scendere nell’ammirazione. Questa figura sì nobile al volto dello sport, col viso dai tratti vagamente pellerossa, aveva un nome ed un cognome che riportavano immediatamente alle sue origini, a quella terra che la donò alla notorietà, in un caldo pomeriggio messicano, quando sfrecciò per prima sullo sfondo di una fiaccola perdutamente simbolica, sui difficili 400 metri. Sì, Colette Besson, proprio questa signora, entrò nella carriera di un giocatore di calcio anomalo e geniale come Dominique Rocheteau, quando questi, ancora ragazzino, ricercava sulle piste dell’ultima terra rossa d’atletica, un sogno sportivo che non contemplava il pallone. Colette, ancora doveva vincere la Medaglia d’Oro Olimpica, ma era già demagoga, era in lei la passione per l’insegnamento, era leader agonistica, ma prodiga a dare quello che stava imparando e compiendo, ad un gruppo di giovanissimi che la guardavano con rispetto ed ammirazione. La considerazione che ancor oggi, quasi otto lustri dopo, Dominique, riporta con orgoglio, come un successo sportivo. “Sì – dice- sono stato un allievo di Colette, una grandissima che mi ha insegnato a correre e che mi ha forgiato, almeno quanto gli allenatori che poi ho avuto nel calcio”.
Le origini atletiche di Rocheteau, si dipanarono dunque nell’atletica leggera, lo sport per lui da considerarsi il padre di tutti gli altri, il più nobile e importante, quello che dona sensazioni uniche. Il giovanissimo Dominique però, pur crescendo bene, non poté resistere ai richiami di quel pallone che una volta giunto a contatto coi suoi piedi si dimostrò a lui gemello. Fu fin troppo facile impreziosire le folle di piccole formazioni della sua Saintes, prima l’Etaules e poi la squadra della cittadina. Aveva solo 15 anni, quando un osservatore di una delle più forti squadre francesi del tempo, il Saint Etienne, decise di proporre ai genitori il trasferimento di Dominique, dalla costa atlantica fino alle Alpi. Là, lontano da casa, indossando le già famose maglie verdi della squadra alpina, avrebbe potuto dare un segno maestro a quei suoi naturali virtuosismi. Il ragazzino, che nelle giornate antecedenti la proposta, s’era bellamente esibito al cospetto dei pari età della vicina Bordeaux, s’aspettava avance girondine, accettò con entusiasmo l’arrivo del Saint Etienne, in fondo, era il club del momento, quello che stava segnando un decennio. E così, nel 1971, cambiò scuola, amici, paesaggi e si dedicò con quella già limpida intelligenza, alla concretizzazione di un sogno. L’anno dopo, appena diciassettenne, esordì in prima squadra ed a 20 anni i suoi funambolismi lo elessero Angelo Verde…..


Colette Besson dopo la vittoria Olimpica a Città del Messico


Le cifre della lunga carriera di Dominique.

Club
Etules
Saintes

Saint Etienne (1971-1980)
174 presenze con 54 gol
Campione di Francia nel 1974-’75-‘76
Vincitore della Coppa di Francia nel 1977
Finalista di Coppa Campioni nel 1976

Paris Saint Germain (1980-1987)
215 presenze con 86 gol
Campione di Francia nel 1986
Vincitore della Coppa di Francia nel 1982 e 1983
Toulouse (1987-1989)
64 presenze con 13 gol

Nazionale
49 presenze con 15 gol
Campione d’Europa nel 1984
Vincitore della Coppa Intercontinentale per Nazioni nel 1985
Semifinalista in Coppa del Mondo nel 1986 (3°)
Semifinalista in Coppa del Mondo nel 1982 (4°)

La sua scheda.
Nato a Saintes (Charente-Maritime) il 14 gennaio 1955
Altezza: 1,77
Peso forma: 72 kg
Ruolo: attaccante
Caratteristiche: grande facilità nell’uso di entrambi i piedi e grande predisposizione verso le fasce, in particolare la sinistra.



