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Autore: Oggetto: Karen Moras, una carezza sull'acqua.

Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 27/03/2005 alle 19:21
E’ Pasqua. Un giorno che per me, da tanti anni, significa lettura. Oggi, nel bel mezzo di un sonno che ho saputo contenere, dopo la riscoperta dell’acume che accompagnò Ralph Miliband quando scrisse l’ancor validissimo ed attuale trattato sullo Stato nella società capitalistica, ho ritrovato un mio vecchio file. In esso, fra politica e sport, ho rincontrato un ritratto tornato a me da un’interlocuzione con un amico campione di ciclismo. Il protagonista però, non è un ciclista, ma una nuotatrice che mi ha affascinato come poche: Karen Moras. Il nome vi dirà poco o nulla, ma era qualcosa.....In attesa di rispondere a taluni interessanti quesiti del forum, ve lo posto così come è stato scritto, come una storia di sport, una delle innumerevoli sulle quali si può passare, ricevendo qualcosa, una mezz’oretta. A dopo.



Karen Moras, una carezza sull'acqua.

Lei non nuotava, ma scivolava sull’acqua come fosse un grazioso pesce dalle forme umane. E che forme, tra l’altro. Quando arrivava, ti avvolgeva con quel sorriso e quegli occhi che ti ipnotizzavano nell’azzurro verde del loro sfondo. Erano i segni del suo amore verso quel liquido di vita che da lei si faceva accarezzare e che si lasciava domare, perché, in fondo, la riconosceva come reginetta e ben si prestava ad esaltarne la grazia.
Karen Moras non è stata una super, o una leggendaria del nuoto, ma ha ugualmente segnato un’epoca, per le sue pregevolezze tecniche e per aver superato, nelle prove di mezzofondo, le frontiere dell’allenamento fin lì conosciute. Avesse avuto i mezzi fisici di talune colleghe, o fosse nata al servizio di un sistema come quello della DDR, probabilmente, oggi parlerei di lei, come della più grande della storia. Ma è stato meglio così.......e la graziosa Karen, senza farsi crescere la barba di un maschietto, s’è guadagnata ugualmente uno spazio d’evidenza, negli echi perenni della disciplina. Potrei dire: un monumento di bellezza stilistica, nonché di richiamo per una terra, l’Australia, capace come nessuna di radunare, ad ogni suo tratto, un fascino ed un trasporto che mai s’allontanerà da te.

Vidi Karen per la prima volta nella per lei agrodolce Olimpiade messicana e mi colpì. Era bellina, ed i miei tredici anni si specchiavano sui suoi sedici, con occhi che ben lascio immaginare. Trovai persino una sua foto a colori, all’epoca assai rara, perlomeno per uno come me, fino a farla diventare una figura familiare nei miei itinerari di sguardo sullo sport e di quei sogni tanto comuni per un ragazzino. Quella fotografia che aveva resistito al pari di altri cimeli della fanciullezza, alla trasformazione completa della mia casa, scomparve, una sera delle mie ventiquattro primavere, nella borsa di coccodrillo di una ricca e gelosissima ex, sempre pronta ad allontanare figure e “fantasmi” femminili dal mio intorno. Non era l’unico riporto finito nelle idrovore di quella signorina altezzosa e velleitaria, ma ne rimasi male. In fondo, era un ricordo che mi piaceva rivedere, perché già allora, la mia nostalgia per gli anni sessanta, si faceva sentire. Quando poi, poche settimane dopo, incontrai dal vivo dell’infatuazione una Karen italiana, che tanto somigliava alla Moras del nuoto e dei sogni della fine di quella meravigliosa decade, la mancanza di quel tassello di passato, mi lasciò un fastidioso senso di vuoto. Certo, erano sensazioni che mi piace oggi riportare, perché di queste, spesso, si vive, fino a scolpirle sul sempre suggestivo confine che si eleva come un istmo, fra razionale ed emozionale. Lo scrivere sincero, non deve mai dimenticarlo, se si vuol essere se stessi.