Un “tassello” della sua storia.
……..Il 12 maggio 1976 doveva essere il giorno della sua consacrazione a grande del calcio. Il Saint Etienne, proprio grazie a Dominique, aveva eliminato nei quarti la Dinamo di Kiev, quella che appariva la più forte squadra del tempo, praticamente una nazionale. In semifinale aveva regolato il PSV Eindhoven, ma nella decisiva gara di ritorno contro gli olandesi, Rocheteau, aveva subito un serio infortunio al ginocchio destro (uno dei tanti a quegli arti per lui debolissimi), che lo aveva praticamente messo ko per il resto della stagione. L’Angelo Verde, appena ventunenne, iniziò proprio quel giorno a soffrire nel silenzio la sua personale battaglia col dolore e le leggi della biomeccanica. Nessuno scommetteva sul suo recupero, salvo Robert Herbin, l’allenatore del Saint Etienne (uno dei più grandi personaggi che i miei occhi abbian mai visto nel calcio), il quale sapeva bene quali facoltà s’annidavano sotto il mare di capelli di Dominique. Spavaldo come sempre, il nocchiero storico di quel Saint Etienne da favola, dichiarò ai giornalisti che L’Angelo Verde sarebbe stato della finale, ma tutti pensarono ad una boutade istrionica del vulcanico trainer. Finalmente, arrivò il giorno tanto atteso da una Francia che stava riscoprendo, grazie alla squadra alpina, l’interesse verso il calcio. Agli ordini di Karoly Palotai, Bayern e Saint Etienne scesero in campo in un Hampden Park dipinto di verde: oltre 30.000 tifosi francesi erano lì, a Glasgow, ad aspettare i loro eroi e l’Angelo Verde. Chi non era fisicamente a gridare, era incollato davanti alla televisione. La Francia s’era bloccata, le strade erano vuote, i "bistrot" e le "brasserie", dove si ritrovavano i tifosi in ogni angolo dell' "hexagone", ribollivano di tifo e di aspettative. Ma il sapore sinistro della beffa che aveva levato così forte il capo con la grave distorsione di Dominique qualche settimana prima, s’era concretizzato ulteriormente con gli infortuni, in campionato, di Synaeghel e Farison. Herbin, fu così costretto, nella gara più importante dell’anno e, forse, di un’intera carriera, ad inventare. Sostituì in difesa Farison con l'esperto Repellini, ed a centrocampo, al posto di Synaeghel, inserì Jacques Santini (il fresco ex C.T. francese). E Rocheteau? Nonostante le speranze che proprio Herbin aveva alimentato, l’Angelo entrò sì nello stadio, ma, con una vistosissima fasciatura al ginocchio infortunato, andò a sedersi in panchina. Il vulcanico Robert, pensava potesse bastare per impaurire i tedeschi. Ricordava bene le dichiarazioni di Bechembauer alla vigilia: “Non c’è Rocheteau? Le due squadre si equivalgono, vincerà chi avrà più fortuna.” Portarlo, per Herbain, voleva dire spingerlo sul capo delle preoccupazioni dei bavaresi.
Il Saint Etienne giocò un grande match, ma la fortuna non lo degnò della benché minima attenzione. Prima Bathenay, con un violento tiro da fuori area, poi Santini, con un bel colpo di testa, superarono Sepp Maier, ma i legni a sezione quadrata del vecchio Hampden Park, respinsero il pallone. L’argentino Piazza, in giornata alla Pelè, si trovò falciato come mai nel resto di tutta la carriera, ma i ruvidi piedi tedeschi baciati dalla dea bendata, trasformarono gli occhi di Pilotai in un condensato di miopia, daltonismo e strabismo. Il fattaccio si compì dopo quasi un’ora di gioco, quando Gerd Muller, il temutissimo e smaliziato centravanti dei bavaresi, fino a quel momento nullo, arrestò il pallone al limite dell'area e, arretrando con le spalle al portiere, urtò contro Oswaldo Piazza, cadendo goffamente a terra. Il fischietto, stralunato e in serata di completa confusione, concesse la punizione a favore dei tedeschi. Sul pallone si portò Roth, uno che aveva già deciso la finale dell'anno precedente col Leeds United. La barriera verde, si stava ancora muovendo per allontanarsi su richiesta dell'arbitro, quando il tedesco calciò, sorprendendo nettamente Curkovic, il portiere del Saint Etienne. I francesi protestarono in maniera veemente, ma la giacchetta nera ungherese, solitamente bravissima, continuò nella sua disastrosa serata convalidando il gol.
I verdi reagirono attaccando in massa, ma davanti, senza la fantasia e i funambolismi di Dominique Rocheteau, finirono per essere prede dell'esperta e rocciosa difesa tedesca, perfettamente orchestrata da Beckenbauer.
L’Angelo Verde, seduto in panca, soffriva accanto ad un nero Herbin, l’uomo che sapeva della sua impossibilità a giocare. Ma i grandi, a volte, sanno che si possono superare i confini della razionalità, ed a nove minuti dal fischio finale, il vulcanico trainer, gli diede il permesso di provare a recitare, da ferito e sofferente, la sua poesia. Bastarono quei pochi giri di lancette per capire che con lui in campo, nemmeno le sviste di Palotai, avrebbero potuto fermare le mani verdi sulla Coppa con le grandi orecchie. Dominique donò tocchi, dribbling, smarcamenti. Fece sedere Bechenbauer alla sua leggerezza di alato, mandò Roth “il giustiziere” a raccomandarsi al mondo delle teutoniche imprecazioni, fece scivolare verso il corvino i riccioli biondi di Sepp Maier. Ma era troppo tardi per cambiare il corso di una partita che sembrava annunciata, e la più bella squadra della metà degli anni settanta, con la sua stella tanto ferita quanto angelica, fu costretta ad accettare una immeritata sconfitta. La serata che doveva eleggere l’Angelo Verde a dio del calcio di fantasia, fu invece il primo e più pesante tassello per costruire, nel suo fisico, attraverso la fragilità, l’incompiutezza. Anche se Dominique giocò ancora tantissimi anni, vincendo pure tanto, non fu più quello che, nella primavera del ’76, anche un cieco vedeva come un fuoriclasse divino. Rimase corretto a lampeggiare acuti e prendersi botte, senza mai reagire, dando a tutti i romantici dello sport un segno di stimmate uniche.
Anche se pochi ti ricordano, grazie per tutto quello che hai fatto, Dominique!