Gli anni erano quasi quelli di oggi, ed ancora una volta, una sera, s’offrì a rinfrescare il personale ricordo giovanile di quella Karen che accarezzava l’acqua. Davanti a me una mezza dozzina di amici, ed una pizza accompagnata da litri di birra per richiamare il bisogno di tenere alti quegli addominali dall’interno, che hanno sì tanto inciso una parte del mio invecchiare. Su quella tavola, si richiamavano i segni dell’antica Godwana, oggi Australia, attraverso la presenza di un suo figlio mattacchione come Danny Clark: un grandissimo dello sport, incapace di mettere la parola “fine”, al bisogno di tingersi di titoli sportivi. Lì, in onore dell’amico Danny, col quale, da quando ci conosciamo, il ripercorrere la storia dello sport con una lingua a mezzo fra il mio inglese maccheronico ed il suo italiano sgangherato, rappresenta un tratto costante, iniziai i miei voli di ricordo, nell’attesa delle sue interlocuzioni. Ne scaturì l’ennesima attrazione per i presenti, coperti di stupore per le pagine dai nobili temi sportivi che, da anni, apriamo ogni volta che si ha l’occasione di incontrarci.
Quella sera, l’alcol, che su di me produce effetti mnemonici e di comprensione dell’inglese come mai nella normalità, mi scatenò al punto di far risalire sulla bicicletta della lingua, anche il buon Danny e...... ne uscirono autentici quadri di campioni. Uno di questi, forse il più particolare, e non poteva essere diversamente, ebbe come protagonista proprio Karen Moras.
Quando raccontai come affascinava le mie osservazioni agonistiche e non, di adolescente, l’amico Clark, di lei più anziano di un anno, si illuminò. “Era bella – esordì – carina fino al punto di far arrossire uno come me che non aveva timore di nulla. Mi piaceva, le volevo fare la corte e gliela stavo facendo, quando fummo divisi dagli itinerari dei nostri sport. La rividi alle Olimpiadi di Monaco: io ero al massimo e vinsi l’argento nel ‘chilometro con partenza da fermo ’, mentre lei, non riuscì a superare la concorrenza e l’ingombrante presenza di Shane Gould, finendo per deludere. La prese bene, in fondo è una vecchia legge dello sport, ma i suoi occhi mi diedero l’impressione di essere ancora più belli. Stavo ripartendo nel mio corteggiamento, ma stavolta, ad allontanarmi da lei, fu la firma del contratto da professionista che vennero a propormi. All’indomani dei Giochi io presi la strada dell’Europa per correre ai migliori livelli e lei se ne tornò in Australia, ma lasciò l’attività agonistica poco dopo. Il suo modo di nuotare affascinava, era il migliore stilisticamente e lo si è visto dopo, quando è diventata una grande allenatrice e manager. Morris, certo che da bambino avevi l’occhio lungo......Karen era davvero bellina, ma se la vedi oggi cambi idea. E’ vecchia......”
“Hei Danny.......cambia registro, mica tutti continuano a fare l’atleta come te, altri si lasciano invecchiare.......Forse lo dici, perché non la puoi mettere sul lungo elenco delle tue conquiste......”
“Ne sei proprio sicuro? Potrei aver raccolto di più di quello che ho raccontato...... A parte gli scherzi, Karen ha ancora lo stesso taglio di capelli di un tempo, ed è una bella signora. Ha sempre un certo fascino, ed è molto considerata nel mondo del nuoto e nell’Istituto dello Sport australiano, il nostro Coni. Scrivi su di lei, se lo merita!”
“Già, prima o poi lo farò Danny, è una promessa.....”
Infatti, queste righe, le invierò via mail a Clark, in attesa che ritorni dal Queensland, dove si sta godendo con Sabina (la sua compagna romagnola), le bellezze di quella terra incantevole.

Karen Moras arrivò ai vertici del nuoto australiano, non ancora quindicenne. Eccelleva nel mezzofondo, 400 e 800 metri crawl (stile libero), dove poteva mettere a frutto la sua leggerezza nell’interpretare lo stile e le distanze. Il suo crawl, rappresentava la versione moderna della scuola australiana, forgiata da grandi interpreti come Murray Rose, fra gli uomini e l’immensa ed insuperabile Down Fraser, fra le donne. Ad ogni bracciata facevano contemporaneamente leva due colpi coi piedi: una differenziazione evidente con lo stile americano o europeo classico che ne contempla sei. Lo stesso approccio agli allenamenti, fatto di lunghe ore in vasca, a carichi lenti, rivoluzionò talune concezioni del nuoto femminile fin lì prevalenti. Karen, sapeva seguire con evidente determinazione e abnegazione la preparazione e le tabelle del coach Forbes Carlile, ma dimostrò di metterci del suo, non cercando mai nella potenza e nell’irrobustimento muscolare, una via utile per migliorare le prestazioni, anche sulle sue distanze.
Il suo fisico leggero e dal buon coefficiente di galleggiamento, esaltava le fibre rosse e non mortificava le risultanze, anche di fronte ad una non eccelsa capacità toracica. Stilisticamente e fisicamente, per fare un esempio comparativo, la Moras assomigliava più alla grande specialista delle medesime distanze che, all’epoca, era l’americana Debbie Mayer, o alla nostra Novella Calligaris, piuttosto che alla divina connazionale (che poi l’oscurerà) Shane Gould. Una farfalla acquatica, insomma. Col tempo, mentre i risultati divenivano tangibili, Karen affinò quel suo modo originale e leggero di nuotare fino ad eleggersi evidente riferimento.
Giunse alla selezione olimpica per i Giochi di Città del Messico, appena sedicenne, con la fama di una che poteva arrivare a medaglia. Ed infatti, sui 400 metri, nonostante un calo nel finale, dovuto all’affaticamento ulteriore creato dall’altura, raggiunse la Medaglia di Bronzo. Vinse la Meyer, come nelle previsioni, davanti alla connazionale Gustavson.
Il peso dell’altura fu invece decisivo per Karen nella prova degli 800 metri dove, dopo l’ottima gara sulla distanza minore, poteva essere prevedibile per l’argento, dietro la solita Meyer. Mentre si giocava proprio questa medaglia, che, fino ai seicento metri pareva essere sua, ebbe un calo sensibile e finì per perdere anche il bronzo, a vantaggio della messicana Ramirez. A divedere lei e l’atleta di casa, un solo centesimo, scaturito dopo minuti di discussione e la visione di apparecchiature fotografiche simili a fotofinish. Una beffa, che rese alla sua Olimpiade una punta d’amaro, dovuta essenzialmente a quelle difficoltà. Era troppo abituata al mare della sua Sydney, ed i 2500 metri di Città del Messico, le furono fatali.

Karen, festeggiata dopo la conquista del suo primo Titolo australiano
Nel 1969, batté i primati australiani sui 200, 400 e 800, avvicinandosi in maniera sensibile, soprattutto sulle distanze lunghe, ai mondiali della Meyer: era ormai in grado di lasciare un’impronta indelebile sulla storia del nuoto.
Ed infatti, nel 1970, il primo marzo, nella tarda estate del nuovo Galles del Sud, in quel di Sydney, migliorò il record mondiale degli ottocento metri, avviandosi a quella che resterà la sua stagione d’oro. A luglio, ad Edinburgh, ai Giochi del Commonwealth, per un paese anglosassone importanti quasi come un’Olimpiade, entrò definitivamente nella storia, vincendo l’oro in tutte le distanze nelle quali si schierò: 200, 400 e 800. Nella prova più lunga del mezzofondo, arricchì la sua vittoria, polverizzando il proprio record mondiale, con un miglioramento cronometrico tra i più sensibili dell’intera storia del nuoto femminile.
Nel giro di pochi mesi, Karen, aveva abbassato il primato della Meyer di ben otto secondi: un abisso. Era così diventata la numero uno in tutti i sensi e le sue performance, spostarono le attenzioni dalle vasche americane a quelle australiane, dove una ragazzina, Shane Gould, poco più che bambina, stava bussando a quella porta che poi l’eleggerà, a giudizio di chi scrive, come la più grande nuotatrice di crawl della storia. L’arrivo impetuoso di questo autentico mostro, ebbe un peso non indifferente sull’evoluzione agonistica della Moras. Il prodigio si allenava con lei, ed entrambe seguivano i programmi differenziati per caratteristiche, del medesimo allenatore: Forbes Carlile.
Karen, la regina, che aveva aggraziato col suo stile inconfondibile le piscine del mondo, stava subendo l’onta di una fanciulla già formata come un’adulta e dalla potenza di un uomo. Capì ben presto che non avrebbe potuto contrastarla a lungo.
Il primo maggio 1971, a Londra, la regale Moras, diede fondo a se stessa e riuscì nell’impresa di far suo anche il record mondiale dei 400 metri, cancellando ancora la Meyer, la cui sconfitta si consumò sulla medesima piscina. Ma fra quelle che erano le due litiganti di classe eccelsa, ma umana, rispose la marziana Shane che, a luglio, proprio sul tempio americano di Santa Clara, in California, si prese il primato mondiale dei 400, ed a fine anno anche quello degli 800.
Karen provò a resistere, contrastandola il più possibile in previsione dei Giochi di Monaco, ma in questi, capì che anche la sua migliore stagione, non avrebbe potuto scalfire il personale incontro con la leggenda della connazionale. Le sue gare furono incolori e nemmeno la sorella Narelle, presente lei stessa all’Olimpiade, riuscì a farla recedere dalle intenzioni di ritiro.
La Moras lasciò l’agonismo all’indomani dei giochi, ma la sua figura, imponente anche per risultanze, classe e femminilità, seppe tradurre ben presto su nuovi ruoli, la qualità che un tempo l’accompagnava da atleta.