Dominique oggi

Il dopo carriera.
Che non fosse un atleta comune, Rocheteau, l’ha dimostrato anche fuori dai campi. Agente di giocatori, attore, studioso della comunicazione, dirigente di grande levatura morale, fondatore di scuole di avviamento allo sport, sono solo alcuni tratti della sua opera nel dopo carriera. Lo scorso anno, fu l’organizzatore principe dei Campionati Mondiali di atletica, anche se alla TV “starnazzava” marionetta Platini, prendendosi, come sempre, dei meriti non suoi. Attualmente, Dominique Rocheteau, è il Presidente del Consiglio Nazionale dell’Etica del calcio, nonché uno dei dirigenti più impegnati nella Federazione, per la creazione di scuole calcio. Un uomo, dunque, che alla conoscenza aggiunge i fatti, l’operosità e la cultura, senza essere lacchè di nessuno. Un grande davvero. L’esatto contrario, di quell’ex italiano che ha lasciato sul campo tutto quello che la natura gli aveva regalato e che, qualche allocco, ancor vede come un illuminato.

Morris

 

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"Non discutere con gli stupidi, perchè scenderesti al loro livello e ti batterebbero per la loro esperienza".

 
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Livello Greg Lemond
Utente del mese Gennaio 2009
Utente del mese Giugno 2010




Posts: 5660
Registrato: Mar 2005

  postato il 19/12/2009 alle 12:56
Originariamente inviato da Morris




Grazie per avermi fatto rammentare quei tempi, quando ero un tifoso del Sain Etienne.
Mi sembra che l'angelo verde abbia partecipato ad acuni film (così come Cantona).

 

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Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
...
e i barbieri il lunedì

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".

(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)

Non riesco a comprendere perché Morris non sia assunto da nessuna rete telvisiva come opinionista

 
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