Karen oggi
A Sydney fu l’ispiratrice di un centro per il nuoto, da considerarsi uno dei più belli, suggestivi e qualificati della terra, il “Karen Moras Drive”. Divenuta allenatrice, si distinse al punto di ereditare ben presto un ruolo preminente nell’ambito del sempre più evidente e crescente nuoto australiano, fino a raggiungere l’incarico di manager. Ruolo che occupa tutt’oggi.
Insomma, la ragazza che accarezzava l’acqua, è sempre una protagonista, col suo indelebile sorriso, di quelle piscine che la conobbero graziosa principessa.


Morris

 
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Livello Fausto Coppi




Posts: 6922
Registrato: Jul 2004

  postato il 27/03/2005 alle 23:46
Carissimo Morris, ho l’animo avvelenato per le fesserie che mi sono dovuto sciroppare nel thread sull’esperienza traumatica di un nuovo forumista, e ho pure scoperto con rammarico che tra noi si annidiava pure un capodacquano.
Tutto ciò mi convince ancor più dell’importanza che può avere una sorta di antologia del forum, e lentamente arriverò a riproporre anche le pagine sul doping, le tue in particolare.
A svelenire il tutto, per fortuna, ecco uno dei tuoi ritratti eccellenti, che sempre mi appassionano e talvolta, come in questo caso, mi riconciliano con l’umanità.
Grazie, una volta di più.
Davide

 
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Livello Fausto Coppi
Utente del mese Luglio 2009




Posts: 4217
Registrato: Oct 2003

  postato il 29/03/2005 alle 01:03
Ti ringrazio Davide!
Non credere che anch'io non perda le staffe, anzi, le perdo spesso. A volte in noi scattano meccanismi di certezza o anticipi su ciò che si vorrebbe, che ci fanno perdere per taluni lassi quella razionalità che ci funge da volante.
Attenzione però, perchè è proprio la sempre presente razionalità, la componente che alla lunga può determinare un percorso verso l'ignavia o il poco significativo. L'alternanza di questi momenti "fuori", comunque innocui di fronte al più grave, è un toccasana per mantenerci vivi, non conformisti e migliori.
Nello sport, il più grande artista è quello che usa l'istinto, ed a me piace come nessuno. Lo stesso mi capita nella vita. Le persone sanguigne, sono le più vere e quelle che se ti dicono bravo, significa che te lo sei meritato. Di ragionieri di banca che ti sodomizzano, stringendoti la mano con la sudaticcia loro e con quel sorrisino tanto perfido quanto richiamante l'ebete, ne ho pieni i "gemelli sferici solitamente molto fragili".
Viva gli istintivi, hanno sempre qualcosa in più. Le vorrei nella politica, ma non ci sono più.....in compenso abbiamo il lifting e la nullità delle sole facce da bravo ragazzo....
Ed a questi paparazzi...preferisco, da vecchio, il sorriso radioso e irragiungibile di Karen.....

Un abbraccio!

Morris

 
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